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Il Regno di Aslan: un avventura

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Academic year: 2022

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T

olkien e Lewis erano entrambi docenti ad O- xford, Tolkien di filologia e inglese antico, Lewis di letteratura inglese me- dievale e rinascimentale.

Hanno dedicato la loro vita di prestigiosi intel- lettuali allo studio, alla ricerca e all’insegna- mento. Maestri del Fan- tasy, hanno anche sapu- to percorrere la via della fantasia più sbrigliata per meditare e comunica- re i valori in cui credeva- no, valori sostanzialmen- te cristiani. Tolkien ha scelto di velarli nella saga del Signore degli Anelli, Lewis invece ha scelto di manifestarli chiaramente attraverso il linguaggio simbolico della fantascienza, della fiaba e del mito, oltre che della visione onirica (cfr.

Il Grande Divorzio) e dell’epistolario immagi- nario (l’assoluto, incredi- bile capolavoro che sono le Lettere di Berlicche).

Dopo un lungo periodo di perdita della fede, Lewis nel 1931 si converte al cristianesimo impegnan- do da allora la propria vita nella diffusione del messaggio evangelico. La sua opera di scrittore diviene quanto mai fe- conda. Da non credente Lewis era riuscito solo a pubblicare due volumi di poesie di scarso successo;

da credente pubblicherà una quarantina di libri comprendesi dei veri best sellers, ed una ventina di inediti usciranno postu- mi.

La produzione di Lewis si articola sostanzial- mente su tre dimensioni, anzi quattro:

scritti professionali di critica letteraria e cultura medievale e rinascimentale;

saggi sul cristianesimo;

romanzi, tutti di gene- re fantastico, sette per gli adulti e sette per i bambini (oltre a scritti minori come articoli e racconti);

a tutto questo si devono aggiungere migliaia di lettere di risposta ai propri amici, letto- ri, ammiratori, oggi raccolte e pubblicate a cura di W. Hooper.

In quest’ottica, la narra- tiva diviene espressione di una teologia per im- magini non meno profon- da di una teologia razio- nalmente sistematizzata.

L’immagine, secondo Lewis, è del resto impre- scindibile per l’espressio- ne e la stessa compren- sione dei contenuti della fede. Con la sua consue- ta acutezza, lo scrittore spiega come la fede non possa essere da noi e- spressa in una forma priva di simboli e di me- tafore.

«Possiamo, se volete, dire che «Dio è entrato nella storia» invece di dire che «Dio è sceso in Terrra». Ma, natural- mente, «entrato» è altret- tanto metaforico di

«sceso». Abbiamo solo sostituito un movimento orizzontale o indefinito a un movimento verticale.

Possiamo rendere il no- stro linguaggio più noio- so, ma non possiamo renderlo meno metafori- co. Possiamo rendere le immagini più prosaiche, ma non possiamo fare a meno delle immagini […]

qualsiasi linguaggio che parla di cose che non siano oggetti fisici è ne- cessariamente metafori- co» (C.S. Lewis, La teolo- gia è poesia? in L’Onere della Gloria, Lindau, Torino 2011, p. 112).

Il pensiero e il linguaggio umano, nei confronti del divino, procedono per analogia con i dati dell’esperienza. Anche quando si cerca di essere più astratti, i risultati sono poco soddisfacenti,

Il Regno di Aslan:

un’avventura

La teologia fantastica di C.S. Lewis

10 febbraio 2022 Non è un periodico Uscirà quando riuscirà Anno 1, Numero 6

Copertina del “Time”

8 settembre 1947

Sommario

San Biagio 3

La Bibbia dall’ABC: in principio Dio

4

San Domenico in Dante. Contribu- to di Annamaria Capuano

6

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se non addirittura comici, come nel caso riferito da Lewis:

«Una ragazza di mia conoscenza era stata educata dai genitori, i quali si credevano dotati di “pensieri più nobili”, a pensare a Dio come ad una

“sostanza” perfetta; più tardi nella vita si rese conto che nella realtà ciò l’aveva condotta a pensare a Lui come a qualcosa di simile ad un e- norme budino di tapioca (per peggio- rare le cose, la tapioca non le piace- va affatto). Possiamo crederci esenti da assurdità di questo grado, ma ci sbagliamo. Sono certo che se uno scruta la propria mente, vedrà le sue concezioni di Dio, da lui ritenute particolarmente avanzate o filosofi- che, sempre accompagnate, nel suo pensiero, da immagini vaghe; e se le esamina, le scoprirà ancora più as- surde delle immagini di tipo umano suscitate dalla teologia cristia- na» (C.S. Lewis, La mano nuda di Dio. Uno studio preliminare sui mi- racoli, G.B.U., Roma 1987, pp. 85 ss.).

Per quanto astratti vogliamo essere, dobbiamo sempre rifarci all’espe- rienza umana; in questo, le immagi- ni possono essere valide quanto la concettualizzazione più elevata.

Questo spiega la scelta, che Lewis presto fece, di comunicare la sua

fede mediante non solo saggi, confe- renze e sermoni, ma anche median- te la narrativa, e la narrativa fan- tasy.

Parlare di teologia senza fare il muso lungo

Come è conciliabile l’uso della fanta- sia con il fatto che Lewis fosse uno dei più prestigiosi intellettuali del Novecento? Sarebbe come chiedersi con quale diritto Dante nella Com- media esprime la più alta teologia in forma poetica e fantastica. Sog- gettività fantastica e oggettività realistica sono, in fondo, diversi modi di approccio e di espressione di una sola realtà; il fantastico rappre- senta un’ottica divergente ma parti- colarmente efficace in funzione del fattore sorpresa.

Il «Time» dell’8 settembre 1947, dedicando a Lewis la copertina del mese, lo associava a Chesterton in quanto provvisto di un vero talento

per tradurre verità antiche in lin- guaggio moderno, con erudizione, buon umore e abilità, in «una pre- sentazione rigorosamente non orto- dossa della rigorosa ortodossia»;

«Lewis (come T.S. Eliot, W.H. Au- den, etc.) è uno della crescente ban- da di eretici tra gli intellettuali mo- derni: un intellettuale che crede in Dio»; senza sdolcinature, senza di- luizioni, senza sconti, «uno che pote- va parlare di teologia senza mettere il muso lungo o essere noioso» (Don v. Devil, Covery Story in «Time Magazine», 8 settembre 1947).

Lewis e i linguaggi dell’immaginario

C.S. Lewis ha esplorato un vasto spazio della letteratura dell’Immaginario. Aveva iniziato con un tentativo di utilizzare il ge- nere letterario dell’allegoria pura (con The Pilgrim’s Regress, 1933:

traduzione italiana Le Due Vie del Pellegrino, Jaca Book, Milano 1981);

tentativo presto abbandonato per- ché risoltosi in un romanzo laborio- so e artificioso che poco ha a che vedere artisticamente con le opere successive.

Lewis si trovò, quasi per scherzo o per scommessa, ad imboccare la strada della fantascienza. Come gli accadde anche in seguito, l’inizio avvenne come per caso, dopo un colloquio con l’amico Tolkien. Nel 1938 i due si erano accordati, impe- gnandosi Tolkien a scrivere un rac- conto ambientato lontano nel tempo, Lewis a scrivere invece un racconto ambientato lontano nello spazio.

Tolkien, che era un perfezionista, lasciò incompiuto il suo tentativo, che molto tempo dopo riaffiorò nella saga del Signore degli Anelli pren- dendo in qualche modo la forma della caduta di Numenor, rivisita- zione del mito greco della caduta di Atlantide. Lewis invece in poco tem- po portò a termine la sua storia in- ventando, se così si può dire, un nuovo genere letterario: la fantateo- logia. Lontano dal Pianeta Silenzio- so fu il primo romanzo di una intera trilogia cosmica, ma anche il primo romanzo di alto livello letterario in cui la fantasia di Lewis si incarnò nelle forme dell’immaginario per comunicare il mondo di valori in cui credeva.

«Possiamo rendere il nostro linguaggio più noioso, ma non possiamo renderlo meno

metaforico… Non possiamo fare a meno delle immagini».

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le), Margherita di Antiochia (proble- mi del parto), Pantaleone di Nico- media (consunzione), Vito (corea, idrofobia, letargia ed epilessia).

Il patronato più importante di San Biagio è quello riguardante le ma- lattie in generale, quelle della gola in particolare e la categoria profes- sionale degli otorinolaringoiatri.

Il patronato sulle malattie della gola è particolarmente delicato. Og- gi si può pensare anche solo ad una banale tonsillite, ma nei secoli pas- sati la temibile difterite, prima di essere debellata dalle campagne di vaccinazione, mieteva vittime so- prattutto fra i bambini.

Per il miracolo del maialino è patro- no dei porci e dei porcari, delle greg- gi e dei pastori. Protegge contro le bestie feroci, ma è anche patrono di tutti gli animali. Per il supplizio dei pettini di ferro è patrono dei petti- nai e dei cardatori, lanaioli e mate- rassai.

Altri patronati nascono solamente da analogie o assonanze di nomi. Il latino Blasius deriva con tutta pro- babilità dall’aggettivo blaesus = bleso, balbuziente, ma in tedesco ricorda il verbo blasen (soffiare), per cui in Germania è patrono dei suo-

natori di strumenti a fiato.

Forse per questo è patrono anche dei mulini a vento e dei mugnai?

Per l’assonanza di Biagio con bacio in molte regioni è il pa- trono dei fidanzati.

Per la somiglianza del nome Blaise con il francese blé, gra- no, in Francia viene invocato prima del raccolto.

Stranamente, San Biagio è anche patrono degli osti, pro- babilmente per il semplice fatto che a Roma la corpora- zione degli osti aveva la pro- pria sede presso la chiesa di San Biagio.

Il dominio sugli animali feroci, in particolare, è una caratteri- stica molto importante della santità in quanto esprime l’armonia con la natura che l’uomo ritrova in Cristo nuovo Adamo.

Per coerenza con il giorno del- la Candelora: «San Biagio, se trova il ghiaccio lo disfà, e se non lo trova fa».

Ovvero: se il 3 febbraio la gior- nata è fredda porterà un clima temperato, se la giornata è mite porterà il freddo. Siamo fra gli 11 e i 15 gradi, quindi… ancora freddo a venire.

S

carse sono le notizie storiche su San Biagio, che tuttavia viene vene- rato come protettore contro le ma- lattie, in particolare quelle della gola, e come patrono degli animali.

Fu probabilmente medico e filosofo prima ancora di divenire vescovo di Sebaste in Armenia. Secondo le narrazioni che si sono tramandate, durante la persecuzione di Licinio (316) trovò rifugio in una grotta sui monti, dove si raccoglievano anche gli animali selvatici che gli portava- no il cibo. Egli col segno della croce li benediceva e guariva le bestie ferite o malate, così come guariva le persone che si rivolgevano a lui.

Il miracolo per cui viene considera- to protettore contro le malattie del- la gola è la guarigione di un bambi- no che stava soffocando per una lisca che gli era rimasta conficcata.

A questo suo patronato si riferisce il rito della benedizione della gola che anche oggi viene effettuato pro- prio nel giorno in cui ricorre la sua memoria, il 3 febbraio.

Ma San Biagio è anche patrono de- gli animali. Si dice

che i soldati di Agri- cola, governatore del- la Cappadocia, cer- cando bestie per i giochi del circo, tro- vassero molti animali feroci di tutte le spe- cie, leoni, orsi, iene, lupi, che si erano ra- dunati in perfetta armonia davanti ad una grotta. Da questa uscì un uomo che li benedisse e li congedò perché tornassero nelle tane e nei deser- ti da cui erano venuti.

Solo un enorme leone rimase lì, presentò una zampa a San Biagio e si fece estrar- re una spina che vi si era conficcata, poi se ne andò tranquillo.

San Biagio fu arresta- to, processato e con- dotto al martirio.

Mentre vi si recava guarì il bambino sof- focato da una spina in

gola e ordinò ad un lupo di riportare il maialino che la bestia aveva rapi- to alla sua proprietaria.

Il santo di fronte alle minacce ed ai supplizi perseverò nella sua fede e fu sottoposto a diversi tipi di tor- menti, come l’essere straziato da pettini di ferro e l’essere gettato in uno stagno sulle cui acque tuttavia camminò senza affondare, finché non fu decapitato.

Patronati

Per i miracoli operati e la vastità dei patronati è compreso fra i quat- tordici Santi Ausiliatori. Oltre a San Biagio, gli Ausiliatori sono i santi Acacio di Bizanzio (emicra- nia), Barbara (morte improvvisa), Caterina d’Alessandria (malattie della lingua), Ciriaco di Roma (ossessioni diaboliche), Cristoforo (peste), Dionigi di Parigi (dolori alla testa), Egidio abate (panico e paz- zia), Erasmo di Formia (dolori ad- dominali), Eustachio (pericoli del fuoco), Giorgio (infezioni della pel-

San Biagio

San Biagio, oltre ad essere protettore contro le malattie e in special modo quelle della gola, è anche patrono di tutti gli animali

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Poche semplici paroline che hanno rivoluzionato l’orizzonte religioso della storia: «In principio Dio». Assa- poriamole nel loro suono originario:

Bereshith Elohim.

Sono queste due delle parole che a- prono il libro della Genesi e l’intera Bibbia.

In principio Dio… (Genesi 1,1) Il racconto biblico non è nato nel vuoto, ma in un determinato luogo e in un determinato tempo, in un am- biente culturale di un certo tipo; ed è stato rivolto a uditori,

poi a lettori, che aveva- no familiarità con certe immagini e certi conte- nuti. È quindi logico che vi si riscontrino analo- gie con gli altri docu- menti letterari che cono- sciamo dell’antico Vici- no Oriente.

Le cosmogonie:

Enuma Elish

In tutte le cosmogonie dell’antichità, in princi- pio c’è la materia. Dalla materia, poi, viene tutto il resto, prima gli dèi, poi gli uomini e le cose naturali.

In tutte le cosmogonie dell’antichità, in principio c’è la materia. Dalla ma- teria, poi, viene tutto il resto, prima gli dèi, poi gli uomini e le cose natu- rali.

Nelle antiche cosmogonie è diffusa l’idea che qualcosa sia esistito da sempre, e questo qualcosa è la mate- ria, un abisso buio o una massa grez- za, il caos primordiale, in forma di uovo colossale o di acque primigenie.

Emblematico è il racconto della for- mazione del cosmo, e della nascita degli dèi, presentato dal poema acca- dico Enuma Elish (dalle parole inizia- li: E quando in alto).

È la più importante cosmogonia babi- lonese fra le 14 che si conoscono. È conservata in sette tavolette in carat- teri cuneiformi rinvenute a partire dal 1876 anche nella biblioteca detta «di Assurbanipal» fra le rovine di Ninive.

Tale biblioteca risale al 669-626 a.C.;

il poema fu composto probabilmente durante la prima dinastia babilonese (1806-1507 a.C.), e se ne conoscono frammenti di quattro diverse redazio- ni: paleo babilonese, neo-babilonese, medio-assira, neo-assira.

«Quando in alto il Cielo non aveva ancora un nome,

E la Terra, in basso, non era ancora stata chiamata con il suo nome, Nulla esisteva eccetto Apsû, l’antico, il loro generatore,

E la generatrice – Tiāmat, la madre di loro tutti,

Le loro acque si mescolarono insieme E i prati non erano ancora formati, né i canneti esistevano;

Quando nessuno degli Dei era ancora manifesto.

Nessuno aveva un nome e i loro de- stini erano incerti.

Allora, in mezzo a loro presero forma gli Dei» (Tavola I, vv. 1-9).

All’inizio vi sono dunque due princì- pi divini: Apsû e Tiāmat. Apsû è l'A- bisso delle acque dolci, padre di ogni cosa; Tiāmat è l'abisso delle acque salate del mare, madre di ogni cosa.

Il nome Tiāmat ha la stessa radice

dell’ebraico tehom, che indica le ac- que sotterranee.

Mescolando le loro acque, i due prin- cìpi divini generano gli dei. Ma que- sti dèi disturbano il sonno di Apsû il quale, per far cessare il loro chiasso, decide di ucciderli.

Ea, il più intelligente degli dèi, me- diante un incantesimo fa addormenta- re Apsû, lo priva della corona, lo mette in catene, lo uccide e prende il suo posto. Col suo corpo costruisce l’apsu, il mondo sotterraneo con la massa di acque dolci. Poi, unendosi alla propria paredra («colei che siede accanto»), Damkina, pro- crea il dio Marduk.

Tiāmat per vendicare lo sposo genera un esercito di mostri (draghi gigante- schi, uomini scorpio- ne, uomini leone, uomini pesce, uomini toro, ser- penti con le corna) e pone a capo dell’armata Kingu o Qingu, facendolo suo sposo e capo di tutti gli dèi.

La guerra termina con la vittoria degli dèi guidati da Marduk, il quale ucci- de la dea madre Tiāmat e ne taglia in due il corpo, facendo con una metà il cielo.

Presumibilmente (la tavoletta qui è mutila) con l’altra metà forma la ter- ra.

Ecco che cos’è l’universo: il corpo di un dio ucciso; ecco che cosa sono gli dèi: parti di materia che si sono unite e hanno generato le divinità. Dèi e materia si identificano. Il tutto nella lotta, nella guerra totale (teomachia).

La cosmogonia fenicia

La cosmogonia fenicia è nota solo attraverso frammenti della Phoinikika di Filone di Biblos. Anche i fenici ponevano all’inizio un caos primiti- vo, una massa fangosa e tenebrosa.

Questo caos, sconvolto dal vento, generò il dio Mot, racchiudente in sé i germi di tutti gli esseri, in forma di un grande uovo fangoso che scinden- dosi in due origina il cielo e la terra.

Il caos originario ha una sposa che si chiama Baau. Dall’unione di Baau e

La Bibbia dall’ABC: In principio Dio

Nelle cosmogonie antiche, in principio d’è la materia. Nel racconto biblico, in principio c’è Dio. Da “qualcosa” a Qualcuno.

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La materia genera gli dèi, molti dèi (politeismo)

Materia e divinità si confondono e si identificano: le forze della natura sono divinizzate

Gli dèi combattono fra loro (teomachia), da questa lotta nasco- no le cose

Notate adesso come la cosmogonia biblica si ponga agli antipodi di que- sta concezione:

In principio c’è Qualcuno: Dio (trascendenza rispetto alla ma- teria che sarà lui a creare) e, come vedremo, ha ca- ratteristiche per- sonali

Dio è uno solo (monoteismo) Dio crea ciò che è altro da lui: non si

confonde con le cose create Dio crea nella pace: non ha rivali e

non c’è guerra nel suo progetto creazionale

Proseguiremo approfondendo i con- cetti di monoteismo, trascendenza, creazione.

e Kolpia nascono i primi uomini. Un elemento teomachico (relativo alla guerra degli dèi) è rappresentato dalla lotta fra Baal e il mostro marino Lo- tan (probabile predecessore del Le- viatan), analoga a quella fra Marduk e Tiāmat.

La cosmogonia greca

Abbiamo visto la cosmogonia meso- potamica, ma anche le altre sono si- mili. La più vicina a noi è quella gre- ca, in cui in princi-

pio c’è il Caos (materia informe), da questo nascono le divinità tra cui Ura- no (il Cielo stellato) e Gea (la Terra).

Dall’unione di Ura- no e Gea nacquero i ciclopi e i titani, ma Urano, per paura di

essere detronizzato, li confinava nel Tartaro. La madre Gea incitò i figli a ribellarsi e uno di questi, Cronos (il Tempo), mutilò il padre e lo spodestò sposando Rhea (la Grande Madre) da cui ebbe a sua volta figli. Ma anche Cronos temeva di essere scalzato dai figli, per cui li divorava appena nati,

finché Rhea non nascose l’ultimo, Zeus, facendo mangiare allo sposo, al suo posto, una pietra. Zeus, cresciuto, sconfisse il padre, gli fece risputare tutti i figli che aveva ingoiato (Vesta, Cerere, Giunone, Plutone e Nettuno), lo detronizzò e si sostituì a lui dive- nendo il re degli dèi. Ma alcuni titani si ribellarono e ingaggiarono con gli dèi una guerra che durò dieci anni (titanomachia). Naturalmente, furono sconfitti. E così via…

Cosmogonie pagane e cosmogonia biblica: da «qualcosa» a Qualcuno Riassumendo le concezioni religiose dei popoli che formavano l’orizzonte culturale dell’antico Israele:

In principio c’è qualcosa: la materia, il caos impersonale

L’amore è il significato ulti- mo di tutto quello che ci cir- conda. Non è solo una sensa- zione, è la verità, è la gioia che è la fonte di tutta la crea- zione.

RABINDRANATH TAGORE

L’

intera differenza tra co- struzione e creazione è esat- tamente questa: che una cosa costruita può essere amata solo dopo che è stata costrui- ta; ma una cosa creata si a- ma prima ancora che esista.

GILBERT KEITH CHESTERTON L’uomo è stato dotato della ragione e del potere di crea- re, così che egli potesse ag- giungere del suo a quanto gli è stato donato. Ma finora egli non ha mai agito da creato- re, ma soltanto da distrutto- re. Rade al suolo le foreste, prosciuga i fiumi, estingue la flora e la fauna selvatica, altera il clima e abbruttisce la terra ogni giorno di più.

ANTON PAVLOVIC CECHOV

La scienza che viene dallo Spirito Santo non si limita alla conoscenza umana: è un dono speciale, che ci porta a cogliere, attraverso il creato, la grandezza e l’amore di Dio e la sua relazione profonda con ogni creatura.

PAPA FRANCESCO

Dio ha lasciato, in qualche modo, la creazione incompiu- ta, e compito dell’uomo è di p o r t a r l a a t e r m i n e . JEAN DANIELOU

Pensieri sulla creazione

Filosofi, teologi, poeti, romanzieri, commediografi, scienziati: tutti hanno avuto da riflettere sulla realtà del creato e, se persone di fede, sull’opera del Creatore

(6)

DI

A

NNAMARIA

C

APUANO

C

osì nel canto XII del Paradiso Dante definisce poeticamente San Domenico:

«… L’amoroso drudo

de la fede cristiana, il santo atle- ta

benigno a’ suoi e a’ nemici cru- do» (Par. XII,55-57)…

È a proposito della fede di San Domenico, chiamato amoroso drudo, che noi leggiamo alcuni fra i versi più belli del canto XII del Paradiso o addirittura di tutta la Divina Commedia.

Dante, dopo aver sottolineato con la parola amoroso l’ardore di carità che legava il

Santo alla fede cri- stiana, rimarca anco- ra il concetto con l’appellativo germa- nico drudo che indica la fedeltà di uno spo- so verso la sua ama- ta: la Fede. Infatti nei versi che seguono, dopo aver parlato di amore e fedeltà, il poeta arriva a coro- nare il quadro con le nozze:

Poi che le sponsalizie fuor compiute

al sacro fonte intra lui e la fede,

u’ si dotar di mutua salute…

È suggestivo il qua- dro del matrimonio che completa le im- magini suddette, uno sposalizio che però non è altro che l’inizio di una missio- ne, dell’impegno di tutta una vita preso sul nascere della stessa e precisamente nel giorno del battesi- mo. In tale momento Domenico e la sua

amata, la Fede, si dotar di mu- tua salute. Quest’immagine ri- chiama alla mente l’altro cam- pione con la sua mistica sposa:

Francesco e Povertà di cui Dan- te ha parlato nel canto XI.

L’Alighieri, tenendo presenti i principali mali della Chiesa del suo tempo, volle esaltare nel Santo d’Assisi l’eroismo della rinuncia contro il fasto,

l’avarizia, la simonia del clero;

in Domenico evidenziò l’unità della fede, sempre da lui ricer- cata, in contrapposizione alle sètte dissidenti con le quali si trovò a contrastare durante tut- ta la sua missione apostolica.

Il luogo di nascita di San Domenico

Certamente fondamentali sono i versi nei quali San Bonaventura descrive il luogo dove nacque Domenico: la fortunata Calaro- ga. Giordano di Sassonia nel Libellus dice: «Huius in tempori- bus fuit quidam adolescens no- mine Dominicus, eadem oriun- dus diocesi, villa que [sic] dicitur Chalaroga» (IORDANI, op. cit., § 5, MOPH, XVI, p. 27).

Il biografo parla in modo da far capire che si tratta di un nome volgare di cui non esiste trascrizione latina. Dunque, nel secolo XIII non si co- nosceva un toponimo antico di questa loca- lità.

La derivazione del nome viene probabil- mente da calera, cioè fornace per la calce, con riferimento all’at- tività umana del luo- go. Accanto al centro abitato sorge la colli- na di San Jorge, coro- nata da una massa di calcare idonea all’estrazione di cal- ce.

H. Vicaire afferma che il nome del paese compare per la prima volta nel 1062 (H. VI- CAIRE, Storia di San Domenico, Roma 1983, pp. 38-39). An- teriormente a tale data, forse non esiste- va alcun centro abita- to in quella zona o, se altre popolazioni vi si stabilirono, probabil- mente l’occupazione musulmana ne can- cellò ogni traccia.

San Domenico in Dante

In San Francesco Dante celebra le nozze con Madonna Povertà, in San Domenico lo sposalizio con la fede

Beato Angelico, San Domenico

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Dopo aver parlato del luogo in cui nacque, Dante continua no- minando il Santo stesso protago- nista di tutto il canto; lo cita con perifrasi che rispecchiano esatti dati storici, ma in una narrazio- ne piuttosto generica, in cui mancano episodi personali.

L’atleta di Dio

Bisogna comunque stare attenti nel dare il giusto significato a tali parole per non incorrere in qualche errore e in una descri- zione di San Domenico diversa da quella che ci hanno lasciato i suoi contemporanei.

Parlare del fondatore dei Predi- catori come del santo atleta fa capire quanto, nel XIII secolo, facessero colpo sui primi biografi i lineamenti esteriori ed appari- scenti della sua opera. Questi colpivano in modo particolare in un’epoca in cui la vita religio- sa era spesso concepita all’interno di un monastero e la santità era messa in rapporto con la vita contemplativa. San Domenico, invece, si impegnava di giorno in giorno nella lotta contro gli eretici e nello sforzo di riportare anche i cristiani sulla giusta via della fede. Egli tra- scorse gran parte della sua vita in viaggi e missioni antiereticali e fondò un Ordine dedito alla predicazione e alla salvezza del- le anime. Tutto questo non pote- va passare inosservato agli uo- mini del suo tempo, colpiti più dalle opere che dallo spirito che le animava. Per ricordare, a pro- posito di tale frenetica attività, le parole di Giordano diremo che: «diem impartiebatur proxi- mis, nocte Deo» (IORDANI, op.

cit., § 105, in MOPH, XVI, p. 75:

«concedeva il giorno al prossimo, ma la notte la dava a Dio»).

Benigno a’ suoi

Dunque, sicuramente un santo atleta che viene, però, ritratto da Dante in maniera austera, esi- gente e cruda nei confronti degli eretici: «Benigno a’ suoi e a’ ne- mici crudo».

Al riguardo bisogna riflettere con attenzione partendo sempre

dalle parole che ci hanno lasciato coloro che lo hanno conosciuto personalmente. Da tali testimo- nianze risulta che egli era molto severo nel far rispettare la Rego- la, ma quando era necessario pu- niva e correggeva con dolcezza.

Sicuramente era più esigente con se stesso, mentre per gli altri fra- ti del suo Ordine ammetteva spesso la dispensa a seconda del- le circostanze. Sia Giordano che gli Atti di Canonizzazione e i rac- conti di Suor Cecilia ce lo descri- vono sempre ilare, paziente, mi- sericordioso, pronto a gioire con chi gioisce e a dolersi con chi sof- fre. La Beata Cecilia, suora dell’Ordine domenicano, conobbe personalmente San Domenico e, probabilmente in età avanzata, dettò ad una consorella (Suor An- gelica) i racconti raccolti sotto il titolo: «I miracoli del Beato Dome- nico» tradotti in P. LIPPINI, op.

cit., pp.177-224. Non prenderemo in considerazione l’opera di Suor Cecilia per i dati storici poiché in essa si riscontrano errori di cifre e descrizioni leggendarie. Rimane comunque un testo che esprime la stima della prima generazione domenicana verso il fondatore.

Molto importante a tale proposi- to è la deposizione di fra’ Giovan- ni di Spagna il quale disse che fra’ Domenico si mostrava ama- bile con tutti, ricchi, poveri, ebrei o pagani, ed era amato da tutti ad eccezione degli eretici che

«egli perseguiva e confutava nella predicazione e nelle dispu- te»; comunque «li trattava carita- tevolmente e li esortava e li indu- ceva a far penitenza e a conver- tirsi alla fede». Lo stesso testimo- ne raccontò pure che fra’ Dome- nico spesso dispensava gli altri, ma personalmente osservava rigidamente la Regola (Atti di Bologna, §§ 27 – 28, in MOPH,XVI, pp. 145-146).

E a’ nemici crudo

Dopo aver letto le testimonianze dei contemporanei del Santo, come possiamo interpretare l’aggettivo «crudo» del verso 57 del Canto XII?

Probabilmente Dante lo intende- va come severità e intransigenza

sulle leggi fondamentali del Cri- stianesimo che egli, innanzi tut- to, osservava personalmente e quindi esigeva che anche gli al- tri rispettassero, dopo aver fatto da guida con la dottrina e l’esempio.

Dalle descrizioni dei contempo- ranei risulta inoltre che i mezzi di Domenico contro l’eresia furo- no solo la predicazione, la dispu- ta e la sua condotta esemplare.

Al riguardo Guglielmo, abate del monastero di Narbonne, dichia- rò che «beatus Dominicus arden- tissime sitiebat animarum salu- tem et erat zelator maximus animarum. Item fervens in pre- dicatione in tantum, ut de die ac de nocte in ecclesiis, in domi- bus, in agris, in viis et ubicum- que, volebat et hortabatur fra- tres, ut verbum Domini predica- rent, et quod non loquerentur nisi de Deo. Item dixit, quod fuit persequutor hereticorum, et eis predicando, disputando, et in omnibus, quibus poterat, se op- ponebat» (Atti di Tolosa, § 18 in MOPH, XVI, pp. 182-183: «il beato Domenico aveva una sete ardente della salvezza delle ani- me, delle quali era un apostolo incomparabile. Si dedicava con tale fervore alla predicazione, che esortava e obbligava i frati a predicare la parola di Dio di giorno e di notte… Non dava tregua agli eretici, cui si oppone- va con tutti i mezzi, predicando e disputando»).

Le armi di San Domenico Un fatto degno di nota è che sia gli Atti di Canonizzazione che Giordano di Sassonia, nel rac- contare la vita di Domenico an- che durante gli anni della cro- ciata albigese, non facciano al- cun cenno ad un’eventuale par- tecipazione del Santo a quegli eventi; anzi, come abbiamo det- to, gli attribuiscono, in modo molto chiaro, le armi della predi- cazione e della disputa.

La Crociata contro gli albigesi, sollecitata da Innocenzo III fin dal 1208, in seguito all’uccisione del legato Pietro di Castelnau, ebbe effettivo inizio il 25 giugno 1209.

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che autorizzi ad includere San Domenico tra coloro che in una di queste forme collaborarono alla crociata» (H. VICAIRE, Sto- ria di San Domenico, pp. 277- 278).

Al contrario, proprio Giordano di Sassonia, dopo aver precisato che fu proprio Innocenzo III ad organizzare la crociata (IORDANI, § 32 in MOPH, XVI, p.41: «Si quidem indignatus pa-

pa Innocentius, quod indomabi- lis hereticorum rebellio nulla veritatis posset pietate molliri, nec transverberari gladio spiri- tus, quod est verbum Dei, mate- rialis saltem gladii decrevit ag- grediendos potentia»), afferma che: «eo tempore, quo ibi cruce segnati fuerunt, mansit frater Dominicus usque ad obitum co- mitis Montisfortis verbi divini sedulus predicator» (Ibidem, § 34, pp. 41-42: «per tutto il tempo in cui i crociati rimasero nel pae- se e fino alla morte del conte di Montfort, vi rimase anche fra’

Domenico quale solerte predica- tore della parola di Dio»).

Per concludere con le parole del Vicaire diremo che la mansione di Domenico in terra albigese fu:

«predicare su incarico della Chiesa, secondo la forma aposto- lica, nell’umiltà e non costituito in autorità» (H. VICAIRE, Storia di San Domenico, p. 278).

In un primo momento Raimondo VI di Tolosa, uno dei principali responsabili della morte del le- gato e del dilagare dell’eresia nel sud della Francia, si mise a capo della crociata dopo essere stato riammesso nella Chiesa con una pubblica ritrattazione. Il coman- do, però, fu presto affidato al feudatario Simone di Montfort, cattolico convinto ed esperto mi- litare. In poco tempo i crociati ottennero numerose vittorie fino alla battaglia di Muret, del 12 Settembre 1213, che segnò il crollo di ogni resistenza nel me- ridione.

Come giustamente rileva H. Vi- caire, un prelato avrebbe potuto partecipare in più modi alla cro- ciata: nel progettarla, nel diri- gerla, nel predicare a favore dell’arruolamento di volontari, nel seguire le truppe per l’assistenza religiosa. Nelle te- stimonianze del tempo, però,

«non esiste un solo documento

San Domenico in Dante

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Domenico predica agli eretici. Andrea di Bonaiuto, Firenze, Santa Maria Novella, Cappellone degli Spa- gnoli, 1365. I cani bianchi e neri simboleggiano i domenicani, «Domini—canes», i cani del Signore. In un dettaglio è ritratto Dante (al centro) con Petrarca (in alto a sinistra) e Boccaccio (in basso a sinistra).

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