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2.1 L'anatomia del sistema motorio volontario 2 Introduzione

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2 Introduzione

2.1 L'anatomia del sistema motorio volontario

L’esecuzione di semplici movimenti nell’uomo è dovuta ad attività neuronali complesse. Il sistema motorio è costituito da diverse strutture anatomiche, organizzate su più livelli di complessità funzionale: è costituito dalle aree motorie corticali, dai sistemi discendenti, dai nuclei della base, dal cervelletto, dal midollo spinale.

La corteccia motoria è a sua volta costituita da diverse aree della corteccia frontale e parietale posteriore. Si individuano quindi una corteccia motoria primaria (detta “area motoria

primaria”) e una corteccia motoria secondaria (“area premotoria” e “area motoria

secondaria”). La corteccia motoria primaria è deputata all’attivazione diretta del movimento volontario, mentre la corteccia motoria secondaria, o associativa, permette invece

l’elaborazione di stimoli più complessi, che poi trasmette alla corteccia primaria, ed è costituita dal lobo parietale (“area sensitivo motoria”, detta “via del dove” perché deputata all’identificazione della posizione degli oggetti nell’ambiente, la quale, ricevendo impulsi dal sistema visivo magnicellulare, proietta a sua volta alle aree premotorie del lobo frontale), dalla corteccia prefrontale (dove i movimenti vengono pianificati) e dalla corteccia del cingolo (deputata ai processi di esecuzione della working memory). La corteccia motoria nel complesso quindi permette un’organizzazione cognitivo-motoria del movimento volontario, permettendone la pianificazione e l’ esecuzione in risposta ai diversi contesti in cui un’azione volontaria può essere eseguita.

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Fig.1: la corteccia motoria.

Le vie discendenti comprendono un gruppo numeroso ed eterogeneo di vie nervose, che originano sia dalla corteccia sia dal tronco encefalico e rappresentano l’espressione dei due principi organizzativi fondamentali del sistema motorio: l’organizzazione gerarchica e l’ organizzazione in parallelo. Le vie discendenti dal tronco encefalico comprendono fibre che originano da diversi nuclei del tronco encefalico stesso e che proiettano alla sostanza grigia del midollo spinale, svolgendo funzioni di integrazione tra informazioni visive e vestibolari con informazioni ascendenti di natura somatosensoriale, che rappresentano la base delle attività riflesse, importanti soprattutto per la coordinazione delle funzioni motorie relative al mantenimento e al controllo della postura. Sulla base della posizione dei neuroni di origine e delle zone di terminazione nella sostanza grigia midollare queste vie discendenti vengono distinte in vie mediali, e vie laterali. Il sistema delle vie laterali comprende il fascio corticospinale e il fascio rubrospinale.

La corteccia motoria proietta gli impulsi attraverso due vie principali: una diretta, che va dalle aree motorie ai motoneuroni e agli interneuroni del midollo spinale ( la via piramidale, o fascio corticospinale) ed è essenziale per lo svolgimento di attività motorie qualitativamente

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più raffinate; un’altra indiretta, costituita da fibre che raggiungono nuclei del tronco

encefalico, tramite le quali la corteccia svolge un controllo fondamentale sulla muscolatura assiale e prossimale, e quindi sulle attività riflesse ( fascio corticopontino e corticobulbare). Le fibre del fascio corticospinale sono costituite per il 30 % dagli assoni dei neuroni

localizzati nel V strato della corteccia dell’area motoria primaria, che corrisponde alla circonvoluzione precentrale e alla parte anteriore del lobulo paracentrale. Un altro 30 % del fascio è costituito dagli assoni di neuroni dell’area premotoria e motoria supplementare, corrispondenti all’area 6 di Broca, situata sulla faccia mediale dell’emisfero cerebrale, al davanti dell’area 4. Infine il restante 40 % del fascio è costituito dagli assoni dei neuroni situati nel lobo parietale, in particolare dalle aree 3,2,1,5,7 e dall’ area motoria della

circonvoluzione del cingolo. Gli assoni dei neuroni decorrono dal lobo frontale attraverso la corona radiata, dove vanno a costituire il braccio posteriore della capsula interna, fino al mesencefalo: qui costituisce la parte intermedia del piede del peduncolo cerebrale. Il fascio prosegue lungo la zona antero-basale del ponte andando a costituire le piramidi bulbari: qui l’85 % del fascio passa al lato opposto (“decussatio piramidis”) e da qui continua il suo decorso nella parte dorsale del cordone laterale del midollo spinale, terminando nella sostanza grigia spinale, a livello sia delle corna dorsali ( lamine IV e V di Redex), sia della sostanza intermedia e delle zone motoneuronale( lamina IX). In particolare le terminazioni dirette alla lamina IX interessano nuclei motori di muscoli distali che originano dall’area 4, conferendo alla corteccia motoria la capacità di controllare in modo diretto e selettivo queste popolazioni di motoneuroni. Il restante 15 % delle fibre invece rimane a decorrere nel cordone anteriore, per sinaptare nella sostanza grigia con i motoneuroni della parte mediale del corno ventrale e con gli interneuroni della parte mediale della zona intermedia del tratto midollare cervicale e toracico superiore, governando quindi la motilità della parte prossimale del corpo.

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Fig.2: il sistema piramidale.

Il fascio rubro spinale origina a livello del nucleo rosso del mesencefalo, si incrocia nel tegmento portandosi a decorrere nel cordone laterale, raggiunge poi il midollo arrestandosi a livello della seconda vertebra cervicale.

Il sistema delle vie mediali comprende i fasci vestibolo spinali, mediale e laterale, i fasci reticolospinali, pontino e bulbare e il fascio tettospinale. Il controllo esercitato sui motoneuroni è bilaterale: gli assoni di ogni via possono decorre omolateralmente o

controlateralmente, ma sinaptano con interneuroni i cui assoni decussano nella commissura anteriore del midollo spinale.

Il fascio vestibolospinale laterale origina dal nucleo vestibolare laterale, decorre nel cordone anteriore ipsilaterale e termina sui gruppi motoneuronali mediali e sulla parte mediale della zona intermedia a tutti i livelli segmentari del midollo. Il nucleo vestibolare laterale raccoglie

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informazioni che provengono dagli organi otolitici e quindi il fascio contribuisce all’

emissione di risposte motorie soprattutto posturali che dipendono dalla posizione statica e da eventi di accelerazione lineare del capo.

Il fascio vestibolare mediale origina dal nucleo vestibolare mediale, decorre nel cordone anteriore ma si arresta a livello cervicale e toracico alto. Il nucleo vestibolare mediale raccoglie afferenze dai canali semicircolari.

Il fascio reticolospinale pontino origina dalla formazione reticolare medio pontina, decorre nel cordone anteriore ipsilaterale, terminando nelle zone mediali della sostanza grigia midollare a tutti i livelli, contribuendo al mantenimento e al controllo della postura, con un’azione

facilitatoria sui muscoli estensori e inibitoria sui flessori.

Il fascio reticolospinale bulbare origina dalla formazione reticolare bulbare e discende

bilateralmente nel cordone laterale, terminando zone mediali della sostanza grigia midollare a tutti i livelli, ma influenza anche l’attività di quelle laterali, con un’azione opposta rispetto a quella esercitata dal fascio resticolo spinale pontina.

Il fascio tettospinale origina dagli strati profondi del collicolo superiore, decorre nel cordone anteriore controlaterale fermandosi a livello cervicale. Permette l’emissione di risposte riflesse del capo e del collo in risposta a stimoli visivi.

Il midollo spinale rappresenta un’importante struttura sensitiva ma è svolge un ruolo fondamentale per il sistema motorio. In ciascuna metà del midollo si distinguono tre

componenti anatomiche principali: il corno dorsale, la zona motoneuronale situata nella parte più esterna del corno ventrale, la zona intermedia in continuità con quella della metà opposta, situata ventralmente nel corno ventrale. La sostanza grigia midollare è stata suddivisa da Rexed in dieci lamine orizzontali: il corno dorsale comprende le lamine I-IV e rappresenta il punto d’ingresso delle informazioni somatosensoriali; la zona motoneuronale è costituita dalla

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lamina IX, all’interno della quale sono situati i motoneuroni responsabili del controllo motorio dei muscoli scheletrici eccetto quelli di pertinenza dei nervi cranici; infine la zona intermedia comprende le lamine V, VI, VII, VIII, funzionando da interfaccia tra versante sensitivo e motorio. I neuroni situati nella zona intermedia, di natura eccitatoria o inibitoria costituiscono il substrato anatomico della maggior parte delle attività riflesse spinali (1).

2.2 La Sclerosi Laterale Amiotrofica: patogenesi e clinica.

La sclerosi laterale amiotrofica (SLA), descritta per la prima volta da Jean-Martin Charcot nel 1869, è la più grave delle Malattie del Motoneurone. E’ un disordine neurodegenerativo caratterizzato da un significativo impoverimento dei motoneuroni corticali (I motoneurone) e midollari (II motoneurone), determinando una progressiva paralisi muscolare che porta a morte il paziente in 1-5 anni. E’ caratterizzata da una degenerazione selettiva, che risparmia i sistemi sensitivi e i sistemi della coordinazione motoria, ma anche i motoneuroni che

controllano la motilità oculare e quella degli sfinteri striati ureterali e anorettali, localizzati nel midollo sacrale a livello di S2-S4.

La malattia colpisce ogni anno 1.2–4.0 su 100,000 individui di razza caucasica, con

un’incidenza 50 volte più elevata nell’isola di Guam, nella Penisola di Kii in Giappone , e in Nuova Guinea. Il numero di pazienti affetti aumenta con l’età, raggiungendo un picco tra i 70 e gli 80 anni con un netto abbassamento della soglia d’età nelle forme familiari. I maschi risultano più colpiti delle femmine (2). La sopravvivenza media dei pazienti è di 2-4 anni dall’esordio; solo un 10% sopravvive circa 10 anni. Secondo recenti studi epidemiologici, negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento sia dell’incidenza che della prevalenza a livello mondiale; poiché l’esordio della malattia risulta correlato con l’età del paziente,

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importante sembra essere rivestito dalla genetica, soprattutto per quanto riguarda popolazioni omogenee come quelle della Sardegna in Italia e della Finlandia, caratterizzate da un’alta frequenza di specifiche mutazioni associate all’insorgenza della malattia (3).

Dal punto di vista eziopatogenetico si distinguono due forme di SLA:

- Sporadica o Malattia di Charcot: la più frequente, rappresenta il 90-95 % dei casi. - Familiare: rappresenta il restante 10 %.

Dal punto di vista clinico la malattia è caratterizzata da un decorso progressivo, con perdita della forza muscolare del tronco e degli arti fino alla paralisi, accompagnata dalla riduzione della funzionalità respiratoria e deglutitoria, con conseguente notevole compromissione della qualità della vita. I sintomi clinici variano a seconda dell’interessamento prevalente del I o del II motoneurone e in base al distretto corporeo colpito.

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Se l’interessamento riguarda prevalentemente il I motoneurone, il quadro clinico sarà caratterizzato da ipertono spastico, iperreflessia osteotendinea, positività del segno di Babinski, clono e labilità emotiva con riso e pianto spastico. Il danno del II motoneurone si manifesta invece con deficit di forza, amiotrofia, crampi, fascicolazioni, riflessi osteotendinei ridotti o assenti e riduzione della capacità ventilatoria. Sintomi bulbari come disartria e disfagia sono più difficilmente riconducibili all’interessamento del solo I o II neurone di moto.

Fig.4:caratteristiche cliniche della SLA.

A seconda del distretto corporeo interessato all’esordio vengono classicamente riconosciute tre forme cliniche di SLA :

- Forma Comune: è la più frequente, si manifesta nel 40 % dei casi sporadici di SLA. E’ caratterizzata da un esordio insidioso e progressivo, che colpisce le estremità distali superiori, causando riduzione di forza e atrofia (mano “a scimmia”), con una distribuzione asimmetrica all’esordio. Si manifesta infatti tipicamente con comparsa di ipostenia dei muscoli estensori della mano, che successivamente evolve in atrofia degli stessi, per poi coinvolgere anche i

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muscoli dell’avambraccio, della spalla, della loggia antero-esterna dell’arto inferiore, diventando comunque molto rapidamente bilaterale.

- Forma Bulbare: si manifesta nel 25 % dei casi, caratterizzata all’esordio da difficoltà nella

pronuncia di alcuni fonemi associata a ipotrofia e fascicolazioni della lingua.

Successivamente compaiono paralisi del velo pendulo, rinolalia, impossibilità a protrudere la lingua, fino ad un quadro franco di disartria o anartria. Il deficit motorio riguarda anche la deglutizione e, in fase più avanzata, i muscoli respiratori. La sintomatologia motoria si

accompagna frequentemente a sintomi emotivi, con quadri di riso e pianto spastici, andando a delineare la Sindrome Pseudobulbare.

- Forma Pseudopolinevritica: si manifesta nel 30 % dei casi. E’ caratterizzata dal

coinvolgimento distale e bilaterale degli arti, generalmente localizzato all’esordio in ridotti o aboliti in un primo momento, mentre i segni piramidali compaiono tardivamente,

compatibilmente con un interessamento prevalente del II motoneurone.

Accanto a questi tre principali fenotipi di malattia sono stati individuati tre ulteriori quadri clinici, caratterizzati da un prevalente interessamento del I o del II motoneurone,

caratteristiche cliniche peculiari e prognosi relativamente migliore, con una storia di malattia più lunga. In particolare si possono distinguere:

- Flail-Arm Syndrome (FAS) e Flail Leg Syndrome (FLS): sono forme cliniche caratterizzate

da una netta prevalenza dell’interessamento del II neurone di moto e con un quadro clinico costituito prevalentemente da atrofia e deficit di forza simmetrico e prossimale, agli arti superiori nel primo caso (detta anche diplegia brachiale ingravescente o “sindrome

dell’uomo nel barile”), e agli arti inferiori nel secondo caso. Il coinvolgimento dei muscoli bulbari, dei muscoli respiratori e del I motoneurone compare più tardivamente (4).

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- Sclerosi Laterale Primaria: si caratterizza per un decorso clinico assai più lungo, da un esclusivo coinvolgimento del I motoneurone, dalla perdita dei neuroni piramidali precentrali e da un risparmio delle cellule delle corna anteriori.

Fig.5: Forme cliniche di SLA.

La patogenesi delle forme sporadiche di SLA è ad oggi ancora sconosciuta. Numerosi studi effettuati nel corso degli anni hanno messo in luce la presenza di una complessa interazione tra fattori ambientali e suscettibilità genetica (5), andando a delineare l’evidenza di un quadro di tipo multifattoriale. Si possono individuare tre ipotesi patogenetiche principali:

- Ipotesi glutammatergica: l’alterazione dei meccanismi del turnover del glutammato a livello sinaptico determinerebbe un aumento del Ca++ intracellulare, inducendo l’apertura dei canali Na+ / Ca2+ dipendenti dai recettori NMDA e attivando quindi enzimi come endonucleasi, fosfolipasi, ossido nitrico sintetasi con conseguente necrosi cellulare (6).

- Ipotesi autoimmune: questa ipotesi è sostenuta dal riscontro di segni di attivazione

immunitaria nei fluidi biologici, compresi liquor cefalorachidiano e sangue, e che permettono quindi di utilizzare markers immunologici associati alla malattia (7).Tra questi possiamo

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includere la presenza di depositi di linfociti T attivati e immunoglobuline nel tessuto nervoso di pazienti affetti, e la positività di dosaggi di alcune classi anticorpali specifiche come gli Ab anti- gangliosidi, o gli Ab anti-nervo periferico.

- Ipotesi del deficit dei fattori neurotrofici: alcuni fattori, come per esempio il fattore di crescita insulino simile 1 (Igf1) sembrerebbe coinvolto nell’anabolismo muscolare e nella sopravvivenza del tessuto nervoso (7) e un suo deficit potrebbe essere alla base dello sviluppo della malattia.

- Ipotesi dello stress ossidativo: mutazioni del gene SOD1, codificante per la proteina superossido dismutasi, sono state individuate come causative sia di forme di SLA familiari che sporadiche. La suscettibilità genetica nella SLA è stata individuata per la prima volta nel 1955 da Kurland e Mulder, che per primi dimostrarono l’esistenza di forme familiari della malattia. Le nostre conoscenze in questo ambito si sono però ampliate soprattutto negli ultimi anni, grazie principalmente allo sviluppo di nuove e sempre più precise tecniche di analisi genomica.

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2.3 La genetica della SLA

In un 5-10% dei casi di SLA può essere riconosciuta un’origine genetica. Dal 1993, anno in cui Rosen identificò per la prima volta una patogenesi genetica della malattia, studiando il gene SOD1.

Una causa genetica della SLA è stata per lungo tempo sospettata, da quando nel 1955 Kurland e Mulder (8) hanno descritto, per la prima volta, una familiarità in circa il 10% dei casi di malattia; tuttavia è solo negli ultimi anni che lo scenario della patogenesi della malattia si è arricchito enormemente di scoperte in ambito genetico. Si deve a Rosen l’identificazione nel 1993 del primo gene coinvolto nella patogenesi delle forme familiari di SLA, il gene SOD1. Da allora le conoscenze in questo ambito sono progredite anche grazie alle moderne tecniche di indagine, come la “Next generetion sequencing” e gli studi di “Genome Wide Association”. Inoltre, la scoperta che particolari geni, come FUS e TDP43, sono coinvolti nella patogenesi anche di altre patologie neurodegenerative, come la demenza fronto-temporale, ha in parte cambiato la prospettiva con cui queste malattie venivano classificate e studiate suggerendo nuovi concetti di patogenesi molecolare e fenotipica.

Di seguito i principali geni coinvolti nella patogenesi della SLA e i fenotipi clinici ad essi correlati.

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Tabella 1.

SLA1- gene SOD1

Il ruolo di mutazioni di SOD1 nella patogenesi della SLA è stato per la prima volta ipotizzato e studiato da Alan Rosen nel 1993 (9).Il gene, situato sul cromosoma 21q22 codifica per l’enzima superossido dismutasi 1, un enzima ubiquitario, presente nel citoplasma di tutte le cellule eucariote, in grado di dismutare il radicale superossido in anione superossido ( O2) e perossido di idrogeno (H2O2), un radicale meno ossidante, tramite un legame con lo ione Cu2+.

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Fig.6: meccanismo d’azione della superossido dismutasi.

E ‘ una proteina omodimerica stabile, formata da 153 amminoacidi: ciascun monomero contiene un ponte disolfuro e una tasca metallica binucleare Cu/Zn (10).

L’azione della superossido-dismutasi permette lo smaltimento dei radicali liberi prodotti durante il processo della respirazione mitocondriale in modo che la concentrazione di queste sostanze sia mantenuta entro una certa soglia, superata la quale si innesca tossicità per la cellula (5). In condizioni normali i livelli e le attività dei ROS sono infatti regolati sia da meccanismi di difesa enzimatici, come la superossido-dismutasi, la glutatione-perossidasi e la catalasi, sia da dispositivi non enzimatici, come l’acido ascorbico, la vitamina E e il

glutatione. L’eccesso di radicali liberi può generare una serie di reazioni a catena letali per la sopravvivenza della cellula, in quanto essi interagiscono con proteine e lipidi di membrana e con il DNA, fino a determinare morte cellulare (11).Il meccanismo con cui la SOD1 mutata sarebbe in grado di assumere una patogenicità rivolta selettivamente nei confronti dei motoneuroni, rimane ad oggi sconosciuta. L’ipotesi principale si orienta sull’acquisizione di una forte instabilità strutturale che indurrebbe l’interazione della proteina con substrati anomali e quindi l’ alterazione dello stato ossidativo della cellula, con produzione di radicali liberi in eccesso, e/o la destabilizzazione del folding proteico (10).Molte proteine infatti svolgono le loro funzioni biologiche assumendo una specifica struttura tridimensionali tramite

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meccanismi di ripiegamento; qualsiasi interferenza con questo processo può inficiare l’attività proteica, meccanismo alla base di numerose patologie (12). Tra queste, le malattie neurodegenerative sono state associate alla presenza di anormali depositi di proteine mal ripiegate a livello centrale e/o periferico (13).Nel caso della SLA è stato infatti dimostrato che le proteine SOD1 mutate tendono ad accumularsi in forma di corpi inclusi insolubili all’interno dei motoneuroni spinali e corticali, e risultano identificabili dal momento dell’esordio clinico fino agli stadi terminali (14).

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Sono state identificate ad oggi oltre 170 mutazioni di SOD1, localizzate su tutti e 5 gli esoni, soprattutto mutazioni missenso, mentre mutazioni non-senso, inserzioni e delezioni sono rare. Le mutazioni di SOD1 sono presenti nel 12-23% dei casi familiari ma si ritrovano anche nel 2-7% dei casi sporadici (15). La maggior parte delle mutazioni di SOD1 si trasmette in modalità autosomica dominante; esistono però mutazioni come la D90A che possono essere trasmesse sia in modalità dominante che recessiva (16). Clinicamente le forme di SLA familiare associate a mutazioni di SOD1 non sono distinguibili dalle forme sporadiche, così come le mutazioni stesse non sono associate a fenotipi specifici: si può infatti individuare una notevole variabilità inter ed intrafamiliare per quanto riguarda l’età d’esordio del quadro clinico, il distretto motorio per primo colpito, e la durata del decorso della malattia . L’esordio della malattia nei pazienti con mutazioni di SOD1 coinvolge prevalentemente gli arti ( circa il 94% dei casi), soprattutto gli arti inferiori, mentre il coinvolgimento bulbare è meno frequente (7%). (17). Esistono però alcune mutazioni per cui è possibile individuare una correlazione genotipo-fenotipo: tra queste possiamo ricordare LI06V, G37R, L38V, associate ad esordio precoce (18); D90A, G37R, G41D, G93C, associate a una maggior sopravvivenza; A4V, A4T, C6F, C6G, caratterizzate invece da un decorso più aggressivo(19). La più frequente delle mutazioni di SOD1 in Nord America è la mutazione A4V, più rara in Europa, caratterizzata da un fenotipo comune e da un decorso rapido e aggressivo, che porta alla morte del paziente in 1,4 anni contro i 3-5 anni di sopravvivenza generalmente associati alle forme di SLA con mutazioni di SOD1 (18).

SLA2- gene ALS2

La SLA2 è una forma rara di malattia, a trasmissione autosomica recessiva, associata ad esordio giovanile. Clinicamente è caratterizzata da spasticità, atrofia e astenia dei muscoli distali, con evoluzione verso un quadro di paralisi progressiva, che si sviluppa in senso

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caudo-craniale, dagli arti inferiori fino ai segmenti cervicali e bulbari (19). Il gene ALS2, che codifica per la proteina alsina, è composto da 34 esoni. Attraverso un meccanismo di splicing alternativo permette due trascritti differenti, uno di 1657 residui, l’altro di 396, codificando quindi per due diverse forme di alsina, rispettivamente la forma lunga e quella breve. Sono state individuate 13 diverse mutazioni che coinvolgono entrambe le forme, soprattutto delezioni frameshift o mutazioni nonsenso. La forma di SLA ad esordio giovanile è associata a mutazioni che coinvolgono entrambe le forme, mentre una variante di malattia con fenotipo meno aggressivo, caratterizzata da coinvolgimento isolato del tratto corticospinale e a segni prevalenti di primo motoneurone, è associato a mutazioni che coinvolgono esclusivamente la forma lunga della proteina (20).

SLA4- SETX

La SLA4 è una forma rara di malattia, a trasmissione autosomica dominante. Il fenotipo associato alla mutazione è caratterizzata da esordio giovanile, atrofia e debolezza degli arti inferiori, segni prevalenti di primo motoneurone, assenza di coinvolgimento bulbare, risparmio della funzionalità respiratoria, con tendenza alla progressione e normale aspettativa di vita (21). La SLA4 è dovuta a mutazioni del gene SETX che codifica per la senatassina, una DNA/RNA elicasi ubiquitaria, coinvolta in meccanismi di riparazione, replicazione, ricombinazione del DNA, ma anche di iniziazione nella trascrizione dell’RNA (22). Ad oggi sono state identificate solo quattro mutazioni missenso associate alla SLA (23).

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Il gene FUS codifica per una proteina che lega l’RNA ubiquitaria, a localizzazione nucleare ed implicata in numerose attività cellulari, tra cui proliferazione cellulare, riparazione del DNA, regolazione della trascrizione (24). Nel sistema nervoso centrale è coinvolta nell’attivazione dei recettori del glutammato che regolano il trasporto

dell’mRNA attraverso i dendriti e nei meccanismi di modulazione della plasticità sinaptica (25). Una ridistribuzione nucleo-citoplasmatica della proteina determinerebbe la

formazione di inclusioni citoplasmatiche, con conseguente tossicità cellulare dei

motoneuroni e perdita delle fisiologiche attività proteiche (26). Molte delle mutazioni di

FUS hanno una trasmissione a penetranza incompleta, con un età d’insorgenza differente

all’interno dello stesso nucleo familiare e distretti motori variabilmente coinvolti all’esordio (27). Questa variabilità fenotipica potrebbe spiegare l’assenza di storia familiare dei casi di SLA associati a mutazioni del gene FUS e ad oggi considerati sporadici (28).

SLA8 – gene VAPB

Il gene VAPB codifica per le VAMP, proteine B di membrana delle vescicole sinaptiche contenenti glicina, necessarie per il legame con le proteine presenti sulla porzione attiva del bottone sinaptico. VAPB è composto da sei esoni, che attraverso splicing alternativo codificano per due proteine costituite rispettivamente da 243 (VAPB) e 99 residui ( VAPC) (29). Sono proteine ubiquitarie coinvolte nel trasporto intracellulare delle vescicole lungo i microtubule (30). Ad oggi sono state individuate due sole mutazioni del gene; entrambe inducono aggregazione delle VAPB mutate e formazione di corpi inclusi insolubili citoplasmatici, che accumulandosi, indurrebbero degenerazione dei motoneuroni (31).

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SLA9 – gene ANG

La SLA9 è una forma comune di SLA, a trasmissione autosomica dominante, ad esordio in età adulta, associata ad un quadro clinico tipico, dovuta a mutazione del gene ANG, sul cromosoma 14q11.2. Sono state identificate sette mutazioni missenso in 15 pazienti ( 4 forme familiari e 11 sporadiche ) (32). Il gene ANG codifica per l’angiogenina,

appartenente alla superfamiglia delle ribonucleasi pancreatiche, coinvolte in meccanismi di angiogenesi e proliferazione cellulare, stimolando la trascrizione del tRNA (33). La

trascrizione del tRNA mediata dall’angiogenina è fondamentale per il corretto processo di angiogenesi mediato dal VEGF (34) e questo spiegherebbe il coinvolgimento

dell’angiogenina stessa nella patogenesi della SLA (35).

SLA10- gene TARDBP

TDP43 è una DNA/RNA binding protein appartenente alla famiglia delle

ribonucleoproteine, a localizzazione prevalentemente nucleare, coinvolta in numerosi processi cellulari tra cui trascrizione, splicing dell’RNA (36), trasporto dell’mRNA, apoptosi, divisione cellulare, regolazione della plasticità neuronale (37)e mantenimento dell’integrità dendritica (38), ed è codificata a partire dal gene TARDBP sul cromosoma 1p36.2. Le mutazioni a carico di TDP 43 agirebbero attraverso due principali meccanismi: la formazione di aggregati di proteine anomale determinerebbe da una parte la perdita delle fisiologiche funzioni della proteina stessa, dall’altra una tossicità diretta a livello

citoplasmatico (39). Clinicamente le forme di SLA legate a mutazione del gene TARDBP sono caratterizzate da esordio in età adulta, con coinvolgimento prevalente degli arti all’inizio di malattia (40) e soprattutto da sintomi che esprimono il coinvolgimento del

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lobo frontale, con disfunzioni del linguaggio, alterazioni comportamentali e disturbi di memoria (41).

SLA12- OPTINEURINA

L’optineurina è una proteina localizzata a livello del citoplasma e dell’apparato di Golgi espressa ubiquitariamente nelle cellule di retina, encefalo, cuore, muscolo scheletrico, placenta e reni. Mutazioni del gene OPTN, a partire dal quale la proteina è codificata, sono state individuate come patogenetiche del glaucoma (42). La proteina è coinvolta in

numerose funzioni cellulari, e si ritiene che il suo coinvolgimento nella patogenesi della SLA possa essere dovuta ad una perdita di attività, conseguente a mutazioni che si trasmettono con modalità autosomica sia dominante che recessiva, ad un aumento dell’attività del fattore di trascrizione NF- kb e/o perdita del controllo del traffico

intracellulare, effetti indotti da mutazioni autosomiche dominanti (43) e alla formazione di aggregati che andrebbero a localizzarsi nelle stesse sedi dei corpi inclusi dovuti a

mutazioni di TDP- 43 (44).

SLAX- UBIQUILINA2

Nel 2011, l’equipe di Teepu Siddique ha individuato per la prima volta una forma di SLA a a trasmissione autosomica dominante, dovuta a mutazione del gene UBQLN2. Il gene è localizzato sul cromosoma XP11.21 e codifica per l’ubiquilina, una proteina che regola il trasporto delle proteine ubiquinate al proteasoma per permetterne la degradazione.

Clinicamente la SLAX è caratterizzata da un’età d’insorgenza estremamente variabile (dai 17 ai 65 anni), legata al genere (nei maschi l’esordio è precoce) e dall’associazione con

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sintomi di demenza progressiva, che può in alcuni casi precedere l’interessamento muscolare (45).

SLA14-PROTEINA CONTENENTE VALOSINA

VCP è una proteina chaperone che fa parte del complesso ubiquitina- proteasoma, ed è coinvolta in numerose funzioni cellulari, come divisione cellulare, biogenesi degli organelli intracellulari, riparazione del DNA, apoptosi e autofagia (46). I meccanismi patogenetici che coinvolgono mutazioni del gene VCP, identificate nel 2010 in una famiglia Italiana con una forma di SLA a trasmissione autosomica dominante (47), non sono ad oggi conosciuti. Mutazioni nel gene VCP sono state precedentemente identificate come associate alla triade clinica Miopatia a corpi inclusi, Morbo di Paget e Demenza Fronto-temporale (IBMPFD).

SLA18- PROFILINA 1

Tra tutti i meccanismi coinvolti nella patogenesi della SLA, numerose prove mettono in luce il ruolo svolto da alterazioni nella crescita del citoscheletro e nello sviluppo assonale (48). La profilina è una proteina coinvolta nella regolazione del traffico di membrana e dell’attività recettoriale e nucleare cellulare. Agisce inoltre come regolatore di crescita nei confronti del processo di polimerizzazione dell’actina dipendente dalle concentrazioni intracellulari di F-actina (49). E’ codificata dal gene PFN1 situato sul cromosoma 17p13.2, che sintetizza una proteina di 140 amminoacidi, espressa a livello di cervello, midollo spinale, cuore, polmoni, fegato e reni. Ad oggi sono state identificate mutazioni coinvolte nella patogenesi di forme si SLA sia familiari che sporadiche (50).

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c9orf72

Numerosi studi hanno permesso di individuare il gene c9orf72 (chromosome 9 open reading frame 72), come fattore fondamentale nella patogenesi della SLA, venendo identificato attualmente come la causa di circa il 40% delle SLA familiari, ma anche del 10% circa di forme sporadiche. La mutazione corrisponde all’espansione dell’

esanucleotide GGGGCCC, situato all’interno dell’introne 1 del gene c9orf72. Il numero di ripetizioni nella popolazione sana deve essere inferiore a 24, mentre i pazienti con SLA mostrano dalle 700 alle 1600 ripetizioni (51).Il gene c9orf72 codifica per una proteina la cui funzione risulta ad oggi sconosciuta. L’esanucleotide espanso GGGGCC è localizzato in una regione non codificante e si ritiene sia in grado di modulare la trascrizione proteica del gene verso un prodotto specifico: il gene c9orf72 viene trascritto in tre prodotti diversi grazie ad un complesso processo di splicing alternativo. Il ruolo patogenetico di c9orf72 mutato potrebbe essere dovuto a più meccanismi.

- Riduzione della trascrizione dell’ mRNA con perdita parziale della funzionalità della proteina e un effetto selettivo diverso nei diversi tessuti a seconda della differente espressione relativa in essi.

- Tossicità RNA mediata tramite un meccanismo di “guadagno di funzione” con la generazione di foci anomali di RNA.

Le tecniche di analisi molecolare ad oggi utilizzate indicano il sospetto di un numero molto alto di mutazioni a carico del gene che risulterebbe quindi altamente instabile, e

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ancora reso possibile individuare con precisione quale sia il numero di ripetizioni da considerarsi il cut- off patolgico, anche se la presenza di oltre 30 ripetizioni può

considerarsi tale. Esiste quindi una zona grigia caratterizzata da un numero variabile di ripetizioni da 24 a 30 in cui la corretta interpretazione del dato genetico risulta a tutt’oggi non chiara (52). Clinicamente le forme di SLA legate a mutazioni del gene c9orf72 si caratterizzano per un decorso più rapido, esordio precoce, maggior frequenza di

coinvolgimento bulbare (53)deterioramento cognitivo e coinvolgimento prevalente del sesso femminile (54).

MATRINA 3

Recentemente è stata infine individuata una forma di malattia associata ad una mutazione missenso del gene MATR3. Il quadro clinico si caratterizza per un’età d’esordio compresa tra i 50 e i 70 anni, con comparsa di coinvolgimento progressivo di primo e secondo motoneurone. I soggetti affetti mostrano inoltre segni di interessamento bulbare e di impoverimento cognitivo (52).

2.4 Ereditarietà autosomica dominante: penetranza incompleta ed

espressività variabile.

Si parla di carattere ereditario quando questo può essere trasmesso di generazione in generazione, seguendo le leggi della ereditarietà dei caratteri di Mendel, valide per quei caratteri determinati da un solo gene, detti monofattoriali o monogenetici.

Le nostre cellule somatiche sono diploidi, cioè presentano due copie per ogni cromosoma, definite cromosomi omologhi. Due cromosomi omologhi possiedono gli stessi geni, ma

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diverse forme alleliche. In genetica si definiscono alleli i geni che si riferiscono al medesimo carattere distintivo, localizzati nello stesso locus genetico e quindi responsabili delle diverse versioni fenotipiche di un carattere ereditario. Per ogni carattere ereditario un organismo eredita due alleli, uno da ciascun genitore.

Gregor Johann Mendel (1822-1884), condusse numerosi esperimenti sull’osservazione della riproduzione incrociata tra diverse varietà della pianta Pisum sativum, applicando per la prima volta lo strumento matematico, in particolare la statistica e il calcolo delle probabilità, allo studio dell'ereditarietà biologica. Dopo sette anni di selezione, Mendel identificò sette varietà di pisello, definite “linee pure” in cui un determinato carattere in esame era l’unica variante fenotipica presente per molte generazioni successive, ottenute per autoimpollinazione. Queste linee pure differivano per caratteri estremamente visibili e ben riconoscibili: forma del seme (liscio o rugoso); colore del seme (giallo o verde); forma del baccello (rigonfio o grinzoso); colore del baccello (giallo o verde); posizione dei fiori (lungo il fusto o in cima); colore dei fiori (bianco o rosa); lunghezza dei fusti (alti o bassi). Nel suo “Esperimento primo”, pubblicato nel 1866, Mendel studiò il risultato di incroci definiti monoibridi, ottenuti cioè utilizzando genitori (generazione P) appartenenti a linee pure differenti per tratti diversi di uno stesso carattere, andando a valutare il fenotipo della prima generazione filiale (generazione F1). Si accorse che dei due caratteri inizialmente studiati nella generazione parentale (es. fiori rosa o fiori bianchi) solo uno compare nella prima generazione della progenie, andando quindi a definire il concetto di dominanza e recessività.

- Principio della dominanza: se si incrociano due linee pure che differiscono per un carattere, nella prima generazione un tratto "dominerà" sull'altro, cioè si esprimerà nel 100% dei casi. Successivamente Mendel proseguì gli esperimenti facendo incrociare individui appartenenti alla generazione F1. Nella relativa progenie (generazione F2), questa volta, alcuni individui presentavano il carattere della generazione P che risultava scomparso nella generazione F1, in

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particolare tre individui mostravano il fenotipo dominante ed uno quello recessivo, distribuzione questa caratterizzata da periodicità, poiche’ si riscontrava ad ogni incrocio nella progenie di individui appartenenti alla generazione F1. Grazie a questi risultati Mendel definì altre due leggi fondamentali:

- I legge “della segregazione”: Ogni individuo diploide possiede 2 alleli che si separano durante la meiosi ovvero segregano all’interno dei gameti e ciascuno finisce in un gamete diverso;

- II legge “dell’assortimento indipendente”: due alleli per un certo carattere si separano in modo indipendente rispetto agli alleli presenti a livello di altri loci .

Si parla quindi di trasmissione autosomica dominante riferendosi ad una modalità di trasmissione ereditaria di un carattere mendeliano, il cui allele responsabile è localizzato su un autosoma, cioè su un cromosoma non sessuale, ed è sufficiente a determinare la manifestazione del carattere stesso, anche se presente in una sola copia, cioè in eterozigosi. Le malattie autosomiche dominanti sono causate da mutazioni di un singolo gene. L’individuo affetto solitamente eredita un allele dal genitore sano ed uno dal genitore malato: quest’ultimo allele è quello dominante che determina la comparsa del fenotipo malato.

- Se uno solo dei genitori ha l’allele mutato, avrà il 50% delle probabilità di trasmettere al figlio l’allele dominante mutato e ciascun figlio avrà il 50% delle probabilità di ereditarlo;

- Se entrambi i genitori sono malati invece le probabilità di ogni figlio di ereditare l’allele mutato è del 75%;

- Infine è possibile che nessun genitore sia affetto dalla malattia e che un figlio sviluppi per primo la mutazione sporadica, che trasmetterà poi ai suoi figli.

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L’eredità di tipo dominante è quindi caratterizzata da una serie di elementi che devono essere sempre presenti per poterla definire tale:

- trasmissione di tipo verticale: il carattere si presenta in tutte le generazioni e in ogni generazione c’è almeno un individuo affetto;

- ogni individuo affetto deve avere uno dei due genitori affetto o entrambi;

- solitamente gli omozigoti per una malattia dominante muoiono prima di raggiungere l’età fertile: si può quindi dedurre che la maggior parte dei pazienti e dei componenti degli alberi genealogici sarà statisticamente eterozigote (Dd). In questo caso il carattere sarà

trasmesso alla metà dei figli;

- il carattere ricorre con la stessa frequenza nei due sessi;

- gli individui che non hanno il carattere dominante non trasmettono il carattere, in quanto se non possiedono il carattere vuol dire che sono omozigoti recessivi

Nel caso dei caratteri mendeliani classici, si osserva una corrispondenza diretta tra genotipo e fenotipo; nella pratica clinica questo non è sempre vero. I principali modelli di ereditarietà dei caratteri mendeliani possono infatti mostrare delle complicanze. A questo proposito è importante definire altri due concetti essenziali:

- Si parla di espressività variabile quando individui portatori dello stesso allele di malattia presentano caratteristiche cliniche e di gravità differenti

- In alcune malattie genetiche a trasmissione autosomica dominante o recessiva è possibile che individui che hanno ereditato la mutazione patogena non sviluppino il fenotipo patologico. Si parla allora di penetranza incompleta.

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Con il termine penetranza, in genetica, ci si riferisce ad un fenomeno “tutto o nulla” che si riferisce alla espressione, o non espressione, di un dato gene mutante, senza però alterare la trasmissione del genotipo alla progenie: può essere completa, quando il

carattere dominante o recessivo si esprime nel 100% degli individui, incompleta, quando il carattere si esprime in una percentuale inferiore rispetto a quella attesa in base alle proporzioni mendeliane.

I fattori che possono modulare l’espressività clinica di una malattia fino all’assenza completa di segni e sintomi, delineando quindi un quadro di penetranza incompleta, sono fattori

genetici ( geni che possono modificare il fenotipo) e/o ambientali.

Quindi, la capacità di un carattere di esprimersi in un certo modo nell'ambito di una certa popolazione è detta penetranza. Viceversa la capacità di un carattere di esprimersi nell'individuo stesso è detta espressività. Entrambe possono spiegare eventuali irregolarità nella trasmissione dei caratteri, come per esempio apparenti salti di generazione.

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