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Capitolo 3 Antisociologismo e importanza delle scienze empiriche nel pensiero di Croce

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Capitolo 3

Antisociologismo e importanza delle scienze

empiriche nel pensiero di Croce

3.1. La storia considerata come scienza

Croce critica il sociologismo già nei suoi Primi saggi. Proprio nella prefazione di questo volume, il sociologismo – definito come «andazzo disordinato»1 – viene

stigmatizzato al pari del positivismo e del sensismo. Se quest’ultimo, infatti, minaccia l’arte, riducendola a sensibile compiacimento, al piacere, il sociologismo, da parte sua, minaccia la storia riducendola a scienza, cioè a una ripetizione di schemi e di leggi.

Per Croce la storia non è riducibile sotto il concetto della scienza, bensì sotto il concetto generale dell’arte; da qui il titolo del principale scritto dei Primi saggi: La

storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte (1893). In questo saggio sono tre i

concetti studiati: quello dell’arte, quello della scienza e quello della storia.

Se la scienza, in quanto conoscenza concettuale, assume il particolare sotto il generale, l’arte, in quanto conoscenza dell’individuale, rappresenta il particolare come tale, essa ha cioè come fine la rappresentazione della realtà, la rappresentazione sensibile dell’Idea. L’assunzione del particolare sotto il generale e la rappresentazione del particolare come tale costituiscono le due operazioni conoscitive che lo spirito umano è in grado di compiere, quindi la storia deve essere o scienza o arte.

La storia, avendo come fine la rappresentazione della realtà e essendo quindi conoscenza dell’individuale, è arte e può quindi essere ridotta sotto il concetto

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generale di quest’ultima. Generale, perché entro questo concetto si distinguono, a seconda del loro contenuto, la storia e appunto l’arte in senso stretto: il contenuto dell’arte è l’interessante, cioè l’individuale immaginato o puramente possibile, mentre il contenuto della storia è lo storicamente interessante, ovvero l’individuale reale, ciò che è realmente accaduto. La storia è un processo essenzialmente artistico e può essere definita come quel genere di produzione artistica che ha come oggetto della sua rappresentazione ciò che è realmente accaduto.

Il contenuto, la materia della scienza è il tutto: sua ambizione è infatti ridurre ogni manifestazione del reale alla categoria cui essa appartiene. La scienza cerca sempre il generale e forma concetti, mentre la storia narra fatti individuali e concreti, mettendo in relazione i particolari col “complesso”, che è diverso dal “generale”, oggetto appunto della scienza: da una parte rappresentazioni concrete condensate, dall’altra concetti generali (leggi che valgono per ciascun fatto).

La storia ha così, per Croce, carattere artistico e non scientifico. Questa verità non deve però togliere importanza ad essa: anche la poesia non è scienza, ma ciò non compromette affatto il suo valore. L’importante è distinguere2.

Nel saggio Sulla classificazione dello scibile (1895), Croce ribadisce che esistono due forme di conoscenza: quella di concetti e quella di fatti, di cose. Le prime sono le scienze teoretiche (o scienze proprie) e nascono dall’interesse scientifico propriamente detto che è conoscere il tutto; le seconde sono le scienze storiche (dette anche scienze improprie o descrittive – tra di esse la storia e l’arte) e nascono invece dagli interessi della vita pratica, vale a dire l’interesse di conoscere ciò che ci tocca da vicino.

Esistono poi delle conoscenze che vanno a formare un gruppo a parte da coordinare coni primi due: sono le scienze pratiche (o scienze di valori). Esse mettono in chiaro

2 Nel 1909 Croce commenta La Storia ridotta sotto il concetto generale dell’Arte (1893), affermando che in quell’opera giovanile lui non sosteneva che la storia fosse arte, bensì che la storia si riducesse sotto il concetto generale dell’arte. Egli scrive che i tre intenti di quello scritto erano: 1) asserire con decisione il carattere teoretico dell’arte, in un momento storico in cui dominava il positivismo per il quale l’arte era cosa di piacere; 2) combattere la risoluzione che le scienze naturali tentavano della storia nei loro schemi; 3) negare che la storicità fosse una terza forma dello spirito diversa dalla forma estetica e da quella intellettiva. Inoltre il filosofo napoletano riconosce un errore presente in quello scritto, ovvero il confondere in un sol gruppo l’universalità vera della filosofia e quella falsa delle scienze (la loro è mera generalità o astrattezza). Infine, analizzando lo sviluppo del proprio pensiero, registra l’iniziale visione della filosofia come qualcosa di astratto, poi l’accentuazione del suo carattere di concretezza, fino alla dichiarazione di identità delle due concretezze (storia e filosofia).

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gli ideali e, in genere, le regole da seguire per conseguire certi fini. Tali scienze sono combinazioni di concetti e di rappresentazioni con fini pratici e si rivelano nel passaggio da indagini generali, dalle scienze di concetti (come, ad esempio, l’estetica, la logica, l’etica) – che si occupano della conoscenza stessa dei valori – ai problemi pratici, come ad esempio comportarsi moralmente in una certa situazione della vita.

Secondo Croce la scienza, in quanto scienza non valuta (cioè non esprime giudizi di valore) e non agisce, ma conosce. La scienza entra in relazione con i valori solo interessandosi ad essi in termini conoscitivi e si parla in questo caso, appunto, di conoscenza di valori, di cui sono esempi, come si diceva prima, l’etica, l’estetica e la logica.

Nel saggio Intorno alla filosofia della storia (1895), Croce tratta della polemica che dopo la prima metà del secolo decimonono fu condotta contro la filosofia della storia intesa come una fantasticheria, cioè come una rivelazione di un certo significato della storia raggiungibile con lo scrutare i disegni della Provvidenza o col determinare il ritmo della Ragione, dell’Idea, del Divenire universale, discendendo dall’idea alla realtà. Il nuovo contenuto della filosofia della storia è caratterizzato dal sorgere delle questioni scientifiche intorno al significato della storia (cioè sulla possibilità o meno della conoscenza di ciò che oltrepassa i dati dell’esperienza), dalle questioni delle leggi storiche e dalle questioni di metodica storica. La filosofia della storia non va a costituire una scienza speciale, ma, in quanto scienza delle leggi storiche, va a sciogliersi nel gruppo delle scienze sociali e politiche, chiamate “sociologia”.

Nel saggio La storia considerata come scienza, pubblicato sulla Rivista italiana di

sociologia nel 1902, il filosofo napoletano sottolinea l’importanza di rivendicare la

forma intuitiva dello spirito contro il sempre più invadente ed esclusivo intellettualismo, il quale vorrebbe che tutto fosse scienza. “Intellettualismo” che è criticato con l’affine “sociologismo” sempre nei Primi saggi nello scritto la Critica

letteraria. Questioni teoriche (1894), nel quale, proprio in opposizione ad ogni

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con l’opera letteraria, sulla contemplazione o godimento estetico dell’opera d’arte3.

L’intellettualismo o sociologismo, considerando il cervello solo utile a sfornare leggi, nega quindi la verità che lo spirito umano sia unità nella distinzione .

Le verità artistiche e storiche non sono né inferiori, né incomplete, sono solo diverse rispetto alle verità scientifiche. Come la scienza non può prendere il posto della storia, così la storia non può prendere quello riservato alla scienza: storia e scienza sono tutte e due anelli insostituibili nella catena dello spirito umano. Storia e scienza devono essere distinte e la storia, con la sua rappresentazione dell’individuale, va a costituire proprio la base, il presupposto della scienza.

Nei Primi saggi le considerazioni di Croce rilevanti per il nostro studio sono le seguenti:

- Croce ritiene che l’espressione di giudizi di valore sia estranea alla scienza, la quale non valuta, non agisce, bensì conosce.

- la sociologia è definita dal filosofo napoletano come il complesso delle scienze sociali e politiche ed è una scienza di leggi storiche.

- Croce critica aspramente il sociologismo che, interpretando la storia come ripetizione di leggi, la riduce a scienza, quando essa è invece essenzialmente arte, o meglio, va ridotta sotto il concetto generale dell’arte.

3.2. Critica del materialismo storico come scienza sociale

Nell’opera Materialismo storico ed economia marxistica (1900) Croce parte da un libro di Labriola, Del materialismo storico. Delucidazione preliminare (1896). Il filosofo napoletano, nel primo scritto della sua raccolta, Sulla forma scientifica del

materialismo storico (1896), dice che da quel volume è possibile trarre il concetto

secondo il quale il materialismo storico non è una filosofia della storia, dato che tale dottrina non ha la pretesa di trovare né la legge della storia, né il concetto al quale ridurre i fatti storici.

Il materialismo storico non è, e non può essere, una nuova filosofia della storia, né 3 Bonetti P., Introduzione a Croce, Laterza, Bari, 2001, p. 6.

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un nuovo metodo, ma è, e deve essere, proprio questo: una somma di nuovi dati, di nuove esperienze, che entrano nella coscienza dello storico4.

Gli storici della scuola materialista utilizzano i medesimi strumenti intellettuali degli storici filologi; solamente essi arricchiscono il lavoro storico di nuovi dati e di nuove esperienze, quindi recano non un diverso metodo, ma un diverso contenuto.

Nel secondo scritto della raccolta Le teorie storiche del prof. Loria (1896), Croce scrive che la concezione materialistica non possiede gli elementi costitutivi di una teoria ed infatti Marx e Engels ci hanno lasciato solo aforismi generali e applicazioni particolari. Tale concezione deve essere un’avvertenza e uno stimolo per gli interpreti della storia che ne devono accogliere, appunto, le suggestioni.

Il materialismo storico è «semplicemente un canone d’interpretazione storica. Questo canone consiglia di rivolgere l’attenzione al cosiddetto sostrato economico delle società, per intendere meglio le loro configurazioni e vicende»5. Tale canone è di uso

empirico.

Sempre nel saggio del 1896 contro il prof. Loria e nello scritto successivo Per la

interpretazione e la critica di alcuni concetti del marxismo (1897), Croce aggiunge

poi che la legge marxista del valore-lavoro (il valore dei beni prodotti da lavoro è uguale alla quantità di lavoro socialmente necessaria per produrli) non è propria della società capitalistica, ma è una legge di paragone. Essa rinvia, infatti ad una società economica ipotetica e tipica, fatta di soli lavoratori, nella quale il valore delle merci – non gravato dai profitti e dalle rendite – è eguale al lavoro socialmente necessario. Questa società ideale può essere comparata con la società reale capitalistica, nella quale il valore di un certo bene è pari alla somma degli sforzi necessari per la sua produzione e dunque sia i salari che i profitti, essendo necessari, vanno insieme a formare il valore. Il profitto non è sopralavoro non pagato; scopo del suddetto confronto sarebbe la comprensione del grado di sfruttamento proprio della nostra realtà sociale6.

L’economia marxista si dimostra allora come l’economia che studia l’astratta società lavoratrice e la legge del valore, assunta da Marx, è la legge particolare di tale

4 Croce B., Materialismo storico ed economia marxistica, cit., p. 9. 5 Ibidem, p. 75.

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società ideale e schematica «che solo frammentariamente si attua nelle società economiche storicamente date e in altre società economiche ipotetiche o possibili»7.

Le conseguenze del discorso crociano sono evidenti:

- L’economia marxista non è la scienza economica generale, la quale è rappresentata dall’economia pura che muove dalla natura economica dell’uomo (postulato edonistico).

- Il valore-lavoro non è il concetto generale del valore.

Per il filosofo napoletano la ricerca marxista e l’economia pura devono vivere accanto, ma l’economia marxista è giustificata soltanto se intesa «non in quanto scienza economica generale, ma in quanto economia sociologica, comparativa, che tratta delle condizioni del lavoro nelle società»8.

La concezione del Marx è sostanzialmente giusta, ma è stata assunta a una categoria alla quale non appartiene, e si è in essa cercato ciò che non può dare, sconoscendo ciò che effettivamente dà […]; la teoria del Marx non deve considerarsi sistema economico totale di fronte agli altri sistemi […], ma ricerca particolare e parziale9.

La spiegazione del profitto data dalla scuola edonistica è spiegazione economica; la spiegazione data da Marx è storico comparativa o sociologica.

E Croce scrive ancora che nella dottrina economica di Marx:

sono mescolati vero e falso […]. L’aspetto di vero consiste, a mio parere, nell’avere il Marx richiamato fortemente alla coscienza la condizionalità sociale del profitto[…]. Il procedimento, del quale fa il Marx uso a questo fine, è stato da me definito procedimento ‘comparativo’: parola alla quale do importanza, perché mi par che indichi il punto essenziale. Quanto alla parte fallace, essa consiste nell’aver dato il Marx, più volte, al procedimento comparativo, valore di spiegazione scientifica, e nell’aver preteso di soppiantare, coi risultamenti di esso, la vera e propria teoria economica (diremo così, per intenderci, dell’economia pura)10.

Croce dice di aderire all’ Economia pura, dato che essa applica il metodo scientifico. Comunque questa adesione del filosofo napoletano è da lui fatta seppur con la formulazione di alcune riserve, tra le quali è bene ricordare:

- L’ economia pura non si deve chiudere ai sussidi esterni come quello che può fornirle l’interpretazione di Marx.

- La necessità di elaborare filosoficamente il concetto di valore di Marx, in 7 Croce, B., Materialismo storico ed economia marxistica, cit., p. 67 .

8 Ibidem, p. 102. 9 Ibidem, pp. 123-124. 10 Ibidem pp. 152-153.

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quanto esso rappresenta il fatto primo economico che fa dell’economia una scienza autonoma.

- L’economia pura (leggi generalissime che si prestano ai più disparati programmi pratici) deve portarsi fuori dal connubio creatosi tra lei e il liberismo.

- Bisogna «porre termine alla falsificazione matematica dei principi economici

[…]. Il pericolo che porta seco è nel lasciar credere che il concetto economico, il quale è essenzialmente concetto di valore, di preferibile, di desiderabile, ossia di alcunché qualitativamente distinto, sia, invece, concetto quantitativo»11.

Croce nega anche la possibilità di dedurre il programma sociale marxista (come, d’altro canto, ogni altro programma pratico sociale) da proposizioni scientifiche, visto che il giudizio dei programmi sociali appartiene al campo pratico, non a quello della pura scienza che è conoscenza di leggi astratte; dunque «fra l’astratto e il concreto non c’è ponte di passaggio»12.

Non è l’utilità della scienza ad essere messa in discussione ma semplicemente la suddetta deduzione.

Si può osservare che nella difficoltà di dividere il puramente scientifico dal pratico è la principale cagione dei pericoli e delle miserie delle discipline sociali e politiche 13.

Nel quarto saggio del volume preso in esame, Il libro del prof. Stammler14, Croce

scrive che il materialismo storico si è manifestato in due modi:

- Come movimento storiografico (per Croce è questa la parte viva e scientificamente interessante del materialismo storico, le cui proposizioni gli appaiono dei riassunti di osservazioni empiriche che rappresentano un sussidio per gli interpreti dei fatti sociali).

- Come una scienza o filosofia della società (per Stammler questa dottrina è una

11 Ibidem, pp. 160-161. 12 Ibidem, p. 93.

13 Ibidem, p. 92 n (corsivo nostro).

14 Si tratta del libro Wirtschaft und Recht nach der materialistischen Geschichtsauffassung, Eine socialphilosophische Untersuchung von dr. Rudolf Stammler, Professor an der Universität Halle a. S. Leipzig, Veit u. C., 1896, nel quale Stammler indica, come alternativa al materialismo storico, un teoria della conoscenza fondata su una nozione pratica, etico-religiosa di vita sociale, di storia, dallo studioso considerata come una totalità storico-spirituale del tutto distinta dalla natura.

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filosofia, una scienza sociale e le sue proposizioni hanno il valore di leggi rigorose).

Croce ripropone brevemente le convinzioni espresse nel libro di Stammler:

- Società: è la convivenza di uomini sottomessi a regole esteriormente obbligatorie.

- Scienza sociale: ha per oggetto determinato e proprio il fatto sociale ed è studio generale (causale e teleologico) della società e studio delle società concrete.

- Fatto sociale: è caratterizzato da due elementi, la forma e la materia sociale che, entrando in conflitto fra loro, danno vita al mutamento.

- Forma sociale (o scienza tecnica del diritto): complesso delle regole propriamente giuridiche e di convenzione.

- Materia sociale (o Economia sociale): è il complesso delle azioni sotto le regole, cioè il complesso dei fatti concreti che attuano gli uomini operando insieme in società, ossia sotto il presupposto di regole sociali.

Secondo il filosofo napoletano, la scienza sociale di Stammler, questa scienza pura e universale della società, è una scienza formale del diritto (dottrina generale del diritto), cioè uno studio della convivenza sotto l’aspetto delle regole – giuridiche e non – cui è sottoposta.

L’Economia sociale di Stammler, in realtà, sarebbe un altro nome della storia, come lo sono stati i nomi dati agli studi concreti delle singole società e dei loro gruppi: la Storia sociale, la Storia della civiltà, la Sociologia concreta, la Sociologia comparata, la Psicologia dei popoli e delle classi.

I fatti della società sono descritti dalla storia15 e l’Economia sociale di Stammler o è,

per l’appunto, storia o è Economia pura che dà luogo a deduzioni di economia sociale (scienza economica applicata a determinate condizioni sociali): una terza cosa, una scienza autonoma dei fatti della società, non è data.

Nei saggi Una obiezione alla legge marxistica della caduta del saggio di profitto (1899) e Marxismo ed economia pura (1899), Croce dimostra inoltre che dai concetti

15 La storia non elabora concetti, ma li prende, a seconda delle sue necessità, dalle scienze, che sono quelle che li foggiano.

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di progresso tecnico e di diminuzione del saggio di profitto non solo non si può trarre la legge che Marx vi ricava (la caduta del saggio di profitto), ma, anzi, crescendo il progresso tecnico, e restando immutate tutte le altre condizioni, la massa del profitto diminuisce, ma non il saggio che anzi cresce.

Nel saggio Sul principio economico. Due lettere al prof. Pareto (1900), Croce scrive che l’Economia non è né Storia, né Pratica (questioni pratiche) ed è indipendente sia dall’una, sia dall’altra. Essa è una scienza che ha come principio proprio il fatto economico. L’Economia conosce le azioni e l’homo oeconomicus sceglie un’azione (valore), escludendo tutte le altre infinite azioni (non-valori).

Il fatto economico è la scelta e, dato che scegliere qualcosa significa volere quel qualcosa, allora è possibile dire che il fatto economico sia un fatto di attività pratica, di volontà. Ricordando che il presupposto del fatto economico è il fatto di attività teoretica, Croce sottolinea l’importanza di tenere distinti i due momenti, quello teoretico (conoscenza) e quello pratico (volontà).

Nell’ambito pratico il fatto economico è la condizione che rende possibile il fatto morale. Nel concreto non si hanno azioni moralmente indifferenti, infatti l’azione economica è l’azione pratica in quanto viene, per astrazione, svuotata del suo contenuto morale o immorale e considerata, quindi, di per sé.

Il concetto di utile è l’azione economica stessa in quanto ben condotta. «Allo stesso modo che il vero è l’attività stessa del pensiero, e il buono è l’attività stessa morale»16.

Croce critica poi Pareto a proposito della sua tesi secondo cui si fa scienza attraverso il tagliare, necessariamente, dal fenomeno concreto, una fetta da studiare, da analizzare logicamente. Il problema, dice il filosofo napoletano, è che quella fetta può essere ritagliata solo tramite un’analisi logica e quindi si fa prima ciò che ci si proporrebbe di fare dopo.

Croce accusa Pareto di muoversi da un presupposto metafisico: considerando, infatti, i fatti come dei fenomeni, egli sembra presupporre un noumeno a noi sconosciuto e del quale i fatti sarebbero delle manifestazioni.

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Ciò che unisce i due studiosi è l’affermazione di una teoria economica rigorosa, indipendente dalle considerazioni storiche e pratiche, ma se, per Pareto, il fatto economico è un fatto meccanico, per Croce, esso è, invece, un fatto di volizione (positiva o negativa).

Nel saggio Il giudizio economico e il giudizio tecnico (1901), Croce scrive che per intendere il fatto economico bisogna «anzitutto eliminare quanto è di pertinenza dell’attività teoretica e solo in connessione con l’attività economica viene denominato tecnico»; e che l’attività economica è «l’attività pratica e volontaria dell’uomo, distinta insieme e connessa con l’attività morale»17.

Il filosofo napoletano esclude inoltre l’esistenza dei giudizi pratici (es. «Tal cosa è utile»): i giudizi sono sempre teorici e lo sono anche quando sono teorici del pratico, ovvero quando hanno come antecedente e materia le volizioni.

Per dire che «la tal cosa è da volere o da non volere», bisogna, anzitutto, averla voluta o non voluta […].Un’azione non la voglio, perché è utile, ma è utile, perché la voglio18.

Nella nostra coscienza, le nostre volizioni e azioni sono seguite così rapidamente dalle espressioni teoriche di esse (sono le riflessioni dell’uomo sulla sua volontà: ad es. «Voglio quella tal cosa perché è buona») che si crea l’illusione dell’esistenza di giudizi pratici.

Quando – scrive infine Croce – sopravviene, come fatto nuovo, l’azione pratica a prendere le conoscenze come base di operazione, allora si può parlare di “tecnica”. Nello scritto Economia filosofica ed Economia naturalistica (1906), Croce dice che bisogna porre fuori dalla scienza i problemi pratici e politici e che, essendo l’economia studio da ridurre a scienza naturalistica astratta o naturalistico-matematica, c’è la necessità di un’Economia filosofica (scienza vera e propria) che tratti quell’indagine filosofica dell’atto economico esclusa dall’Economia naturalistica. Croce pensa che Pareto sbagli nel considerare nel considerare non necessaria questa trattazione filosofica.

In appendice al volume Materialismo storico ed economia marxistica incontriamo la

17 Ibidem, p. 231. 18 Ibidem, p. 234.

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storia del marxismo teoretico in Italia: Come nacque e come morì il marxismo

teoretico in Italia (1895-1900). In questo scritto del 1937, Croce disserta sulla sua

opera e su quella di Labriola come teorico del marxismo. Il filosofo napoletano fu iniziato a quella dottrina proprio da Labriola, ma se in quest’ultimo c’erano due anime: « quella del critico e del filosofo che avrebbe voluto sistemare e correggere il marxismo […], e quella del rivoluzionario, che sentiva e accoglieva in sé il valore rivoluzionario del Marx»19, il primo guardò al marxismo con l’intenzione di una

critica scientifica. Proprio questo passaggio del marxismo, da una sfera di propaganda alla sfera scientifica, portò tale dottrina, nel suo aspetto teorico, alla morte20.

E così io chiusi i miei studi sul marxismo, dai quali riportai quasi in ogni parte definito il concetto del momento economico, ossia dell’autonomia da riconoscere alla categoria dell’utile, il che mi riuscì di grande uso nella costruzione della mia “Filosofia dello spirito”. Ma del marxismo – propriamente detto, – all’infuori, naturalmente, della conoscenza che con esso feci di un aspetto dello spirito europeo nel decimonono, e all’infuori delle suggestioni storiografiche delle quali ho già discorso – teoricamente non ricavai nulla, perché il suo valore era prammatistico e non scientifico, e scientificamente offriva soltanto una pseudoeconomia, una pseudofilosofia e una pseudostoria21.

Nella collezione di saggi Materialismo storico ed economia marxistica troviamo quindi la critica del materialismo storico inteso come scienza sociale, come sociologia, ovvero come filosofia della storia, perché riduce la storia a scienza, a ripetizione di leggi. Croce, sotto un altro aspetto, giudica positivamente e vuole liberare il nocciolo sano e realistico del pensiero di Marx e afferma la necessità per quella dottrina di essere un’economia sociologica, comparativa. Il filosofo napoletano, in conclusione, apprezza la manifestazione del materialismo storico come economia sociologica (non scienza economica generale ma ricerca parziale e particolare) e rifiuta, invece, la sua manifestazione come scienza sociologica (filosofia della storia).

19 Ibidem, pp. 289-290.

20 Promotore di questo passaggio fu proprio Labriola con l’invio a Croce dei suoi scritti e con l’invito, sempre a lui rivolto, di rendere servigio alla verità, purificando l’aria che il socialismo respirava in Italia.

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3.3. Intellettualismo storico ed estetica sociologica

Con l’Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e storia (1902), Croce dà inizio alla costruzione del suo sistema, da lui stesso denominato “Filosofia dello Spirito” e che può essere così schematicamente rappresentato:

DISTINTI OPPOSTI a) estetico => bello-brutto teoretico b) logico => vero-falso Spirito c) economico => utile-dannoso pratico d) morale => bene-male

Nella storia ideale eterna abbiamo un eterno corso e ricorso: da d rinasce a, b, c, d. I concetti distinti hanno ciascuno il proprio ufficio e posto e ognuno può essere designato come primo o ultimo termine di quella storia.

I termini scritti in corsivo sono un’astrazione, sono irreali: il bello – che è tale in quanto nega il brutto – esiste, è valore, è attività e quindi è positivo; il brutto, invece, è un’opposizione superabile con un certo distinto, il quale invera il termine negativo in un positivo (chi non produce il bello – quello che si è chiamato brutto –, in quanto fa qualcosa, produce un altro valore, un altro universale, per esempio l’utile).

Vediamo da questo schema che la conoscenza (spirito teoretico) ha due forme:

- Conoscenza intuitiva (o estetica), che è conoscenza per la fantasia, conoscenza dell’individuale, delle cose singole ed è produttrice di immagini.

- Conoscenza intellettiva (o logica), che è conoscenza dell’universale, delle relazioni tra cose singole ed è produttrice di concetti.

Nel passare dalla prima forma dello spirito conoscitivo alla seconda e nel ripassare dalla seconda alla prima, si svolge tutta la vita teoretica dell’uomo.

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conoscenza di relazioni tra cose, è indissolubile dalla prima che è, per l’appunto, conoscenza di cose (ovvero, come si vedrà tra poco, di intuizioni). Inoltre i concetti non sono più intuizioni e allo stesso tempo lo sono; infatti i concetti non possono stare senza espressioni.

Se l’Estetica è definibile come la scienza della conoscenza intuitiva o espressiva, la Logica è la scienza della conoscenza intellettiva.

Concentrandosi in quest’opera sull’estetica, Croce va a chiarire questo lato dell’attività spirituale. Una chiave d’accesso al suo pensiero estetico la possiamo trovare nella distinzione che il filosofo napoletano compie fra materia e forma. La materia è «un di fuori che ci assalta e ci trasporta»22, è l’«emozionalità non elaborata

esteticamente»23, il contenuto dell’attività spirituale, ovvero le sensazioni e

impressioni che sono quindi concepite come passività. La forma è «un di dentro che tende ad abbracciare quel di fuori e a farlo suo»24, è l’elaborazione estetica,

l’espressione di quella emozionalità, l’attività spirituale, ovvero l’intuizione-espressione che è concepita come attività.

L’intuizione è quindi attività spirituale, elaborazione di sensazioni-impressioni, espressione di impressioni; l’atto estetico è «forma, e niente altro che forma»25 e

l’attività espressiva interessandosi di un contenuto lo eleva a forma (in questo senso il contenuto può essere definito come l’interessante26. Più in generale, possiamo dire

che l’espressione presuppone l’impressione.

Croce caratterizza l’arte come liberatrice. Egli scrive, infatti, che con tale attività l’uomo elabora le impressioni, le oggettiva, le distacca da sé, si fa loro superiore e così se ne libera.

L’opera d’arte, l’espressione, è un tutto indivisibile, un’unità nella varietà; l’attività estetica è, cioè, sintesi delle impressioni in un tutto organico: come se si seziona il corpo di un uomo, significa farlo diventare cadavere, così se si divide, per esempio, un poema in scene o un quadro nelle sue singole figure, si annulla l’opera.

22 Croce B., Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e storia, Adelphi Edizioni, Milano, 1990, p. 9.

23 Ibidem, p. 21. 24 Ibidem, p. 9. 25 Ibidem, p. 21.

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L’espressione è sempre fusione di impressioni; anche le vecchie espressioni, nuovamente concepite, devono ridiscendere a impressioni e sintetizzate con le altre impressioni in una nuova sola espressione.

Tra Arte e conoscenza intuitiva (o estetica), così come tra Scienza e conoscenza intellettiva (o logica), non vi è una differenza qualitativa, di metodo, bensì una differenza quantitativa. L’Arte non è espressione dell’espressione, ma espressione di impressioni; solo che per essa si tratta di intuizioni più vaste e più complesse di quelle che si hanno comunemente. La Scienza (o Filosofia), da parte sua, non è concetto di un concetto, concetto di intuizioni27; solo che la Scienza «sostituisce alle

rappresentazioni28 i concetti, ai concetti poveri e limitati aggiunge e sovrappone altri

più larghi e comprensivi, scoprendo nuove relazioni»29. Se l’Arte, con le sue vaste e

complesse intuizioni, è la cima, la manifestazione più alta dell’estetica, la Scienza o Filosofia, con i suoi complicati sistemi, è la cima della logica.

Per Croce le uniche forme dello spirito conoscitivo sono l’intuizione e il concetto. La storia non è forma della conoscenza, ma contenuto; come forma essa non è altro che intuizione (la storia si riduce sotto il concetto generale dell’arte; non forma concetti, né è ricerca di leggi). È lo spirito che foggia i concetti del reale e dell’irreale30, la

storia li adopera.

La storia, come si è detto, non è forma della conoscenza, bensì essa si risolve nell’intuizione e nel concetto. È «come la risultante dell’intuizione messa a contatto col concetto, cioè dell’arte che, nel ricevere in sé le distinzioni filosofiche, resta tuttavia concretezza e individualità. Tutte le altre (scienze naturali e matematiche) sono forme impure: miste di elementi estranei e d’origine pratica»31.

Croce, come aveva già fatto nei Primi saggi, torna a criticare l’intellettualismo e lo fa, innanzitutto partendo dall’errore intellettualistico che si verifica in varie teorie di Estetica32, nelle quali l’arte «scimmiotta la scienza»33.

27 Le intuizioni sono la materia dei concetti, come le impressioni lo sono per l’intuizione. 28 Dell’individuale non si dà concetto, ma solo rappresentazione.

29 Croce B., Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e storia, cit., p. 18. 30 Si distingue l’intuizione storica da quella non storica.

31 Croce B., Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e storia, cit., pp. 40-41. 32 Ad esempio: la teoria delle idee dell’arte, la teoria dell’arte propugnatrice di tesi, la teoria dell’arte del tipico. 33 Croce B., Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e storia, cit., p. 45.

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Il filosofo napoletano ribadisce l’esistenza di due forme di conoscenza: quella estetica e quella logica; la prima è indipendente e non presuppone nessun altra forma dello spirito (è forma primigenia), mentre la seconda (concetto) ha come presupposto la prima (fatto espressivo individuale)34.

Croce analizza, inoltre, analoghi errori intellettualistici che accadono nell’Istorica (o Storiologia) e nella Logica. Egli denuncia quell’ignoranza, circa l’indole propria dell’arte rispetto alla scienza, che conduce all’intellettualismo storico, ovvero alla concezione di una filosofia della storia, di una sociologia, o come si voglia chiamare quella scienza che intende estrarre leggi e concetti universali dalla storia; ma, scrive il filosofo napoletano, «La storia importa concretezza e individualità; la legge e il concetto, astrattezza e universalità»35, quindi è insensato parlare di “leggi storiche” o

di “concetti storici”.

Le leggi e i concetti, senza aggettivo, sono di pertinenza della Filosofia (o Scienza) nella sua unità e nelle sue specificazioni (Estetica, Logica, Istorica e le altre discipline filosofiche). I tipi e le classi (intuizioni storiche raggruppate col metodo delle scienze naturali) sono, invece, proprie della scienza empirica, nelle sue infinite divisioni.

Croce scrive:

Dell’involucro fallace, della veste disadatta di una Filosofia della storia si sono coperti talvolta grandi pensatori, i quali, nonostante quell’involucro, hanno ritrovato verità filosofiche di somma importanza; sicché, caduto poi l’involucro, la verità è restata. E il carico da farsi ai sociologi moderni non è tanto dell’illusione in cui si avvolgono asserendo un’impossibile scienza filosofica della sociologia, quanto dell’infecondità che accompagna quasi costantemente questa loro illusione. Poco male che l’Estetica venga chiamata “Estetica sociologica”, o la Logica, “Logica sociologica”. Il male grave è che quell’Estetica è un vecchiume sensualistico, e che quella Logica è verbale e incoerente36.

Il filosofo napoletano, ferma restando la condanna generale dei tentativi di costruzione di una filosofia della storia, distingue dai grandi pensatori – che pur coprendosi di questa «veste disadatta» hanno trovato delle verità – gli imbastitori moderni di filosofie della storia. Tali «sociologi moderni», non solo come i loro

34 Il passaggio dall’estetico (espressioni) al logico (rapporti logici) si concretizza sì, a sua volta, in un’espressione (il pensamento prende di necessità forma estetica), ma quando si è sul secondo gradino (quello logico), il primo (quello estetico) è stato ormai abbandonato: chi pensa scientificamente ha già smesso di contemplare esteticamente.

35 Croce B., Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e storia, cit., pp. 51-52. 36 Ibidem, p. 52.

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grandi predecessori si illudono nell’asserzione di un’impossibile disciplina (una filosofia della storia che, come abbiamo visto, è una contraddizione in termini), ma non riescono nemmeno ad offrire nuove verità, seppur nascoste sotto un «involucro fallace».

Croce registra comunque che l’intellettualismo storico ha portato dei buoni effetti, ovvero:

- Si è contribuito, attraverso «canoni e ammonimenti empirici», a chiarire

«aspetti della vita sociale prima poco osservati o malamente compresi»37. A tal

proposito si veda l’utilità che il materialismo storico può avere per i ricercatori.

- Si è assecondato il bisogno di costruire una teoria della storiografia, ovvero

una scienza generale dell’intuizione, una disciplina filosofica, «un’Estetica, dalla quale si stacchi, per l’interposta funzione degli universali, quasi capitolo speciale, l’Istorica »38 (o Storiologia).

Dopo la riforma dell’Estetica, si impone per Croce, a questo punto, la riforma della Logica. Egli parte da una verità: il fatto logico è il concetto, l’universale. La forma attraverso cui il concetto si manifesta è il giudizio logico, ovvero la definizione. I giudizi non logici sono, invece, proposizioni storiche o proposizioni puramente estetiche, che, quindi, a differenza dei giudizi logici, non affermano universali.

Continuando a percorrere lo schema che raffigura l’attività dello spirito, vediamo che esiste un’altra attività oltre a quella teoretica (produttrice di conoscenze): è l’attività pratica, vale a dire l’attività dello spirito produttrice di azioni; è la volontà, volontà di fare e volontà di non fare. Se con l’attività teoretica l’uomo comprende le cose, si appropria dell’universo, con la forma pratica l’uomo muta le cose, crea l’universo39.

L’attività teoretica è il presupposto dell’attività pratica: l’azione voluta40 deve essere

preceduta dall’attività conoscitiva intuitiva e logica.

Dopo la ribadita autonomia dell’arte dalla scienza, Croce completa il teorema dell’indipendenza dell’arte, affermando la sua autonomia anche dall’utile e dalla

37 Ibidem, p. 53. 38 Ibidem, p. 53.

39 Cfr. Croce B., Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, cit., p. 62. 40 L’azione è azione se è volontaria.

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morale. Se l’attività pratica implica l’intervento della volontà, l’attività estetica vive in una dimensione di interiore necessità e di spontaneità creativa, che non ha nulla a che fare con il mondo del volere e delle scelte, dei fini e dei giudizi41. Il pratico è

escluso dall’estetico: il fatto estetico nasce ed è completo nell’espressione (ad esempio, fatto estetico è conquistare la parola interna, mentre il successivo aprir bocca per parlare è un fatto pratico). Se l’attività estetica è distinta dalla pratica è però, nel suo esplicarsi, sempre accompagnata da essa (cosiddetto piacere del bello). Questo lato pratico dell’attività estetica ha, a sua volta, un accompagnamento: è il fatto fisico (suoni, linee, colori…), cioè è lo strumento per la riproduzione del fatto estetico (o visione artistica o fatto ideale)42. Il fatto fisico non è immagine, «ma fa

riprodurre l’immagine (l’unica immagine, ch’è il fatto estetico), in quanto stimola ciecamente l’organismo psichico e produce l’impressione rispondente alla già prodotta espressione estetica»43.

Il contenuto di un’opera d’arte non può essere giudicato moralmente. Gli artisti si ispirano necessariamente sulla base di ciò che ha destato il loro animo. Le brutture, come le bellezze, esistono e pertanto si impongono all’artista: non si può impedire che nascano le espressioni correlative.

Croce mette in evidenza l’analogia tra l’attività teoretica e l’attività pratica, infatti la relazione che c’è fra i gradi della coppia “conoscenza intuitiva-conoscenza intellettiva” è la stessa di quella che c’è fra i gradi della coppia “attività meramente economica-attività morale. Come senza le intuizioni non sono possibili i concetti, così senza il volere e operare utilmente (volere un fine, quel fine particolare del soggetto) non è possibile il volere e operare moralmente (volere il fine razionale).

Scienza e morale dominano interamente l’una le rappresentazioni estetiche, l’altra le volizioni economiche dell’uomo; benché poi l’una e l’altra non possono in concreto apparir mai se non in forma estetica l’una, economica l’altra44.

Sulla base di quanto detto, ridisegniamo, con una maggiore precisione, il sistema dello spirito:

41 Cfr. Ciuffi F., Gallo F. e altri, Il testo filosofico, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, Milano, 1993.

42 Croce, nel capitolo XIII dell’Estetica, individua i quattro stadi del processo della produzione estetica: a) impressioni; b) espressione; c) accompagnamento edonistico o piacere del bello; d) traduzione del fatto estetico in fenomeni fisici. 43 Croce B., Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e storia, cit., p. 132.

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2° momento pratico: volere moralmente Attività pratica

1° momento pratico: volere economicamente Spirito

2° momento teoretico: conoscenza concettuale Attività teoretica

1° momento teoretico: conoscenza espressiva Lo spirito percorre questi quattro momenti (o gradi).

L’attività teoretica sta «alla pratica come il primo grado teoretico sta al secondo teoretico e il primo pratico al secondo pratico. I quattro momenti s’implicano regressivamente per la loro concretezza: il concetto non può stare senza l’espressione, l’utile l’una e l’altro e la moralità senza i tre gradi che precedono»45.

Oltre che sul diritto, Croce ragiona sulla sociologia e sulla religione come possibili altre forme dello spirito, ma arriva a una risposta negativa, perché altre forme spirituali, oltre le quattro individuate, semplicemente, non esistono.

Per noi è particolarmente interessante il discorso che egli fa sulla sociologia. Partendo dalla considerazione che questa parola ha assunto vari significati, il filosofo napoletano considera la sua definizione come “studio di un elemento originario detto socialità”. Croce dice però che ciò che distingue un insieme di uomini (socialità) sono le attività spirituali e inoltre afferma che la complessità del concetto di socialità rende impossibile la formazione di leggi sociologiche. Si può anche parlare di “leggi sociologiche”, ma esse si rivelano alla fine o «empiriche osservazioni storiche46 o

leggi spirituali (ossia giudizi nei quali si traducono i concetti delle attività spirituali)»47. Se per società si intende “regola sociale”, allora la sociologia è invece

la scienza e teoria del diritto.

Se l’arte, in quanto momento dello spirito, è immortale, così non è la religione. Essa, infatti, rappresenta un particolare contenuto (un patrimonio di conoscenze) che va a

45 Ibidem, p. 78.

46 Le leggi sociologiche si rivelano, quindi, come delle classificazioni di osservazioni empiriche. 47 Croce B., Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e storia, cit., p. 80.

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riempire la forma teoretica e, in quanto tale, essa muta ed è soggetta a miglioramento. È la filosofia il naturale sostituto della religione; la seconda si dissolve nella prima. La filosofia considera la religione nient’altro che un «fenomeno», un «fatto storico e transitorio», uno «stato psichico superabile»48.

Per Croce la religione si dissolve nella filosofia, ovvero nella scienza propriamente detta; per lui la filosofia è la Scienza49, la quale è poi parte del regno della

conoscenza anche insieme alle discipline naturali (le quali contano, misurano e classificano), alla storia (che rappresenta l’individuale accaduto) e all’arte (che rappresenta l’individuale possibile).

Otteniamo dal primo volume della “Filosofia dello Spirito” un contributo alla chiarificazione del pensiero di Croce circa la sociologia. Emerge quanto sia opportuno non trattare il tema in termini semplificatori di mera condanna di questi studi o di mera approvazione. Se infatti negli scritti del filosofo napoletano è evidente il suo rifiuto di una scienza – comunque la si chiami: filosofia della storia, sociologia… – che voglia estrarre dalla storia leggi e concetti universali, allo stesso tempo è altrettanto palese la contemplazione, all’interno del sistema spirituale e nel posto proprio che spetta loro, delle scienze naturali, le quali contano, misurano e classificano. Quindi quelle discipline, da rifiutare come filosofie della storia, ritrovano una loro dignità in quanto raccolta di osservazioni empiriche (intuizioni storiche); e alla categoria della legge (propria della Scienza propriamente detta, ovvero la Filosofia50) si sostituiscono, così, quelle di tipo, di classe, le quali sono da

considerarsi utili raggruppamenti empirici.

Scrive Croce: «la Sociologia come scienza non si sa che cosa sia […]. – Nient’altro che uno scambio tra analisi scientifica e indagine o descrizione storica è nelle ricerche di taluni sociologi»51.

48 Ibidem, pp. 81-82.

49 Se però per scienza intendiamo le limitate scienze naturali, allora sarà necessario, per esse, un completamento religioso.

50 Se la Filosofia è connotata da concetti veri e propri, da definizioni rigorose, le scienze naturali - tale è anche la psicologia – sono contraddistinte da concetti approssimativi, da definizioni empiriche, le quali di fronte a un nuovo fatto appreso intuitivamente e storicamente – un nuovo caso, un nuovo dato – si dimostrano non adatte o insufficienti e da ritoccare.

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3.4. Similarità delle critiche crociane alla sociologia e alla teoria dei generi artistici e letterari

Anche se non si può ricavare dai “concetti” naturalistici quel sistema che è proprio dello spirito, essi sono molto utili52.

Così come la sociologia (disciplina empirica) con i suoi raggruppamenti di dati storici e intuitivi, ha un’utilità pratica anche la divisione dell’arte in generi:

una classificazione delle intuizioni-espressioni è bensì lecita, ma non è filosofica; i singoli fatti espressivi sono altrettanti individui, l’uno non ragguagliabile con l’altro se non nella comune qualità di espressione […].

Le somiglianze esistono, e in forza di esse le opere d’arte possono essere disposte in questo o quel gruppo. Ma sono somiglianze quali si avvertono tra gl’individui, e che non è dato mai fissare con determinazioni concettuali: somiglianze, cioè, alle quali mal si applicano l’identificazione, la subordinazione, la coordinazione e le altre relazioni dei concetti, e che consistono semplicemente in ciò che si chiama aria di famiglia, derivante dalle condizioni storiche tra cui nascono le varie opere, o dalle parentele d’anima degli artisti53.

Il filosofo napoletano asserisce l’identità dell’Estetica (scienza dell’arte) e della Linguistica (scienza del linguaggio), infatti il linguaggio è espressione, creazione spirituale e l’espressione è il fatto estetico. Posta questa identità filosofica, è possibile vedere la teoria delle parti del discorso come tutt’uno con quella dei generi letterari. Come sono delle astrazioni i generi rispetto alla sola realtà che è l’opera d’arte (espressione), così sono semplici astrazioni il nome e il verbo rispetto alla sola realtà che è la proposizione (espressione). Si conferma in questo modo l’individualità e l’indivisibilità dell’espressione, pur considerando la possibilità di formare o di distinguere delle utili astrazioni.

La critica di Croce della teoria dei generi artistici e letterari mira non a negare il diritto ad esistere a quelle suddivisioni, bensì vuole precisarne il senso: esse non sono determinazioni di carattere scientifico-filosofico, ma rappresentano solo dei raggruppamenti aventi un’utilità pratica. Così le scienze empiriche (quindi anche la sociologia), spogliate dalla loro impropria vocazione a farsi autrici di leggi scientifiche, mostrano l’utilità pratica delle loro tipizzazioni e delle loro

52 Cfr., Croce B., Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e storia, cit., p. 40. 53 Croce B., Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e storia, cit., pp. 87-93.

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classificazioni.

3.5. Critica logica della sociologia

Croce continua la costruzione della sua “Filosofia dello Spirito” con l’opera Logica

come scienza del concetto puro (1909), edizione ampliata e modificata dei Lineamenti di una logica come scienza del concetto puro (1905). Egli scrive

nell’Avvertenza che il libro è soprattutto «una rivendicazione della serietà del pensiero logico, di fronte non solo all’empirismo e all’astrattismo, ma anche alle dottrine intuizionistiche, mistiche e prammatistiche, e a tutte le altre, allora assai poderose, che travolgevano col positivismo, a giusta ragione avversato, ogni forma di logicità»54.

Il concetto è ultrarappresentativo, cioè è superiore ad ogni rappresentazione: una determinata rappresentazione non può esaurire in sé il concetto. Il concetto è anche onnirappresentativo, cioè esso contiene in sé tutte le rappresentazioni, tutta la realtà e non frammenti di essa (singole cose o gruppi di cose): il concetto si riferisce a tutte le rappresentazioni.

Il solo carattere che è proprio del concetto è l’essere universale-concreto (o trascendentale55). Il concetto, infatti, supera ogni determinata singola

rappresentazione, ma è anche immanente in ogni rappresentazione e pertanto anche nella singola.

Se l’espressione o rappresentazione è esistenza che non è essenza56, il concetto è

essenza che è esistenza.

Il concetto, dice Croce, non ha realtà non esiste se non nella forma espressiva, pertanto per essere reale esso si deve “incarnare” nell’espressione. L’espressione del concetto, la sua “incarnazione” è il giudizio definitorio (o definizione o giudizio

54 Croce B., Logica come scienza del concetto puro, Laterza, Bari, 1964, p. VIII.

55 È la trascendentalità: trascendenza che è insieme immanenza. Si può parlare pertanto di trascendenza immanente o di universalità concreta.

56 L’essenza è la concepibilità ossia l’interiore necessità e coerenza. L’essenza comporta in sé l’esistenza: di un pensamento logico stabilita la concepibilità è stabilita con essa l’esistenza (ad esempio: se il concetto di virtù è concepibile la virtù è).

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logico). Il giudizio definitorio afferma essenza ed esistenza insieme e in esso il soggetto e il predicato sono due universali (concetti) e sono sinonimi57 (ad esempio:

«L’attività estetica è forma teoretica dello spirito», nella quale definizione “attività estetica”, come pure “forma teoretica” sono concetti e sinonimi, perciò si parla di presunto soggetto e di presunto predicato, visto che essi coincidono, il secondo è il primo stesso).

Il concetto espresso riopera sulle rappresentazioni, le “trasfigura” attraverso un giudizio individuale, il quale, ovviamente, presuppone un precedente giudizio definitorio. Nel giudizio individuale il soggetto è una rappresentazione, mentre il predicato è un concetto58. La “trasfigurazione” ha significato di percezione, ovvero

con tale giudizio si può «apprendere una cosa come avente tale o tal’altra qualità, e perciò pensarla e giudicarla»59. Un esempio di giudizio individuale può essere: «La

Trasfigurazione è opera estetica», in cui “Trasfigurazione” è evidentemente una rappresentazione, mentre “opera estetica” è il concetto espresso nel giudizio definitorio precedente.

Esistono pseudoconcetti rispetto al concetto puro, vero e proprio considerato finora. Tali finzioni concettuali o sono “rappresentative senza universalità” (pseudoconcetti empirici: il contenuto dello pseudoconcetto è una singola rappresentazione o un gruppo di rappresentazioni), oppure sono “universali vuoti di rappresentazioni (pseudoconcetti astratti: il contenuto dello pseudoconcetto non è rappresentabile, vale a dire non è reale)60.

Gli pseudoconcetti non hanno carattere teoretico, ovvero conoscitivo, bensì pratico. La loro indispensabilità consiste nella loro utilità nel facilitare il ricordo delle nostre conoscenze per via via operare.

L’applicazione di uno pseudoconcetto, ovvero il suo rioperare sulle rappresentazioni (la “trasfigurazione”) avviene attraverso pseudogiudizi individuali; tali formazioni mentali presuppongono un giudizio individuale puro e possono essere distinti in

57 L’esistenza coincide con l’essenza.

58 Il predicato è l’universale che si predica di un individuale. 59 Croce B., Logica come scienza del concetto puro, cit., p. 99.

60 Come abbiamo visto, l’esigenza della logicità è l’universalità concreta: il pensiero ha carattere universale e ha per oggetto il reale.

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“giudizi individuali empirici” e in “giudizi individuali astratti” (questa seconda forma richiede come precedente la prima).

Nello pseudogiudizio individuale il soggetto è una rappresentazione, mentre il predicato è uno pseudoconcetto, il quale presuppone a sua volta un concetto puro. «La Trasfigurazione è un quadro sacro» è un esempio di giudizio individuale empirico. Per applicare lo pseudoconcetto “quadro sacro” e pronunciare tale pseudogiudizio individuale, dice Croce, bisogna aver formato giudizi individuali puri di un certo numero di opere artistiche e poi aver astratto i caratteri e aver formato così lo pseudoconcetto “quadro sacro”61. Sulla base, quindi, di un’astrazione di certi

caratteri si crea una classificazione. Il procedimento dei giudizi individuali empirici è detto “classificazione”; su di esso si fonda il procedimento dei giudizi individuali astratti detto “numerazione”, il quale comprende pure la misurazione: dopo aver formato delle classi si può numerare e pronunciare giudizi del tipo «Queste vacche sono cento».

Gli pseudogiudizi individuali hanno carattere pratico o mnemonico che si dica; essi sono strumenti necessari alla comunicazione e all’intelligenza62. Così come hanno

fine pratico gli pseudoconcetti. Tra gli pseudoconcetti Croce ricorda quello di “società”. Anche se la sociologia asserisce che esso sia un concetto rigoroso, esso è, in realtà, non un universale – come un concetto deve essere – ma solo qualcosa di generale, definibile come: «il gruppo di taluni enti che la rappresentazione ha messi innanzi al sociologo e che egli ha isolati arbitrariamente da altri complessi di enti coi quali erano legati o si potrebbero legare»63. La sociologia non è quindi Scienza (nel

senso di pensiero scientifico, filosofico, concettuale), ma disciplina utile.

L’intuizione, in quanto forma estetica, e il concetto, in quanto forma logica, sono due forme indivisibili: lo pseudoconcetto non è una suddivisione, è bensì altro dal concetto.

La suddetta indivisibilità (unità) è anche distinzione. C’è una molteplicità di concetti che si riferisce alla varietà degli oggetti che sono pensati in quella forma. Scrive,

61 Cfr. Croce B., Logica come scienza del concetto puro, cit., p. 117. 62 Ibidem, p. 114.

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infatti, Croce: «il concetto di bontà non è quello di bellezza, ossia l’uno e l’altro sono logicamente uno stesso atto, ma l’aspetto della realtà, che il primo direttamente designa, non è quell’aspetto designato dal secondo»64.

L’unità nella distinzione significa che il tutto (la forma, in questo caso concettuale) è tutto in quanto è insieme di singole parti (distinti65), le quali sono anche in relazione

tra loro.

Questa relazione dei distinti nell’unità da essi formata la si può paragonare alla storia, nella quale ogni fatto è in relazione con gli altri: è diverso da quello che è venuto prima di lui, ma è anche il medesimo, perché il fatto seguente contiene in sé il precedente, come il precedente conteneva in sé il seguente ed era quello che era proprio perché aveva la virtù di produrre il fatto seguente66.

Ma la tesi più importante della Logica è l’identificazione del giudizio definitorio e del giudizio individuale. Il secondo, abbiamo detto, presuppone il primo, ma, il primo, a sua volta, presuppone il secondo:

In verità, una definizione non esiste così in aria, come potrebbe sembrare dagli esempi che se ne recano nei trattati e nei quali si prescinde dal dove e dal quando e dall’individuo e dalle altre circostanze di fatto, tra le quali la definizione è stata pronunciata. In una definizione così vagamente presentata non si rinviene elemento rappresentativo e giudizio individuale; ma appunto perché è definizione mutilata, resa astratta e indeterminata […]. Se invece si considera la definizione nella sua concreta realtà, vi si troverà sempre, esaminandola con cura, l’elemento rappresentativo e il giudizio individuale67.

Ogni definizione è la risposta a una domanda, la soluzione di un problema. Ogni definizione per costante che suoni, è diversa – anche se sembrano uguali – secondo la diversità spirituale, situazioni psicologiche di coloro che le pronunciano (condizionalità individuale e storica di ogni domanda e problema).

Essendovi tra giudizio definitorio e giudizio individuale una presupposizione reciproca, si può parlare di reale unità dei due giudizi e considerare la loro distinzione un’astrazione: «l’atto logico, il pensamento del concetto puro, è unico»68,

è identità di giudizio definitorio e di giudizio individuale, è sintesi a priori logica69.

64 Ibidem, pp. 47-48.

65 In questo caso sono il bello, il vero, l’utile, il bene pensati concettualmente. 66 Cfr. Croce B., Logica come scienza del concetto puro, cit., p. 50.

67 Croce B., Logica come scienza del concetto puro, cit., p. 133. 68 Ibidem, p. 135.

69 Come esiste una sintesi a priori estetica (la pura intuizione creata muovendo da uno stato passionale: forma e materia sono tutt’uno) e una sintesi a priori pratica (l’uomo pratico accetta le condizioni di fatto e insieme le trasforma col suo

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La conseguenza di questa tesi è l’identità di filosofia e storia: il concetto puro può essere esposto ora in prevalente forma di giudizio definitorio e ora dando invece risalto al giudizio individuale, ma questa distinzione è didascalica, in quanto il giudizio individuale include la definizione (ogni racconto vale a chiarire e risolvere problemi filosofici) e ogni definizione permette di far luce sui fatti70.

«La sintesi a priori, che è la concretezza del giudizio individuale e della definizione, è insieme la concretezza della filosofia e della storia»71. Se, quindi, l’unica categoria

della logica è la sintesi a priori logica (o concetto puro: definizione e giudizio individuale insieme), gli pseudoconcetti non appartengono alla logica, anzi tali formazioni presuppongono la realtà del concetto puro. Croce stabilisce così l’autonomia della filosofia e l’autonomia delle scienze empiriche e naturali: come la prima non è sostituibile dalle seconde, così le seconde non possono essere sostituite dalla prima. Sia la filosofia che le scienze empiriche hanno un proprio ruolo e quindi una certa dignità, un certo carattere. I concetti sono le vere conoscenze, mentre le forme schematiche delle classi e dei tipi non hanno certo valore teoretico (non sono vere), ma solo pratico (sono utili). Gli schemi delle scienze empiriche svolgono dei servizi insostituibili: sono sussidiari alla memoria e strumentali per l’esposizione e la comunicazione.

Scrive Croce:

Dall’aver malamente interpretato il carattere sussidiario degli pseudoconcetti nella storia, e cangiatolo in carattere costitutivo, nasce la fisima positivistica di ridurre la storia a scienza (scienza naturale, s’intende bene), cioè di fare ch’essa sia in modo perfetto quello che ora sarebbe solo in modo imperfetto: classificazione e statistica della realtà […], sostituendo alla narrazione della realtà individua l’esibizione di pallidi schemi e di vuote astrazioni, che si adattano a tutte o a parecchie età insieme. La medesima tendenza si nota col cosiddetto “sociologismo”, e nella polemica che esso conduce contro la storia psicologica o individuale, come la chiama, e in favore di quella istituzionale o sociale72.

E ancora più avanti:

La Sociologia, intesa come scienza non già filosofica ma empirica, classifica forme di famiglia e forme di produzione, forme di religione e di scienza e di arte, forme politiche e sociali, costruendo serie di schemi per disegnare le forme o i tipi generali della civiltà umana. Il filosofo espelle tutti codesti schemi dalla filosofia, come elementi intrusi, che atto volitivo, creando qualcosa di nuovo). Lo spirito è sintesi a priori di distinti: la nuova materia era forma, che aveva perciò la sua materia.

70 Cfr. Croce B., Logica come scienza del concetto puro, cit., pp. 208-209. 71 Croce B., Logica come scienza del concetto puro, cit., p. 208.

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ingenerano processi patologici; ma quel filosofo stesso, in quanto uomo intero, in quanto provvede all’economia della sua vita interiore e al più facile comunicare coi suoi simili, deve pur foggiare l’empirico e valersene […]. Così resta confermata l’autonomia e la propria natura delle scienze empiriche o naturali, insostituibili dalla filosofia come la filosofia da esse73.

Dagli scritti crociani sembrano emergere due diverse interpretazioni della sociologia, tal volta intesa, come si è visto nei paragrafi precedenti, come filosofia della storia altre come esempio di quelle scienze empiriche o naturali, le quali, secondo Croce, sono utili ed innocue in quanto «comodi aggruppamenti e comode terminologie», ma «diventano inutili e nocive quando si gonfiano a scienze di valori assoluti»74, a

filosofia.

Andando a leggere però la terza parte della Logica, dedicata alle forme degli errori e alla ricerca della verità, comprendiamo maggiormente il pensiero crociano:

Il concetto puro, che è la filosofia, può essere sconciamente combinato e scambiato o con la forma precedente della pura rappresentazione (arte), o con quella susseguente del concetto empirico e astratto (scienze naturali e matematiche); ovvero malamente scisso nella sua unità di concetto e rappresentazione (sintesi a priori), e malamente poi ricombinato come o concetto che si dà per rappresentazione o rappresentazione che si dà per concetto. Di qui le forme fondamentali degli errori; le quali gioverà denominare: estetismo, empirismo, matematismo, filosofismo e istorismo (o mitologismo)75.

Posta la natura logica degli errori teoretici, possiamo anche citare gli errori nascenti da errori: dualismo, scetticismo o agnosticismo e misticismo.

Le scienze empiriche come la sociologia devono essere fedeli al loro carattere pratico, se non lo sono si macchiano di empirismo, cioè di quell’errore, che sostituendo il concetto empirico al concetto puro, usurpa l’ufficio e il valore propri della filosofia. Un esempio storico di questa illusione di poter, procedendo a posteriori, indurre le categorie filosofiche è il positivismo76. L’empirismo, che

confonde tra il pensiero e il classificare, sfocia nel dualismo fenomeno-noumeno, ovvero apparenza conoscibile-essenza non conoscibile e si converte in filosofismo, cioè in quella forma di errore che nasce sempre dalla rottura dell’unità della sintesi a priori e si attua nella pretesa della filosofia in senso stretto di dedurre la storia a

73 Ibidem, pp. 231-232. 74 Ibidem, p. 86. 75 Ibidem, pp. 258-259.

76 Nel positivismo la scienza è ridotta a classificazione e i fatti esperienziali, i quali sono in realtà già determinazioni filosofiche, sono considerati materiale bruto.

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priori. Gli errori, ovverosia, si convertono tra loro: «Tutto si connette nella verità, e tutto, analogamente, nell’errore, che è la sua negazione»77.

La sociologia ha, per Croce, natura pratica, infatti, attraverso confutazioni filosofiche78, i suoi “concetti” si rivelano degli pseudoconcetti; e se il concetto è

principio di Scienza (filosofia), lo pseudoconcetto è principio di pratica.

3.6. Pratica sociologica

Attribuire alle scienze empiriche (per cui anche alla sociologia) un carattere pratico, come fa Croce, significa considerarle – anziché conoscenze dirette all’azione – nient’altro che azioni79. Siamo quindi a livello dell’attività spirituale pratica, cioè

dell’attività produttrice di azioni, la quale è l’oggetto della Filosofia della pratica.

Economica ed etica (1908), terzo volume del sistema della “Filosofia dello Spirito”.

Nella prima sezione del libro, il filosofo napoletano dice che l’attività pratica presuppone quella teoretica, vale a dire che per l’atto pratico è richiesta la conoscenza. Questo precedente teoretico è propriamente quello storico: è la conoscenza storica, nella quale cooperano la conoscenza dell’artista (conoscenza intuitiva) e la conoscenza del filosofo (conoscenza concettuale). Per Croce, quindi, il giudizio storico rappresenta tutto ciò che è necessario per poter procedere all’atto pratico, considerando la percezione del mondo come l’unica condizione teoretica della volizione80.

Nella seconda sezione della Filosofia della pratica, Croce arriva ad un risultato che sembra cozzare con quanto appena esposto: l’attività teoretica presuppone quella pratica, ovvero per la conoscenza è richiesta l’azione. L’attività pratica è, infatti, la realtà nella sua immediatezza e «l’indagine dialettica dell’atto volitivo introduce nel cuore stesso della realtà»81.

77 Croce B., Logica come scienza del concetto puro, cit., p. 297.

78 Provare che un supposto concetto non è un universale e quindi confutarlo come tale. 79 Cfr. Croce B., Logica come scienza del concetto puro, cit., pp. 212-214.

80 L’atto volitivo cambia al cambiare della percezione del mondo (giudizio storico), la quale è, a sua volta, continua e sempre mutevole: percezione e volizione si susseguono in ogni attimo.

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Il filosofo napoletano mostra come questa dualità si risolva nell’unità, infatti le forma teoretica e la forma pratica non sono parallele, ma anzi legate l’una all’altra in modo che dall’una nasce l’altra.

Dall’apprensione estetica della realtà, dalla riflessione filosofica sopra di essa, dalla ricostruzione storica che ne è il risultamento concreto si ottiene quella conoscenza della situazione di fatto, sulla quale soltanto si può formare e si forma la sintesi volitiva e pratica, la nuova azione. E questa nuova azione è, a sua volta, la materia della nuova figurazione estetica, della nuova riflessione filosofica, della nuova ricostruzione storica. Conoscenza e volontà, teoria e pratica, insomma, non sono due parallele, ma due linee tali che il capo dell’una si congiunge alla coda dell’altra82.

Esse formano un circolo, il circolo della realtà e della vita che è dualità-unità di pensiero ed essere, di soggetto e oggetto.

È la volizione la sola capace di mutare la situazione di fatto che si è esaurita in un giudizio: essa aggiunge alla realtà data qualcosa che prima non c’era, prepara materia a un altro giudizio, il quale «è già la volontà in atto che si mira allo specchio»83.

Croce enuncia chiaramente l’identità di volizione e azione: agire è volere; non è possibile volizione senza azione, né azione senza volizione. Una volizione che non fosse azione sarebbe, infatti, un atto spirituale che avrebbe innanzi a sé un’altra realtà con la quale, per farsi concreta, dovrebbe incontrarsi. Il filosofo napoletano crede però che la realtà, che è quella spirituale, sia unica e che quindi sia erroneo un simile dualismo di sostanze che presupporrebbe una relazione tra due entità, spirito e natura, le quali sono invece due modi di elaborazione del medesimo oggetto: il primo è elaborazione conoscitiva, quindi di filosofia; il secondo è, invece, elaborazione astrattiva, avente, quindi, carattere pratico, non certo conoscitivo.

Se la volizione, in quanto essa stessa è piena realtà, coincide con l’azione, essa, però, deve essere distinta dall’accadimento. Croce, infatti, scrive: «L’azione è l’opera del singolo, l’accadimento è l’opera del Tutto: la volontà è dell’uomo, l’accadimento è di Dio […], la volizione dell’individuo è come il contributo ch’esso reca alle volizioni di tutti gli altri enti dell’universo; e l’accadimento è l’insieme di tutte le volizioni»84.

I momenti della volizione, distinti e uniti nella sintesi volitiva, sono due: la necessità e la libertà. La volizione nasce ogni volta in una situazione determinata e pertanto è

82 Ibidem, p. 211. 83 Ibidem, p. 48. 84 Ibidem, p. 68.

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