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C Capitolo 7

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Capitolo 7

C

ARATTERI PALEONTOLOGICI ED INTERPRETAZIONE

PALEOAMBIENTALE

7.1 Analisi micropaleontologica dei livelli argillosi

I depositi argillosi si presentano finemente laminati e nell’affioramento non tutti risultano continui lateralmente. Dal basso verso l’alto della sezione si osserva un tendenziale aumento degli spessori di tali livelli, che variano da qualche decimetro fino agli oltre 3 metri dell’ultimo livello. Evidente risulta anche una variazione cromatica, talvolta la variazione di colore avviene anche all’interno di un livello stesso. Il passaggio cromatico all’interno di un livello avviene all’incirca a metà del deposito ed è brusco e netto, da grigio scuro a grigio chiaro. In generale comunque si passa da livelli grigio scuro/chiaro nella metà inferiore della successione e si assiste ad un progressivo passaggio verso toni giallastri, rosati e nella parte superiore rosso.

Sui vari campioni di argilla prelevati sono state effettuate indagini micropaleontologiche, che hanno portato al riconoscimento dei taxa rappresentati nella tabella 1.

Il residuo del lavaggio del livello argilloso CC1 è costituito per più del 50% da briozoi, foraminiferi e ostracodi, e per la restante parte da granuli di gesso. Tra gli ostracodi sono stati riconosciuti i seguenti taxa: Loxoconcha cfr mulleri, Xestoleberis cfr. communis, Grinioneis haidingeri, Semicytherura sp., Callistocythere sp., Chartocythere sp., Cyprideis agrigentina, Callistocythere obtruncata. Per quanto riguarda i foraminiferi, invece, sono stati identificati foraminiferi appartenenti ai generi Ammonia, Quinqueloculina, Nonion e Cribroelphidium; il campione è inoltre ricco in briozoi appartenenti al genere Crisia.

Per quanto riguarda il livello CC 2, l’analisi del residuo del lavaggio ha rilevato la presenza di abbondanti granuli di gesso, granuli ossidati e frammenti di pirite; per quel che riguarda la microfauna sono stati riconosciuti numerosi frammenti di briozoi appartenenti al genere Crisia, unitamente a rare scaglie di pesce.

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Il residuo del lavaggio del livello CC 3 è composto principalmente da granuli di gesso e subordinatamente da granuli ossidati e da rari aggregati di pirite. Tra gli ostracodi, sono stati rinvenute valve di Zalanyella sp. e Cyprideis agrigentina, oltre che frammenti di briozoi del genere Crisia e rare scaglie di pesce.

Per quel che riguarda l’analisi microfaunistica del livello CC 4, nel residuo del lavaggio sono stati identificati, oltre ad abbondanti granuli di gesso e granuli ossidati, tra gli ostracodi, Cyprideis agrigentina, Loxoconcha cfr. mulleri e valve immature di Cyprideis tra gli ostracodi, Ammonia tepida e Elphidium aff. advenum per i foraminiferi; questi ultimi sono rappresentati da esemplari in cattivo stato di conservazione, frequentemente ricristallizzati e assottigliati per probabile deformazione da carico litostatico.

Nel residuo del lavaggio del livello CC5 sono presenti numerosi frammenti di gesso di colore bianco e rosa. Il contenuto microfaunistico è rappresentato da rare valve di ostracodi del genere Cyprideis e Zalaniella, e da rari frammenti di foraminiferi bentonici presumibilmente appartenenti ai generi Cassidulina, Melonis e Brizalina. E’ stata inoltre riconosciuta la presenza di un foraminifero plantonico riferibile al genere Catapsidas, per il quale si può verosimilmente supporre l’alloctonia visto il pessimo stato di conservazione, e di alcune scaglie di pesce.

Il livello CC 6 rappresenta l’ultimo livello argilloso affiorante nella successione. L’analisi micropaleontologica effettuata per questo livello ha rilevato la presenza, nella porzione inferiore del livello, di ostracodi appartenenti al genere Cyprideis e di alcuni esemplari di Loxoconcha cfr. mulleri, mentre per i foraminiferi gli esemplari risultano riferibili al genere Elphidium (aff. advenum). Inoltre è stato identificato un otolite di pesce appartenente al genere Gobidae.

Per quel che riguarda la porzione superiore di tale livello, l’analisi ha rilevato un contenuto microfossilifero abbondante, tendenzialmente ben determinabile e con buona diversità specifica , che ha portato al riconoscimento di ostracodi appartenenti a numerosi generi: Camptocypria cfr. zalanyii, Euxinocythere praebaquana, Loxoconcha eichwaldi, Cyprideis agrigentina, Loxocurniculina djafarovi, Loxoconchissa sp., Loxocauda limata, Loxoconcha kochi, Amnicythere propinqua, Amnicythere cfr. nodigera, Amnycithere spp., Amnicythere idonea, Zalaniella venusta. Numerosi sono inoltre gli esemplari di foraminiferi appartenenti al genere Ammonia.

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7.2 Le associazioni ad Aphanius crassicaudus

Introduzione

Le associazioni ad Aphanius Crassicaudus sono tanatocenosi molto diffuse nei sedimenti del Miocene superiore italiano e più in generale nel bacino Mediterraneo. In questo tipo di ittiofaune la diversità specifica è solitamente molto bassa (oligotipia) e in molti casi mostra una tendenza verso una semplificazione strutturale dell’associazione caratterizzata dalla esclusiva e costante presenza di ittioliti appartenenti alla specie A. Crassicaudus (associazione monospecifica). Queste associazioni contengono molto spesso, oltre alle ittiofauna, resti di insetti e filliti.

Figura xx: Carta della disposizione dei giacimenti neogenici di pesci fossili sottoforma di scheletri in

connessione, attualmente conosciuti nel bacino del Mediterraneo (da Gaudant, 2002)

L’interesse mostrato nei riguardi di queste associazioni si basa principalmente su due elementi: il primo, di carattere osteologico, è legato alla particolarità dello scheletro assiale e delle ossa cefaliche di Aphanius Crassicaudus («Pachylebias» crassicaudus, fenotipo pachiostotico) caratterizzati da iperostosi ossia evidenti ingrossamenti delle strutture ossee spesso interpretati come risposta, di carattere adattativi, all’incremento di alcuni fattori fisici e/o fisico-chimici (es: salinità); il secondo riguarda l’ampia distribuzione geografica e la limitata distribuzione stratigrafica dell’associazione che può essere considerata a tutti gli effetti un importante livello guida del Messiniano.

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Per quel che riguarda il concetto di iperostosi (Meunier & Francois, 1992), sembra doveroso fare alcune precisazioni. Tra i teleostei casi di iperostosi si riscontrano tra i Carangidae, Sciaenidae, Ephippidae, Cyprinodontidae e Tetraodontidae (Tyler et al., 1992; Smith-Vaniz et al., 1995; Meunier et al., 1997). Di solito questo fenomeno interessa le forme più evolute di teleostei marini, cioè quelle forme caratterizzate da osso acellulare. Negli esempi attuali, la pachiostosi si verifica in forme di grande taglia (individui adulti) e per questo motivo i fattori invocati come cause del fenomeno riguardano più spesso l’invecchiamento e l’idrodinamica (Gaudant & Meunier, 1996).

L’Aphanius crassicaudus è generalmente rappresentato nei livelli messiniani da due forme (o fenotipi): una pachiostotica e una normale. L’ipertrofia ossea di A. crassicaudus si presenta omogenea, ossia interessa gran parte dello scheletro (capo, coste, vertebre), ed è di tipo “anomala”. Infatti da analisi istologiche si è messo in evidenza l’aspetto acellulare, avascolare e compatto dell’osso iperostotico, tutti caratteri indicativi della mancanza di un ri-arrangiamento dei centri ossei (Meunier & Gaudant, 1987). Come evidenziato dai numerosi esemplari di A. crassicaudus prelevati dai vari giacimenti messiniani, la pachiostosi non compare durante lo sviluppo ontogenetico, ma è presente anche in individui di piccole dimensioni (esemplari giovanili); inoltre è frequente il ritrovamento di entrambi i fenotipi all’interno degli stessi livelli, suggerendo una possibile coesistenza nello stesso ambiente sedimentario. Per queste ragioni l’iperostosi potrebbe rappresentare la risposta a modificazioni di carattere ambientale piuttosto che dovuto a fattori genetici. Analoghe conclusioni possono essere determinate dalle caratteristiche sedimentologiche degli ambienti deposizionale nei quali si ritrovano le associazioni ad Aphanius crassicaudus, cioè ambienti lagunari soggetti a periodiche e forti variazioni nel chimismo delle acque, e al ritrovamento di forme ugualmente iperostotiche (Gobius ignotus) caratterizzate da un tessuto osseo compatto, a fibre parallele e privo di osteociti (Gaudant & Meunier, 1996). Il genere vivente Aphanius, oggi largamente distribuito nelle aree peri-mediterranee, è rappresentato da specie (A.fasciatus, A. dispar e A. iberus) tipiche di lagune salmastre, fiumi e saline, ma nessuno degli esemplari raccolti in questi ambienti ha però mostrato ipertrofia ossea.

A lungo si è ritenuto che le associazioni ad Aphanius crassicaudus e in particolar modo la presenza di Aphanius all’interno di queste particolari ittiofaune , fosse esclusiva del Messiniano evaporitico, periodo durante il quale ambienti lagunari a salinità variabile sostituirono il dominio marino ai margini del bacino Mediterraneo. Esempi di tali ittiofaune, intercalate tra i livelli gessiferi (Formazione Gessoso-solfifera) connessi con la “crisi di salinità” mediterranea, si ritrovano in numerose località italiane. In Toscana, ad esempio, il giacimento di Pane e Vino, nei pressi di Gabbro (provincia di Livorno) costituisce una delle

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più importanti stazioni paleoittiologiche dell’area mediterranea nell’ambito del Miocene superiore; l’associazione faunistica è rappresentata principalmente da Aphanius crassicaudus, “Aphanius”sp., Atherinomorus? etruscus e Gobius ignotus, unitamente a resti di filliti e larve di libellule. Nei livelli argillosi intercalati ai gessi della cava Migliarino, 2 km a SE di Rosignano Marittimo, l’ittiofauna è rappresentata quasi interamente da esemplari di Aphanius crassicaudus (Agassiz, 1832), il più delle volte privi di iperostosi. Nei giacimenti presso le saline di Volterra la componente ittiofaunistica è costituita dalla sola specie Aphanius crassicaudus, caratterizzata da individui di taglia media e con una estesa iperostosi; nelle marne bituminose della Formazione gessoso-solfifera marchigiana affioranti nella sezione del Monte Castellaro (provincia di Pesaro), ai numerosi esemplari di Aphanius crassicaudus, in prevalenza iperostotici (Agassiz), si associano Gobius sp., anch’esso spesso iperostotico, alcuni pesci marini stenoalini come Epinephelus sp. e Zeus sp., un ciclide, un Clupeidae (Harengula sp.), Arnoglossus abropterix e Lates niloticus (Cuvier & Valenciennes, 1828). Nel giacimento della Vena del gesso ubicato in prossimità di Borgo Tossignano in Emilia Romagna, all’interno del XIII e XIV ciclo evaporitico, sono stati rinvenuti esemplari di Aphanius crassicaudus, Gobius ignotus (queste due specie nel loro fenotipo pachiostotico), Atherina cavalloi, Oreochromis lorenzoi (Carnevale et al., 2003), Harengula sp. e Trachurus sp. Numerosi scheletri di A. crassicaudus e Gobius ignotus caratterizzati da estesa iperostosi si ritrovano anche nelle marne costituenti la serie evaporitica nel giacimento di Cherasco in Piemonte, associati a resti di Atherina cavalloi, Clupeonella macagnoi, Salvelinus oliveroi, «Leuciscus» cfr. oeningensis. Sempre in Piemonte, nel giacimento di Scaparoni, oltre ai numerosi esemplari di A. crassicaudus presenti nelle marne sovrapposte ai gessi primari si aggiungono Spratelloides gracilis, Atherina boyeri, Gobius meneghinii, Lepidopus albyi, Trachurus sp. e Tavania sturanii. Anche nella Formazione gessoso-solfifera della Sicilia sono stati rinvenuti esemplari fossili di Aphanius crassicaudus caratterizzati da una estesa pachiostosi. I ritrovamenti di A. crassicaudus all’interno delle diatomiti messiniane di Djebel Murdjadjo (Gaudant et al., 1997) e del Messiniano post-evaporitico del bacino di Sorbas (Gaudant & Ott D’Estevou, 1985), così come il ritrovamento di Aphanius crassicaudus nella successione post-evaporitica della Cava Marmolaio descritta ed analizzata nell’ambito di questa tesi, sembrano indicare una continuità delle popolazioni ad Aphanius del Mediterraneo da estendere probabilmente a tutto il Messiniano e non esclusive della sola fase evaporitica. In tale contesto sembra verosimile ipotizzare, da un lato, un qualche legame tra le associazioni monospecifiche, o comunque fortemente oligotipiche ad Aphanius crassicaudus, caratterizzate da individui fortemente iperostotici e situazioni ambientali stressanti con valori di salinità elevati (fase evaporitica); dall’altro una diretta relazione tra associazioni più

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diversificate, caratterizzate da assenza di individui pachiostotici e ambienti più favorevoli alla vita degli individui (fasi pre- e post-evaporitica).

7.3 Materiale studiato

Sono stati analizzati complessivamente 69 esemplari provenienti da tre livelli di argilla della sezione stratigrafica della cava Marmolaio. Gli esemplari risultano tutti solo parzialmente completi, pertanto non è stato possibile sottoporli a misura dei principali caratteri morfometrici, meristici (quali numero di vertebre totali e caudali, coste, raggi delle pinne pari e impari) e osteologici (principalmente gli elementi ossei del capo e del complesso uro-terminale). La descrizione degli ittioliti si è basata perciò sull’osservazione tramite microscopio ottico a luce riflessa dei principali caratteri anatomici distinguibili e sul successivo confronto di questi dati con la corrente bibliografia sull’argomento al fine di determinarli sistematicamente (Birdsong et al., 1988; Gaudant, 1978, 1979, 1981, 1997; Gaudant et al., 1988; Fontes et al., 1987; Grande, 1985; Parenti, 1981).

Degli esemplari rinvenuti, 67 risultano rappresentati da Aphanius crassicaudus, 1 esemplare risulta rappresentato da Sardina sp. e 1 esemplare da Gobiinae. Di seguito è presentata la descrizione dei caratteri anatomici principali osservati (con l’aggiunta di alcuni importanti caratteri di Aphanius crassicaudus non riscontrabili però negli esemplari analizzati nell’ambito di questo lavoro di tesi a causa della mancanza di scheletri completi) della specie Aphanius crassicaudus, e dei due esemplari sopra citati.

7.4 Cenni di paleontologia sistematica

OrdineCLUPEIFORMES

FamigliaCLUPEIDAE

GenereSardinaAntipa, 1905

Sardina sp.

L’esemplare, rinvenuto nel livello di argilla CC4, risulta largamente incompleto e mancante della porzione anteriore del capo e di gran parte della regione addominale.

Della totalità del cranio, è possibile osservare parte del suspensorium e del complesso opercolare. L’ iomandibolare rappresenta l’elemento meglio conservato del suspensorium.

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Quest’osso è caratterizzato, nella porzione inferiore, da un processo allungato all’incirca verticale parzialmente coperto dal simplettico e dal preopercolo, mentre nella metà superiore l’osso si presenta più largo e robusto, anche se in parte frammentato. Al di sotto del processo verticale dell’iomandibolare, in posizione leggermente più avanzata, è visibile il simplettico, un osso allungato, che si inserisce tra lo stesso iomandibolare e il quadrato. Il complesso opercolare è piuttosto ben conservato. L’opercolo è grande e di forma tendenzialmente quadrangolare, ornamentato da profonde striature. Centralmente all’opercolo si osserva il subopercolo. Anteriormente all’opercolo si colloca il preopercolo, un osso ampio e falciforme, costituito da due processi, uno ascendente, più sviluppato, che si restringe progressivamente verso il margine dorsale, l’altro orizzontale, più corto, che appare troncato alla sua terminazione anteriore. Al di sotto del preopercolo si osserva l’interopercolo, un osso relativamente grande e allungato. Il margine ventrale è rettilineo, mentre quello dorsale presenta una concavità rivolta verso l’alto, ed un solco in prossimità del margine posteriore, nel quale si inserisce l’interiale.

Il cleitro, stretto e ricurvo, delimita il margine posteriore del complesso opercolare. Si tratta di un osso stretto e allungato, il cui margine anteriore, concavo per gran parte della sua lunghezza, diviene convesso nella porzione inferiore, dove sviluppa una proiezione ricurva, alla base della quale si inserisce il coracoide. Il coracoide è massivo con un profilo ventrale lineare. Il sopracleitro è parzialmente preservato. La pinna pettorale, di piccole dimensioni, è costituita da circa 13 raggi.

Per quanto, come precedentemente detto, l’esemplare risulti mancante di gran parte della regione addominale e caudale, è possibile riconoscere otto vertebre addominali e otto vertebre caudali.

I centri delle vertebre addominali e caudali sostengono dorsalmente un arco neurale formato da due proiezioni laterali (neuroapofisi) che distalmente si uniscono a formare la spina neurale. Simili archi si sviluppano centralmente solo nelle vertebre caudali dove, le due proiezioni ventrali del centro (emapofisi) si uniscono a formare la spina emale. Nella regione addominale le spine emali sono assenti e le emapofisi sono rimpiazzate dalle parapofisi, strutture di ossificazione laterali del centro, sulle quali si articolano le coste. Lungo la colonnna vertebrale è possibile osservare numerose ossa intermuscolari (epineurali ed epipleurali). Si tratta di elementi ossei a forma di bacchetta allungata che si posizionano in prossimità della regione posteriore di ogni singola vertebra.

La pinna caudale, sostenuta da un peduncolo stretto e corto, è tipicamente biforcata. L’apparato caudale è fortemente riconducile a quello dei clupeidi, caratterizzati da sei ipurali e

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tre epurali. Della pinna anale, della quale è conservata solo la porzione posteriore, si riconoscono 15 raggi e 8 pterigiofori.

Discussione tassonomica

Nonostante l’incompletezza, le caratteristiche descritte consentono di poter collocare l’esemplare all’interno della famiglia Clupeidae, e, in particolare, all’interno del genere Sardina. In generale, la classificazione dei clupeidi risulta estremamente problematica a causa della scarsa definizione dei caratteri diagnostici. Secondo Grande (1985), uno dei caratteri diagnostici dei membri della famiglia Clupeidae è la presenza di due postcleitri a forma di bacchetta. Come evidente nella descrizione, questa caratteristica non è preservata nell’esemplare a causa del cattivo stato di conservazione., tuttavia, la generale morfologia osservata della porzione caudale è fortemente consistente con quella di molti altri membri della famiglia Clupeidae. La classificazione del fossile a livello di genere è piuttosto difficile. Secondo Nelson (1967), gran parte della differenziazione dei clupeidi è associata alle variazioni morfologiche degli archi branchiali, relative ad adattamenti alimentari. Ad ogni modo l’esemplare possiede una combinazione di caratteristiche che giustificano il suo collocamento all’interno del genere Sardina: epicentrali fuse con la terminazione prossimale delle coste pleurali anteriori (Patterson & Johnson, 1995), due raggi terminali allungati (Svetovidov, 1952; Whitehead, 1985) e un opercolo con spesse strie quasi verticali (Hubbs, 1929; Whitehead, 1985). Sfortunatamente, la frammentarietà dell’esemplare non permette una più completa analisi tassonomica, per la quale è necessaria almeno l’osservazione di alcuni dei caratteri meristici più importanti (numero delle ossa pettorali, numero delle coste pleurali, numero di vertebre, numero degli pterigiofori della pinna dorsale e numero degli pterigiofori costituenti la pinna anale).

Ordine CYPRINODONTIFORMES (sensu Parenti, 1981) Famiglia CYPRINODONTIDAE Agassiz, 1834

Genere Aphanius Nardo, 1827

Aphanius crassicaudus (Agassiz, 1832)

Aphanius crassicaudus (figura) è un pesce di taglia medio-piccola con una lunghezza totale che in genere non supera i 60 mm. La lunghezza della testa rappresenta mediamente circa il 30% della lunghezza standard (lunghezza della testa e del corpo, senza la coda, misurata dall’estremità anteriore dell’animale al bordo posteriore degli ipurali), mentre l’altezza

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massima del corpo raggiunge mediamente il 20-25% della stessa. Il corpo è tozzo e solitamente caratterizzato da un addome arrotondato.

Il cranio di Aphanius crassicaudus è costituito nella sua parte anteriore dai nasali, ossa dalla forma all’incirca quadrangolare che si posizionano dorsalmente al processo ascendente del premascellare, ed anteriormente ai frontali. I frontali sono elementi assai ben sviluppati, con la lunghezza tendenzialmente circa due volte superiore alla larghezza; il loro anteriore risulta troncato perpendicolarmente al piano sagittale, mentre il margine laterale è ispessito a formare una sorta di tettoia sopraorbitaria. Sulla superficie dorsale dei frontali si distinguono le tracce dei canali sopraorbitari; lateralmente, in posizione postero-ventrale, si articolano due elementi ossei, lo dermosfenotico e lo pterotico, sulla cui superficie esterna avviene la connessione del neurocranio con l’iomandibolare. In vista dorsale, i margini posteriori dei frontali disegnano insieme una concavità rivolta verso la porzione posteriore; tale concavità è destinata a ricevere il margine anteriore del supraoccipitale. I frontali si articolano anteriormente con il mesetmoide e con gli etmoidi laterali. L’orbita è generalmente piuttosto grande con un diametro che rappresenta mediamente circa il 10% della lunghezza standard, ed è attraversata orizzontalmente dal parasfenoide che connette il basioccipitale, l’elemento più distale del neurocranio, con il vomere. Il vomere è privo di denti e nella sua porzione antero-dorsale si articola con il mesetmoide. L’orbita è delimitata anteriormente dal “lacrimale”, un osso che rappresenta il primo e unico elemento della serie infraorbitale. Di forma quasi trapezoidale, il “lacrimale” ricopre parzialmente la regione anteriore del suspensorium e quella posteriore della mascella superiore.

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Figura xx: Ricostruzione generale della testa di Aphanius crasicaudus. aa: angolo articolare; cl; cleitro; co:

coracoide; den: dentale; end: endopterigoide; fr: frontale; hym: iomandibolare; iorb1: lacrimale; iop:

interopercolo; mx: mascellare; na: nasale; op: opercolo; pmx: premascellare; psph: parasfenoide; pt: pterotico; ptt: post-temporale; pop: preopercolo; q: quadrato; ra: radiali; soc: canale sopraorbitale; sph: dermosfenotico; socc: sopraoccipitale; sca: scapola; sop: subopercolo; sym: simplettico (da Gaudant 1979, modificato)

Il sopraoccipitale costituisce la porzione più elevata del neurocranio. Quest’osso è costituito da un margine anteriore regolarmente arrotondato, quasi semicircolare, e da due porzioni laterali, ribassate a costituire delle “ali” sulle quali si articolano posteriormente i frontali; nella metà posteriore, si osserva un restringimento seguito da uno stretto processo.

I premascellari sono ossa tendenzialmente ben sviluppate che occupano l’intero bordo superiore della cavità orale. Il margine anteriore del premascellare presenta un processo ascendente di dimensione modesta. Quest’osso ha, nel complesso, forma arcuata, con il margine convesso rivolto posteriormente, ed è caratterizzato, nella sua porzione posteriore da un piegamento a forma di S. Sui premascellari, in posizione anteriore, si osserva una singola fila di denti tricuspidali.

Postero-dorsalmente ai premascellari, si inseriscono i mascellari. Queste ossa presentano, anteriormente, ampie espansioni ossee che si vanno ad inserire subito dietro i processi ascendenti dei rispettivi premascellari.

Per quanto riguarda la mandibola, questa risulta essere costituita dal dentale, un osso generalmente corto ma piuttosto robusto e caratterizzato da uno sperone principalmente

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postero-ventrale. Lungo il margine dorsale di quest’osso è possibile osservare una fila di denti tricuspidali del tutto simili a quelli precedentemente descritti per il premascellare.

La regione opercolare è costituita da quattro ossa: il preopercolo e l’interopercolo che, insieme al suspensorium, delimitano la regione posteriore e ventrale dell’orbita; l’opercolo e il subopercolo rappresentano invece gli elementi più arretrati del capo.

La cintura pettorale, leggermente più arretrata rispetto alle ossa opercolari e in posizione più ventrale che dorsale, è solitamente assai larga e robusta. L’endoscheletro della cintura pettorale comprende il cleitro, il post-cleitro, la scapola, un osso grossolanamente quadrangolare, e il coracoide; quest’ultimo ha una base molto ampia caratterizzata da un processo inferiore ben sviluppato. L’altezza del coracoide tende a ridursi progressivamente verso la porzione posteriore.Al di là del margine posteriore della scapola e del coracoide si collocano quattro radiali di forma trapezoidale che sorreggono i sottili raggi lepidotrichi della pinna pettorale. Questa si inserisce in prossimità del bordo ventrale dell’animale.

Le pinne pelviche si inseriscono un poco più avanti della dorsale ad una distanza dall’apice che rappresenta mediamente circa il 50% della lunghezza standard. Una singola pinna è costituita da sottili raggi sostenuti da un basipterigyum di forma sub-triangolare.

La colonna vertebrale è costituita da vertebre addominali con centri più o meno cilindrici, delle quali poco meno della metà corrispondono alla regione addominale, mentre le restanti definiscono quella caudale; le coste, piuttosto lunghe raggiungono solitamente quasi il bordo ventrale della cavità addominale. Le vertebre caudali hanno tendenzialmente una sezione quasi quadrangolare e sostengono apofisi neurali ed emali piuttosto lunghe e fusiformi. La loro lunghezza si riduce progressivamente verso la parte posteriore. Esternamente la pinna caudale ha una forma tipicamente troncata alla sua estremità ed è sostenuta da un peduncolo caudale corto e tozzo.

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Figura xx: Rappresentazione dello scheletro caudale assiale di un individuo pachiostotico. Ep: epurale; hyp:

placca ipurale; phy: paripurale; pu1+ u1: complesso uroterminale (da Gaudant, 1979, modificato)

Il principale elemento di supporto della pinna è rappresentato dalla placca ipurale. Si tratta di un osso quasi triangolare formato dalla fusione completa di cinque ipurali, il cui margine posteriore è arrotondato. Nella parte anteriore la placca è fusa con il complesso uro-terminale. La pinna dorsale si colloca ad una distanza antero-dorsale che mediamente rappresenta circa il 60% della lunghezza standard. È costituita generalmente da 9-11 raggi lepidotrichi di cui i primi due sono brevi, il terzo, il più lungo della serie, è articolato, mentre i restanti raggi sono articolati e biforcati distalmente. La lunghezza dei raggi decresce progressivamente verso la regione posteriore. L’endoscheletro della pinna caudale è costituito mediamente da una dozzina di pterigiofori le cui estremità prossimali si intercalano tra le neuroapofisi.

La pinna anale occupa una posizione più arretrata dal momento che si inserisce approssimativamente a livello della verticale passante dalla base dei raggi posteriori della pinna dorsale. La pinna anale è costituita generalmente da 9-11 lepidotrichi. Il primo raggio è breve, il secondo più lungo e articolato, i restanti raggi sono articolati e biforcati, con una lunghezza che diminuisce progressivamente verso la regione posteriore.

Le scaglie, solitamente cicloidi, subiscono spesso anch’esse il fenomeno della pachiostosi; quando pachiostotiche, sono di grande taglia e notevolmente ispessite, come nel caso di quelle osservate in questo contesto.

Discussione tassonomica

L’analisi dei principali caratteri osteologici, degli esemplari meglio conservati, ha consentito una prima collocazione all’interno della superfamiglia Cyprinodontoidea. Questo gruppo, tra i

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diversi caratteri derivati, si distingue nel presentare una pinna caudale tipicamente arrotondata e troncata alla sua estremità distale, sostenuta internamente da uno scheletro caudale simmetrico al quale si aggiunge la presenza del cosiddetto “fan-ipurale” (sensu Rosen, 1964), caratteristico di alcuni generi monofiletici di questa superfamiglia, dato dalla fusione delle placche ipurali del complesso uroforo. La presenza di una pinna caudale simmetrica è un carattere di questo gruppo unico tra i teleostei. Una ulteriore conferma dell’appartenenza dei fossili a questa superfamiglia è la configurazione del cinto pettorale caratterizzato tipicamente da un primo post-cleitro ampio e di forma più o meno arrotondata e per la posizione lowset delle pinne pettorali, corrispondente a radiali situati centralmente piuttosto che dorsalmente. L’assenza dell’ipoiale dorsale (per l’arco ioideo), dell’ectopterigoide e del metapterigoide (per il suspensorium), il tipico premascellare ripiegato ad “S” nella porzione postero-ventrale, la particolare conformazione del palatino, ampio centralmente in parziale sovrapposizione del quadrato e caratterizzato nella sua porzione distale da una proiezione a forma di “T”, rappresentano tutti elementi tipici del gruppo dei Cyprinodontoidi (sensu Parenti, 1981). Un ulteriore carattere permette di distinguere la sottofamiglia Cyprinodontinae, cioè la presenza di un dentale assai robusto e caratterizzato da uno “sperone”, una proiezione ossea della sua regione postero-ventrale.Per l’insieme delle loro caratteristiche osteologiche, i Cyprinodontinae rinvenuti nei depositi tardo messiniano di cava Marmolaio possono essere rapportati alla specie Aphanius crassicaudus (Agassiz) (Gaudant, 1979).

Figura xx: Aphanius crassicaudus. Ricostruzione generale di un esemplare affetto da pachiostosi (da Gaudant,

1979)

Ordine PERCIFORMES (sensu Johnson & Patterson, 1953) Famiglia GOBIIDAE Bonaparte, 1832

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L’esemplare risulta incompleto e scarsamente preservato, poiché mancante della gran parte dello scheletro assiale e di parte della porzione del cranio. In quest’ultima si osserva la dislocazione dalla loro posizione originaria di alcuni elementi ossei notevolmente fratturati. La porzione postero-ventrale del neurocranio è solo parzialmente esposta. Il basioccipitale rappresenta l’elemento più posteriore dell’intero neurocranio; quest’osso ha un aspetto notevolmente massivo, con margini laterali debolmente concavi. Il parasfenoide, che rappresenta la base del neurocranio, è un osso piuttosto ampio medialmente e posteriormente, di forma pressoché simile ad un diamante, e si articola al basioccipitale sovrapponendosi a questo all’incirca a metà del suo settore anteriore. Nel parasfenoide è visibile una profonda rientranza a forma di “V” all’interno della quale si inserisce lo stretto processo posteriore del vomere. Alcuni frammenti degli intercalari e degli pterotici risultano parzialmente preservati. A causa della frammentazione dell’esemplare, risulta difficile distinguere i raggi branchiostegi della parte destra, le ossa della mandibola, il suspensorium, la serie opercolare, la barra ioidea e gli archi branchiali.

La colonna vertebrale è costituita da 11 vertebre addominali e da quattro vertebre caudali. I centri vertebrali sono massivi e rettangolari e largamente scolpiti; le spine emali risultano fortemente allungate e appuntite antero-posteriormente. Le coste pleurali appaiono fortemente ispessite ed apparentemente iperostotiche, e si articolano con il parapofisi a partire dalla terza vertebra addominale.

Sono visibili due distinte pinne dorsali. La prima è costituita da sei sottili spine, mentre la seconda consta di una singola spina e sette raggi. I raggi della pinna dorsale sono supportati da pterigiofori trisegmentati.

La pinna assiale è estremamente incompleta, ed è rappresentata da tre pterigiofori anteriori; i primi due si inseriscono anteriormente alla terza spina emale.

Il cleitro, un osso robusto e sigmoide, dorsalmente biforcato, è ben esposto e costituisce l’elemento principale della cintura pettorale. Il basipterygium è allungato posteriormente. La pinna pelvica è caratterizzata da una spina e quattro raggi.

Le scaglie, tipicamente cicloidi e sub-rettangolare, risultano in buona parte preservate.

Discussione tassonomica

L’incompletezza delle strutture scheletriche, dovuta alla marcata frammentazione e disarticolazione dell’esemplare, rende difficile il suo inserimento a livello generico all’interno della famiglia dei Gobidae, la descrizione della quale si basa sulle caratteristiche

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comunemente usate per la classificazione dei membri di questa famiglia (Harrison, 1988; Springer, 1983; Miller, 1973; Birdsong et al., 1988; Birdsong, 1975).

In particolare la presenza di due pterigiofori della pinna anale anteriormente alla prima spina emale risulta tipica della sottofamiglia Gobinae (si veda Pezold, 1993). Secondo Miller (1977) tutti i gobidi attuali del Mediterraneo orientale appartengono a questa sottofamiglia. La generale fisionomia del fossile analizzato è riconducibile a quella di alcuni gobidi messiniani ben preservati dell’Italia. In particolare, l’esemplare analizzato mostra una notevole affinità, per quel che riguarda la morfologia vertebrale , con la specie “Gobius ignotus” (vedi Gaudant , 1981), dalla quale però si distingue per la presenza di scaglie cicloidi piuttosto che ctenoidi.

7.5 Interpretazione paleoambientale e paleoecologica

Sulla base del contenuto micro e macro-faunistico riscontrato nei livelli di argilla è possibile ricostruire, in linea generale, l’ambiente deposizionale che ha caratterizzato la sedimentazione della successione gessifera messiniana di cava Marmolaio.

È noto che il Messiniano può essere suddiviso in tre momenti o fasi, in relazione all’intervallo caratterizzato dalla precipitazione delle evaporiti: 1) pre-evaporitico, prevalentemente marino, con grande sviluppo di facies euxiniche; 2) evaporitico in senso stretto, con deposizione di evaporiti marine; 3) post-evaporitico, caratterizzato da depositi continentali (“Lago-Mare”) all’interno dei quali localmente si possono sviluppare altre evaporiti non marine.

Come già discusso nei paragrafi precedenti, la fase “Lago-Mare” è comunemente inquadrata come un periodo della storia neogenica del Mediterraneo caratterizzata dal largo sviluppo di bacini endoreici ipoalini-salmastri, che potevano essere soggetti a periodiche incursioni marine legate a temporanee variazioni glacio-eustatiche, che avrebbero ripristinato, seppur per brevi periodi, le condizioni marine (Iaccarino & Bossio, 1999; Iaccarino et al., 1999; Spezzaferri et al., 1998).

In tutti i livelli di argilla affioranti, è stata riscontrata la presenza di numerosi ostracodi e foraminiferi, tra i quali sono risultati numerosi quelli appartenenti ai generi Loxoconcha, Amnicythere, Euxinocythere, Zalanyella, Cyprideis tra gli ostracodi, e Ammonia, Elphidium, Nonion tra i foraminiferi. Tali associazioni risultano tutte appartenenti alla biofacies “Lago-Mare” (Colalongo, 1964; Decima & Sprovieri, 1973; Gliozzi, 1999; Iaccarino & Bossio, 1999; Bonaduce & Sgarella, 1999; Gliozzi et al., 2002; Faranda et al., 2007). I depositi di cava Marmolaio possono perciò essere facilmente attribuiti alla fase post-evaporitica di

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“Lago-Mare”, in particolare per la presenza nella porzione superiore della successione, del ‘marker’ biostratigrafico Loxocorniculina djafarovi (Sarti, 1995).

La presenza di taxa significativamente numerosi, per i quali si può verosimilmente escludere il rimaneggiamento visto e considerato il buono stato di conservazione, sin dai livelli inferiori dell’affioramento permette di fare alcune considerazioni.

La successione gessifera di cava Marmolaio, in base al numero di cicli riconosciuti e al carattere chiaramente diagenetico delle facies gessose presenti, è attribuibile alle Evaporiti Superiori,come precedentemente affermato, rappresentanti la fase post-evaporitica messiniana (Testa & Lugli, 1993).

La deposizione delle Evaporiti Superiori affioranti in gran parte del bacino Mediterraneo è solitamente associata ad un ambiente di laguna di acque basse iperaline tipo-sabkha, come conseguenza della chiusura delle comunicazioni tra Atlantico e Mediterraneo (Decima & Wezel, 1971). In un simile contesto deposizionale, la presenza di taxa all’interno dei livelli argillosi tipicamente interposti ai livelli gessiferi è scarsamente documentata, in special modo nei livelli inferiori delle successioni. Le associazioni più frequentemente rinvenute nelle porzioni inferiori delle Evaporiti Superiori sono spesso monospecifiche, e caratterizzate dalla sola presenza o quasi di Cyprideis, un ostracode tipicamente eurialino, mentre una modesta diversità specifica è documentata soltanto nelle porzioni superiori (Colalongo, 1967; Decima & Sprovieri, 1977; Bonaduce & Sgarella, 1999; Iaccarino & Bossio,1999).

Nel primo livello di argilla a partire dal basso della sezione, oltre a Cyprideis, sono stati riconosciuti ostracodi e foraminiferi tipicamente di acque salmastre o lagunari (Loxoconcha,, Callistocythere, Quinqueloculina, Cribroelphidium); in base alla loro presenza è verosimilmente da escludere l’ipotesi di un ambiente iperalino di acque molto basse, dove fosse consentita la vita soltanto a quelle specie capaci di tollerare una salinità con fluttuazioni dal 50% al 70% (Bonaduce & Sgarella, 1999).

Il dato più significativo per una rivalutazione dell’ambiente deposizionale delle Evaporiti Superiori è dato dalla presenza, mai prima d’ora documentata, di briozoi appartenenti al genere Crisia a partire dal primo livello argilloso analizzato. Questi si ritrovano anche nei due livelli soprastanti il primo.

Le colonie di Crisia sono costituite da internodi lunghi e rigidi, separati tra loro da gunti chitinosi flessibili. Alla morte dell’organismo,i vari segmenti zoariali possono essere disarticolati e dispersi su vaste aree ad opera di correnti di fondo (Lagaaij & Gautier, 1965). Non si può perciò escludere rimaneggiamenti faunistici di lieve entità; tuttavia la presenza di resti di Crisia in tre dei livelli argillosi affioranti e il loro ottimo stato di conservazione dà abbastanza credito all’ipotesi di faune in posto.

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La presenza di briozoi appartenenti al genere Crisia è stata fino ad oggi documentata soltanto negli shales euxinici pre-evaporitici del Messiniano della Romagna Occidentale (Marabini & Poluzzi, 1977); il loro ritrovamento all’interno di tali depositi ha messo in discussione il classico ambiente deposizionale degli shales, considerato essenzialmente stagnante ed anaerobico. I briozoi infatti necessitano di un ambiente con un ricambio idrico sufficientemente attivo da assicurare l’ossigenazione e il nutrimento delle colonie stesse, e sono tipicamente considerati organismi di acque marine a salinità normale.

Sulla base di quanto precedentemente affermato, ovvero della necessità di ridiscutere l’ambiente deposizionale che ha caratterizzato la sedimentazione della fase post-evaporitica messiniana, relativamente anche all’evento di “Lago-Mare”, il ritrovamento di briozoi appartenenti al genere Crisia rappresenta un dato nuovo e denso di significato. Uno studio di Winston (1977) condotto su numerose specie di briozoi di varie latitudini, ha mostrato che alcune specie appartenenti al genere Crisia sono capaci di tollerare diminuzioni di salinità di lieve entità. Non si può ammettere ovviamente la presenza di condizioni marine normali durante la deposizione delle facies gessose; tuttavia si può verosimilmente negare la presenza di condizioni iperaline o salmastro-dulcicole.

I resti di faune ittiche rinvenuti in tre dei livelli argillosi della sezione studiata offrono un ulteriore spunto di riflessione, che va di pari passo con quanto finora asserito, e permettono inoltre di fare ulteriori considerazioni riguardo il contesto deposizionale comunemente associato con la sedimentazione della nota fase “Lago-Mare”.

Il maggior numero di esemplari ritrovati appartiene alla specie Aphanius crassicaudus, il taxon maggiormente rappresentato negli ambienti lagunari a salinità variabile che sostituirono totalmente o quasi i biotopi marini presenti sui margini del bacino Mediterraneo. Nei depositi di cava Marmolaio i resti di Aphanius rinvenuti appaiono fortemente iperostotici, segno evidente questo di un riadattamento della specie a condizioni di salinità elevata. Oltre ad Aphanius crassicaudus sono stati rinvenuti in un livello di argilla un esemplare di Sardina sp., un esemplare appartenente alla sottofamiglia Gobiinae, e un otolite di un Gobiidae. In particolare, queste tre forme, ecologicamente classificate come estuarini migratori, che necessitano della presenza di un collegamento con il mare aperto per svolgere le proprie funzioni vitali, permettono di ipotizzare la continua persistenza di un bacino a salinità normale in prossimità dell’ambiente deposizionale per tutta la durata della sedimentazione. L’analisi stratigrafica della sezione affiorante a Cava Marmolaio, integrata con l’analisi micro e macropaleontologica, consente di ricavare un inquadramento piuttosto esaustivo dell’evoluzione paleoambientale verificatasi in tale bacino nella porzione terminale del Messiniano. L’ analisi micropaleontologica effettuata in tutti i livelli di argilla ha rilevato la

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persistenza, durante la deposizione delle facies gessose, di generali condizioni salmastre, vista la costante presenza di ostracodi tipici della fase post-evaporitica messiniana, alla quale sono sempre state associate condizioni dulcicole-salmastre. Il significativo ritrovamento di briozoi appartenenti al genere Crisia in tre dei livelli argillosi affioranti, la cui presenza fino ad oggi non è mai stata documentata nei depositi post-evaporitici tardo messiniani, obbliga, per quanto non sia possibile escludere del tutto un lieve rimaneggiamento degli stessi, ad ammettere la presenza di collegamenti con un bacino marino, prossimo all’ambiente di sedimentazione registrato in questa sezione. La presenza, oltre ad Aphanius crassicaudus, di taxa marini (Sardina sp., Gobiinae, Gobiidae), fortifica ulteriormente l’ipotesi finora sostenuta.

I dati analizzati in questa sede forniscono un nuovo tipo di approccio e un nuovo contributo al dibattito molto acceso in merito alle condizioni ambientali presenti nella porzione terminale del Messiniano. Alla luce di quanto emerso in questo lavoro si può affermare che le condizioni chimico fisiche delle masse d’acqua non siano precisamente quelle sino ad oggi ipotizzate. Infatti, la presenza dei briozoi e degli esemplari ittici come quelli rinvenuti, necessariamente implica la presenza di un bacino a condizioni marine normali in prossimità del luogo di sedimentazione. Ciò consente di supporre che per tutta la durata del Messiniano, o almeno per tutta la parte esposta presso Cava Marmolaio, in corrispondenza dell’evento “Lago-Mare”, persistettero condizioni marine nel Mediterraneo, e che la trasgressione marina precedette il limite Mio-Pliocene.

Figura

Figura  xx:  Carta  della  disposizione  dei  giacimenti  neogenici  di  pesci  fossili  sottoforma  di  scheletri  in
Figura  xx: Ricostruzione generale della testa di Aphanius crasicaudus. aa:  angolo  articolare;  cl; cleitro; co:
Figura xx: Rappresentazione dello scheletro caudale assiale   di un individuo  pachiostotico
Figura xx: Aphanius crassicaudus. Ricostruzione generale di un esemplare affetto da pachiostosi (da Gaudant,

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