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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA
Facoltà di Economia
CdL Magistrale in Marketing e Ricerche di
Mercato
Tesi di Laurea
Felicità e consumo: come la tipologia di bene
e la modalità di acquisizione generano
piacere nel consumatore
Relatore
Prof. Matteo Corciolani
Candidato
Andrea Cominotto
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Ai miei genitori, con immensa gratitudine
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Indice
1. Introduzione
2. Dissertazione teorica
2.1 Diverse tipologie di beni: materiali e esperienziali 2.2 Modelli di consumo 2.3 Psicologia positiva 2.4 Consumo e felicità 2.5 Rituali di acquisizione 2.6 Regalo 2.7 Condivisione
2.8 Condivisione e extended self 2.9 Considerazioni
3. Metodo
3.1 Esperimento oggetto della tesi 4. Analisi dei risultati
4.1 Comparazione delle medie
4.2 T-test: campioni dipendenti 4.3 T-test: campioni indipendenti
4.4 Modello Generale Linearizzato: campioni appaiati 4.5 Il nostro Modello Generale Linearizzato
4.6 Analisi con le covariate 5 Considerazioni finali
5.1 Sintesi dei risultati e implicazioni teoriche
5.2 Implicazioni di marketing 5.3 Limiti alla ricerca
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CAPITOLO 1
Introduzione
Il presente lavoro ha lo scopo di indagare l’esistenza di eventuali relazioni esistenti tra tipologie di beni, rituali di acquisizione dei beni e felicità. Le tipologie di beni messe a
confronto sono esperienziali e materiali, i rituali osservati sono acquisto, regalo e condivisione. Ciò che ci interessa è valutare se la felicità rilevata risulta affetta dal variare della tipologia di beni e se lo risulta dal variare del rituale. Questi ultimi due elementi rappresentano le variabili indipendenti della nostra ricerca, mentre la felicità
rappresenta la variabile dipendente.
La prima parte della ricerca è rappresentata da una dissertazione teorica. Verranno illustrati gli studi e le teorie che fungono da fondamenta per la comprensione dell’esperimento. La letteratura è stata ricavata principalmente dal Journal of Consumer Psychology, rivista specializzata nella comprensione della psicologia dello studio del consumatore. Nel capitolo successivo viene illustrata la metodologia della
ricerca. La teoria relativa al metodo di raccolta dei dati è stata ricavata da “Metodologia e tecniche della ricerca sociale”, Corbetta (1999). Ruolo centrale nel
nostro esperimento è ricoperto dal questionario, redatto in via elettronica e sottoposto ai rispondenti per mezzo del sito surveymonkey.com. Attraverso i punteggi assegnati alle domande siamo riusciti a creare un database di 78 questionari completi, sui quali abbiamo svolto analisi statistiche per mezzo del programma SPSS statistics. Abbiamo svolto due tipi di indagine: comparazione delle medie attraverso dei T-test e
redazione di un Modello Generale Linearizzato. Il capitolo seguente è dedicato all’analisi dei risultati, spiegati attraverso le tabelle output fornite dal software. Le istruzioni su come utilizzare SPSS sono state ricavate da “Discovering statistic using SPSS”, Field (2009). L’ultimo capitolo è infine dedicato alla sintesi dei risultati, con le
implicazioni derivanti dal punto di vista teorico e di marketing.
Lo studio è stato di tipo esplorativo in quanto non si trova riscontro nella letteratura di esperimenti relativi alle variazioni della felicità rapportate ai rituali di consumo. Per
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questo alcuni dei risultati ottenuti non hanno una spiegazione ben precisa, ma il fatto che esistano determinate relazioni significative rende possibile l’idea di compiere studi
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CAPITOLO 2
Dissertazione teorica
Quale è la natura della distinzione tra consumi materiali ed esperienziali? Questa non è così netta come potrebbe essere quella tra composti organici ed inorganici, e rappresenta il dilemma centrale di numerosi dibattiti. Uno dei principali problemi riguarda come questa distinzione sia percepita dai rispondenti, dai soggetti intervistati, o più in generale dai non addetti ai lavori. La prima letteratura sull’argomento illustra che tale caratterizzazione deve essere chiarificata, soprattutto perché questa può influire enormemente sulle risposte dei soggetti intervistati. Lo studio relativo alle diverse tipologie di consumi non è nuovo, ma soltanto a partire dagli anni 2000, con l’avvento della psicologia positiva, questo tipo di studi si lega a quello relativo alla felicità, al benessere ed alla qualità della vita.
Gli studiosi dai quali maggiormente abbiamo attinto per l’analisi della letteratura sono Van Boven & Gilovich (VBG); Gilovich, Kumar & Jampol (GKJ); Dunn & Weidman (DW); Schmitt, Brakus & Zarantonello (SBZ).
2.1 Differenti tipologie di beni: materiali e esperienziali
Definizioni, Van Boven e Gilovich
VBG elaborano nel 2003 le prime definizioni di consumi materiali e consumi esperienziali. Definiscono i consumi materiali come “spending money with the primary
intention of acquiring a material possession – a tangible object that you obtain and keep in your possession” e quelli esperienziali come “spending money with the primary intention of acquiring a life experience — an event or series of events that you personally encounter or live through”.
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Nonostante tali definizioni, il confine lungo il quale un acquisto può essere interpretato come materiale o come esperienziale è piuttosto labile. Basti pensare ad un libro: per qualcuno può essere un’interessante lettura, da vivere pagina dopo pagina e durante la quale emozionarsi; ma quello stesso libro, magari dalla copertina in pelle e dalla pregiata rilegatura, può essere inteso come parte dell’arredamento del nostro salotto, in bella vista sulla libreria.
Le definizioni elaborate da VBG sono state oggetto di critiche da parte di DW, nonché da SBZ. Tali critiche sono enormemente costruttive, sia perché permettono lo sviluppo di teorie alternative in un campo poco esplorato, sia perché si tratta di una questione centrale nella materia dei consumi.
Dunn & Weidmann
DW considerano le due categorie come confuse tra loro, fra le quali non esiste una distinzione netta, e suggeriscono di “embrace the fuzziness”, di accettare cioè tale indistinguibilità e svolgere la futura ricerca di conseguenza. Giustificano questa confusione sostenendo che l’utilizzo di una distinzione teorizzata da studi approfonditi della materia possa risultare di difficile comprensione per i soggetti verso cui i questionari sono indirizzati. Sono preoccupati dal fatto che la ricerca si dovrebbe occupare di “talk to humans”, evitando quindi di utilizzare una terminologia che renda l’argomento di difficile comprensione. Tuttavia questa incertezza non deve limitare la ricerca, ma deve essere assecondata per ottenere ulteriori ed interessanti risultati. DW ritengono infatti che una scienza della spesa, materia ancora largamente inesplorata che tenta di esplicare i processi secondo cui i consumatori allocano le proprie risorse monetarie per ottenere il massimo benessere, sia un qualcosa di estremamente complesso. Per favorirne l’implementazione suggeriscono a studiosi e studenti interessati alla materia di partire dall’analisi di fenomeni semplici; negli anni, aggregando i risultati esperimento dopo esperimento, sarà possibile ottenere la spiegazione di numerosi dei meccanismi causali che contribuiscono alla formazione delle scelte di spesa.
8 Schmitt, Brakus & Zarantonello
SBZ, dalla parte loro, hanno una visione molto differente dagli studiosi precedenti: sostengono che la distinzione tra consumi materiali ed esperienziali sia figlia di una falsa dicotomia. A differenza dei beni, le esperienze non possono essere acquistate. Quando il consumatore si imbatte in quello che viene chiamato “acquisto esperienziale”, non acquista realmente un’esperienza; l’esperienza è la conseguenza che può verificarsi dopo l’acquisto, come parte di un processo psicologico interno ed auto-generato dal soggetto. Quando acquistiamo una cena al ristorante, non paghiamo per l’esperienza in sé, piuttosto per il cibo, le bibite ed il servizio offerto dal ristoratore, e al massimo per una piacevole atmosfera. Ma il fatto che siamo dolcemente accompagnati, che stiamo parlando di affari durante una cena di lavoro o che stiamo goliardicamente spendendo del tempo con i nostri amici, non è parte integrante dell’acquisto. Per quanto sia estremamente legittimo studiare i processi psicologici che vengono invocati durante l’acquisto di beni materiali ed esperienziali, non è quindi possibile farlo contrapponendo queste tipologie di consumi. In altre parole, beni materiali ed esperienziali non sono gli estremi dello stesso continuum. Non solo, SBZ sostengono che non sia stato dato abbastanza valore alla fondamentale categoria dei “prodotti esperienziali”, quasi totalmente ignorata nella ricerca empirica pregressa. Ciò non è esatto, in quanto anche Gilovich e colleghi hanno ipotizzato l’esistenza di una categoria ambigua, intermedia tra consumi materiali ed esperienziali, all’interno della quale vengono riconosciuti beni definiti come “acquisti che sono sia innegabilmente un bene materiale, sia qualcosa che funziona come un veicolo per le esperienze”, ma certamente non gli attribuiscono la stessa importanza.
Gilovich, Kumar & Jampol - replica
A fronte di questi commenti ed ipotesi, GKJ tentano di offrire alcune chiarificazioni. DW sostengono la quasi indistinguibilità tra le varie categorie di consumo, la quale andrebbe assecondata per garantire la comprensione da parte dei rispondenti; GKJ si discostano però da questo approccio, sostenendo che la distinzione tra acquisti materiali
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ed esperienziali sia già facilmente compresa, comprovata da numerosi studi, ed offra addirittura risultati significativi, i quali saranno illustrati di seguito.
SBZ negano invece la possibilità che le esperienze vengano vendute sul mercato, e possano quindi essere acquistate. GKJ argomentano con degli esempi pratici estrapolati da indagini svolte: se chiedo ad una persona che acquista i biglietti per una visita di Piazza san Pietro a Roma quale è il fine per cui ha speso tali soldi, mi sentirò rispondere “Per vedere il Papa” e non “Per un posto sul treno fino a Roma”. Sebbene sia possibile raggiungere Piazza San Pietro senza spendere soldi, la stragrande maggioranza delle persone non agisce così, piuttosto paga.
2.2 Modelli di consumo
Analizziamo quali sono gli elementi che, a partire dalle differenti modalità di consumo, agiscono da mediatori tra l’atto di consumo e il livello di soddisfazione ottenuto. Le interpretazioni che prendiamo in considerazione, elaborate da SBZ e GKJ, sono contrapposte.
GKJ propongono un modello il cui fulcro sta nell’idea che il consumatore possa migliorare il proprio livello di felicità modificando i consumi che opera; più in particolare reindirizzandoli, per quanto possibile, dai beni materiali ai beni esperienziali. Nel loro modello, queste due tipologie di consumi rappresentano gli estremi opposti di un continuum, con il consumatore che si trova di fronte ad una scelta netta quando deve decidere se acquistare l’uno o l’altro bene. Gli autori ritengono, sulla base delle numerose informazioni riportate in precedenza, che il consumatore possa, sostituendo parte dei consumi materiali con quelli esperienziali, tramutare quelli che appaiono essere ostacoli alla propria felicità in una spinta verso quest’ultima. Il passaggio da consumo a benessere avviene, in tale modello, attraverso la mediazione di: “Relazioni sociali”, “Identità” e “Paragoni sociali”, tutte dimensioni di natura psicologica. Il risultato ottenuto con il consumo si traduce, attraverso questi mediatori, nella felicità. Non viene operata, in questo modello, la distinzione tra i due tipi di felicità figlia della psicologia positiva.
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Il modello proposto da SBZ muove i suoi passi da ipotesi ben differenti. Abbiamo detto in precedenza che per questi autori la contrapposizione tra consumi materiali ed esperienziali è figlia di una falsa dicotomia. Invece di un continuum lineare, il loro modello prevede due dimensioni ortogonali: “materialismo” – il valore generato basato sugli aspetti materiali e monetari percepiti dal consumatore - ed “esperienzialismo” – il valore generato basato sugli aspetti esperienziali dell’acquisto. Ogni consumo presenta aspetti di entrambe le dimensioni. Gli elementi che mediano tra il consumo e la felicità sono dunque ben diversi, così come lo è il risultato, suddiviso nelle due differenti forme di felicità, edonica ed eudaimonica.
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2.3 Psicologia positiva
Abbiamo visto nel modello di SBZ che vengono distinti due tipi di Felicità. Vediamo quindi di cosa è frutto questa distinzione, introducendo alcuni dei risultati ottenuti dallo studio del benessere.
Il benessere è oggetto di studio sin dai tempi di Aristotele, ma nell’ambito delle scienze mediche e sociali vi è stata una crescente attenzione soprattutto nell’ultimo decennio. Se fino a pochi anni fa il benessere era indagato attraverso parametri oggettivi quali reddito, salute, condizione sociale ed abitativa, in seguito a studi effettuati nei primi anni del nuovo millennio, l’osservazione si è spostata su concetti ben più relativi. Il benessere è infatti intrepretato differentemente da ogni individuo, in base alle proprie condizioni fisiche, ruolo sociale, caratteristiche psicologiche e stile di interazione con l’ambiente. La necessità è quindi diventata quella di identificare indicatori soggettivi di benessere. Proprio sulla base di questa necessità nel 2000 è nato il multisfaccettato movimento della psicologia positiva. Il fine di questo movimento è l’indagine e lo studio del benessere soggettivo, partendo da due prospettive di base: edonica ed eudemonica. La prima comprende studi volti prevalentemente ad analizzare la dimensione del piacere, inteso come benessere prettamente personale e legato a sensazioni ed emozioni positive (Kahneman, Diener, & Schwarz, 1999); la seconda privilegia l’analisi dei fattori che favoriscono lo sviluppo e la realizzazione delle potenzialità̀ individuali e dell’autentica natura umana (Ryan & Deci, 2001). L’eudemonia comprende non solo la soddisfazione individuale, ma anche un percorso di sviluppo verso l’integrazione con il mondo circostante (Nussbaum & Sen, 1993). Implica un processo di interazione e mutua influenza tra benessere individuale e collettivo, tale per cui la felicità individuale si realizza nell’ambito dello spazio sociale. La branca della psicologia positiva che lega il concetto di benessere a quello dei consumi sostiene che la vita delle persone possa essere arricchita reindirizzando alcune spese da beni che forniscono una gioia fugace (hedonia) a beni che forniscono un contributo sostanziale e duraturo al benessere (eudaimonia).
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Dopo aver inquadrato le numerose e parzialmente discordanti interpretazioni relative alla definizione dei consumi e dopo aver introdotto lo studio del benessere e della felicità attraverso le dimensioni del piacere, illustriamo i risultati scaturiti dai numerosi studi sulle diverse modalità di consumo in relazione alle dimensioni del piacere.
2.4 Consumo e felicità
Rimpianti
I primi ad indagare ed a fornire risultati significativi sulla relazione tra consumi e benessere sono VBG nel 2003. Cominciano chiedendosi se effettivamente l’acquisto ed il consumo abbiano la capacità di rendere le persone più felici. Dai primi esperimenti scaturisce che la felicità è influenzata da cosa e come le persone consumano. Più nello specifico, attraverso indagini successive, emerge chiaramente che i consumi
esperienziali sono in grado di fornire una maggiore felicità rispetto a quelli materiali.
È questa la prima fondamentale ipotesi da cui prendono spunto, sia per studi ulteriori che per critiche, gli studiosi successivi.
Numerosi esperimenti sono stati svolti a partire dal 2003 al fine di indagare in quali forme, sotto quali condizioni ed in che misura i consumi esperienziali contribuiscano al benessere del consumatore. Uno dei campi che vengono esplorati è quello dei rimpianti, i quali possono essere suddivisi in due categorie: d’azione – rimpiangere di aver acquisito qualcosa ed essersene pentiti - e di inazione – rimpiangere di non aver acquisito qualcosa che ci siamo lasciati sfuggire. I risultati evidenziano che le persone tendono ad avere maggiori rimpianti d’azione per consumi materiali piuttosto che esperienziali, ma al contrario hanno più rimpianti di inazione quando si tratta di
esperire piuttosto che possedere (Rosenzweig & Gilovich 2012). Di conseguenza noi
otteniamo disutilità da più beni materiali, mentre ciò non accade con quelli esperienziali. La conclusione a cui giungono Gilovich e colleghi, quantomeno dal punto di vista dei rimpianti più comuni, è che il benessere delle persone può essere incrementato
aumentando giudiziosamente i consumi di esperienze e diminuendo quelli materiali.
13 Capacità umana all’abitudine
Un altro aspetto che viene indagato per offrire argomentazioni a sostegno delle ipotesi che i consumi esperienziali contribuiscano maggiormente al benessere rispetto a quelli materiali è quello relativo alla capacità umana all’abitudine (abituarsi). Quando siamo colpiti da stravolgenti eventi negativi come la morte di una persona cara, il fallimento economico o qualsiasi altro devastante trauma, nonostante il drammatico momento iniziale, tendiamo a trovare un modo per risollevarci e tornare a vivere una vita significativa e gratificante. Si tratta quindi di una capacità molto utile in situazioni di eventi negativi, che ci permette di processarli e di abituarci ad essi. C’è però l’altro lato della medaglia, quando ci imbattiamo in situazioni o eventi positivi. Anche in questo caso, infatti, la capacità di adattamento ci permette di superare l’evento, facendo svanire rapidamente quel brivido che è caratteristico di tali eventi. Per indicare questo lato oscuro dell’adattamento è stato coniato il termine “hedonic treadmill” (Brickman & Campbell 1971): la necessità di ottenere ed acquisire sempre di più al fine di combattere l’adattamento e ricevere quindi sempre lo stesso beneficio edonico. Ad esempio l’acquistare una nuova macchina è un evento che trasmette forti emozioni positive, soprattutto nel periodo immediatamente successivo all’acquisto; queste sensazioni tendono però a svanire nei mesi successivi, così come tende a svanire il tipico odore di macchina nuova. La capacità di adattamento ricopre in questi frangenti il ruolo di nemico, ci spinge a volere di più, o quantomeno qualcosa di diverso, per poter ottenere la stessa gratificazione. Con questo background sono stati svolti numerosi esperimenti volti ad indentificare quanto la capacità di adattamento interagisca con le diverse tipologie di consumi, i cui risultati sono molto interessanti. Emerge che la soddisfazione
nel caso di consumi materiali tende a crollare con maggiore velocità rispetto a quella generata dall’acquisizione di esperienze (Carter & Gilovich 2010; Nicolao, Irwin &
Goodman 2009), più duratura, e che la capacità di abitudine relativa a beni
esperienziali gratificanti è minore rispetto a quando si acquista un bene materiale altrettanto gratificante. Questi risultati, unitamente a quelli citati in precedenza, aprono
la strada alla prospettiva che le esperienze, rispetto ai beni materiali, possano realmente essere un più efficiente carburante per il benessere dei soggetti che le acquisiscono.
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Consumo e relazioni sociali
Un ulteriore campo di indagine, concorrente allo studio delle modalità di consumo in questione, associa acquisti materiali ed esperienziali allo sviluppo e mantenimento delle relazioni sociali. Tale tipo di analisi si intreccia inevitabilmente con studi pregressi su base sociologica, dei cui risultati ci appropriamo per costruire un percorso logico tra gli esperimenti che andiamo ad illustrare. Gli assunti di base, precedentemente dimostrati attraverso studi sperimentali, suggeriscono che gli esseri umani sono creature
altamente sociali (Baumeister & Leary 1995), vivono in gruppi ed ottengono da questo gioia e comfort, e che le relazioni sociali significative contribuiscono enormemente alla felicità globale (Diener & Seligman 2000; Myers 2000).
I risultati dei numerosi studi illustrati di seguito indagano l’interazione tra i consumi e le relazioni sociali che essi possono influenzare e condizionare. È stato dimostrato che
la soddisfazione di base scaturita da un acquisto è mediata da quante volte il soggetto ne parla (Kumar & Gilovich sub. for pub.), che ciò è tendenzialmente più valido per l’acquisizione di esperienze, e che effettivamente le persone spendono più parole, e più volentieri, nel parlare di acquisti esperienziali. Le motivazioni di tali fenomeni non
sono univoche, ed ulteriori ricerche in questa direzione hanno aiutato a fare maggiore chiarezza a riguardo. Gli acquisti esperienziali sono risultati generare maggiore e più
duratura soddisfazione proprio perché ci connettono più profondamente agli altri
(Capriariello & Reys 2003) e sono più sociali (Kumar, Mann & Gilovich in prep.). Inoltre la connessione che si crea con qualcuno che ha compiuto il nostro stesso acquisto esperienziale è davvero forte, e pensare ad una esperienza vissuta ci fa sentire in
generale più vicini e connessi all’umanità (Kumar, Mann, Gilovich prep.). L’aspetto forse
più interessante è che questo senso di connessione sociale tende ad autoalimentarsi: pensare ad un recente acquisto esperienziale tende a far sentire le persone più vicine le une alle altre e, sentendo questa connessione, chi ha compiuto l’acquisto prova interesse nell’intraprendere altre attività collettive piuttosto che solitarie.
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Un’altra delle motivazioni per cui gli acquisti esperienziali ci avvicinano agli altri è il potere di storytelling che essi hanno. Un interessante esperimento dimostra che il solo fatto di poter parlare di un acquisto è in grado di aumentare la felicità per averlo effettuato (Kumar & Gilovich sub. pub.), e che addirittura le persone, se messe davanti ad una scelta, preferiscono un acquisto che li soddisfa meno ma del quale possono parlare, piuttosto che uno che li soddisfa di più ma del quale non possono parlare con gli altri (Kumar & Gilovich prep.). Questo sta a significare che la possibilità di instaurare rapporti sociali sulla base di un acquisto è parte integrante e centrale della felicità che riusciamo a ricavare da tale consumo; dal momento che le conversazioni sui beni esperienziali sono più soddisfacenti e garantiscono relazioni sociali più forti, possiamo affermare che questi sono alcuni dei motivi per cui gli acquisti esperienziali sembrano fornire maggiore felicità rispetto a quelli materiali.
Paragoni
GKJ forniscono ulteriori motivazioni facendo riferimento ad un altro fondamentale aspetto, quello dei paragoni. Comparare ciò che possediamo con ciò che gli altri possiedono esercita una forte influenza sulla soddisfazione personale e sulla felicità in generale (Frank 1999; Schwarz & Strack 1999, Suls 2003). Ma è questa tendenza ad incappare in paragoni sociali potenzialmente invidiosi, valida per entrambe le tipologie di consumi? Risulta che le esperienze sono soggette a meno paragoni, e meno
significativi, rispetto ai beni materiali (Van Boven 2005; Howell & Hill 2009). I paragoni
tra esperienze sono meno disturbanti e la motivazione è che le esperienze entrano a far parte del “sense of self”, della propria personalità, costituendo i mattoni con cui costruiamo la persona che sentiamo di essere. Ciò non vale nella stessa misura per i beni materiali; nonostante sia facile immaginare come quello che possediamo indichi ciò che vorremmo essere, o più realisticamente ciò che vorremmo far credere agli altri di essere, è stato dimostrato che le esperienze contribuiscono maggiormente alla costruzione
dell’extended self, inteso come l’estensione della propria identità. In poche parole
potremmo dire che noi siamo la somma totale delle nostre esperienze, ben più di ciò che possediamo. Prove in tal senso provengono da studi secondo cui le persone si
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sentono molto più legate a chi ha compiuto le stesse esperienze piuttosto che a chi ha
acquistato gli stessi beni (Kumar,Mann & Gilovich prep.). Condividere qualcosa che per noi è più vicino all’espressione della nostra personalità contribuisce in ampia misura alla felicità ed al benessere e permette di instaurare legami molto stretti. Al contrario, siamo piuttosto riluttanti a rinunciare a qualcosa che consideriamo parte di noi stessi, ed è anche per questo che il paragone tra esperienze perde di significato, esse sono parte di noi stessi e non vorremmo scambiarle con nessuna delle esperienze vissute dagli altri. Possiamo infine affermare che le strategie messe in atto dal consumatore nel caso di acquisti materiali ed esperienziali sono molto differenti: quando si acquista un bene materiale la strategia utilizzata è quella della “massimizzazione”, mentre nel caso di esperienze si può parlare di una strategia di “soddisfazione”.
2.5 Rituali di acquisizione
Uno degli obiettivi dello studio che abbiamo effettuato è la misurazione della Felicità nel caso di differente rituale di acquisizione di un bene: acquisto, regalo, condivisione. Infatti, tutti gli esperimenti che hanno fornito i risultati illustrati nei capitoli precedenti prendevano in considerazione il caso di acquisto di un qualche bene. Dal momento che vogliamo confrontare i risultati scaturiti da un acquisto con quelli scaturiti da un regalo e da una condivisione, è opportuno illustrare prima alcuni studi relativi a questi due ultimi rituali di acquisizione.
Prototipi
Al fine di illustrare in maniera esauriente e concisa l’idea che gli studiosi si sono fatti delle diverse modalità di acquisizione dei beni, riportiamo una la Figura1 (Belk 2010). Questa descrive le situazioni prototipo di Acquisto (Commodity Exchange), Regalo (Gift) e Condivisione (Sharing), ne illustra le principali caratteristiche, le controindicazioni e le eccezioni.
17 Figura 1
In quanto prototipi, le caratteristiche illustrate in Figura1 non devono essere considerate criteri di definizione necessari, ma vanno interpretate in senso lato. Nel classificare un caso come ad esempio acquisto o regalo dovremmo basarci sulle somiglianze presenti nel caso e le caratteristiche illustrate. Sono talmente tante le variabili in gioco nella distinzione di questi rituali che una definizione univoca non sarebbe sufficiente ad inquadrare bene il fenomeno.
L’ideale di acquisto di beni dovrebbe essere sufficientemente chiaro. Il prototipo dell’acquisto è rappresentato dal comprare del pane in cambio di denaro, e sebbene questa possa essere vista come un’esemplificazione fin troppo semplificata, presenta tutte le caratteristiche necessarie: la reciprocità, il trasferimento di proprietà, lo scambio tra moneta e un bene ecc.
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2.6 Regalo
Anche il regalo è stato al centro di numerosi studi, in quanto forma di scambio di beni esistente dall’antichità e che gioca una sua parte importante nell’instaurare e mantenere le relazioni sociali fino al giorno d’oggi. Il prototipo di regalo presentato in tabella è il regalo perfetto (Carrier 1995; Derrida 1992), che dovrebbe essere immateriale (i pensieri contano più delle manifestazioni materiali), inestimabile (considerato al di fuori dalle logiche dello scambio monetario), e non deve imporre obbligo di un regalo in ritorno. Belk (1996) non si occupa di cercare una definizione, ma individua le 6 caratteristiche del regalo perfetto:
1. Chi regala fa un sacrificio straordinario
2. Chi regala ha il solo desiderio di compiacere chi riceve 3. Il regalo è un lusso
4. Il regalo è qualcosa di unicamente appropriato al ricevente 5. Il ricevente è sorpreso dal regalo
6. Il ricevente desidera il regalo ed è compiaciuto nel riceverlo
Nell’analizzare le caratteristiche del regalo perfetto ci rendiamo conto che sia estremamente difficile, nella vita di tutti i giorni, che i regali che facciamo o riceviamo presentino le peculiarità illustrate. Ci rendiamo inoltre conto del fatto che il regalo così come lo intendiamo è quasi sempre legato ad un particolare evento: un compleanno, Natale, l’anniversario di matrimonio e molte altre ricorrenze. In tale situazione risulta molto difficile intrepretare il regalo come qualcosa di sorprendente, in quanto ci si aspetta di riceverlo, o unico. È difficile credere che chi ha fatto il regalo sia mosso soltanto da una intima intenzione di compiacerci, così come lo è non sentirsi in debito con chi ci ha regalato qualcosa.
La visione di Belk e di molti altri studiosi del regalo ne mette in risalto maggiormente le caratteristiche positive, pressoché idealizzate: il regalo promuove l’amicizia, esprime amore e celebra i legami umani. Tuttavia, per numerosi economisti, antropologi e
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sociologi, che vedono l’uomo come un essere razionalmente egoista, il regalo presenta caratteristiche ben differenti, che sono facilmente riscontrabili nella nostra personale esperienza: le pratiche di regalo sono spesso accompagnate da ansia, indecisione e conflitto. Basti pensare che solitamente limitiamo la sfera di soggetti a cui facciamo un regalo a quelli che lo faranno a noi, nonostante una delle caratteristiche del regalo perfetto sia la non reciprocità. Questo obbligo morale rimane, tuttavia, a livello teorico, in quanto non vi sono leggi che regolino lo sdebitarsi; ciò porta quindi ad instaurare un legame, in quanto si ripone fiducia nell’altra persona, certi che ricambierà il nostro regalo.
Chan e Mogilner (2013) hanno studiato lo scambio attraverso regalo di beni materiali ed esperienziali e sono giunti alla conclusione che i regali di beni esperienziali – in linea con quanto visto nelle ricerche di Kumar e Gilovich – tendono a connettere i consumatori l’uno con l’altro molto più di quanto facciano i beni materiali. Si tratta di una importante tesi che verificheremo attraverso i risultati del nostro esperimento.
2.7 Condivisione
Lo studio dello della condivisione è piuttosto recente per svariate ragioni. Una di queste è che è che in passato la condivisione è stata trattata alle volte come regalo e altre come scambio di beni, come conseguenza della lente pervasiva del razionalismo (Becker 2005). Dal momento che lo scambio reciproco sembra basarsi sull’interesse personale, è allettante per alcuni studiosi immaginare la vita umana come un insieme di scambi e vedere l’essere umano come una creatura egoista in competizione per delle risorse scarse. Questa visione, all’estremo, si traduce nella mercificazione del tutto (Agnew 2003; Radin 1996). Una seconda ragione è data dal fatto che la condivisione è un’attività più caratteristica del mondo interiore e familiare, piuttosto che quello esterno del mercato e del lavoro. In particolare, in passato, il mondo interiore è associato con l’immagine della donna, legata alla casa ed alla famiglia, mentre quello esterno del lavoro è associato all’immagine maschile. Un’ulteriore ragione della poca attenzione dedicata allo studio della condivisione è rappresentata dal fatto che spesso la condivisione viene data per scontata; la maggioranza delle condivisioni giornaliere di
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cibo, denaro e proprietà non vengono notate dalle persone, in quanto parte della routine.
I prototipi illustrati in tabella per la condivisione sono due:
1. La maternità
2. Mettere in comune ed allocare le risorse domestiche
Riportiamo inoltre due definizioni di condivisione che, per quanto lacunose, sono considerate tra le più precise. Benkler (2004) definisce la condivisione come “un comportamento non reciproco e pro sociale”. Belk (2007) vede la condivisione “l’atto e il processo di distribuire cosa è nostro agli altri per il loro uso e/o l’atto o processo di ricevere o prendere qualcosa dagli altri per il nostro uso”.
Maternità
Nell’atto di nascita la madre condivide con il feto il proprio corpo, e successivamente il latte, il nutrimento, la cura e l’amore con il figlio. Tutti queste premure sono fornite dalla madre gratuitamente, senza aspettativa di reciprocità o di scambio. Fornire tali cure è considerato normale e naturale. Il fatto di non creare aspettative, debiti e di essere così naturale, rende la cura della madre un esempio perfetto di prototipo della condivisione. Condividere ed allocare le risorse domestiche
Alcune precisazioni sono necessarie in questo caso. All’interno della famiglia le cose condivise sono di fatto possessi congiunti: il loro uso non necessita di inviti o autorizzazioni, non genera debiti e può causare responsabilità e diritti. Le responsabilità posso prevedere il dover aver cura della cosa, non utilizzarla troppo a discapito degli altri e farla trovare alle altre persone così come l’hanno lasciata. Tali responsabilità delineano una delle differenze tra possesso congiunto e proprietà. I beni di proprietà, anche all’interno della domesticità, possono essere trattati dal possessore con maggiore libertà, si deve chiedere il permesso per poterli utilizzare e la loro condivisione viene generalmente ripagata con un “grazie”. Appare evidente come la libertà di prendere del cibo dal frigorifero o dalla dispensa, così come quella di guardare la televisione o prendere un libro dalla libreria, tracci una profonda differenza tra proprietà e
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condivisone all’interno dell’ambito familiare: un bambino può usufruire di tali servizi senza chiedere il permesso ai genitori, ma difficilmente una figlia può appropriarsi dell’abito della sorella senza chiederle l’autorizzazione.
2.8 Condivisione e extended self
In famiglia
Lo scenario all’interno del quale hanno luogo la maggior parte delle condivisioni è la casa. Uno studio di Belk (1998) trova spiegazione a ciò nel fatto che la famiglia è considerata dai soggetti come il primo depositario dell’extended self al di fuori dell’individuo. Essere a casa garantisce determinati privilegi condivisi, che sono dati per scontato, ma che non sono propri di estranei o amici. Così come sono condivisi, all’interno dell’abitazione, possessi, principi e significati che possono essere totalmente oscuri a soggetti esterni alla famiglia.
Il maggior numero di studi sulle condivisioni all’interno della famiglia sono stati condotti sul cibo e sul denaro. Il cibo può essere utilizzato per esprimere attenzione, amore, consenso ed è spesso uno dei modi con cui le madri comunicano cura ed affetto agli altri membri. Il fatto che nelle famiglie europee esista questo schema di condivisione e collaborazione non deve far pensare che l’utilizzo dei beni o i diritti derivanti da essi siano egualmente distribuiti all’interno delle famiglie. Nelle famiglie più povere, la donna è spesso soggetta al sacrificio per il bene dei figli o del capofamiglia, ad esempio consumando quantità di cibo molto ridotte in favore dei figli o del marito. Allo stesso modo le donne hanno spesso una minore possibilità di accedere alle risorse finanziarie, tanto più se casalinghe, rispetto all’uomo di casa. Questa tendenza è meno rilevante quando anche la moglie lavora e porta a casa lo stipendio. Il denaro è anche uno di quei beni al quale i figli non possono accedere liberamente, ma al contrario devono dimostrare di meritarsi la paghetta aiutando con dei lavori domestici.
Al di fuori della famiglia: sharing in, sharing out
Sebbene il contesto familiare rappresenti uno dei prototipi della condivisione, gli studi di maggiore interesse e che hanno fornito le implicazioni più significative sono quelli che
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inquadrano la condivisione al di fuori della famiglia. Definiamo due differenti metodi di condivisione
• Sharing In significa ampliare il circolo di persone che possono usufruire dei benefici della risorsa condivisa, creando con loro dei legami. Permettiamo che altri siano inclusi nel nostro extended self aggregato, trattando questi soggetti quasi come membri della famiglia
• Sharing out condividere con qualcuno al di fuori dei confini dell’extended self mantenendo ben distinti sé e gli altri. Si tratta di una situazione simile al regalare, in cui si può identificare chi condivide e chi riceve. Non si creano legami significativi con le altre persone coinvolte
Condividere del cibo con vicini, parenti o chiunque capiti a tiro in un determinato momento per il puro gusto della condivisione è un esempio di Sharing In. Una villetta multiproprietà è un esempio di sharing out, in quanto non crea legami tra le famiglie, se non di natura economica.
Consumi collaborativi
Nel 1978 Felson e Spaeth introducono la definizione di consumi collaborativi: “quegli eventi nei quali una o più persone consumano beni o servizi nel processo di impegnarsi in attività congiunte con uno o più altri”. Mangiare un pasto in comune o condividere l’utilizzo della lavatrice in un condominio ne sono esempi, ma anche andare a bere una birra con gli amici e parlare al telefono.
Belk (2013) ha intenzione di delineare con maggiore precisione il fenomeno di consumo collaborativo, trovare le caratteristiche che lo distinguono dallo scambio di mercato, il regalo e la condivisione. Egli ritiene che la definizione di Felson sia troppo ampia e ponga l’attenzione sul solo fatto di coordinare il consumo, quando dovrebbe essere diretta sull’acquisizione e distribuzione della risorsa. Belk definisce consumo collaborativo con “persone che coordinano l’acquisizione e la distribuzione di una risorsa in cambio di un pagamento o altro compenso”. La specificazione di alto compenso fa sì che questa definizione comprenda lo scambio ed il baratto, che si caratterizzano con il dare e
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ricevere compensi non monetari, ma escluda la condivisione che non prevede compensi. Di fatto il consumo collaborativo si posiziona in uno spazio ideale tra la condivisione e lo scambio di mercato, presentando caratteristiche di entrambi.
I consumi collaborativi e la condivisione sono rituali che hanno visto una grande evoluzione nel nuovo millennio, grazie all’avvento di tecnologie che hanno permesso la condivisione di dati, informazioni e files in maniera accessibile e (spesso) gratuita. Un esempio moderno di condivisione che avviene grazie ad internet è la piattaforma couchsurfing.com, che offre a chi viaggia la possibilità di trovare qualcuno disposto ad ospitarlo gratuitamente; tra le piattaforme che offrono consumi collaborativi possiamo citare blablacar.com, uber e mote altre, concentrate maggiormente nel settore automobilistico.
2.9 Considerazioni
Le differenze tra acquisto, regalo e condivisione sono imprecise. Quando un regalo ha delle caratteristiche troppo distanti da quelle del regalo perfetto, può essere percepito ben diversamente. Prendiamo d’esempio un regalo sotto forma di denaro: le differenti situazioni possono portare a percepire tale regalo come un tentativo di corruzione, se fatto a qualcuno con molto potere o influenza, o come carità, se dato a qualcuno con meno possibilità. Le differenze culturali possono inoltre portare a differenti interpretazioni. Così come per i rituali di acquisizione, sottili sono anche le differenze tra le tipologie di beni. Ma se queste differenze si rivelano rilevanti dal punto di vista teorico, da parte nostra non rappresentano un impedimento per i rispondenti al questionario.
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CAPITOLO 3
METODO
La legge causale
Ciò che ci proponiamo di fare nel nostro esperimento è indagare l’esistenza di nessi causali tra le variabili oggetto di osservazione. Nel farlo cominciamo dall’esporre il problema sul concetto di causa da un punto di vista generale.
Sebbene sul piano empirico, in particolare nelle scienze sociali, sia difficile arrivare a provare in maniera definitiva l’esistenza di una legge causale tra due variabili, possiamo affermare che “se osserviamo empiricamente che una variazione di X (variabile
indipendente) è regolarmente seguita da una variazione di Y (variabile dipendente) tenendo costanti tutte le altre possibili cause di Y, abbiamo un forte elemento empirico
di corroborazione dell’ipotesi che X sia causa di Y”.
Per poter parlare di causalità dobbiamo quindi poter osservare in primo luogo una variazione della X, quella che ipotizziamo essere la causa. Contemporaneamente deve avvenire una variazione della variabile dipendente, dando luogo quindi ad una covariazione delle variabili. L’osservazione empirica della covariazione, tuttavia, non è sufficiente per poter parlare di causazione. Dobbiamo pertanto verificare che al variare di X consegue una variazione di Y, ma che non è vero il contrario, instaurandosi così una relazione causale tra le variabili. Infine dobbiamo poter escludere la variazione, simultanea al variare di X, di altre variabili ad essa correlate che potrebbero essere loro stesse, invece che la X studiata, le cause del variare di Y. Così facendo, siamo in grado di verificare che esiste un legame causale tra le variabili X e Y in osservazione.
La soluzione statistica
Definiamo a questo punto un assunto che deve essere rispettato in ogni esperimento, l’assunto di equivalenza delle unità: secondo tale assunto sarebbe possibile calcolare l’effetto della variazione della Y come differenza tra le rilevazioni delle risposte alla stessa domanda tra due soggetti, i quali si assume siano equivalenti. Nelle scienze naturali una misurazione di questo tipo è possibile, ma non lo è nelle scienze sociali (tutti
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gli atomi di carbonio sono eguali tra loro, ma non esistono due individui identici). Per ovviare a questo problema ci affidiamo alla soluzione statistica: non è possibile trovare due individui identici da esporre a due valori diversi della X per vedere come varia tra essi la Y; ma è possibile ottenere due gruppi statisticamente equivalenti, differenti cioè solo per aspetti accidentali, da esporre l’uno ad un valore di X e l’altro ad un valore differente di X, sui quali rilevare la variazione di Y. Gruppi con queste caratteristiche si ottengono mediante il processo di randomizzazione: il campione inziale di soggetti da sottoporre all’esperimento viene suddiviso in due gruppi assegnando a caso gli individui all’uno o all’altro gruppo. Sottoponendo i due gruppi ad un diverso valore di X ed osservando nei due gruppi i risultati medi della Y, siamo così in grado di quantificare l’effetto causale, che sarà l’effetto causale medio.
L’applicazione del metodo sperimentale presenta dei vantaggi e delle limitazioni. Il vantaggio principale è che tale metodo è il migliore per affrontare il problema della relazione causale. Lo svantaggio che citiamo di seguito scaturisce invece dalla necessità di utilizzare un campione: si rischia di perdere la rappresentatività del campione, in particolare per campioni di dimensioni ristrette; sappiamo infatti che errore di campionamento ed ampiezza del campione sono inversamente proporzionali, con conseguente difficoltà a generalizzare i risultati all’intera popolazione. Va quindi detto che lo scopo dell’esperimento non è quello di descrivere come un determinato fenomeno si presenta nella società, ma quello di analizzare l’esistenza di relazioni di causa-effetto.
L’Inchiesta Campionaria
La tecnica di ricerca sociale che abbiamo utilizzato è quella dell’inchiesta campionaria, o survey, che possiamo definire come segue: “un modo di rilevare informazioni
interrogando gli stessi individui oggetto della ricerca, appartenenti ad un campione rappresentativo, mediante una procedura standardizzata di interrogazione allo scopo di studiare le relazioni esistenti tra le variabili”. Per mezzo del survey non ci limitiamo a
rilevare l’esistenza e la consistenza di un determinato fenomeno sociale, ma ci spingiamo oltre interrogandoci sulle sue origini, sulle interrelazioni con altri fenomeni e
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sui meccanismi causali ad esso connessi.
Lo strumento utilizzato per svolgere tale ricerca è il questionario, caratterizzato da una struttura rigida, con domande e risposte standardizzate. La standardizzazione, per quanto possa limitare in alcuni casi le risposte, è necessaria, in quanto l’invarianza dello stimolo rende possibile la comparazione delle risposte; i soggetti rispondenti sono stati tutti sottoposti alle stesse domande in situazioni di rilevazione pressoché uniformi.
3.1 L’esperimento oggetto della tesi
Partecipanti
I dati sono stati raccolti per mezzo del sito Surveymonkey, sul quale abbiamo caricato un questionario appositamente progettato. Hanno risposto al questionario 77 soggetti (32 maschi, 43 femmine, 2 non identificati) con età compresa tra i 17 ed i 50 anni (M = 25.25, SD = 4.60). Così come può trasparire dall’età media, il campione è composto per oltre il 73% da studenti universitari. Tutti gli intervistati sono italiani.
Materiali e procedure
Lo strumento centrale dell’indagine è il questionario. La redazione di questo è stata possibile dopo aver acquisito ed analizzato una vasta letteratura relativa alla ricerca della Felicità nei consumi, alla contrapposizione tra le tipologie di beni consumati, alla propensione per il materialismo ed alla Sharing Economy. Numerose modifiche sono state apportate al questionario dal momento della sua prima ideazione fino alla sua forma definitiva. Queste modifiche e migliorie sono state possibili grazie a un pretest effettuato su 10 studenti universitari, soggetti simili a quelli oggetto dell’indagine, che hanno permesso di rendere le domande chiare ed il questionario scorrevole.
Il questionario è composto di 6 sezioni:
o Sez.1: Subjective Happiness Scale
o Sez.2: Presentazione dell’oggetto tangibile/intangibile (randomizzata al 50%) e scelta libera di un bene esempio per proseguire il questionario
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o Sez.3: Misurazione Felicità nelle diverse modalità di acquisizione (Acquisto, Regalo, Condivisione) del bene
o Sez.4: Experiential Buying Tendency Scale
o Sez.5: Basic Psychological Need Satisfaction Scale o Sez.6: Anagrafica
Misurare la felicità
Al fine di ottenere delle misure numeriche della Felicità abbiamo utilizzato la Subjective Happiness Scale (Lyubomirsky & Lepper, 1999) nella sezione 1; questa scala è composta da 4 items con punteggi da 1 a 7, dei quali viene fatta una media, che esprime Felicità crescente al crescere del punteggio ed ha il fine di verificare le Felicità globale del soggetto.
Dopo aver proposto di immaginare un bene su cui basare le successive domande del questionario, viene operata una seconda misurazione della Felicità. In particolare viene misurata la felicità suscitata nel soggetto rispettivamente nei casi di Acquisto, Regalo e Condivisione di tale bene. Abbiamo così ottenuto 3 misurazioni della Felicità, una per ognuno dei rituali di acquisizione del bene. Queste misure hanno grande importanza per il nostro studio, in quando rappresentano la variabile dipendente dell’analisi. Per ottenere tale misurazione abbiamo costruito una scala di 3 items e ad ogni soggetto è stata sottoposta 3 volte, misurando così la Felicità per ogni rituale di acquisizione; gli items sono stati ricavati da esperimenti di Zhang e al. 2014 e Pchelin e Howell 2014.
Preferenze per beni materiali o esperienziali
Nella sezione 2 del questionario al rispondente viene presentata la definizione di Oggetto Tangibile o Oggetto Intangibile, random al 50%. Le definizioni sono illustrate di seguito e sono tratte da Zhang e al. 2014:
Adesso immagina un OGGETTO TANGIBILE, ossia un bene che hai tenuto in possesso, come ad esempio un capo d’abbigliamento, un gioiello o un accessorio.
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Adesso immagina un OGGETTO INTANGIBILE, ossia un’esperienza che hai vissuto, come ad esempio una cena, una vacanza o un concerto.
È stato chiesto quindi di immaginare un bene che soddisfacesse la definizione di cui sopra, con il vincolo che tale bene fosse di particolare gradimento al soggetto.
Covariate
Abbiamo valutato l’introduzione di alcune variabili di controllo: Felicità Globale, Esperienzialismo, Relazionalità. Queste covariate servono a controllare se l’esistenza di una eventuale relazione causale tra la variabile dipendente e le variabili indipendenti sia influenzata in qualche modo da altre motivazioni.
La prima delle variabili di controllo è stata ricavata dai risultati della Subjective Happiness Scale, nella sezione 1. Dal momento che intendiamo valutare i nostri risultati basandoci sulla felicità misurata nella sezione 3, possiamo certamente effettuare un controllo utilizzando la Felicità Globale dell’individuo. La seconda variabile di controllo è ottenuta grazie alla “Experiential Buying Tendency Scale” (Howell e al. 2012), composta di 4 items con punteggi da 1 a 7. L’obiettivo è quello di indagare la tendenza generale all’acquisto di beni materiali o esperienziali (materialismo vs esperienzialismo) e per favorire la comprensione delle domande è stata illustrata, all’inizio della scala, la seguente definizione:
Un bene MATERIALE è qualcosa di tangibile come può essere un capo d'abbigliamento o un gioiello. Un bene ESPERIENZIALE è invece qualcosa di intangibile, come può essere l’andare al ristorante o il fare una vacanza.
Nella sezione 5 abbiamo utilizzato una scala che è un terzo di una scala più grande, la “Basic Need Satisfaction in General”. Ci siamo infatti appropriati di soli 8 items, quelli riguardanti la soddisfazione ottenuta dalle relazioni significative. Abbiamo citato come il consumo di beni esperienziali causi il facile instaurarsi di relazioni interpersonali, garantendo così una maggiore Felicità. Abbiamo pertanto pensato di misurare quanto le relazioni siano importanti per i nostri rispondenti, al fine di poter migliorare l’accuratezza della nostra analisi.
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Cito infine alcune caratteristiche anagrafiche quali l’età e il sesso, utilizziate anch’esse come variabili di controllo.
Risultati
I punteggi risultanti dal questionario sono stati scaricati su un foglio di calcolo per la successiva elaborazione. Questa è stata effettuata per mezzo del programma SPSS, i cui risultati sono illustrati nel capitolo successivo.
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CAPITOLO 4
Analisi dei risultati
Quando Van Boven & Gilovich (2003) hanno cominciato a studiare le conseguenze dei consumi sulla felicità delle persone, hanno scoperto che gli acquisti esperienziali, rispetto a quelli materiali, causano costantemente maggiore felicità al consumatore. Da quel momento numerosi studiosi hanno cercato le principali motivazioni psicologiche a spiegazione di questo fenomeno, trovandole nel fatto che i beni esperienziali (Kumar, Gilovich & Jampol):
• Promuovono maggiormente relazioni sociali e connessioni
• Sono più facilmente incorporati nel “sense of self” di una persona • Incoraggiano meno paragoni sociali
• Sono più difficilmente stimabili in termini monetari
Ciò che ci aspettiamo di trovare è perciò una preferenza per i beni esperienziali piuttosto che per quelli materiali, tradotta in punteggi della Felicità più elevati. Il primo passo è quello di verificare la concretezza di questo fenomeno all’interno del campione. Successivamente ci chiediamo: “Dal momento che sappiamo esistere una relazione tra il tipo di bene e la felicità in caso di acquisto, è possibile che questa relazione sia valida anche in caso di regalo e condivisione?”. Nella letteratura non abbiamo trovato accenni a questo tipo di analisi, concentrandosi questa sulla classificazione e le differenze tra categorie di beni o tipologie di consumo. Ci proponiamo quindi di effettuare un’analisi incrociata tra beni e rituali per verificare l’esistenza di relazioni causali tra queste e la Felicità.
Abbiamo compiuto 2 differenti tipologie di analisi. Nella prima abbiamo compiuto un’analisi su ognuno dei rituali di acquisizione, verificando se esistessero differenze sostanziali tra la Felicità provocata dall’acquisizione di un bene materiale piuttosto che esperienziale, fermo restando il rituale (es. quando acquisto il bene, ottengo più felicità
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da uno materiale o esperienziale?). Nella seconda tipologia abbiamo invece paragonato i vari rituali di acquisizione, distinguendone i risultati tra beni materiali ed esperienziali (es. per i beni materiali, ottengo più felicità quando li acquisto o quando mi vengono regalato?). Nei prossimi paragrafi le analisi nel dettaglio.
4.1 Comparazione delle medie
Nel campo della ricerca sperimentale, la comparazione delle medie è stata effettuata per mezzo della funzione T-test. Questo è un potente strumento di ricerca, in quanto compie un passo oltre la mera osservazione delle variabili, andando alla ricerca delle spiegazioni. Il T-test può essere utilizzato per verificare se un coefficiente di correlazione è diverso da 0, per testare se un coefficiente di correlazione, b, è diverso da 0, o per testare se le medie di differenti gruppi di osservazioni sono differenti, analisi che fa al caso nostro.
La media è un modello statistico semplice, la cui rappresentatività del campione può essere misurata attraverso degli indici. La deviazione standard è uno di questi e rappresenta una misurazione di quanto i dati siano dispersi intorno alla media; piccole deviazioni standard (rispetto al valore della media) indicano che la distribuzione dei dati è vicina alla media, grandi deviazioni indicano che i dati sono distanti dalla media.
L'errore standard della media fornisce un'indicazione della precisione della media
campione come stima della media della popolazione. Più l'errore standard è piccolo, minore è la dispersione e più è probabile che qualsiasi media si avvicini alla media della popolazione.
Esistono 2 diversi tipi di questo test e l’uso di uno o dell’altro dipende dal fatto che la variabile indipendente venga manipolata utilizzando gli stessi soggetti o gruppi diversi:
• T-test per campioni indipendenti: utilizzato quando ci sono due condizioni sperimentali e ad ogni condizione vengono assegnati partecipanti differenti
• T-test per campioni dipendenti: utilizzato quando esistono due condizioni sperimentali e gli stessi partecipanti hanno preso parte ad entrambe
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4.2 T-TEST: Campioni indipendenti
Nel nostro esperimento abbiamo messo a confronto due gruppi di soggetti, ad uno dei quali è stato assegnato un bene materiale, all’altro un bene esperienziale. I soggetti hanno espresso il loro presunto livello di felicità nel caso gli capitasse di acquistare quel bene, di riceverlo come regalo e di condividerlo. Abbiamo quindi messo a confronto con un T-test i valori medi della felicità, per verificare se il diverso tipo di bene possa essere significativamente influente sul livello di felicità generato. Il T-test per campioni indipendenti fornisce un output composto di due tabelle (Tab.4.1 e Tab.4.2): la prima riassume le statistiche descrittive, la seconda mostra i risultati del T-test.
Tab.4.1
Statistiche di gruppo
N Media Deviazione std. Errore std. Media Felicità Acquisto dimension1 versione materiale 36 4,0741 1,67921 ,27987 versione esperienziale 42 5,2381 1,27363 ,19653 Felicità Regalo dimension1 versione materiale 36 4,7778 1,70340 ,28390 versione esperienziale 42 5,2698 1,23464 ,19051 Felicità Condivisione dimension1 versione materiale 36 3,6759 1,51078 ,25180 versione esperienziale 42 5,8254 ,98012 ,15124
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Test per campioni indipendenti
Test di Levene di uguaglianza delle
varianze Test t di uguaglianza delle medie
F Sig. t Sig. (2-code) Intervallo di confidenza per la differenza al 95% Inferiore Superiore Felicità Acquisto Assumi varianze
uguali
2,154 ,146 -3,476 ,001 -1,83096 -,49708
Non assumere varianze uguali
-3,404 ,001 -1,84708 -,48097
Felicità Regalo Assumi varianze uguali 5,027 ,028 -1,475 ,144 -1,15669 ,17256 Non assumere varianze uguali -1,439 ,155 -1,17534 ,19121 Felicità Condivisione Assumi varianze uguali 5,106 ,027 -7,554 ,000 -2,71617 -1,58277 Non assumere varianze uguali -7,318 ,000 -2,73735 -1,56159 Tab. 4.2
La Tabella 4.1 illustra le statistiche di gruppo. Notiamo che Deviazione Standard ed Errore Standard dei vari campioni, rispetto alla media, sono piuttosto bassi. Possiamo quindi ritenere che la media sia un valido modello statistico per testare le nostre ipotesi. Le medie confrontate in questa analisi mostrano che i punteggi assegnati ai beni esperienziali sono più alti per ognuno dei rituali di acquisizione, come ci aspettavamo. La Tabella 4.2 mostra i risultati dei calcoli effettuati dal software, vediamo come leggerli. In primis notiamo che vi sono due righe per ogni analisi e per capire quale dobbiamo utilizzare abbiamo bisogno di osservare il risultato del Test di Levene. Questo viene effettuato per testare se le varianze sono uguali all’interno dei gruppi e ci restituisce un determinato valore della significatività; se questo valore è significativo (p<0.05), dovremo leggere i risultati della riga “Non assumere varianze uguali”. Se il test di Levene risulta non significativo (p>0.05), non abbiamo abbastanza prove per assumere che le varianze dei gruppi sono differenti, quindi non possiamo negare l’ipotesi nulla per cui la
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differenza tra le varianze è uguale a 0 e leggeremo quindi i risultati per la riga “Assumi varianze uguali”. Successivamente il software calcola il valore di t e la significatività (a 2 code) del confronto. Il fatto di utilizzare la significatività a 2 code dipende dalle ipotesi. Se in un tipo di relazioni non abbiamo fatto alcuna previsione, ma analizziamo i risultati per trarre conclusioni a noi ignote, possiamo utilizzare le 2 code; ma se abbiamo fatto delle previsioni riguardo la direzione della relazione dobbiamo utilizzare una sola coda, cioè dimezzare il valore della significatività in tabella, per vedere se assume valori <0.05. Analizziamo adesso nel dettaglio gli output, distinguendo i risultati in base al rituale di acquisizione e spiegando cosa significano.
Acquisto. Si tratta della modalità di acquisizione più conosciuta e studiata, sulla quale sono state formulate tutte le teorie secondo cui acquisti esperienziali portano a maggiore felicità rispetto a quelli materiali. Non ci sorprende quindi notare che la felicità media rilevata per l’acquisto di beni esperienziali (5.238) sia maggiore di quella per i beni materiali (4.074). Dal momento che ci aspettavamo l’esistenza di una relazione tra tipo di bene e felicità (nel senso che beni esperienziali conducono a maggiore felicità), abbiamo effettuato una previsione e dovremo quindi prendere in considerazione la significatività ad una sola coda. Il test di Levene ha significatività 0.146 (>0.05), valore non significativo, prendiamo quindi in considerazione la riga “assumi varianze uguali”. Nel caso dell’acquisto, la t assume valore -3.476 con significatività a una coda pari a 0.005 (p<0.05). Da ciò possiamo concludere che esiste una differenza significativa tra le medie di questi due campioni. In termini sperimentali questa analisi si traduce nel fatto che la Felicità scaturita dall’acquisto è influenzata dal tipo di bene e che precisamente l’acquisto di beni esperienziali contribuisce alla Felicità maggiormente rispetto all’acquisto di beni materiali. Una volta verificata l’esistenza di tale relazione, siamo interessati a scoprire la dimensione dell’effetto: per farlo possiamo utilizzare i dati forniti per calcolare il coefficiente di correlazione del Pearson 𝑟 = √𝑡^2/(𝑡^2 + 𝑑𝑓)= 0.435. La r varia tra -1 e +1, esprimendo una correlazione positiva per valori maggiori di 0 e negativa per valori inferiori. Dal momento che la r assume valore 0.435 affermiamo che esiste una relazione positiva di effetto medio.
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Di media i partecipanti hanno ottenuto maggiore felicità dall’acquisto di beni esperienziali (M = 5.238, SE =0.197) che materiali (M = 4.074 , SE = 0.279). Questa differenza è significativa t (76) = -3.476 , p = 0.001; inoltre questo effetto risulta di media dimensione, r = 0.435.
Regalo. A differenza dell’analisi sull’acquisto, riguardo al regalo non siamo in grado di affermare se un regalo esperienziale causi maggiore Felicità di uno materiale, se tale relazione vada in senso opposto o se non esista affatto. I valori medi di Felicità rilevati per regali materiali (4.778) ed esperienziali (5.270) mostrano ancora una volta una preferenza per i beni esperienziali, anche se rispetto all’acquisto i beni materiali hanno mostrato un netto incremento del punteggio medio (da 4.074 a 4.778). Dal momento che non abbiamo effettuato previsioni dovremo utilizzare la significatività a due code. Il test di Levene per il regalo ha significatività 0.028 (p<0.05), pertanto non assumiamo varianze uguali. La t assume valore -1.439 ma questa volta non è significativa (p = 0.155), cioè non esiste una differenza significativa tra le medie di questi due campioni. Calcoliamo tuttavia la dimensione dell’effetto per mezzo della r = 0.179, ottenendo che le variabili sono praticamente incorrelate.
Di media i partecipanti hanno ottenuto maggiore Felicità dal ricevere come regalo beni esperienziali (M = 5.27, SE = 0.191) che beni materiali (M = 4.778, SE = 0.284). Questa differenza non è apparsa significativa t (62.8) = -1.439 , p = 0.144; inoltre questo effetto risulta non consistente, r = 0.179. Concludiamo pertanto che, quando l’oggetto del questionario viene ottenuto tramite regalo, la relativa felicità non è influenzata dal fatto che si tratti di un bene materiale o esperienziale.
Condivisione. Per quanto riguarda la condivisione non abbiamo trovato esperimenti che misurino la felicità scaturita da tale pratica, né che mettano a confronto condivisioni tra tipologie di beni diversi. Tuttavia sappiamo che una delle motivazioni per cui il consumo di beni esperienziali porta ad elevati livelli di felicità e che questi consumi promuovono relazioni sociali e connessioni. Il rituale della condivisione, inoltre, è caratterizzato dal fatto che si instaurano relazioni sociali durante il consumo. Possiamo quindi ipotizzare che la distinzione tra tipologie di beni sia particolarmente rilevante nel caso della
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condivisione, e che la condivisione di beni esperienziali porti a livelli di Felicità particolarmente elevati. I valori medi della Felicità rilevati confermano il fatto che la condivisione di beni esperienziali (5.825) sia nettamente favorita a quella di beni materiali (3.676). Da rilevare inoltre che si tratta dei punteggi più alto e più basso tra i sei casi analizzati. Il test di Levene ha significatività 0.027 (p<0.05), assumiamo quindi che le varianze siano diverse. La t assume valore -7.318 ed ha una significatività di 0.00, confermando il fatto che esiste una differenza significativa tra le medie della Felicità rilevate riguardo alla condivisione. La correlazione in questo caso è r = 0.692, cioè esiste una correlazione forte tra le variabili.
Mediamente abbiamo riscontrato maggiore Felicità tra i partecipanti che hanno condiviso un bene esperienziale (M = 5.825, SE = 0.151) rispetto a chi ha condiviso un bene materiale (M = 3.676, SE = 0.252). La differenza tra queste misurazioni della Felicità è significativa t (58.3) = -7.318, p = 0.00; questo effetto risulta avere una grande dimensione r = 0.692.
Per mezzo del T-test a campioni indipendenti abbiamo verificato, per ognuno dei tre rituali di acquisizione dei beni, la consistenza dell’ipotesi per cui i beni esperienziali portano ad un maggiore livello di Felicità. Abbiamo rilevato che nel nostro campione tale ipotesi è verificata per i rituali di acquisto (p = 0.001) e di condivisione (p = 0.000), ma non per quello del regalo (p = 0.144).
4.3 T-TEST: Campioni dipendenti
La seconda analisi, svolta per mezzo di un T-test a campioni appaiati, è volta a mettere a confronto, sia per i rispondenti alla versione materiale che a quella esperienziale, la Felicità scaturita dai differenti rituali di acquisizione. In altre parole verificheremo se il rituale può influenzare significativamente la Felicità, indipendentemente dal tipo di bene acquisito. Per effettuare tale analisi abbiamo suddiviso i rispondenti in due gruppi, distinti in base al tipo di bene assegnatogli, ed abbiamo portato avanti l’analisi a coppie sui rituali di consumo per entrambe i gruppi. Ciò che distingue questo test da quello precedente è il fatto che adesso facciamo paragoni tra misurazioni successive operate su risposte fornite dagli stessi soggetti. Ogni soggetto ha espresso la propria Felicità per
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ognuno dei rituali di acquisizione, fermo restando il bene considerato. Ciò significa che variazioni nella Felicità possono essere motivate dalla differenza del rituale.
Versione Materiale
La prima tabella risultante dal T-test illustra le statistiche descrittive:
Statistiche per campioni appaiati
Media N Deviazione std.
Errore std. Media Coppia 1 Felicità Acquisto 4,0741 36 1,67921 ,27987
Felicità Regalo 4,7778 36 1,70340 ,28390 Coppia 2 Felicità Acquisto 4,0741 36 1,67921 ,27987 Felicità Condivisione 3,6759 36 1,51078 ,25180 Coppia 3 Felicità Regalo 4,7778 36 1,70340 ,28390 Felicità Condivisione 3,6759 36 1,51078 ,25180
Tab 4.3
La prima cosa da notare è che l’analisi viene portata avanti a coppie, come suggerito dal nome del test, e si compone quindi di 3 risultati distinti. Sia Deviazione standard che Errore standard assumono valori piccoli rispetto alla media, quindi la media è un buon modello statistico per testare le nostre ipotesi. Notiamo inizialmente che la Felicità media più alta si registra per il regalo (4.77), mentre la condivisione sembra aver generato la minore Felicità (3.67).
Correlazioni per campioni appaiati
N Correlazione Sig. Coppia 1 Felicità Acquisto e Felicità
Regalo
36 ,669 ,000
Coppia 2 Felicità Acquisto e Felicità Condivisione
36 ,473 ,004
Coppia 3 Felicità Regalo e Felicità Condivisione
36 ,516 ,001
Tab 4.4
La seconda tabella illustra la correlazione tra le condizioni sperimentali. Dal momento che i punteggi sono ottenuti per mezzo di misurazioni successive compiute sugli stessi soggetti, è possibile che le condizioni sperimentali risultino tra di loro correlate. È quello
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che accade nel nostro caso: tutte le coppie analizzate risultano correlate tra di loro (correlazione forte per le coppie 1 e 3, correlazione media per la coppia 2), e gli effetti di tali correlazioni risultano significativi.
Test per campioni appaiati
Differenze a coppie t df Sig. (2-code) Media Deviazione std. Errore std. Media Intervallo di confidenza per la differenza al 95% Inferiore Superiore Coppia 1 Felicità Acquisto -
Felicità Regalo
-,70370 1,37732 ,22955 -1,16972 -,23769 -3,066 35 ,004
Coppia 2 Felicità Acquisto - Felicità Condivisione
,39815 1,64427 ,27404 -,15819 ,95449 1,453 35 ,155
Coppia 3 Felicità Regalo - Felicità Condivisione
1,10185 1,58929 ,26488 ,56411 1,63959 4,160 35 ,000
Tab 4.5
La terza tabella fornisce i risultati del T-test, utili per verificare l’esistenza e la consistenza delle variazioni delle Felicità.
Acquisto/Regalo. I valori di Felicità misurati sono 4.074 per l’acquisto e 4.778 per il
regalo. Ciò significherebbe che acquisire un determinato bene materiale mediante acquisto garantisce significativamente una Felicità minore rispetto al ricevere lo stesso bene come regalo. La t assume valore -3.066, ed ha significatività di 0.004. Per mezzo della t possiamo calcolare la r per verificare la dimensione di questo effetto, ottenendo
r = 0.606.
Mediamente i partecipanti hanno provato maggiore felicità nel ricevere un determinato
bene materiale come regalo (M = 4.778 , SE = 0.283) che nell’acquistarlo (M = 4.074, SE = 0.279) , t(35) = -3.066, p = 0.004 Tale effetto è risultato consistente (r = 0.6).
Acquisto/Condivisione. Le medie registrate sono 4.074 per l’acquisto e 3.676 per la
condivisione. Quindi la Felicità ottenuta dall’acquisto di un bene materiale è nettamente superiore a quella ottenuta dal condividerlo. Notiamo che la t ha valore 1.453, ma che questa differenza non è significativa p = 0.155. Calcoliamo tuttavia la r = 0.238.