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5.1. Prove di adesione cellulare

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Academic year: 2021

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Capitolo V

Progettazione e Realizzazione

Il seguente capitolo espone le fasi progettuali e sperimentali che contraddistinguono il carattere bioingegneristico del lavoro. Come spesso accade in questo campo, la parte progettuale non può prescindere in modo assoluto dalla parte pratico-realizzativa poiché il trattare problemi nuovi in campo biotech pone spesso degli ostacoli che non possono essere previsti, e quindi affrontati, in fase di design. Le due fasi, progettuale e realizzativa, verranno quindi descritte in parallelo.

Particolare attenzione è stata dedicata, oltre alla scelta dei materiali, agli studi di fattibilità, al dimensionamento delle varie parti e all’integrazione tra teoria e pratica. Alcuni degli approcci sono stati pienamente affrontati sotto i punti di vista teorici e, parzialmente, anche in termini pratici.

5.1. Prove di adesione cellulare

Il primo punto su cui si è indagato è stato quello dell’adesione cellulare sui supporti

scelti. Campioni dei materiali (nylon e Dexon plus), di circa 20 mm di lunghezza, sono

stati posti in piastre da coltura cellulare a 6 pozzetti, dopo essere stati sterilizzati con

trattamento al plasma.

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Successivamente, il fondo dei pozzetti è stato coperto con una sospensione cellulare di fibroblasti in mezzo di coltura RPMI (Roswell Park Memorial Insitute medium). Al mezzo è stato aggiunto FBS (Fetal Bovine Serum, 10%), glutammina (2mM) e antibiotici (penicillina e streptomicina, 10000U). Il siero è necessario per apportare i fattori di crescita e le proteine adesive, la glutammina è un aminoacido essenziale e gli antibiotici vengono utilizzati generalmente a scopo preventivo per evitare contaminazioni batteriche.

L’osservazione a microscopio dopo 3 e 5 giorni ha evidenziato che solo un numero esiguo di cellule ha aderito su ciascun campione. Per facilitare l’osservazione delle poche cellule presenti sui fili, è stato necessario un trattamento di colorazione a fluorescenza tramite DAPI.

Dopo questo risultato, si è deciso di trattare preventivamente i campioni in nylon con sostanze che facilitino l’adesione cellulare mentre per i fili riassorbibili il trattamento è stato ritenuto non determinante. Tuttavia per entrambi i materiali il metodo di semina doveva essere rivisto.

Come materiale per il trattamento superficiale si è scelto di utilizzare la gelatina. Si tratta di un polipeptide (p.m. 15000–300000 g/mol) ottenuto per idrolisi del collagene ricavato da pelle e ossa di animali (in genere suini). La gelatina contiene tutti gli amminoacidi essenziali ad eccezione del triptofano ed è usata come ingrediente per cibi. In acqua calda, subisce un iniziale rapido rigonfiamento per poi dissolversi formando una soluzione viscosa. La proprietà più importante della gelatina è quella di formare gel termo-reversibili con diverso potere gelificante; questa capacità dipende dalla sua struttura molecolare. Oltre al campo alimentare, questo materiale trova applicazione in campo farmaceutico e nell’industria fotografica.

Questi test preliminari sono stati fondamentali per indirizzare le successive fasi di semina.

5.2. Sviluppo della metodica di semina

È stato osservato, durante le prove di adesione, che una normale semina statica con

pipetta Gilson non consente una disposizione numericamente sufficiente delle cellule sui

fili: la procedura già di per sé aleatoria, è resa inefficiente dalle dimensioni e dalla

geometria dei supporti. Per risolvere questo problema è stato necessario ideare dei metodi

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di semina cellulare alternativi e più efficienti.

Un primo metodo prevedeva l’utilizzo di capillari in vetro di diametro appena maggiore dei campioni di filo, all’interno dei quali inserire il filo e successivamente la sospensione cellulare. Analoga procedura può essere fatta con piccoli tubi in materiale plastico delle stesse dimensioni dei capillari di vetro. Grazie all’effetto della capillarità, il fluido non riesce a fuoriuscire neanche se il campione è adagiato in posizione orizzontale su un piano.

Questi accorgimenti sono necessari solo in fase di adesione. Dopo 48 ore i fili sono stati estratti e posizionati sul fondo di piastre da coltura per fornire ai gruppi cellulari le condizioni ambientali di crescita più appropriate. Inoltre, al normale mezzo di coltura adoperato, è stato aggiunto acido ascorbico alla concentrazione di 50 μg/ml. Studi precedenti hanno dimostrato che questa sostanza agisce sui fibroblasti come stimolo per la produzione di componenti della matrice extracellulare [1]. L’osservazione a microscopio ottico dei campioni ha mostrato che questa metodica di semina risultava molto più efficiente della metodica standard. I campioni presentavano una densità cellulare accettabile ma non proprio uniforme.

Da questa esperienza è scaturita una nuova metodica di semina che prevede l’utilizzo di piccole piastre in silicone biocompatibile realizzate ad hoc. Il silicone è il Silgard 184 prodotto da Dow Corning (USA) e si presenta robusto e trasparente alla luce. Tale materiale può inoltre essere sterilizzato con gas-plasma senza che la sua struttura subisca alterazioni indesiderate ai fini del suo utilizzo.

Con degli appositi stampi in alluminio realizzati ad hoc sono state realizzate delle “piastre”

a due componenti che presentano lungo la loro dimensione maggiore degli incavi a sezione

semicircolare. All’interno dei solchi è possibile fissare dei capillari in vetro che agiscono

da supporti per i fili sui quali si vuole effettuare la semina.

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Figura 5.1: Piastre per semina cellulare realizzate in silicone biocompatibile.

(larghezza=30 mm lunghezza =40 mm spessore=2.5 mm).

Figura 5.2: Modello 3D della piastra per la semina cellulare realizzato con il software COMSOL™ Multiphysics.

Figura 5.3: Piastra per semina cellulare con connettori in vetro realizzata in silicone biocompatibile.

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Dopo che la struttura è stata sterilizzata con gas-plasma, i fili vengono inseriti, attraverso i supporti (due per ciascun filo), all’interno dei solchi rimanendo ad una distanza di circa 1 mm dal fondo. La fase successiva prevede l’inserimento della sospensione cellulare all’interno di questi solchi con l’aiuto di una pipetta di tipo Gilson.

In un periodo di 3–4 ore le cellule si depositano in parte sul fondo e in parte sul filo e iniziano ad aderire alle superfici. Dopo questo intervallo l’intera struttura viene posta all’interno di una piastra Petri, viene coperta dal mezzo di coltura e inserita in incubatore.

Dopo 48 ore la parte interna della struttura viene rimossa e con essa anche quelle cellule che non si trovano adese sui fili. La struttura rimanente è quindi un piccolo frame rettangolare che viene mantenuto in coltura statica in incubatore all’interno di una piastra Petri cambiando il mezzo ogni 48 ore (Figura 5.3).

Con questo sistema di semina sito-specifica si aumenta innanzitutto l’efficienza della semina e inoltre si evita lo spreading cellulare verso il fondo della struttura. Le cellule si trovano costrette a crescere solo sulla superficie del filo; come già spiegato in precedenza, questo tipo di stimolo fornito alle cellule viene definito guida per disponibilità di substrato.

Figura 5.4: Incubatore per colture cellulari.

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Figura 5.5: Modello 3D della piastra per la semina cellulare realizzato con il software COMSOL™ Multiphysics.

5.3. Perfusione dei microvasi

Per ottenere delle strutture cellulari funzionali, che presentino lo stesso

“comportamento” dei microvasi naturali, occorre sicuramente un adeguato sistema di coltura. Con il termine comportamento si intende, non solo la risposta meccanica alle sollecitazioni dovute al flusso all’interno dei microcondotti, ma anche un signalling

1

cellulare più completo e biosimile possibile. I microvasi naturali infatti sono costituiti principalmente da cellule endoteliali ma tali cellule comunicano con altri tipi cellulari presenti nell’ambiente circostante attraverso lo scambio di numerosi mediatori chimici.

Dall’idea di partenza di questa Tesi si può concepire la realizzazione di microvasi aventi la struttura portante costituita da fibroblasti e ECM mentre le pareti interne potrebbero presentare un rivestimento costituito da cellule endoteliali. La semina di queste ultime all’interno dei microvasi potrebbe ad esempio avvenire con metodo dinamico.

Ma prima di fare ciò è necessario garantire che le neostrutture siano in grado di sostenere un flusso pulsatile di valore paragonabile a quello biologico.

Per avere in vitro delle condizioni di coltura che siano più vicine possibili a quelle in vivo la soluzione è una sola: l’utilizzo di un bioreattore. Questi sistemi di nuova generazione, nell’ultima decade si sono distinti dai classici metodi statici di coltura affermandosi per la

1 Il termine signalling è utilizzato per indicare l’insieme delle attività di comunicazione intra e intercellulari che avvengono in genere ad opera di molecole chiamati mediatori chimici.

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loro capacità di ricreare un microambiente controllato, all’interno del quale è possibile fissare i valori desiderati di temperatura, pH, ossigeno, CO

2

, flusso, pressione.

Uno degli approcci per la realizzazione di un sistema di questa tipologia, adottato in [2], privilegia la modularità ottenendo come vantaggio la totale flessibilità dell’intero apparato il quale, grazie ad un pannello di controllo software e ad una logica di controllo autonomo, può essere utilizzato per diverse tipologie di esperimento che differiscono ad esempio per il valore dei parametri o che hanno la necessità di essere condotti in parallelo. Tutto ciò permette un rapporto ottimale tra costi e prestazioni e tale sistema può essere quindi definito high throughput (sistema ad alta produttività).

Figura 5.6: Schema a blocchi di un Bioreactor System.

Con questi presupposti è stata realizzata ad hoc una cella di coltura per lo sviluppo di

microvasi che, inizialmente, funge da cella di coltura statica e successivamente offre la

possibilità di essere connessa ad un sistema di circolazione esterno, atto ad immettere in

circolo il mezzo di coltura con i parametri idonei alla vita cellulare e con parametri di

flusso idonei allo sviluppo ottimale delle cellule. La celletta entrerà a far parte quindi di un

Bioreactor System.

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Dopo aver stabilito una geometria generica che garantisse un flusso idoneo e una semplice gestione pratica dell’esperimento, sono stati scelti i materiali da utilizzare per la sua realizzazione.

Il dispositivo prevede:

- una camera centrale a coltura statica;

- una camera di distribuzione del flusso in ingresso;

- una camera di raccolta del flusso in uscita;

- 8 sostegni-connettori per i supporti;

- quattro supporti sistemati in parallelo;

- un connettore di ingresso;

- un connettore di uscita;

- una copertura in vetro o Plexyglass;

- un sistema di tubi in materiale biocompatibile.

La struttura portante è realizzata in Sylgard 184 (Dow Corning, USA), elastomero biocompatibile che oltre a fornire un prodotto finale maneggiabile e robusto consente, grazie alla sua completa trasparenza, anche l’osservazione al microscopio ottico della coltura all’interno di esso. Tale materiale può inoltre essere sterilizzato con gas-plasma senza che la sua struttura subisca alterazioni indesiderate ai fini del suo contestuale utilizzo.

I sostegni-connettori inizialmente hanno il compito di tenere in posizione i supporti, mentre durante la fase di coltura dinamica inviano il flusso all’interno del microvasi. Per tale scopo sono stati impiegati dei puntali per pipetta Gilson costituiti da materiale plastico biocompatibile e normalmente reperibili in commercio.

La connessione tra il sistema di circolazione esterno e l’ingresso della celletta di coltura e tra l’uscita della celletta e il reservoir di terreno è realizzata tramite ago-cannula.

Il sistema di tubing è realizzato con tubi in silicone biocompatibile anch’essi reperibili in

commercio senza alcuna difficoltà.

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Figura 5.7: Schematizzazione della cella di coltura dinamica per lo sviluppo di microvasi (vista di fianco).

Prima della realizzazione del primo prototipo è stato fatto un dimensionamento FEM (Finite Element Method) della geometria tramite il software COMSOL™ Multiphysics.

Tale modellizzazione ha permesso di creare una camera di distribuzione di dimensioni adeguate, in modo tale che ciascuno dei microvasi riceva la stessa porzione di flusso.

Per la simulazione sono state fatte le seguenti assunzioni:

- regime di flusso laminare non turbolento;

- condizione di no slip (non scivolamento alla parete);

- flusso in uscita normale alla superficie;

- valore della velocità del flusso in ingresso che consenta di avere una portata di circa 5 μl/min in ciascuno dei microvasi (quest’ultimo valore, reperito in letteratura, rientra nel range fisiologico [3]).

Altri parametri importanti sono la densità del fluido (definita come ρ = 998.2 kg/m

3

), e la

sua viscosità dinamica (definita come η = 1.002 × 10

-3

Pa·s) [4].

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Figura 5.8: Modellizzazione FEM del flusso nella camera di distribuzione; il riquadro mostra l’ingrandimento dell’uscita del condotto.

Figura 5.9: Grafico riferito alla Figura 5.8 che mostra come ciascuno dei quattro condotti riceva la stessa porzione di flusso.

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Figura 5.10: Prototipo tridimensionale della cella di coltura dinamica per lo sviluppo di microvasi realizzato con il software COMSOL™ Multiphysics.

Secondo il design, il processo di formazione dei microvasi prevede le seguenti fasi:

ƒ Fase statica: l’ingresso e l’uscita sono chiusi, le cellule vengono seminate sui supporti (in materiale bioassorbibile o in nylon), la camera centrale viene riempita da mezzo di coltura;

ƒ Fase di sviluppo: le cellule si espandono ricoprendo le strutture disponibili (se queste sono in materiale bioassorbibile vengono progressivamente degradate);

ƒ Fase di estrazione (solo per fili di nylon): i supporti vengono meccanicamente estratti;

ƒ Fase dinamica: l’ingresso e l’uscita vengono connessi ad un sistema pulsatile

esterno.

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a)

b)

c)

d)

e)

Figura 5.11: Schematizzazione delle fasi del processo di formazione di un microvaso (vista in sezione frontale): a) sistemazione del supporto; b) fase statica; c) fase di sviluppo; d) estrazione del supporto e fase dinamica; e) semina dinamica di cellule endoteliali.

5.4. Perfusione di reti di microvasi

Una espansione dell’approccio adottato in questo lavoro potrebbe essere mirato alla realizzazione in vitro di una rete di microvasi preformata. A questo scopo, usando lo stesso elastomero biocompatibile come materiale di partenza, è stata progettata e realizzata una cella di coltura dinamica per lo sviluppo di una rete di microvasi.

Il dispositivo prevede la formazione di strutture reticolari che si sviluppano su un piano

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come conseguenza dell’incrocio di supporti aventi direzioni diverse. Nella configurazione più semplice, la celletta prevede:

- una camera centrale a coltura statica;

- due camere di distribuzione del flusso in ingresso;

- due camere di raccolta del flusso in uscita;

- 16 sostegni-connettori per i supporti;

- 8 supporti in materiale bioassorbibile orientati in direzioni ortogonali;

- due connettori di ingresso;

- due connettori di uscita;

- una copertura in vetro o Plexyglass;

- un sistema di tubi in materiale biocompatibile;

- due connettori a “Y”.

Anche in questo caso, la realizzazione del primo prototipo è stata preceduta da una modellizzazione FEM con il software COMSOL™ Multiphysics, allo scopo di avere una geometria che consenta una equa distribuzione del flusso tra i microvasi.

Le assunzioni del modello sono le stesse indicate in precedenza:

- regime di flusso laminare non turbolento;

- condizione di no slip (non scivolamento alla parete);

- flusso in uscita normale alla superficie;

- valore della velocità del flusso in ingresso che consenta di avere una portata di circa 5 μl/min in ciascuno dei microvasi (quest’ultimo valore, reperito in letteratura, rientra nel range fisiologico [3]).

Anche in questo caso la densità del fluido è definita come ρ = 998.2 kg/m

3

e la sua

viscosità dinamica come η = 1.002 × 10

-3

Pa·s [4]

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Figura 5.12: Modellizzazione FEM del flusso in una delle due camere di distribuzione.

Figura 5.13: Grafico riferito alla Figura 5.12 che mostra come ciascuno dei quattro condotti riceva la stessa porzione di flusso.

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Figura 5.14: Prototipo della cella per la realizzazione di reti di microvasi; le viti di fissaggio sul frame rigido rendono ermetiche le camere interne mentre la fenestratura centrale permette l’osservazione della coltura al microscopio (nel riquadro la struttura in silicone). Dimensioni della camera interna: 30 mm × 30 mm

Secondo il design, il processo di formazione della rete di microvasi dovrebbe prevedere le seguenti fasi:

ƒ Fase statica: gli ingressi e le uscite sono chiusi, le cellule vengono seminate sui supporti (che in questa applicazione devono necessariamente essere bioassorbibili poiché, in caso contrario, la loro estrazione non sarebbe possibile senza il danneggiamento della struttura), la camera centrale viene riempita da mezzo di coltura;

ƒ Fase di sviluppo: le cellule si espandono ricoprendo le strutture disponibili (i supporti bioassorbibili) le quali vengono progressivamente degradate;

ƒ Fase dinamica: gli ingressi e le uscite vengono connessi ad un sistema pulsatile

esterno.

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Bibliografia

[1] F. Berthod, L. Germain, N. Tremblay, F.A. Auger: “Extracellular matrix deposition by fibroblasts is necessary to promote capillary-like tube formation in vitro”. Journal of Cellular Physiology; 207:491–498 (2006).

[2] D. Mazzei: “Ottimizzazione di un bioreattore high throughput con strategia di controllo autonoma”, Tesi di Laurea Specialistica in Ingegneria Biomedica, a.a.

2005/2006, Università di Pisa.

[3] T. Neumann, B.S. Nicholson, J.E. Sanders: “Tissue engineering of perfused microvessels”. Microvasc Res 2003;66:59–67.

[4] G. Wang, Y. Hsu: “ Structure optimization of microvascular scaffolds”. Biomed

Microdevices (2005) 10: 51–58 DOI 10.1007/s10544-006-6382-x.

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