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CONTO ECONOMICO CONSOLIDATO

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Academic year: 2021

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Introduzione.

Questo lavoro spiega le problematiche legate all’impairment test, disciplinato dallo IAS 36, concentrandosi su quali sono le sue problematiche di applicazione.

I principi contabili internazionali mirano a fornire, a tutti coloro che intrattengono rapporti con l’azienda interessata, informazioni riguardanti le potenzialità reddituali e il risultato economico effettivo.

Nella stessa direzione si muove lo IAS 36 (impairment test) che suggerisce alle imprese quale è il percorso da seguire per effettuare una corretta verifica finalizzata ad individuare riduzioni di valore delle attività possedute.

Le attività possedute dall’impresa comprendono le immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie, di quest’ultime; lo IAS S36, si occupa delle partecipazioni controllate, collegate e in joint venture.

L’impairment test è applicabile non soltanto alle imprese che redigono il bilancio secondo i principi contabili internazionali (IAS/IFRS), ma anche a quelle che seguono le regole dei principi contabili nazionali, anche se con la “globalizzazione contabile”, i principi contabili nazionali sono destinati ad essere progressivamente sostituiti da una serie di principi e norme riconosciute a livello internazionale, appunto gli IAS, ossia International Accounting Standards, ora rinominati IFRS, International Financial Reporting Standards, meglio noti come i nuovi principi contabili internazionali.

Questo principio afferma che ogni azienda deve verificare, a ogni data di bilancio, se esistono segnali tali da ritenere che una attività posseduta, ha subito una riduzione di valore.

Lo IAS 36 afferma che se esiste una qualsiasi indicazione a proposito, è necessario eseguire il test di impairment; si deve cioè stimare il cosiddetto valore recuperabile dell’asset. Un asset ha subito una perdita di valore se il suo valore di iscrizione a bilancio è maggiore del suo valore recuperabile.

Se il valore recuperabile risulta inferiore rispetto al dato contabile, la società deve rilevare in bilancio una impairment loss di importo pari all’eccedenza del valore contabile dell’asset rispetto al valore recuperabile.

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Nel primo capitolo, ho spiegato in generale lo IAS 36, definendo l’ambito di applicazione e il concetto di perdita durevole di valore.

Inoltre ho analizzato la perdita di valore di una cash-generating unit, il più piccolo gruppo identificabile che genera flussi finanziari in entrata derivanti dall’uso permanente delle attività e che sono ampiamente indipendenti dai flussi finanziari in entrata generati da altre attività o gruppi di attività.

Oltre alla perdita di valore, si deve analizzare anche il ripristino di valore dopo una svalutazione, e le problematiche che comporta. La perdita durevole di valore di un’attività, infatti, potrebbe venir meno o essersi ridotta, quindi, l’azienda ad ogni esercizio, deve valutare se vi siano indicazioni che le perdite per riduzione di valore rilevate nei precedenti esercizi, si siano ridotte in tutto o in parte.

Se tali indicazioni vi siano, occorre procedere al ricalcolo del valore recuperabile al ripristino del valore contabile precedente.

Tutto questo è stato anche affiancato a esempi numerici, che anche se semplificati, rendono l’idea di cosa si sta affrontando.

Nei capitoli successivi ho analizzato più nello specifico i vari elementi dello IAS36.

Nel capitolo 2 ho affrontato i problemi legati al fair value e al valore d’uso. Il maggiore tra questi due valori, rappresenta il valore recuperabile.

Il fair value, si può definire come “…il corrispettivo al quale un bene può essere scambiato, o una passività estinta, tra parti consapevoli e disponibili, in un’operazione fra terzi…”. I problemi legati a questo concetto, riguarda il fatto che il fair value ha delle diverse configurazioni in base al fatto se esiste un accordo vincolante tra le parte; se non esiste, ma il cespite è commercializzato in un mercato attivo o se non esiste né un accordo vincolante di vendita, né un mercato attivo.

Il valore d’uso si può definire come il valore attuale dei flussi finanziari futuri netti che la singola attività (o l’unita generatrice di flussi finanziari nella quale essa è inserita) è in grado di generale durante la sua prevista vita utile, più il valore attuale del flusso finanziario netto derivante dalla dismissione del cespite (o quello della cash-generating unit) alla fine della vita utile. Questo concetto deve essere

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approfondito, analizzando il tasso di attualizzazione, nello specifico ho analizzato il costo medio ponderato, (WACC), poiché è quello più usato e più completo.

Nel terzo capitolo ho affrontato le problematiche legate all’asset “partecipazioni”.

Lo IAS 36 riguarda, come già detto, le partecipazioni in imprese controllate, collegate e in joint ventures.

Questo tipo di asset ha dei problemi diversi rispetto agli altri asset, infatti:

la determinazione del valore di una partecipazione postula la preliminare stima del valore della società partecipata;

il valore di una partecipazione, e il suo ipotetico prezzo di scambio, non sono necessariamente proporzionali alla quota di interessenza nella società partecipata.

Per concludere, ho preso in considerazione il bilancio consolidato del “Gruppo Sorin”. Nello specifico ho analizzato le partecipazioni in società controllate che possiede l’azienda e l’asset avviamento.

Dal bilancio, non si vede il vero e proprio processo di impairment, ma solo quali sono le principali assunzioni per il calcolo. In particolare ho analizzato il tasso di attualizzazione usato, le C.G.U che sono state definite e le principali ipotesi sul costo medio ponderato.

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Capitolo 1

IAS 36: IMPAIRMENT TEST.

1.1 Introduzione allo IAS 36.

Lo IAS 36 definisce, in generale, i principi che una società deve applicare per assicurarsi che i suoi asset siano iscritti in bilancio ad un valore non superiore a quello cosiddetto “recuperabile”, inteso come il valore che può essere ottenuto dall’utilizzo o dalla vendita dell’asset medesimo.

In particolare, si richiede alla società di verificare, a ogni data di bilancio, se esistono segnali tali da indurre a ritenere che un determinato asset abbia subito una riduzione di valore. Se esiste una qualsiasi indicazione a proposito, è necessario eseguire il test di impairment; si deve cioè stimare il cosiddetto valore recuperabile dell’asset. Tale valore è il maggiore tra i) il fair value, al netto dei costi diretti di vendita ( “fair value less cost to sell”), e ii) il valore d’uso (“value in use”).

Se il valore recuperabile risulta inferiore rispetto al dato contabile, la società deve rilevare in bilancio un’impairment loss di importo pari all’eccedenza del valore contabile dell’asset rispetto al valore recuperabile.

L’obbiettivo dello IAS 36 è quindi quello di fare in modo che gli assets di un’azienda non siano iscritti in bilancio a un valore superiore a quello recuperabile, evitando così

VALORE D’ISCRIZIONE

A BILANCIO

FAIR VALUE VALORE D’ USO

PERDITA DI VALORE

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di dare ai terzi un’informativa distorta in merito al reale valore dell’azienda stessa, e per contro non permettere che l’eventuale eccessiva soggettività di giudizio degli amministratori si traduca in una mera politica di bilancio.

Inoltre, la finalità dello IAS 36, è quella di definire i criteri che ogni impresa è tenuta a seguire per assicurarsi che le proprie attività siano iscritte in bilancio ad un valore non superiore a quello recuperabile. Nell’eventualità che un’attività risulti iscritta in bilancio ad un valore superiore a quello che può essere ottenuto tramite il suo utilizzo o la sua vendita, il principio richiede che l’impresa debba rilevare contabilmente la perdita di valore1.

Nell’ambito dello IAS 36 il procedimento di determinazione ed allocazione delle perdite di valore si sviluppa attraverso le seguenti fasi:

• identificazione di un’attività che possa aver subito una perdita di valore;

• determinazione del fair value dell’asset;

• determinazione del valore d’uso: flussi finanziari futuri e tasso di attualizzazione;

• determinazione del valore recuperabile, considerato come maggiore tra il fair value al netto dei costi di vendita e il valore d’uso;

In merito al punto 1 va osservato che lo IAS 36 è un principio contabile trasversale, nel senso che trova applicazione anche nei confronti delle immobilizzazioni materiali (IAS 16), di quelle immateriali (IAS 38), degli investimenti immobiliari (IAS 40), delle partecipazioni in società collegate e controllate nonché joint venture (IAS 27, 28, 31). L’applicabilità dell’impairment test è esclusa per talune attività quali: le rimanenze di magazzino (per le quali si applica lo IAS 2), i lavori su ordinazione (IAS 11) le attività differite (IAS 12), e quelle attività finanziarie disciplinate dallo IAS 39.

Relativamente al punto 2 lo IAS 36 stabilisce che la perdita per riduzione di valore

1 Fabrizio Bencini, Roberta De Pirro, Francesco Ferragina, Vincenzo Ferragina, Matteo Mangiarotti, Claudio Mazzoleni, Dennis Pini, “Impairment test: aspetti contabili e valutativi”, allegato a Il Sole 24 Ore, Milano 2008, pag. 9.

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coincide con l’ammontare per il quale il valore contabile di un’attività (generatrice di flussi finanziari) supera il valore recuperabile.

Al riguardo del punto 2, il fair value di un asset si definisce come l’ammontare ottenibile dalla sua vendita in una libera transazione tra parti consapevoli disponibili, al netto dei costi di dismissione.

In alcuni casi, non è possibile determinare il fair value e ciò accade quando non esiste alcun criterio per effettuare una stima attendibile dell’importo ottenibile dalla vendita dell’attività in una contrattazione tra parti consapevoli e disponibili. In tal caso, il valore recuperabile dell’asset è pari al suo valore in use.

Proseguendo, al punto 3, si può definire il valore d’uso, come il valore attuale dei flussi di cassa futuri che l’impresa si attende dall’uso continuativo di uno specifico asset e dalla sua dismissione al termine della vita utile della stesso.

Non è sempre necessario procedere alla determinazione dell’uno e del’altro dei valori indicati. Se uno dei due, es. il fair value, risulta già superiore al valore contabile, vuol dire che non c’è perdita di valore e non è necessario calcolare anche il valore d’uso.

Se non è possibile stimare in modo attendibile il fair value, ad esempio perché non c’è per il bene considerato un mercato attivo, può essere considerato come il valore recuperabile il suo valore d’uso.

E’ ciò che si verifica, nella normalità dei casi, per le attività immateriali. Inoltre, se, come avviene di solito per le attività destinate alla vendita, vi è ragione di credere che il valore d’uso sia approssimativamente uguale al fair value meno i costi di vendita, quest’ultimo può essere utilizzato come valore recuperabile.

Infine, come ultimo punto, il documento IAS 36, definisce il valore recuperabile come il valore più alto tra il prezzo di vendita e il valore d’uso di un’attività.

Il valore recuperabile, deve essere riferito anziché ad un singolo cespite, al complesso di cespiti nel quale è inserito (denominato “unità generatrice di flussi finanziari” cash- generating unit) quando esso non è in grado di generare da solo un flusso finanziario autonomo distinto da quelli derivanti da altri cespiti o gruppi di cespiti.

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Può far da esempio, l’avviamento, che deve essere considerato sempre compreso nell’azienda, ramo d’azienda o altra business unit cui esso inerisce.

In questa ipotesi, il valore recuperabile viene determinato con riferimento all’intera cash-generating unit (unità generatrici di flussi finanziari), nei capitoli successivi verranno spiegati nel dettaglio.

Tuttavia, non è necessario calcolare il valore d’uso della CGU quando:

-come già accennato sopra, il fair value del cespite è superiore al valore contabile (perché in questo caso non c’è perdita di valore), oppure

- il valore d’uso del cespite può essere stimato al fair value e questo può essere determinato attendibilmente.

Per quanto riguarda le attività immateriali, a vita utile indefinita, non è necessario procedere annualmente al calcolo del valore recuperabile sono soddisfatte congiuntamente le seguenti tre condizioni:

a) se il cespite è inserito in una cash-genarating unit e dal precedente calcolo del valore recuperabile, le attività e passività che fanno parte di tale “unità” non sono variate significativamente;

b) il più recente calcolo ha dimostrato l’esistenza di un margine sostanziale rispetto al valore contabile;

c) In base all’analisi dei fatti intervenuti e delle circostanze che si sono modificate dall’epoca del più recente calcolo, la probabilità di un valore recuperabile inferiore al valore contabile è remota.

L’impairment test non si applica alle attività patrimoniali disciplinate dai seguenti IAS-IFRS (i quali contengono già i criteri per il calcolo delle riduzioni di valore di tali attività):

• Rimanenze di magazzino (IAS2);

• Attività derivanti da commesse a lungo termine (IAS 11);

• Imposte differite attive (IAS12);

• Attività derivanti da benefici per i dipendenti (IAS 19);

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• Attività finanziarie disciplinate dallo IAS 39;

• Investimenti immobiliari valutati al fair value (IAS40);

• Attività biologiche connesse all’attività agricola, valutate al fair value meno i costi stimati al punto vendita (IAS 41);

• Attività non correnti “help for sale e disposal group (IFER5)";

• Attività immateriali derivanti da contratti di assicurazione e costi di acquisizione differita (IFRS 4).

Più precisamente, come illustrato nello IAS 36, paragrafi da 2 a 5, lo stesso si applica a:

• immobili, impianti e macchinari;

• investimenti in immobiliari valutati al costo;

• attività immateriali;

• avviamento originatosi a seguito di applicazioni aziendali;

investimenti in società controllate, collegate e joint venture.

Il principio IAS 36, può essere considerato un principio a mero contenuto valutativo, in quanto mira alla corretta (in senso formale), attendibile, (in senso sostanziale) e omogenea (nello spazio e nel tempo) determinazione del valore da iscrivere in bilancio in corrispondenza delle diverse voci dell’attivo.

E’ necessario anzitutto precisare il termine “attività”. Questo è riferito a tutti gli elementi patrimoniali attivi che soddisfano la definizione di “attività” contenuta nel Framework2 ossia una raccolta di regole generali per la corretta interpretazione dei principi ai quali si applica il documento n. 36, ossia:

• fabbricati, impianti e macchinari ai quali si applica lo IAS 16;

• attività immateriali, compreso l’avviamento, alle quali si applica lo IAS 38;

• investimenti immateriali valutati al costo (IAS 40);

2 Commissione per i principi contabili, “Guida all’applicazione dell’impairment test dello IAS 36”, pag.25.

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• partecipazioni in società controllate, collegate e joint ventures, disciplinate dagli IAS 27, 28 e 31.

Si tratta in sostanza di tutti gli elementi patrimoniali attivi, che nel bilancio italiano, vengono ricompresi nelle classi delle immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziari, per i quali l’art. 2426 del Codice Civile richiede che, ad ogni esercizio, venga accertata l’eventuale presenza di sintomi di riduzione di valore e, in caso positivo, la rilevazione di eventuali perdite durevoli di valore.

Il documento IAS 36, come già visto, richiede che l’impresa, ad ogni data di riferimento del bilancio, valuti se esistono sintomi di riduzione di valore, ma a prescindere dall’esistenza o meno di sintomi, l’impresa è obbligata ad eseguire ogni anno il test impairment, ossia calcolare il valore recuperabile e confrontarlo al valore contabile, per le seguenti attività patrimoniali:

 attività immateriali a vita utile indefinita (tra le quali vi è sempre l’avviamento, goodwill);

 attività immateriali non ancora disponibili per l’uso (es.: un’invenzione industriale rispetto alle quale devono essere ancora svolti alcuni test di controllo prima del suo utilizzo).

E’ importante soffermarci a parlare di due concetti importanti: la vita utile dell’attività e il valore residuo.

La vita utile di un’attività, di norma corrisponde al periodo di tempo nel corso del quale la stessa sarà utilizzata dall’azienda.

Potrebbe anche valere un “criterio di consumo”, se la capacità dell’attività è predefinita, per esempio nel caso di una licenza con un prefissato numero di abilitazioni, i flussi finanziari dipenderanno da queste ultime.

La teoria finanziaria prevede che l’orizzonte temporale di analisi delle decisioni d’investimento debba essere fissato in corrispondenza del momento in cui l’investimento ha esaurito la sua forza propulsiva andando ad attestarsi su tassi di crescita stabili. Questo vale anche per un'attività o gruppo di attività, in particolare,

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l’orizzonte temporale si posizionerà sul primo anno in cui i flussi raggiungono una loro stabilizzazione. I flussi futuri potranno comunque non essere identici, ma potranno avere un trend di crescita o in diminuzione, ma costanti.

Da quel momento sarà possibile calcolare il valore residuo.

Il valore residuo o terminal value, viene rilevato in corrispondenza del termine dell’orizzonte temporale dell’analisi, proprio perché a quel punto l’investimento produce un flusso di cassa costante e può essere calcolato con diversi metodi:

• Metodo del valore attuale di una rendita perpetua:

Vr = Fcfn / i

• Metodo del valore attuale di una rendita perpetua crescente (decrescente a un tasso costante g:

Vr = Fcfn / (i-g)

• Metodo di valore attuale di una rendita perpetua:

Vr = [Fcf x (1+π)]/ (i-g)

dove:

π è il tasso d’inflazione;

Fcf x (1+π)] è il valore del primo flusso successivo a termine dell’orizzonte di analisi.

Il terminal value, viene calcolato usualmente prendendo come riferimento il NOPLAT dell’ultimo anno di pianificazione esplicita e considerando un tasso di crescita pari a zero per gli anni successivi a quelli previsti a piano, a meno di situazioni particolari che giustifichino tassi di crescita positivi.3

Lo IAS 36, raccomanda l’adozione di un tasso di crescita stabile o calante o comunque non superiore al tasso di crescita medio di lungo termine di prodotti, settori industriali, nazione o nazioni in cui l’impresa è produttiva.

E’ possibile comunque l’adozione di un tasso di crescita crescente, ma in tal caso occorre che gli amministratori sappiano motivarlo adeguatamente.

3 Franco Roscini Vitali, Mario Antonio Vinzia, “Fair value : rappresentazione contabile e valutazioni finanziarie secondo gli IAS : prevalenza della sostanza sulla forma”, Il Sole 24 Ore, Pirola 2003, da pag. 172 a pag.174.

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1.1.1 Procedimento di impairment applicato ad un esempio numerico.

Procedendo, si può illustrare un esempio numerico, semplificato, per capire il procedimento di impairment.

Ipotizzando che un’impresa abbia acquistato ad inizio anno un impianto del costo di € 400.000 ammortizzabile in 10 anni e che il 31/12/2009 ci sono utili indicazioni di impairment per far ritenere che l’impianto abbia subito una perdita di valore.

Anno Costo

storico

%

Ammortamento

Quota di ammortamento

Fondo di ammortamento

Valore contabile

2005 400.000 10 40.000 40.000 360.000

2006 400.000 10 40.000 80.000 320.000

2007 400.000 10 40.000 120.000 280.000

2008 400.000 10 40.000 160.000 240.000

2009 400.000 10 40.000 200.000 200.000

2010 400.000 10 40.000 240.000 160.000

2011 400.000 10 40.000 280.000 120.000

2012 400.000 10 40.000 320.000 80.000

2013 400.000 10 40.000 360.000 40.000

2014 400.000 10 40.000 400.000 ---

Il prospetto sopra riportato evidenzia il piano di ammortamento dell’impianto (per semplicità si è calcolata la vita utile del bene considerando una percentuale di ammortamento a quote costanti).

CALCOLO DEL FAIR VALUE:

fair value dell’impianto 198.000 -costi stimati dell’impianto 5.000 Fair value al netto dei costi di dismissione 193.000

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Successivamente, passiamo a calcolare il valore d’uso. Il calcolo del valore d’uso non è compito facile poiché dipende da molte variabili che, in diversa misura incidono sulla determinazione dello stesso. Per un qualunque cespite l’azienda si attende che dia dei risultati positivi, in altre parole ciò significa che i costi sostenuti dall’azienda per introdurre nel ciclo produttivo quel bene, devono essere inferiori ai ricavi che quello stesso bene è in grado di far conseguire all’azienda. Il metodo sembra ottimale per il calcolo del valore d’uso è un’analisi dei flussi finanziari basata su una serie di stime comportanti una serie di operazioni che qui di seguito si sintetizzano:

• flussi finanziari in entrata: derivanti dagli introiti che consegue l’azienda realizzando uno specifico prodotto con quel bene che stiamo valutando;

• flussi finanziari in uscita: derivanti dagli esborsi, di qualsiasi natura, che sostiene l’azienda per la realizzazione di uno specifico prodotto;

• flusso finanziario netto: ottenuto come differenza tra i due flussi precedentemente indicati;

• tasso di attualizzazione: inteso come valore del denaro che tenga conto degli elementi di rischio strettamente connessi all’attività d’impresa.

Tali flussi, basati su appositi piani elaborati dalla direzione aziendale, devono essere calcolati in modo più attinente possibile a quella che è la realtà in cui opera l’azienda, diventa, pertanto, importante che i budget contengano dati recenti. L’importanza della tempestività dei dati è duplice perché essi sono indispensabili per quelle imprese che adottano i principi contabili internazionali (IAS/IFRS) per la redazione del bilancio e sia perché – nell’ambito delle scritture contabili in senso stretto – la perdita di valore di un bene deve essere rilevata nel conto economico al fine di determinare il nuovo

“costo” sulla base del quale ripartire l’ammortamento sul restante periodo di vita utile del bene stesso.

Riprendendo il caso dell’impianto industriale dal costo storico di € 400.000, la tabella sotto riportata mostra i flussi monetari generati dall’impianto nel suo periodo di vita residua.

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CALCOLO DEL VALORE D’USO:

Anno Flussi di cassa

netti

Tasso di attualizzazione

Coefficiente di attualizzazione

Valore attuale

2010 €43.120 7% 1.07 40.299

2011 € 46.140 7% 1.14 40.300

2012 € 47.800 7% 11.23 39.019

2013 € 50.200 7% 1.31 38297

2014 € 52.012 7% 1.40 37.084

Il valore attuale si calcola con l’attualizzazione dei flussi di cassa netti:

1 --- (1 + 0,05)n

La somma dei valori attuali degli anni, ci permette di individuare il valore d’uso che è pari a 195.000 €. Il risultato così ottenuto dimostra che il valore recuperabile dell’impianto è inferiore sia al valore contabile (pari a € 200.000) e sia fair value al netto dei costi di dismissione (pari a € 193.000).

Perciò gli amministratori, al 31/12/2009, oltre a calcolare la quota di ammortamento secondo le norme civilistiche, dovranno procedere alla svalutazione dell’impianto per la perdita subita:

Valore contabile dell’impianto al 31/12/2009 € 200.000

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Valore d’uso dell’impianto al 31/12/2009 € 195.000 --- Perdita per riduzione di valore € 5.000

Le scritture contabili si presenteranno simili alle seguenti:

31/12/N Ammortamento impianti € 40.000

31/12/N Fondo amm.to impianti € 40.000

31/12/N Svalutazione impianti € 5.000

31/12/N Fondo svalutazione impianti € 5.000

Da quanto esposto sino ad ora si possono trarre due importanti riflessioni: la prima è che a seguito della rilevazione della perdita di valore, l’impresa, applicando i principi contabili internazionali, deve procedere alla rettifica del costo storico dell’impianto, anche se tale perdita non è durevole e di conseguenza procedere a ripartire l’ammortamento dell’impianto per il periodo di vita utile residuo alla luce del nuovo valore. La seconda è che se l’impresa decide di vendere l’impianto prima del 31/12/N avendo un valore recuperabile maggiore del valore d’uso e quindi coincidente col fair value converrebbe vendere il bene al prezzo di € 193.000. Se, invece, il fair value fosse stato di importo più basso rispetto al valore d’uso, l’impresa avrebbe convenienza a vendere il bene a € 195.0000.

Il procedimento per la determinazione delle eventuali perdite di valore va ripetuto ogni anno e, nel caso in cui non dovessero manifestarsi, è ovvio che l’impresa non dovrà fare alcuna svalutazione anzi, se l’anno successivo a quello in cui si è registrata la perdita di valore si rileva un incremento dello stesso, l’impresa dovrà procedere al ripristino del valore con le stesse modalità con cui si procede alla svalutazione.

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1.2 La perdita durevole di valore.

Il documento IAS 36, definisce la perdita durevole di valore come l’ammontare per il quale il valore contabile di un’attività eccede il valore recuperabile.

I sintomi dell’esistenza di riduzione o perdita di valore derivano da due diverse fonti di informazione:

- fonti esterne all’impresa, - fonti interne all’impresa.

FONTI ESTERNE:

1. il valore di mercato dell’attività considerata è diminuito significativamente durante l’esercizio, più di quanto si prevedeva sarebbe accaduto con il passare del tempo o col normale utilizzo dell’attività in oggetto; in questa ipotesi è probabile che il valore recuperabile sia divenuto inferiore al valore contabile calcolato tenendo conto del solo ammortamento. Si sono verificate nell’esercizio, o si verificheranno nel prossimo futuro, variazioni significative con effetto negativo per l’impresa nell’ambiente tecnologico, di mercato, economico o normativo in cui l’impresa opera o nel mercato al quale l’attività è rivolta.

2. Si deve trattare di cambiamenti o innovazioni che potranno ridurre sensibilmente il valore di mercato o le modalità di utilizzo durevole di un’attività (es.: limitazioni o divieti all’utilizzo nella produzione di determinati impianti o macchinari); oppure di modifiche legislative che limitano o vietano l’esercizio delle attività in alcuni settori, o la sottopongono a sensibili restrizioni.

3. Sono aumentati i tassi di interesse di mercato o altri tassi di rendimento degli investimenti ed è probabile che tale aumento comporterà un incremento del tasso si attualizzazione utilizzato dall’impresa nel calcolo del valore d’uso di

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un'attività riducendo in modo significativo il valore recuperabile (es. l’aumento del rendimento dei titoli di Stato a media-lunga scadenza, che costituiscono il tasso risk free sul qual è basato il calcolo del tasso di attualizzazione dei flussi finanziari).

4. Il valore patrimoniale netto contabile dell’impresa, se quotata, è superiore alla sua “capitalizzazione de mercato” (ossia, al valore di borsa della totalità delle sue azioni).

FONTI INTERNE:

1. risulta evidente l’obsolescenza dei cespiti( tecnologia operativa o riferita ai prodotti fabbricati col suo utilizzo, come può avvenire per impianti, brevetti, ecc.).

1. Si sono verificati nel corso dell’esercizio, o si verificheranno nel prossimo futuro, cambiamenti significativi nella misura o nel modo in cui un’attività viene utilizzata o si suppone che sarà utilizzata. Ad esempio, programmi di ristrutturazione del settore operativo o di cessazione del settore.

2. Vi sono indicazioni, derivanti dal sistema informativo interno, le quali dimostrano che i risultati attesi saranno peggiori di quelli in precedenza previsti:

- budgets finanziari che prevedono flussi finanziari scaturenti dalle attività considerate negative o minori delle attese;

- budgets finanziari dai quali risulta che i flussi finanziari necessari per l’acquisto ed il mantenimento della potenzialità produttiva dei cespiti sono significativamente superiori a quelli preventivati;

- previsioni aziendali di perdite operative nette nel settore o nella business unit in cui il cespite è utilizzato significativamente peggiori di quelle preventive;

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- previsioni di un significativo peggioramento dei flussi finanziari netti o del reddito operativo; o di un significativo aumento della perdita derivante dall’utilizzo del cespite;

- le previsioni aziendali dimostrano che, aggregando gli importi del periodo in corso con quelli preventivati per il futuro, si verificano perdite operative o flussi finanziari netti negativi.

Non sempre quando si verifica uno dei sintomi indicanti, l’impresa è tenuta a calcolare il valore recuperabile del cespite considerato: se questo valore è stato già calcolato in precedenza (es. alla fine del precedente esercizio) ed esso si è dimostrato significativamente maggiore del valore contabile, non è necessario procedere al ricalcolo se tale margine di valore non si è interamente ridotto o se i sintomi indicanti hanno di esso una scarsa influenza.

Ad esempio, se si è verificato un incremento nei tassi d’interesse di mercato o nei tassi di rendimento degli investimenti, non vi è obbligo di effettuare un calcolo formale del valore recuperabile nei seguenti casi:

a) se non vi è la probabilità che l’aumento dei tassi di mercato incida sul tasso di attualizzazione da utilizzare per il calcolo del valore d’uso (es.:

se l’aumento riguarda solo il tasso d’interesse a breve termine);

b) se, nonostante l’aumento dei tassi, l’impresa sarà in grado di incrementare i propri ricavi per compensare l’aumento dei tassi.4

E’ necessario considerare, che la presenza di un sintomo di perdita di valore ( anche se questa poi non viene rilevata) possa significare che occorre riconsiderare la vita utile residua, il valore residuo ed il metodo di ammortamento del cespite.

L’elenco non è comunque esaustivo, un’impresa può individuare altre indicazioni che un’attività può aver subito una perdita durevole di valore e queste egualmente obbligano l’impresa a determinare il valore recuperabile di un’attività.

4 Op.cit.: Commissione dei principi contabili, “Guida all’applicazione dell’impairment test dello IAS 36”, pag.

26-28.

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Le indicazioni che derivano dall’informativa interna in grado di rilevare che un’attività può aver subito una perduta durevole di valore, comprendono:

- flussi finanziari connessi all’acquisto di un’attività, o disponibilità liquide che in seguito si rendono necessarie per rendere operativa o conservare l’attività significativamente superiori a quelli originariamente preventivati;

- flussi finanziari netti effettivi oppure utili o perdite operative conseguenti all’esercizio dell’attività che si rivelano significativamente peggiori a quelli originariamente preventivati;

- un significativo peggioramento dei flussi finanziari netti o del reddito operativo preventivato, o un significativo aumento della perdita preventiva relativa all’utilizzo dell’attività;

- perdite operative o flussi finanziari netti in uscita connesse all’attività, quando i risultati del periodo in corso vengono aggregati a quelli preventivati per il futuro;

- il valore d’uso dell’attività possa essere considerato simile al suo prezzo netto di vendita e il prezzo netto di vendita sia determinabile.

In alcuni casi, stime, medie e sistemi semplificati di calcolo possono fornire una ragionevole approssimazione dei calcoli dettagliati esposti nel Principio per determinare o il prezzo netto di vendita o il valore d’uso.

Nel sistema italiano, la perdita di valore deve avere anche l’attributo della

“permanenza” e della “durevolezza”. Deve tuttavia ritenersi che, quando il valore recuperabile viene determinato in base al valore d’uso ottenuto mediante la capitalizzazione dei flussi finanziari futuri, per un periodo non breve (ossia di almeno 3-5 anni) la perdita di valore nella generalità dei casi non possa considerarsi transitoria e debba, pertanto, essere rilevata contabilmente.

La finalità dichiarata dallo IAS 36, consiste nel definire i criteri che ogni impresa è tenuta a seguire per assicurarsi che le proprie attività siano iscritte in bilancio a un valore non superiore a quello recuperabile. Nell’eventualità poi che un’attività risulti iscritta a bilancio a un valore superiore a quello che può essere ottenuto tramite il suo utilizzo o la sua vendita, il principio in commento richiede che l’impresa deve rilevare

(20)

contabilmente la perdita di valore, disponendo in quali casi la stessa deve procedere con il ripristino totale o parziale dell’originario valore e quali tipologie di informativa è necessaria che la stessa fornisca nelle note allegate al bilancio.

1.2.1 I ripristini di valore dopo una precedente svalutazione.

Lo IAS 36, affronta la problematica connessa ai ripristini di valore. Il presupposto su cui si fonda tale problematica, è rappresentato dalla presenza di indicazioni secondo le quali, la perdita durevole di valore di un’attività, potrebbe essere venuta meno o essersi ridotta nella sua misura. Ad ogni esercizio l’impresa deve valutare se vi siano indicazioni che le perdite per riduzione di valore rilevate nei precedenti esercizi si siano ridotte in tutto o in parte. Se tali indicazioni vi siano, occorre procedere al ricalcolo del valore recuperabile al ripristino del valore contabile precedente. Il ripristino del precedente valore, tuttavia non potrà avvenire integralmente.

Le indicazioni prevengono dalle stesse fonti di informazione interne o esterne indicate prima e denotano la presenza di sintomi opposti a quelli indicati, in particolare:

a) per le fonti esterne di informazione, devono essere verificate o un aumento significativo del valore di mercato del bene o del gruppo di beni svalutati; o un cambiamento significativo con effetto favorevole nell’ambiente tecnologico di mercato, economico o legale; o una riduzione dei tassi di mercato che comporta una riduzione del tasso di attualizzazione ai fini del calcolo del valore d’uso.

b) Per le fonti interne di informazione devono essere verificati o un cambiamento significativo con effetto favorevole nel modo in cui il cespite viene utilizzato (compresi i costi sostenuti nell’esercizio per migliorarne o ottimizzarne l’efficienza o ristrutturare l’azienda o ramo di azienda di cui esso fa parte); o dai reports gestionali deve risultare che il rendimento economico del cespite è o sarà migliore di quanto precedentemente supposto.

(21)

In queste ipotesi, la vita utile, il valore residuo e il metodo di ammortamento devono essere riconsiderati, anche se non si procede ad alcun ripristino di valore del cespite.

Il ripristino di valore riflette un aumento nella stima del servizio potenzialmente offerto da un cespite o da un gruppo di cespiti (unità generatrice di flussi finanziari), che si è verificato dalla data dell’ultima riduzione di valore. Si tratta di un cambiamento di stime contabili che deve essere identificato in coerenza col metodo del calcolo del valore recuperabile;

a) un cambiamento nel criterio utilizzato per calcolare il valore recuperabile (passaggio da fair value meno i costi di vendita al valore d’uso e viceversa);

b) se il valore recuperabile si basava sul valore d’uso, un cambiamento nell’importo dei flussi, o nella loro collocazione temporale o nel tasso di attualizzazione;

c) se il valore recuperabile si basava sul fair value, un cambiamento nella stima del fair value meno i costi di vendita.

Non è possibile effettuare il ripristino, totale o parziale, del valore precedente per l’aumento del valore d’uso che si verifica, col passare degli esercizi, in conseguenza della riduzione del numero di anni di attualizzazione (“unwinding”

dell’attualizzazione).

Ciò perché in questa ipotesi non vi è alcun aumento del potenziale di servizi offerti dal cespite o dal gruppo di cespiti considerati.

Il ripristino di un cespite comporta un aumento del suo valore contabile fino al limite del valore che sarebbe stato determinato (al netto di ammortamento o di svalutazione) se non fosse stata in precedenza rilevata alcuna perdita di valore.

Un ripristino che eccede tale limite costituisce, per la differenza, una rivalutazione, che deve essere rilevata come tale. Il valore dell’avviamento non può mai essere ripristinato, questo perché potrebbe esserci il pericolo, che il ripristino possa comportare una rilevazione dell’avviamento internamente generato dall’impresa (“avviamento originario”). Il trattamento contabile del ripristino è speculare a quello

(22)

della perdita per riduzione di valore: va imputato a conto economico, oppure se si tratta di beni valutati al fair value (IAS 16 o 38), alla riserva da rivalutazione.

Dopo il ripristino, gli ammortamenti vanno calcolati sul valore contabile ripristinato.5

1.2.2 Procedimento di ripristino valore applicato ad un esempio numerico:

rivalutazione di un impianto.

Nei primi mesi del 2009, l’impresa x acquista un impianto per 120.000€. Si stima un valore residuo di 10.000€ e una vita residua di 6 anni. L’impresa X procede all’ammortamento a quote costante dell’impianto.

Esercizio Quota

d’ammortamento

Fondo ammortamento

Valore contabile al termine dell’esercizio

2009 18.333* 18.333 91.667

2010 18.333 36.667 73.333

2011 18.333 55.000 55.000

2012 18.333 73.333 36.667

2013 18.333 91.667 18.333

2014 18.333 110.000 0

*quota d’ammortamento calcolato come rapporto tra il valore ammortizzabile (110.000€ pari a 120.000-10.000) e la vita utile (6 anni).

All’inizio del 2010 si verifica una sensibile riduzione del prezzo di mercato di impianti del tipo di quello considerato. Sulla base di tali indicazioni, al termine dell’esercizio 2010, l’impresa X stima il valore recuperabile dell’impianto quale valore tra il più alto tra il fair value al netto dei costi di dismissione ed il valore d’uso. Il valore recuperabile dell’impianto al 31/12/2010 risulta pari a € 50.000L’impresa contabilizza una perdita di valore pari a € 23.333 (73.333-50.000).

5 Op.cit.: Commissione dei principi contabili, “Guida all’applicazione dell’impairment test dello IAS 36”, pag.

59 - 60.

(23)

Rilevazione della perdita di valore per riduzione di valore e nuovo valore contabile dell’attività

Esercizio 2010

Valore ammortizzabile 110.000

Ammortamenti accumulati (2009e 2011) 36.667

Valore contabile al 31/12/2010 73.333

Perdita per riduzione di valore 23.333

Valore contabile dopo la rilevazione della perdita di valore

50.000

Dopo aver rilevato la perdita di valore al termine del 2010, l’impresa X modifica l’ammortamento dell’impianto (da €18.333 a €12.500), basandosi sul valore contabile rettificato dalla perdita e sulla vita utile restante dell’attività (4 anni).

Esercizio Quota

d’ammortamento

Perdita di valore Valore contabile al termine dell’esercizio

2009 18.333 91.667

2010 18.333 23.333* 73.333

2011 18.333 55.000

2012 18.333 36.667

2013 18.333 18.333

2014 18.333 0

* quota d’ammortamento calcolata come rapporto tra il valore contabile rettificato dalla perdita di valore (€50.000) e la restante vita utile dl bene (4 anni).

Nel corso del 2012 si verifica un’inversione della tendenza alla riduzione dei prezzi di mercato degli impianti. Questo cambiamento favorevole fa sì che l’impresa X stimi nuovamente il recuperabile dell’impianto al termine dell’esercizio 2012.

Il valore recuperabile dell’impianto al 31/12/2012 è pari a € 38.000.

(24)

Calcolo del valore contabile dell’impianto al 31/12/2013 Valore contabile al 31/12/2011 (rilevazione

perdita di valore)

50.000

Ammortamenti aggiuntivi (esercizi 2011 e 2012) 25.000

Valore contabile al 31/12/2012 25.000

Valore recuperabile 38.000

Eccedenza del valore recuperabile sul valore contabile

13.000

Vi è stato un cambiamento favorevole delle stime usate per determinare il valore recuperabile dell’impianto e dunque l’impresa X storna la perdita di valore rilevata nel 2010.

In conformità delle disposizioni dello IAS 36, X aumenta il valore contabile dell’attività mediante un ripristino di valore.

L’accresciuto valore contabile dell’attività non deve in ogni caso eccedere il valore contabile che sarebbe stato determinato (al netto di svalutazione o ammortamento) se non si fosse rilevata alcuna perdita di valore per riduzione di valore negli esercizi precedenti.

Calcolo del valore contabile al 31/12/2012 che sarebbe stato determinato se non fosse stata rilevata una perdita di valore nell’esercizio 2010.

Valore ammortizzabile 110.000

Ammortamenti accumulati ( esercizi 2009, 2010, 2011e 2012)

73.333 (18.333x4)

Valore contabile al 31/12/2013 che si sarebbe ottenuto se non fosse stata rilevata una perdita di valore nell’esercizio 2010

36.667

Valore contabile effettivo al 31/12/2013 25.000

Differenza 11.667

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L’ammortamento di valore che deve essere ripristinato è pari a € 11.667 (36.667- 25.000). Il valore recuperabile di € 38.000 assume rilievo, dunque, nei limiti di € 36.667.

Dopo aver rilevato il ripristino di valore dell’attività, l’impresa X modifica l’ammortamento dell’impianto (da €12.500 a €18.333) basandosi sul valore contabile rettificato dal ripristino e sulla vita utile restante dell’attività.

Il nuovo valore contabile al 31 dicembre 2013 e l’ammortamento negli esercizi 2013 e 2015 è il seguente:

31/12/2012 Valore contabile prima del ripristino 25.000 31/12/2012 Ripristino di valore 11.667

31/12/2012 Valore di bilancio 36.667

31/12/2013 Ammortamento 18.333

31/12/2013 Valore di bilancio 18.333

31/12/2014 Ammortamento 18.333

31/12/2014 Valore di bilancio 0

1.3 Perdita di valore e ripristino di valore di una cash-generating units.

Per attenuare anche se solo parzialmente la difficoltà o impossibilità di identificare in modo preciso i singoli elementi generatori di flussi di cassa autonomi e indipendenti, lo IAS 36, prevede l’esistenza delle cosiddette unità generatrici di flussi finanziari (cash generating unit o CGU).

Questa si possono definire come il più piccolo gruppo identificabile che genera flussi finanziari in entrata derivanti dall’uso permanente delle attività e che sono ampiamente indipendenti dai flussi finanziari in entrata generati da altre attività o gruppi di attività.

Nell’identificare tale gruppo, l’impresa deve tenere conto di vari fattori, ma soprattutto delle modalità con le quali la direzione aziendale controlla l’operatività dei vari business unit dell’impresa (per linee di prodotto, per settori aziendali, per dislocazioni

(26)

aziendali, per aree distrettuali o regionali ecc.) e la modalità con la quale vengono assunte le decisioni in merito al mantenimento dell’operatività o alla cessazione dell’attività dei beni.

Come precisato nella Guida operativa -Aspetti applicativi dei principi IAS/IFRS, redatta dall’organismo Italiano di Contabilità, il processo di identificazione di una cash gene rating unit è di tipo bottom-up e dovrebbe essere utilizzata la reportistica interna.

Infatti, il principio, non richiede identificazioni di cash generating unit diverse da quelle sulle quali il management prende le proprie decisioni.

Per quanto riguarda la perdita di valore di una C.G.U., lo IAS 36 afferma che: se il valore recuperabile è minore del valore contabile di una singola C.G.U. o gruppo di queste, occorre rilevare per differenza una perdita durevole di valore.

In modo analogo, si proceda, qualora sia possibile calcolare il valore recuperabile di singoli cespiti: in tal caso la perdita di valore viene determinata e rilevata contabilmente a livello di singolo cespite, materiale o immateriale.

La perdita di valore deve essere ripartita fra tutte le attività che compongono la singola cash o il gruppo di cash nel seguente ordine:

a) dapprima occorre procedere alla riduzione, anche fino a zero, del valore contabile dell’avviamento;

b) per la parte restante della perdita occorre procedere alla riduzione proporzionale del valore contabile delle altre attività (comprese le corporate assets) che compongono la singola cash o gruppo di cash, come esclusione delle attività correnti (es. rimanenze di magazzino, crediti) già valutate al loro valore recuperabile.

La perdita di valore ad una cash-generating unit, non può essere compensata con le perdite relative ad altre e diverse CGU.

Nelle riduzioni di valore contabile delle attività “impaired” il documento IAS 36, non consente di ridurre il valore al di sotto del più alto tra:

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a) il fair value meno i costi di vendita delle singole attività patrimoniali (se determinabile);

b) il valore d’uso della medesima attività (se determinabile).

Se ambedue i valori sono negativi, al massimo si può ridurre a zero il valore contabile, ma non si può iscrivere un valore negativo. La porzione di perdita che non è stato possibile allocare va ripartita proporzionalmente fra le attività dell’unità o del gruppo.

La rilevazione di una perdita di valore, comporta sempre la riduzione del valore contabile del cespite considerato (o dei cespiti se si tratta di una CGU), a prescindere dal criterio col quale essi sono stati valutati: costo, costo ammortizzato (per alcune attività finanziarie, in base allo IAS 39), fair value (quest’ultimo per le immobilizzazioni materiali e immateriali valutate al fair value come criterio alternativo al costo.) La perdita di valore deve essere imputata a conto economico, e questo vale anche per il singolo cespite. Se si tratta di bilancio IAS la perdita di valore, se significativa, può essere indicata in una voce distinta del conto economico con i costi distinti per natura, diversa dagli ammortamenti; oppure può essere contenuta nella voce generica “Altri voci” indicando però nelle note a bilancio, per ciascuna classe di attività, l’importo delle perdite e degli eventuali ripristini di valore e le voci di conto economico in cui sono inclusi.

Per le imprese italiane che applicano i principi contabili nazionali, lo schema di conto economico dell'art. 2425 Cod. Civ. richiede l’utilizzo di una specifica voce: B10c)

“Altre valutazioni delle immobilizzazioni” o E21- Oneri straordinari, se si tratta di perdita di valore di natura straordinaria.

Se però si tratta di attività rivalutate al fair value (in base agli IAS 16 o 38) la svalutazione deve essere imputata alla riserva di rivalutazione. Se supera l’importo della riserva, la differenza è imputata a conto economico. L’ammortamento dei cespiti nei successivi esercizi si calcola sul valore contabile al netto delle perdite di valore che lo hanno ridotto. La riduzione di valore contabile, se non ha effetto fiscale, genera un'imposta differita corrispondente.

Passando al ripristino di valore di un’unità generatrice di flussi finanziari, per quanto riguarda una cash-generating unit, il ripristino deve essere ripartito proporzionalmente

(28)

fra il valore contabile delle attività patrimoniali che la compongono, escluso l’avviamento, e rilevato contabilmente. Nell’effettuare il ripristino per ciascun cespite, il valore contabile ripristinato non può assumere un valore superiore al più basso fra il suo valore recuperabile (se determinabile) ed il valore che sarebbe stato determinato (al netto dell’avviamento) se nei precedenti esercizi non fosse stata rilevata alcuna impairment loss.

Se rimane un importo residuo non allocato a un dato cespite, esso è ripartito proporzionalmente fra i valori contabili degli altri cespiti, tranne l’avviamento.

1.3.1 Procedimento di perdita e ripristino di valore di una C.G.U.

Analizzando un esempio, si supponga che il 31/12/2005 l’impresa A acquisti l’impresa Z ad un prezzo pari a € 100.000. L’impresa Z ha stabilimenti industriali operanti in quattro Paesi (Francia, Belgio. Spagna, Portogallo). Ciascun stabilimento si configura come un’autonoma unità generatrice di flussi finanziari.

Ai fini della verifica per riduzione durevole di valore l’avviamento acquisito in un'aggregazione aziendale deve, dalla data di acquisizione, essere allocato ad ogni CGU.

Allocazione dell’avviamento sulle singole CGU FINE 2005 Allocazione del

prezzo di acquisto

Fair value delle attività identificabili

Avviamento

attività in Francia 30.000 25.000 5.000

attività in Belgio 10.000 7.000 3.000

attività in Spagna 35.000 31.000 4.000

attività in Portogallo 25.000 17.000 8.000

TOTALE 100.000 80.000 20.000

Dal momento che l’avviamento è stato allocato alle attività di ciascun paese (ovvero alle singole CGU), ciascuna attività deve essere verificata annualmente per stabilire se ha subito una perdita di valore (IAS 36,90).Alla fine del 2005 e del 2006 il valore

(29)

recuperabile di ciascuna CGU (determinato sulla base del valore d’uso) eccede il valore contabile delle stesse CGU.

Le attività di ciascun Paese e l’avviamento allocato alle medesime non evidenziano quindi perdite di valore.

All’inizio del 2007, il mercato spagnolo dà segni negativi e le stime prospettiche effettuate dalla direzione aziendale di A mostrano per il futuro una riduzione della produzione del 30%. Sulla base dell’indicazione, l’impresa A effettua l’impairment test per la CGU che opera in Spagna stimando il suo valore recuperabile all’inizio del 2007.

A utilizza un ammortamento a quote costante per le attività che costituiscono lo stabilimento spagnolo. La vita utile è stimata in 15 anni ed è previsto un valore residuo pari a 0. La quota d’ammortamento annuale è pari a € 2.067.

Il tasso di attualizzazione i è pari al costo medio ponderato del capitale, al lordo di imposte (WACC’).

Nella pratica, la stima di un tasso di attualizzazione adeguato è effettuata usando il concetto di costo medio ponderato del capitale che è determinato nel seguente modo:

WACC = Ke * E/(E+D) + Kd *(1-t) D/(E+D)

Ke è il costo del capitale proprio E è il valore economico del capitale

D è il valore economico dei debiti di finanziamento Kd è il costo del capitale di terzi

t è l’aliquota fiscale applicata agli oneri finanziari

Poiché lo IAS 36 richiede un tasso di attualizzazione dei flussi finanziari al lordo delle imposte, è necessario riesprimere il costo medio ponderato del capitale nel seguente modo:

WACC’= WACC / (1-t)

Il concetto del costo medio ponderato verrà approfondito nei seguenti capitoli.

(30)

Calcolo del valore d’uso della CGU Spagna all’inizio del 2007

Esercizi Flussi finanziari

futuri

Flussi finanziari futuri attualizzati

Coefficiente di attualizzazione

2007 4.670 4.063 0.87

2008 4.863 3.696 0.76

2009 4.935 3.257 0.66

2010 5.110 2.913 0.57

2011 5.212 2.606 0.50

2012 5.368 2.308 0.43

2013 5.216 1.999 0.38

2014 4.998 1.649 0.33

2015 3.998 1.120 0.28

2016 2.919 730 0.25

2017 1.897 398 0.21

2018 1.1.38 216 0.19

2019 660 106 0.16

2020 231 32 0.14

Valore d’uso 25.093

Ai fini della determinazione del valore d’uso della CGU operante in Spagna, l’impresa A:

• stima i flussi finanziari per i 5 esercizi successivi (2007-2011) basandosi sui budget aziendali approvati dalla direzione aziendale;

• stima i flussi finanziari per gli esercizi seguenti (2012-2020) sulla base dei tassi di crescita decrescenti;

• applica un tasso di attualizzazione del 15% (al lordo delle imposte) che riflette le valutazioni correnti del mercato finanziario e i rischi specifici della CGU operante in Spagna.

Il valore recuperabile in Spagna è di 25.093.Ai fini dell’impairment test, A confronta il valore recuperabile con il valore contabile della CGU operante in Spagna.

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Il valore contabile della CGU Spagna è di €32.933. A rileva dunque una perdita per riduzione di valore pari a €7.840 (32.933-25.093), pari all’eccedenza di valore contabile rispetto al valore recuperabile.

La perdita di valore deve essere imputata a riduzione del valore contabile delle attività che fanno parte della CGU nel seguente ordine:

• prima, per ridurre il valore contabile dell’avviamento allocato all’unità generatrice di flussi finanziari;

• alle atre attività dell’unità, in proporzione al valore contabile di ciascuna attività che fa parte dell’unità (IAS 36, 104).

Il valore contabile dell’avviamento riferito all’attività operante in Spagna è quindi ridotto a zero prima di ridurre il valore contabile delle altre attività identificabili della CGU Spagna.

Calcolo e ripartizione della perdita di valore della CGU Spagna all’inizio del 2007

Inizio 2007 Avviamento Attività identificabili

Totale

Costo storico 4.000 31.000 35.000

Ammortamento accumulato

- (2.067) (2.067)

Valore contabile 4.000 28.933 32.933

Perdita di valore (4.000) (3.840) (7.840)

Valore contabile dopo la perdita di valore

- 25.093 25.093

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(33)

Capitolo 2

FAIR VALUE E VALORE D’USO: modalità di procedimento e problematiche.

Come già affermato nel capitolo precedente, il valore recuperabile è definito come il valore è il maggiore tre i) il fair value, al netto dei costi diretti di vendita ( “fair value less cost to sell”), e ii) il valore d’uso (“value in use”). Se il valore recuperabile è maggiore (o uguale), al valore contabile, non abbiamo la svalutazione; se invece, il valore recuperabile è minore del valore contabile, abbiamo la svalutazione dell’attività in oggetto.

Non sempre è necessario, al fine della determinazione del valore recuperabile, calcolare sia il valore d’uso sia il prezzo netto di vendita di un’attività o di una CGU:

nel caso in cui esistano evidenze che uno dei due dati è chiaramente superiore al valore contabile, è possibile affermare di non essere in presenza di perdita di valore.

Ovviamente per ragioni pratiche è spesso conveniente partire dal calcolo del prezzo netto di vendita (quello più facile da definire, visto che vi possono essere riferimenti di mercato che ne consentono la determinazione) e non è necessario calcolare il valore d’uso.

Questa ipotesi non è applicabile nel caso in cui si debba effettuare un impairment test a un avviamento o ad altre immobilizzazioni immateriali non trasferibili autonomamente e non negoziabili sul mercato singolarmente considerate: ciò deriva dal fatto che non esiste un mercato attivo per queste attività, per le quali diventa quindi necessario procedere al calcolo del valore d’uso, che può dunque essere assimilato al valore di realizzo.

Inoltre, non è necessario procedere annualmente al calcolo del valore recuperabile in modo puntuale e analitico per le immobilizzazioni immateriali a vita utile indefinita se sono soddisfatti congiuntamente i seguenti criteri:

1. l'attività è inserita in una cash-generating unit e le attività e passività che fanno parte di tale CGU non sono variate significativamente dal precedente calcolo del valore recuperabile;

2. il più recente calcolo ha dimostrato l’esistenza di un margine sostanziale rispetto al valore contabile;

(34)

3. l’analisi dei fatti intervenuti e dalle circostanze modificatesi dal momento del più recente calcolo evidenza una bassa probabilità di un valore recuperabile inferiore al valore contabile.

2.1 Il fair value.

Concentrandoci sul fair value, lo IAS 32 e una serie di altri Principi contabili internazionali, definiscono il fair value come “…il corrispettivo al quale un bene può essere scambiato, o una passività estinta, tra parti consapevoli e disponibili, in un’operazione fra terzi…”.6

La miglior evidenza del fair value è il prezzo pattuito in un accordo vincolante di vendita in un'operazione fra parti indipendenti, rettificato dei costi marginali direttamente attribuiti alla dismissione del bene (es. spese per mediazione a carico del venditore).

Se, per quel determinato cespite, non vi è alcun accordo vincolante di vendita, ma esso è commercializzato in un mercato attivo (come avviene ad esempio per gli automezzi nuovi e usati), il valore ricercato è pari al prezzo corrente di mercato al netto dei costi di dismissione. Va considerato il prezzo corrente dell’offerta; se esso non è disponibile si deve far ricorso al prezzo della transazione più recente, purché non siano intervenuti significativi cambiamenti nel contesto economico fra la data dell’operazione e la data di riferimento della stima.

Se non esistono né un accordo vincolante di vendita, né un mercato attivo, va stimato il prezzo ottenibile in una libera contrattazione fra parti consapevoli e disponibili, al netto dei costi di dismissione, tenendo conto dei risultati di transazioni per beni analoghi effettuati all’interno dello stesso settore industriale.

I costi di dismissione da sottrarre al fair value sono diversi da quelli già rilevati in bilancio dall’impresa come passività. Esempio di tali costi sono: le spese legali (e notarili), l’imposta di bollo e altre imposte e tasse connesse alla transazione, i costi di rimozione dell’attività ed i costi incrementali diretti necessari per rendere un’attività pronta ala vendita. Non devono essere considerati, invece i benefici dovuti ai

6 IAS 32: “Strumenti finanziari: esposizione nel bilancio e informazioni integrative”.

(35)

dipendenti per la cessazione del rapporto di lavoro (es. indennità dei premi per esodi agevolati) ed i costi associati alla riduzione dell’attività o alla riorganizzazione dell’azienda successiva alla dismissione del cespite.

In tutte le altre ipotesi, non contemplate in precedenza, si prenderà come riferimento una stima, sulla base della migliore informazione disponibile, delle transazioni avvenute nel medesimo settore e aventi come oggetto attività simili utilizzando tecniche di valutazione derivanti da prassi di settore.

Quando non esiste alcun criterio per effettuare una stima attendibile dell’importo ottenibile dalla vendita dell’attività in una contrattazione tra parti consapevoli e disponibili, non è possibile determinare il fair value. In questo caso, il valore recuperabile dell’asset è pari al suo value in use.

A prima vista, il fair value, offre maggiori garanzie di oggettività se basato su negoziazioni comparabili.

Il fair value può discendere dal fatto che già esiste un accordo vincolante fra le parti di vendita (e in tal caso, la valutazione è già quasi conclusa) o dal fatto che l’attività oggetto di valutazione è commercializzata in un mercato attivo, ossia in un mercato in cui:

• esiste un sufficientemente numero di scambi, condizione che per particolari attività può essere soddisfatta anche con pochissime transazioni;

• i beni commercializzati sono omogenei, ossia comparabili all’attività oggetto di valutazione;

• domanda e offerta si muovono in autonomia, senza vincoli di sorta quali per esempio le logiche di trasferimento infragruppo;

• i prezzi sono pubblici e gli operatori dispongono delle informazioni necessarie a prendere consapevolmente e razionalmente le loro decisioni.

Poiché queste condizioni non sempre sono rispettate può essere che la valutazione internamente prodotta (valore d’uso), poggiano su maggiori informazioni, sia maggiore. Per tale motivo non esiste una preminenza del metodo basato sul fair value a quello fondato sul calcolo del valore d’uso. Il prezzo netto di vendita così ricavato

(36)

deve essere espresso al netto dei costi di dismissione, qualora non già stanziati a bilancio in appositi fondi. Se per esempio si prevede di cedere un’immobile a uso uffici, i costi di trasloco non saranno dedotti dal prezzo di vendita se già accantonati in bilancio.

Disponendo di un mercato attivo si posso no adottare i seguenti approcci:

- multipli di borsa;

- differenziali di multipli;

- tassi di royalty di mercato.

2.1.1 I diversi approcci di calcolo.

“I multipli di borsa”.

Nella valutazione d’azienda, è piuttosto diffuso l’uso di multipli di borsa, mentre a livello di singola attività tale metodologia sconta non poche difficoltà.

Conta l'approccio il valore di un’azienda nasce dall’esame dei prezzi di titoli di aziende comparabili negoziati in mercati organizzati: mettendo in relazioni detti prezzi con alcune variabili economiche-finanziarie (utili, reddito, cash flow ecc.) si perviene alla determinazione del valore d’azienda oggetto di valutazione. Per far questo è sufficiente applicare il multiplo alle medesime variabili economico-finanziarie dell’azienda analizzata.

Di fatto si tratta di:

1. individuare un panel di aziende quotate e omogenee (cosiddette comparables) quanto a combinazione prodotti/mercato;

2. definire una serie di indicatori quali, per esempio, i seguenti ratios:

- S/EV, ossia vendite su valore di mercato;

- EBIT/EV ossia margine operativo lordo su valore di mercato;

- EBITDA/EV, ossia reddito operativo su valore di mercato.

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3. applicare tali ratios all’azienda oggetto di analisi allo scopo di definirne il valore di mercato.

Il processo di per sé semplice e meccanicistico, sconta la difficoltà che si incontra nel costruire un panel di aziende significativo e rappresentativo.

Infatti, quest’ultimo non deve essere omogeneo solo in relazione alle combinazioni prodotto/ mercato, ma almeno anche per quando riguarda:

- la catena del valore e i relativi value drivers;

- la Swot analysis e i fattori critici di successo,

- la rischiosità quanto a leva operativa e leva finanziaria.

“I differenziali di multiplo”.

Un altro metodo analizzato da A. Damodaran7, sempre con riferimento ai mercati azionari, è la metodologia basata sui differenziali di multiplo, utilizzabile di norma per valutare il fair value dei marchi.

Secondo tale metodologia, il valore di mercato (MV) di un marchio può essere ottenuto moltiplicando il differenziale fra il rapporto “Valore azione/Vendite”

dell’azienda in cui marchio è oggetto di stima (EV/Sm) e il rapporto “Valore azione/Vendite” di un’azienda priva di marchio (EV/S) per il fatturato dell’azienda il cui marchio è oggetto di stima (Sm).

MV=(EV/Sm- EV/S) XSm

La logica di fondo della scelta della ratio price to sales consiste nel fatto che un marchio affermato aumenta le vendite e ne riduce la volatilità e di conseguenza sostiene i corsi azionari dell’azienda. Ne discende che EV/S è più rappresentativo rispetto ad altri indicatori del premium price garantito dal potenziale competitivo del marchio.

7 Aswath Damodaran, “Manuale di valutazione finanziaria”, Mc Graw Hill, Milano, 1996

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