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n dipinto in copertina è di ljiiirco Piccolin n disegno della qua1-ta pagina di copertina è di Altieri Tramonti n

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Academic year: 2022

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dipinto in copertina è di lJIIirco Piccolin

n

disegno della qua1-ta pagina di copertina è di Altieri Tramonti n

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Dedico questa mia mccolta a mia moglie Raffaella, ai miei figli Lorena ed E'ugenio con i 1·ispettivi cons01ii Ma1·io e Monia e sopmttutto alle mie deliziose nipotine Camilla ed Aumm.

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PRESENTAZIONE

Gino ci fa sentire il profumo del passato

Gino Tramontin, un uomo, un poeta, un contastorie, un cultore delle tr·adi- zioni e dei vissuti quasi dimenticati, un gTande amico. Parlare di lui è facile, così come è facile sfogliare le pagine di questa raccolta che in sè svela le mil- le sfaccettature della sua sensibilità.

Di Gino poeta appaiono evidenti la ricerca della rigorosità nella forma, la chiave di lettura nei racconti di esperienze anche personali, legate spesso ad eventi tristi, vissuti nell'intimo e poi elaborati in una sorta di desiderio di condivisione, un atto di nobile intento, perfettamente riuscito mechante l'uso dell'altrettanto nobile estro poetico.

Gino è anche il cantastorie eh quadretti intrisi di genuina e bonaria allegria che mai scivola nella banale ricerca dell'ecclatanza ad ogni costo.

Gino, uomo disponibile a cedere alle insistenti richieste mie e dei coristi del Coro Bianche Cime, quando, per occasioni particolari, si faceva pressante il desiderio di ascoltare e di far ascoltare, durante il concerto corale, un brano poetico appositamente composto: gli artisti sanno quanto sia difficile crea- re "su ordinazione"! Ebbene Gino lo ha sempre fatto, sfidando sè stesso ed il suo spiccato senso di autocritica.

Leggendo queste pagine sentiremo il profumo del passato.

Auguro a te, Gino, il successo che meriti per questo lavoro, un successo che sarà una conferma per i tuoi estimatori ed una piacevole scoperta per coloro i quali non hanno ancora avuto il piacere di apprezzarti.

n1irco Piccolin

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PREfAZIONE

Storie d i noi, storie di sempre

Se a ciascuno di noi, eli punto in bianco, fosse chiesto: "Raccontami una storia", alla maggior parte verrebbe da alzare bandiera bianca o, nella mi- gliore delle ipotesi, c'è chi farebbe ricorso alla memoria e si salverebbe con una lontana reminiscenza dei racconti ascoltati dalla voce dei nonni.

Tutto ciò mi fa fare subito un paio di riflessioni. Prima eli tutto c'è un da- to negativo: non siamo più capaci eli raccontare storie, eli raccontare noi stes- si, la vita che ci circonda, le emozioni che proviamo. Abbiamo perso il gusto dell'osservazione, la capacità eli percepire i segnali della vita per trasmetterli agli altri, il desiderio di comunicare veramente quando, per paradosso, siamo immersi fino al collo nella cosiddetta "società della comunicazione".

Ma quale comunicazione, se non ci parliamo nemmeno sul pianerottolo del condorninio1 Quale comunicazione se genitori e figli si capiscono sempre me- no e, attraverso il cellulare, si allontanano sempre eli più pur sapendo reci- procamente dove sono e che cosa fanno in ogni momento della giornata7 Qua- le comunicazione, se ci limitiamo solo ad osservare la vita e non a viverla sino in fondo nella pienezza di quanto essa ci può dare, nel bene e nel male1

Ma, se per raccontare una storia dobbiamo fare ricorso a quanto ci raccon- tavano i nostri nonni, ecco emergere, invece, un dato positivo. I nonni sì che sapevano raccontare, sapevano affascinarci, possedevano la bacchetta magica per incantarci con le storie ingenue, ma ricche eli buon senso, eli religiosità. e spiritualità popolare, intrise eli gTande saggezza dovuta all'esperienza di vita.

Se così è, vale la pena eli fare un passo indietro e raccogliere la lezione del- la nostra infanzia per ripeterla, aggiustandola ai tempi che corrono, farla no- stra e trasmetterla alle nuove generazioni. L'affabulazione, ovvero l'arte eli raccontare storie, non è eli certo passata di moda e proprio un raccontatore di storie come Gino Tramontin è la dimostrazione vivente che la formlùa è anco- ra vincente. Tante volte lui stesso, assieme agli amici del "Zenped6n", lo spe- rimenta nelle scuole ove viene portato il messaggio del dialetto e della tradi- zione come un buon panino caldo a colazione.

Questo libro è ricco di storie, proprio quelle che accadono tutti i giorni e che la maggior parte eli noi sembra non avere più in repertorio, perché la vita convulsa, la tv, il computer e quant'altro pare abbiano tolto a molti eli noi la capacità di "leggere" ciò che ci circonda e ci coinvolge quotidianamente.

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Gino 'l'ramontin, per sua e nostra fortuna, non appartiene alla schiera di quei poveri eli spirito, perché non ha mai cessato eli "leggere" la vita, gior- no dopo giorno. Ha mantenuto costante la voglia di trarne tesori preziosi da mettere sulla carta e trasformare in "storie" narrate con l'uso della sua lin- gua maeb·e, il dialetto. Queste "Storie de Belun" sono, pertanto, storie di noi e storie di sempre.

Sono storie di noi, perché in esse non possiamo non riconoscerei: sono am- bientate in Val Belluna, ci richiamano a luoglu, riti, usanze, tradizioni e "tic"

che appartengono in pieno al repertorio del nostro essere belhmesi. Nei risvol- ti più accattivanti e positivi, così come in quelli che denunciano più i vizi che non le virtù e che il poeta non può nascondere, pena non essere credibile.

Sono storie di sempre, perché, come dicevamo, ripetono l'antica lezione dei nostri nornu e sono intrise eli situazioni, sensazioni, colori, suoni e sapori che non passano mai di moda. Sono storie idealmente incise nelle pareti del- le nostre case, stù selciati delle viuzze dei nostri paesi, lungo i sentieri dei no- stri bosclu: storie vere o inventate, tristi o spiritose, vacue o ammonitrici, ma sempre storie da ascoltare con interesse, perché sanno parlarci al cuore con straordinaria efficacia.

Che cosa ci ha messo eli suo Gino 'Iì·amontin? Una serie di elementi che va- le la pena di elencare. Prima di tutto l'abilità della scrittura in dialetto. Poi la propensione per l'affabulazione. Indi una certa inclinazione per la visione poetica delle cose. I:nfu1e, la proverbiale saggezza del nonno.

Combinati a dovere questi elementi, dosati come un abile barman nello

"shaker", l'autore ci offre un cocktail che, a dispetto di tutte queste parole in- glesi appena utilizzate, appare invece come un sano biccruere di buon vino.

Queste "Storie de Belun", infatti, vanno degustate con calma, dapprima annusate, poi sorseggiate con lentezza, per lasciare che il loro gusto si espri- ma goccia dopo goccia fino a che ne veniamo totalmente presi. Lo stesso au- tore, sono certo, gTadirebbe proprio che le sue "Storie" venissero accolte co- me un buon cibo nostrano o un buon calice di succo d'uva che riconcilia con la vita. Accolte con semplicità, così come con semplicità sono state pensate e scritte, senza nessuna altra velleità se non quella. di trasmettere l'unica co- sa che og1u individuo è in grado di offrire di originale al mondo: la sua stes- sa esperienza di vita, unica e irripetibile.

Dino B1·idda

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N o te sulla grafia

Pe1· jacilita1·e la lettum dei testi e comp1·ende1·e la gmfia usata si tengano p1·esenti le seguenti note.

VOCALI E CONSONANTI e = suono stretto (véra, séra) e = suono aperto (tè, caffè) o suono chiuso (sopra, sotto) o = suono aperto (mòrso, paiòlo)

z = suono non presente nella lingua italiana ma corrispondente al dialet- to come le parole z6c = ceppo, oppure zést = cesto, o zòcol = zoccolo n = suono nasale usato davanti a "p" e a "b".

Per quanto riguarda la lettera "s", pur tenendo conto che in dialetto non esistono le doppie, si è ritenuto opportuno farne uso solo là dove un eventua- le equivoco nella pronuncia poteva dare adito ad errata interpretazione del si- gnificato della parola (ad esempio: casa-cassa, ròsa-rossa, ecc.).

La soluzione è stata adottata solo nell'intento di facihtare al massimo la lettura, anche se non è corrispondente a quella di rigoroso criterio scienti- fico altrimenti usata in pubblicazioni di alcuni degli autori presenti in que- sto libro.

ARTICOLI, PREPOSIZIONI E PRONOMI

Uitaliano ha una doppia forma nel maschile degli articoli:

il-lo = un-uno (esempio: il cane, lo sposo, un cane, uno sposo)

n

dialetto ha una sola forma:

al = al can, al spòso an = an can, an spòso

Dovendo usare l'apostrofo (che indica la mancanza di una vocale) si scri- verà:

l'uomo = ~ òn un uomo = 'n òn.

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Nei femminili valgono le stesse regole dell'italiano:

l'acqua = l'àqt~a

l'erba = l'erba.

Nelle preposizioni articolate l'articolo appare disgiunto dalla preposizione semplice ad evitare uguale grafia con nomi ed aggettivi: A la mésa da ~ canp

co

li

trat6r.

Infatti: ala

=

ala d'uccello, ale

=

ali d'uccello, dal

=

g1allo, dala

=

gialla,

còl = collo, collina e così via.

Di norma nel dialetto la forma "el" ha funzione di pronome personale (egli, lui).

ACCENTI

La lettera "h" nelle forme verbali è sostituita dall'accento sulla vocale: mi ò calt, ti te à f'rét, ecc.

I numerosi accenti usati assegnano il suono, chiuso o aperto, alle vocali "e"

ed "o" secondo la formazione tipica del nostro dialetto.

In taluni casi indicano l'accento tonico della parola e, in ogni modo, pos- sono essere d'aiuto al lettore nella comprensione del ritmo del verso e della metrica.

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Camilla

Arriva Camilla, la prima nipotina, le emozioni sono tante per· i nonni, tm fim·e sboccia dopo l'inverno freddo, ma tu, Camilla, sei più bella di un fior·e.

Te sé rivada al mondo te 'n dì de primavera c6 'l sol al é pì calt e se slonga via la sera.

Dopo l'inverno frét timido al spunta an fior par dirne a turi quanti torna la vita e amor

e ti te sé spuntàda minùda e picenina come na bèla rosa a 'l sol de la marina:

'l é bèl al sol che spunta ma ti, par noi, Camilla nassésta a primavera te sé sigùr pì bèla.

Esser papà e mama al mondo par pì grant, c6 te gnén nòno al é sigùr tre olre tant.

Quel dì to nòna al sal tre olre te i radici l'à mess par l' emozi6n e turi d6i felici

no' se capìa pì gnént:

se era frastornadi

' ' '

no so tra nono e nona chi era pì agitadi

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. . . e te 1 nostn oc1 come d6i poregrami al é spuntà na làgrema:

si6n deventadi nòni!

La luna, al sol, i fior i é wci bèi, Camilla, al mondo ghe dis6n:

par noi te sé pì bèla.

Aurora

Nasce Auro1·a, la seconda nipotina, nasce all'alba e viene spontaneo il1·ije1·i- mento alla vita che sta per tmmontm·e dei nonni, il suo arrivo nella nostra ca- sa fa dimenticare t~dte le tristezze, perché porta con sè una gioia immensa.

'L èra al secondo dì de primavera quando che l'aria ormai no' bèca pì, a l'alba 'l é nassést la nostra Aurora:

co' 'l sol spuntéa te sé spuntàda ti.

Magico 'l é 'l momento de l'aurora dopo la not, al mondo che se svéia quando che 'l sol le zime tute indòra te sé spuntàda ti, 'na meravéia.

C6 av6n savést che te sé gnesta a 'l mondo te i o ci 'l' é spuntà la comozi6n

e se avarìe olést far giro tondo cantando anca stonadi na canz6n par dirte quant in cor s'èra contenti par dirre che s-ciopéa de gioia al cor par dirte turi i nostri sentimenti par d irte che anca ti te sé l'amor.

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Lamor de t6 papà e de t6 mama che da quel dì la vita te à canbià e quando ti te ride o te fa nana sora de ti i te soriderà.

Aurora, la vita a l'alba ti te à scuminzià, i noni t6i inveze i é a 'l tramonto, ma quando ti da noi te rivarà se tornerà indrìo pa 'n momento e de esser veci pì no' inportarà parché te ne à portà 'na gioia piena.

Vardàndote noi se pensarà:

passà 'l é 'l tenp, ma ne à valest la pena.

Deventàr nòni

La gioia di diventaTe papà e mamma è gr-ande, ma nel momento in cui di- venti nonno il mondo appa1·e t~dto speciale e gTidi al vento la tua gioia.

Lautuno de la vita 'l à spalancà le porte, la neve su i cavéi da 'n tòc la é rivada, i dì che te à passà ormai pì no' te i conta, i é stati bruti e bèi

ma pì de tane no' inporta.

Momenti agri ormai i é stati smentegadi, quei dolzi inveze sì i te à inpienì la vita.

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I é stati tuti bèi i dì passà co' i fi6i par tuta la t6 vita ti no' te i scorda mai, e quando te te vede vecto, strac e poregramo e an pupo al te sorìde ciamando forte: nòno, al mondo tut intorno al par pì grant, pì bèl, le nèole le scanpa al ride al sol te 'l ziél, al cor al torna d6ven, inportante te te sént, gente, vardé s6n Nòno, te diss tut quant contene.

Nòt de Nadàl

Nevica nella notte di Natale, la prima passata assieme a colei che sarebbe poi diventata mia moglie. La neve fa diventare ancora pitì, magica quella not- te in (JI,ti assieme, sotto la neve, scopriamo che l'amore che è in noi sa1·à così per t'utta la vita.

Fiòc de neve

che smorza 'na musica de canpane, che ciama te la nòt de Nadàl.

La piaza iluminada da na lanpada fiaca,

'na vècia che passa,

d6i bòce che ride, e mt e tl,

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brazadi streti, d6veni e lidiéri come i fiòc,

che se p6ia su 'l canpanil a medanòt.

La césa la é freda, i banchi i é fredi, ma noi si6n portadi lontani da 'l mondo, la zent no' la esiste, si6n caldi de fogo, le man le se struca al cor no' 'l à pase.

Se se varda te i oci che come d6i speci i se diss un co' l'altro l'amor che 'l é drento. E davanti a l'al tar, davanti a quel pupo che slarga le man par dirne a noi tuti voléve pì ben, capìve co' i altri, senza dir 'n a parola av6n capì tante ròbe:

che se era fati

. . .

par vtver ms1eme, siguri de noi

e de quel che ne spèta.

Fòra, la neve, a straze pì larghe, la quata le strade, la gente la torna a le s6 case,

intorno ghe n' é tanta pase.

Mi e ti,

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sta not,

sién contenti te 'l cor e caldi de amor

che deslégua parfìn i fìòc che cài su i cuèrt

e 'l canpanil.

Me pare e la piéra

La silicosi, detta dalZe nostre pm'ii "p'ussiera", ha colpito inte1·e generazio- ni di minato1·i.

Mio padTe non ha potuto sottm1·si a questa ter·ribile malattia. Questa è la

S'l.ta st01·ia.

Papà son qua, stuf,

davanti a la té tonba de piéra e no' me sén ancora rassegnà che re sìe là sét,

morr sofegà da la piéra.

La piéra la te à copà.

La piéra,

che ti te avéa far a tochét, che ti te avéa spacà,

la stessa piéra, co' la sé pussiéra, la te à copà,

la te à far morir sofegà.

Ti te era come 'n a sol va

che sbuséa anca la montagna pì granda, no' te à avésr conpassién de la piéra, te la à malrratàda,

e éla co' 'l sé fun,

co' la sé maledéta pussiéra

la te à far deventàr i polméi de piéra.

Ti te la à maltraràda e éla la se à vendicà, la re à far morir sofegà.

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Papà s6n sruf. e ti te 'l sa,

parché no' podarò pì con ti parlar, ma s6n contene che te sìe là s6t parché no' podée pì soporcar che 'n òn come ti

che podéa spacar le montagne v1vesse come an poregramo che féa fadìga solo a respirar.

Me se srrendéa al cor

véderre srrussiar su par quéla stradèla co' la t6 barèla piena de redìci

par quei quatro cunìci che te avéa arlevà. Ti che no' te avéa paura de nessun, che 'lla6ro 'l era la t6 passion, la vita stessa,

adess inveze te me fea conpassi6n pensar e véder

come che la piéra la p61 tirar an òn.

Ciao, papà,

dormi in pase e pòlsa,

noi no' podar6n pì desmentegarre, ti che te à far galerìe da ogni parte te ghe ne à far una

anca in fondo a 'l nostro c6r.

Par noi re sé more par darne 'na vita

mèio de quéla che te à far e quando sar6n vèci anca noi ghe contar6n a i nostri fi6i chi che te era

e quel che te à strussià, quel che te à far la piéra e cussì i savarà la storia vera de 'n òn bòn

more sofegà da la pussiéra.

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ò lèt na poesia

Un emigrante, mai più rientrato nel suo paese per sua scelta, pensa con ramma'rico alla sua vita gmma passata.

Ò lèt na poesia su Belun

e ò piandést ma mi quassù lontan, 'l é ani che no' vede pì nessun, son scanpà d6ven e no' s6n pì tornà.

Mi stée là p6c distante da Casti6n te 'n paesét de solo quatro case, vedée le zate passar de s6t Belun e navegar pianin là d6 su 'l Piave.

Mi son scanpà co' 'l treno da Belun la fan qua te le còste l'era tanta, me pense de me pare, pare can, fadìga bòia e poc là te la panza.

E me mare co' in testa an fazolét te 'l canp de le patate, strafumàda, co' 'n sorgo cussì strùssio e poarét da far gnér la peladra n'altra anàda.

Là d6 era miseria e gnent de pì,

quassù no' tane, ma l'era an c in pì grassa, almanco se magnéa d6i olte a 'l dì, 'n a olra d6 in miniera e pò in baràca.

Me pare, e pò me mare, i è morti e su la tonba no' ò mai podést pregar e domandar perdono pa 'l me tort

de avérli assadi e senza pì tornar.

Adess che s6n gnést vecio mi 'l capisse che ò sbaglià a no' mai pì tornar, de tanta nostalgia mi patisse

che 'l cor al par che 'l stàe par s-ciopar.

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Belun no' podarò mai pi vardar e 'l Piave, la s6 zént e le montagne, s6n vecio e fae fadìga a caminar, polm6i e ganbe pieni de magagne.

Tardi me son pentì e s6n sinziéro an piazér mi te domande e gnént de pì, porta an fior lassù te 'l zimitero

mandà da sco vecio insemenì, e va su pa i còi de 'l Visentin e màndeme 'na bèla scéla alpina, te 'l cor la cenerò senpre visìn e 'n baso ghe darò ogni macina.

An baso mandarò anca pa 'l vene che salando allo porte a tut Belun e alora morirò an cin contene

come se a pensarme fusse qualchedun.

Dormi tranquillo, vécio belumat, mi contarò tut quel che te à patì.

cussì i savarà anca i tosat

cassa che 61 dir scanpar lontan cussì.

Belun no' p61 desmentegàr i fìoi 'n daci pa 'l mondo ramenghi qua e là, al spèta senpre che i torne qua da noi, al spera senpre e fursi i tornarà.

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'Na vecéta

Una vecchietta seduta vicino al '~a?'in" gtw1·da il fuoco ed i suoi pensieri vctnno ai figli lontctni che mmmente la vanno a tmvare.

'N a casa vècia in fondo a 'na strada, 'na porta scrostada da piova o da vent, an rosèr co' 'na rosa apena spuntada, an scalin fat de piéra fruada da 'l tenp.

'Na tendina sbiadìda, an viéro che sg6rla, barlumi de fogo in zima a 'llarìn,

'na tòla, d6i banche. 'n a gràmola e 'n còrlo, 'na vecia sentàda co' 'n gat da visìn.

Le man su i denòci, la testa sbassàda, pensieri che pesa ma che sola lontan sora paesi foresti, sora strane contràde

viste sol che te 'n sogno, te 'n momento de sòn.

Tanti dì i é passadi senza dir 'na parola, tanti dì i é passadi senza véder nessun, senza méter an p iato o 'n bicér su la tòla in conpagnìa de 'l fogo e i pensieri de 'l fun.

Pensieri pa' i fioi che ramenghi pa' 'l mondo e a casa romài no' i tornarà pì,

solo an scanp6n par le ferie de agosto, fursi a Nadal, ma solo tre dì.

Quei pochi momenti par ela l' é 'l sol dopo dì fredi e scuri che 'l torna a scaldar e quando che i scanpa 'l é come se 'l ziél de néole negre se torne a quatar.

Resta solo i ricordi de 'l tenpo passà, resta solo i ricordi co' i era tosat che girando desc6lzi par canp e par pra i era senpre contenti, i ridéa come mat.

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Resta solo i ricordi de tante fadìghe, de tante speranze ma presto fìnìde, resta solo al pregar e 'n gat da vi sin i pensieri e 'l fogo che va su pa 'l camin.

La pole nta

Desc1'"izione della cott~tra di un nost1·o g~tstoso piatto tipico che, con il s~w

profttrno ti 't"isveglia ricordi ed un sano appetito.

'N a strada stréta in mèdo a 'na val, fresca l'é l'aqua te 'n rui che la canta, se te la béi no' la p6l farce mal, la parte lassù te la montagna pì alta.

Fresche le onbrìe de zento e pì piante, zento colori te 'l pra pien de fior, zento usèi che sola e che canta, zento canz6n che parla d'amor.

An pra co' na casa co' i c6p ormai vècia, al fun tremolante che gnén da 'l camin, 'na fémena anziana che missia 'na técia, al fogo che canta te 'n vècio larin.

Co' l'aqua che b6ie pianin come pégra 'na vecia calgiéra l' é sora a 'llarin, l' é negra de fun, de ani l' é negra, quanta zént l'à vist segnarse al destin, quanta zént l'à vist 'torno éla sentarse co' cuciari, forchéte e anca le man, le storie de 'l dì fra de l6ri contarse e intant i féa tàser cussì la s6 fan.

Bat la canpana le ùndese e mèda te 'l canpanil là in fondo a la val,

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te la calgiéra va do come piova farina dàla da 'l color de 'l sol.

Bronrola l'aqua come fusse contenta, s-cìsola i s-chiz su la piastra e fa fun.

Yarda! Scumìnzia a formarse polenta, 'na ròba bòna che avon a Belun.

Gira 'l profumo intorno a la stanza, da la finestra se spande là in tondo, an buligon te sént te la panza, un de i profumi pì sani de 'l mondo.

Profumi de tèra, de ani passàdi, de sana miseria, autùni de sol, formai te la càneva, salami picàdi, de piche de ùa de quela clinton.

Al méscol reména co' vècia pazienza, le croste se staca ormai man a man, i piati gnen fòra da la vècia credenza e a ogni menàda te eresse la fan.

Brusa te 'l fogo i ultimi stéch,

sbuf de sfiadùn profumadi gnén fora, ti te i respira e te resta là séch

e de magnarla no' te vede pì l'ora.

La polenta l' é pronta, calda la fuma, la gnén revessàda te 'n tondo taiér, l' é bèla, l' é dàla, l' é come la luna.

Su, zént, a magnarla, co' 'n sac de piazér!

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Primavera

Dopo l'inverno arriva finalmente la primavera con i suoi p·rimi -raccolti: i uredici da pra".

Febraio ormai 'l é 'n da t, la neve se deslegua, l'aria 'ncora fresca

) l b' ' no a eca pt.

I dì romài se slonga, le onbrìe le se scurta, par canp e prà te vede fémene co 'l cul in su.

Subito qualche Òn al à drezà 'n a récia e senza dar te 'l ocio 'l é 'ndat a curiosar.

Se passa là 'n foresto al vardarà an cin strano el disarà: «Che fanno in quella posa là».

No' sté a pensar mal, o zént pì maliziosa, 'l é solo qualche sposa che redìci và catàr. Av6n passà l'inverno magnando par contorno fas6i e patate a 'l forno, ma sti redìci qua, conzadi co' de 'l lardo, sprizà co' 'n c in de séo, ve dighe mi 'l savéo, i é proprio 'na bontà.

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Te 'l galinèr le pite le scuminzia a far i 6vi, boìdi e ben conzadi me sente propto an re.

Al é de i piati che poaréti fin che i 61, ma i fa tornar al s6l su la tola da magnar.

I fa tornar al s61, tornar la primavera, le femene la sera se ferma a ciacolar senza avér tim6r de ingretolirse tute, de ingiazàr le man e i òs fin d6 te i pié.

De fòra a far bacàn i p61 tornar i bòce e su la porta i vèci aria e s61 a respirar.

Scherzi par zéna

Un gustoso consiglio alle spose più o meno giovani.

Fémena, se par caso, se far da magnar

no' te ghe ne avesse propio g6ia e Toni rivando a casa

no' 'l fesse salti da la gioia, ti, ciàpelo pian pianin, ma senza complimenti,

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bz

dighe che magnar fa mal, che 'l se roìna i denti, al met su panza se a magnar al pensa solo, ghe gnén:

al tinf, al tanf, la rogna, al sganf e al colesterolo.

Morseghélo pian pianin de drio de na recéta, bùteghe i braz a 'l còl e tìrelo a zimento, faghe passar an cin, an cin de bèl tormento, tìrelo pì mòl,

pì mòl de na puìna ...

Lunica rogna 'l é ...

che 'l à pì fan de prima!

Era na olta ... la neve

Passano, ultirnarnente, degli inverni senza neve. Si ha quasi l'irnp1·essione che non voglia più arriva're per punire colo'ro che la sfruttano pe1·jar soldi.

Me pense, c6 se era picenini, le dàlmede par scarpe qua te i pié, co' i calzét de lana monesini

che se te i zerca ormai pì no' ghe n'é.

Li féa me nona entro te le scale co' 'n bòcia che scoltéa le storie cét de fora le sluséa le prime stéle e l'aria la bechéa e 'l era frét.

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Linverno ormai rivéa qua de corsa, al ziél pién de nèole e tut biso, piena l'era de neve la s6 borsa, in facia a i bòce se stanpéa 'n soriso.

Insieme a 'l vent giréa 'n a fulisca bianca, lidìéra, fresca e monesìna, stràca, a la fin se p6iéa su 'na frasca tuta contenta d'esser rivà prima.

Bòce de corsa su par le sofl.te e tut an rebalt6n lassù te sent, al fèrio i tira fòra e anca le slìte e d6 pa' i còi veloci come 'l vént.

Po', passa i ani e se rebalta 'l mondo.

ormai solo an ricordo i ani bèi, le neve resta sì an divertimento ma intorno a éla gira an sac de schèi.

Al tenp al passa svelro e fila via, al mondo canbia massa e cussì le robe bèle e co' cin de poesia ti te le perde e no' te cara pì.

Da 'n poc de tenp quassù no' riva inverno, le néole no' le riva e no' le stà,

al sol te 'l ziél azuro resta fermo e al slusa come fusse piena istà.

Da 'n poc de tenp al ziél no' 'l é pì bi so, fulische bianche no' le gira pì,

te i boce no' se slarga an bèl sorso, le slire d6 pa i còi no' le va pì.

'Na òlta ne contea le storie i nòni de re e principesse co' i afàni.

co' personagi tristi e quei pì bòni:

Pinochio, Biancaneve e i sète nani.

(27)

tn

Noialrri contaron 'na storia vera:

rivéa la neve bianca su de qua che a 'l sol se desleguéa a primavera e adess fursi de noi la se à stufà.

I poeti e le montagne

Le nostr·e montagne ispirano poeti e musicisti con la loro fantastica bellezza.

Le montagne pì bèle de 'l mondo le avon qua te 'l nostro Belun da la zima fin do fin te 'l fondo no sion propio secondi a nessun.

La marina co' 'l sol al indòra o la not co' 'l slusàr de stéle an sussùro pianin al gnén fòra e le canta ancora pì bèle.

Canta i bosch co' i sospiri de 'l vent, canta l'a qua ridendo tra i sass

e le storie pì bèle te sént

co' i profumi portàdi do in bass.

I profumi de timidi fior, te le crode tacàdi lassù, conta storie che parla d'amor quando al ziél s'inpìza de blu.

Conta storie de tos e tosàte che sentàdi quassù in mèdo a i fior co' le golte de fogo inpizàde se fà zento promesse d'amor.

E poeti an cin dispetosi tute quante 'ste storie à scoltà e profumi, promesse e sospiri senza dar su te 'l ocio à robà.

27

(28)

Conta e canta i poeti curiosi a la zénte le storie pl bèle co' i so versi che ride festosi e ghe strùca anca l' ocio le stéle, te le crode de 'l vent i sospiri trasformàdi te 'n grande concerto quele magiche note de zerto anca noi le ne fa sospirar.

Cussì. co lidiér sofia 'l vent sora i bosch, su le cròde, tra i fior quele bèle canzon ti te sént cure quante che parla d'amor.

Selene

La luna, con il suo raggio dispettoso, bacia i biondi capelli di una bella bim- ba bionda che g~ta'rda fuori dalla finest'ra, il suo raggio si~tramente po1'ierà fortuna a questa piccina.

Cala pianin la sera e tut mtorno rase, la zénte te le case al fogo l' à inpizà.

De fòra a la finestra la not la é ciara e fonda e 'n a gran luna tonda te 'l ziélla é spuntà, la ilumina le case, la ilumina le strade e le foie che ingiazàde da iran le s'à stacà.

An ragia dispetoso al bat su te la gronda

(29)

sora 'na pupa bionda che varda a nas in su.

I s6 cavei i é come i ragi de la luna, oci celesti come al ziél in piena istà.

Te av6n ciamà Selene come la Dea Luna, mi son sigùr fortuna éla te portarà.

Lassù te la montagna, su quasi te la zima, 'n a bèla s téla alpina la é spuntà par ti.

La luna la caréza, al vent fa nina-nana come fa t6 mama adess te 'l to letìn.

An dì su i to cavéi, ciari tant fa la luna, sta bèla stéla alpina pì bèla te farà.

29

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B6sch de le castégne

1989

E' un ricordo dei dieci partigiani che hanno perso la vita nel Bosco delle Ca- stagne durante l'ultima guerra, con l'augurio che certe brutalità non avvenga- no mai più.

Néole negre de s6ra Belun,

j6ze de piova che riva da 'l S-ciara, làgreme a i òci che no ferma nessun

de 'na ma ma in denòcio che dis 'na preghiera.

Tant fa 'na straza che sgorla co 'l vent cussì 'l é s6 fiol là te 'n bosch de castagne:

éla lo ciama, ma lu pì no 'l sént, la vita romài pì no' sc6r te le vene.

Al c or che se spaca, 'na rabia in potente, l' é tuta an tremar, an zigar de dolor parché no' la p61, no' la p6l pì far gnente, a vinti ani cussì no' se deve morir!

N o' se deve cavàr 'n a pianta 'rlevada, no' se spaca i s6 ran par marzìrli par tèra, oh òmi bastardi che ogni zornada

'ndé zérca de scuse par farve la guèra.

Tuti i dì ghe n'é mame a 'l mondo che piande, tut i i dì ghe n' é fio i a vinti ani che m6r, ma l' òn 'l é inbezìl e mai no' se rende, parché massa 'l é odio, massa poc 'l é amor.

(31)

..

N a dal

Un emigrante passa il Natale lontano da casa. I ricordi dei suoi cm-i fanno nascere nel suo cuore una struggente nostalgia.

Pegro T é 'n fì urne co' giaz da le parte, scur, pien de smercio che cor verso 'l mar, anca quassù Nadal 'l é a le porte,

ma no' canta alegrìa, tristeza ò te 'l cor.

Da 'l me paesét quassù sén distante, ò fret da par tut, te le man e te 'l cor, grama la vita par an pore emigrante, anca i ricordi te procura dolor.

Intant che 'na lagrema da i o ci gnén fòra te scér te la mente i momenti pì bèi:

té pare, té mare, la bròsa de fòra e visìn a la stua ghe n' é i té fradèi, che i ride contenti e barùfa no' i cara alnìanco 'na olta te 'l giro de 'n an, chi gira in calzét o co' na vécia zavata e 'l presepio i prepara là dé te 'n cantén.

Fulische de neve scuminzia te 'l ziél e intér le canpane le taca a sonar:

me pare al capèl, me mare al sé vélo, Gesù sta par nasser, noi 'ndén a vardar.

Anca quassù ghe n' é luci e presepi, pez grandi grandi movesti da 'l vént, Gesù parla todesch co' Maria e co' Bepi e mi, pore can, no' capisse pì gnént.

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(32)

An bòcia

Un mgazzo va in montagna per coglieTe un jioTe da porta1·e alla sua mgazza.

Cade e rimane ferito, ma un altm mgazzo lo salva porlandolo all'ospedale e donandogli anche il sangtte.

An bòcia come tanti passionà de montagna 'l é 'ndat su par Talvéna quando al sol 'l é spuntà.

'L era an dì bèl e cale - primavera avanzada - e 'na gran caminada la ghe stéa proprio ben.

Mila usèi là te 'l b6sch cantéa bèle canzon, tute copte te 1 ran a vardàrse al s6 nì.

Al profumo de i péz tuta l'aria inpienìa e de 'n s-cius la s6 scìa la sluséa te 'l sol.

'L era quasi su in zima, i sentten ormai persi, e quel bocia 'l é in fursi de la scrada da far.

Al cata erba pestada che la gira drìo an cròt e vardando da s6t lu al vede an bèl fior.

Te 'l pensiero al vede al visét de 'n a t6sa,

(33)

la sé bèla morosa che lo spera là dé.

E la vede co' 'l fior poià là su i cavéi e co' i sé oci bèi che lo varda co' amor.

Su pa 'l cròt se strassìna, i oci fissi te 'l fior, e no 'l sente al rumor de 'n sass sora de lu. Riva 'l sass te la testa, 'na gran bòta, an rumor, an zigar de dolor, po' silenzio, pì gnent.

Passa là un par caso, 'na gran corsa a Bel un pi no' crede nessun che 'l se posse salvar.

Desperà 'l é sé pare e sé mare de fòra

manda in ziél na preghiera:

«Signor, salva me fiél!»

Passa lenti i minuti, massa lenta ogni ora, po' 'n doror al gnén fòra, al ghe dis che 'l sta bén.

Al paréa ormai andar, la sé vita finìda, 'n altro bocia al riva la sé vita a donar.

Al ghe à dar la sé vita che la cér te le vene

33

(34)

par godérla insieme a quel che 'l à salvà.

«E lo 'ndé che 'l ringrazie, al me dighe dotar,

che posse strenderlo a 'l cor questo fì61 benedet».

«Al é 'n da t, cara si ora, no 'l me à dat al s6 nome, ma al ghe à més te le vene de s6 fìol tant amor».

La nòt de i canpanèi e ... Marino ingiazà.

Una vecchia tradizione che rivive, nel mio paese, la notte della Befana nella quale si girava per le strade cantando canzoni natalizie.

Uno della compagnia è molto infreddolito, ma un buon bicchiere di vino lo riscalda e ricomincia a cantare.

La nòt de la Befana co' guanti e co' capèi, la luna tonda e piéna, son6n i canpanèi.

Pierangelo davanti co' Checo pién de frét co' Sergio, Giorgio e Cela riv6n a 'l "Circolét".

Lé Angelin de i Raci che intona 'na canzon, si6n tuti an cin stonàdi, ma se cat6n ben6n.

Po' un inbacucà co' fa an bèl pinguino

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al dis: «Tosat san qua!»:

'l era rivà Marino.

Sicome de cognome savén al fa

J

ozét, la voce tremolante de un che mér da frét.

Tre maje, tre camise tre pèr 'l à de calzét, la giaca contro 'l vento e 'l era 'ncora frét!

I mudandéi de lana, la sciarpa e la baréta:

«Che me à conzà cussì 'l é stat la me Nineta»

al ne diséa e imam cantéa co' voce lieve:

«Tu scendi dalle stelle».

Frét come la neve

dopo déi tre brulè al se era repelì

e 'l cantéa come 'n ma t, no' 'l se ferméa pì.

Co' mudande de lana e majéta Marino cantéa contént:

«lo ti abbraccio mia cara Ninéta e 'n basìn mi te mande co' 'l vent, e 'n basìn mi te mande co' 'l vent!».

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(36)

Chéchi

Un amico, il vecchio pTesidente del Ci?y;olo 'ltl Zenped6n", ci lw lasciato: il suo 1'ico1'Clo, pe1·ò, non ci lasceTà mai.

Le storie de Belun contar6n ancora in giro par le strade, ma 'na caréga la sarà senpre là, vòda, a spetarte,

e an zenped6n inmagonà, picà te 'n travo,

al conrarà la storia de 'n 6n che 'l portéa zéste de amor par le ròbe pì bèle

che av6n a sto mondo.

Tis6i

Tisoi è un 1Jaesetto con stmde strette e qualche casa ancom vecchi, ma con un suo fascino pa1'iicola1·e. Alcu,ne vecchiette, vedove dei cavatori di pietm, p?·en- dono il sole sjè1·ruzzando calze di lana che ormai ness1mo porterà più.

Tis6i, strade stréte, cuèrr de c6p,

feméne vèce co' i coc6i che ciapa al sol

te i COrtLVL Stréti, tra case v6de:

man piene de cai par massa canp laoràdi, che a fadiga le cén i fèr da calze

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par far calzét che nessun pì porta.

Schéne curve par massa ninziòi de fìén portàdi, face piene de rughe segnade fonde

da 'l solzar6l de na vita grama, òci spés moi de lagreme sugàdi in prèssa

da fazolét negri da testa.

Vedove de la piéra, piéra che cuata le tonbe de orni morti massa presto.

Làver che se m6ve pian

par n'orazion a i fì6i cuci lontan, parché i torne almanco lori par portar, an par an, an cin de speranza a 'l c6r senpre pì strac, an cin de vita

a quele case senpre pì vode.

Amor

Le emozioni di due giovani quando incontrano l'amore.

Lamor no' 'l é pensieri butàdi via te 'l vene l'amor, se 'l é quel vero, e come che te 'l sént!

Lamor 'l é vardàrse ben rento in fondo al cor, l'amor 'l é strucarse e sentir an gran ca l or,

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l'amor 'l é 'n gran fogo che gira par le vene, l'amor 'l é zercarse par senpre star insieme, l'amor 'l é vardarse ben rento in fondo a i oci, e véderse là entro come se i fusse spèci.

Lamor 'l é capìrse senza tante parole, l'amor 'l é contentarse de 'n mazét de viole, parché se te 61 e te pretende massa

te te ca t a come 'n osèl in m è do a 'n a gran ptaza.

Lamor 'l é sfiorar co 'n baso la pèl e sentir turi i sgrìsoi che riva te 'l zervèl, l'amor 'l é catàrse in mèdo a tanta zént, véder solo al t6 viso e no' capìr pì gnént.

Martina

Una piccola bambina, colpita da un male incurabile, vola verso il cielo come un piccolo uccello ureùzol".

Si ferma sulla cima di una montagna tra le stelle alpine, bella come loro.

Fior bianchi te 'n dì de genàro, s6l frét che no' scalda le man, te canta tra angeli in cielo te scanpa, te va pì lontan.

Come 'n usèl senza piume come an reùzol, Martina, te n'à scanpà massa presto, te n'à scanpà 'na matìna.

Te sé solàda te 'l cielo, tì tra le stéle, Martina, te sluserà su le zime bèla fa na stéla alpina.

* Questo testo letterario è stato musicato da Bepi De Marzi, celebre autore di famose "cante"di ispi- razione popolare.

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Francesca

Il dmmma di una ragazza presa dal giro della droga. Nella vita ha tutto ma le manca la cosa più importante: l'amore.

Francesca, co' i òci zelèsti, cavéi color zéndro, i la à cacàda te 'n gr un, là s6t na banchina, a la stazi6n de Belun.

Francesca la é sola e an cin desperàda, s6 pare e s6 mare in Germania i é 'ndaci, par far quatro schèi, a vender gelati.

La vive in colègio, ròbe da si6ri,

i schèi no' i ghe manca, pelìce e anèi,

scarpéte de moda, vestiti de ogni color, la à tut. ..

manca 'na ròba ...

ghe manca l'amor.

Lamor che no' se conpra co' schèi e vestiti, l'amor 'l é badàrghe a sci fì6i benedéti, se no 'l éra mèjo no' mécerli a 'l mondo.

Francesca la é sola, de sabo la gira

39

(40)

zercando calcossa, e an dì la te cara tre quatro burlàn che i ghe mòla 'na cica,

. . .

e cuss1 ptan ptan la droga la la ciapa te 'n a morsa tremenda.

De scanpar la se proa, ghe n' é 'ncora coscienza, ma oramai no' la pol, no' la pol pì star senza.

Francesca, co' i òci zelèsti, cavéi color zendro,

i la à catàda te 'n gru n, là sot na banchina, a la stazion de Belun.

Sposi, me racomando 'sta sera ...

Piccoli consigli a due giovani sposi nella loro prima notte d'amore.

Sposo, me racomando 'sta sera, quando che ti la luce te à stusà, ciàpeghe pianin la manina, cénela srréta a 'l to cor,

ti daghe tanti basi e tant amor.

Sposa, ti te sé come primavera che tanti fiori la te fa sbociàr e co' te sténde la man

pian al to fior sbocerà

e 'l sposo su te 'l ziél al solarà.

Cénete calmo, frénete bèl moro e come 'n toro no' sta scalpitar,

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se no la se spaventa,

«Mama!» la taca a ciamar e ti come 'n salame a consolar.

Daghe an basìn de drio 'na recéta e sora i òci càcheghe a basar e quel che riva dopo

noi no' te 'l ston a contar

se no te gnén già goia de scuminziàr.

Sposa, ti scuminzia a carezàrlo e morsegàrlo pian de drio a 'l col, te vedarà al to sposo,

bianc, che taca a tremar.

Le bale de i so oci taca a girar e 'l solarà pianin in paradiso, canpane a festa tacarà a sonar e te i to oci e te 'l to viso lu al se perderà ancoi, domane par l'eternità.

Sposi, me racomando questa sera, quando che la luce avé stusà, e quando spunta la luna fortuna ve portarà

e tanti basi e tanta felicità.

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Vila Scorzèra

Due amici hanno costruito con le loro mani e con assi di legno (ascòrz") una casèra. Il impegno messo fa sì che questa casèra sia per loro come una villa.

'Na strada de canpagna:

qualche sas, qualche bus, fata an cin a schéna de mus;

rame de buscàt, che te péla fin al nas se no' te sta atento;

pra verdi, piante in fior, aria che slarga i polm6i, canp aràdi,

maze de fas6i péna inpiantàde;

te riva in zima a 'n còl

e d6, verso la val, fata de scòrz, ma béla a la s6 maniera:

I te à ciamà cussì, ma no' par ci6rte in giro, de scòrz te sé fata sì maghe n'é 'n'anima entro, l'anima e la passi o n

de Lino e Giovanina che i ghe l'à messa tuta quéla che ghe n'èra, messa par tr

Vila te sé par lori.

fata co' le so man,

' / '

scorz sora scorz.

ciòdo dopo ciòdo, qualche porco can co' 'l martèl sbagliéa,

Vila Scorzèra!

Vila Scorzèra!

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ma quanta sodisfazi6n

c6 i tornéa strachi a casa la sera e l' éra par ti

Vila Scorzèra!

Te 'l forno, adèss, al foga s-ciòca, l'aria l' é tuta 'n udor de pan, le féde te 'n canton,

che pascoléa co 'l molt6n, e Lino in pié,

man te le man de la s6 sposa, co n'o n bra al ziél levàda, che 'l brinda a ti,

e noialtri intorno

a 'n boca! de v in sinziéro, intan che l'aria se fa pì fréda, al sol al cala,

se inpìza allum e se fa sera,

f6n festa entro de ti

D6i alpin a 'l raduno

Vila Scorzèra!

Divertenti peripezie di due alpini che vanno alla sfilata annuale, con consi- derazione finale.

0 6i alpin de le nostre montagne i é partì di par 'n dar a Verona, al capèl, le mudande de lana, i é partì di par 'n dar a sfilar.

Te 'na borsa conprada a la Standa i se à méss d6i tre tòc de formai,

43

(44)

an salame, d6i fiaschi de tokai co' 'l capèl de srravèrs i é partì.

I salùda le fémene e i bòce, i amìghi, s6 pare e d6i veci ghe gnén quasi le làgreme a i òci gnanca i fusse a l fronte d rio 'n dar.

I é parrìdi co' 'l treno a Belun, turi i sa 'l é 'n a gran confusion, méti insieme an cin d' emozi6n a Calalzo dopo 'n ròc i é rivà.

Un co' 'l altro i se diss asenàde, po' al fiasco i sv6da de léna, verso sera i riva a Verona, par le strade i taca a cantar.

No' ve conte le onbrére svodàde, al Soave 'l é bon a Verona, verso l'alba i riva a l'Arena, ronzegando i raca a dormir.

La marina co' la boca inpastàda i se alza turi i òss smacotìdi, i camina come d6i inzerpedìdi co' i alpini i taca a sfilar.

I é bèi i alpini in sfilata,

co' la péna che sfida anca 'l vento, i bar al passo re 'n solo momento Caio e Cencio al passo i lo à fiac.

An vècio co' la barba tut fiero al ghe diss che i fa bruta figura.

«Sì al sav6n - i ghe diss - ma la è dura, no' si6n bòni de star gnanca in pié».

La sfilata la è longa e fa séi, dai tiràde e al sol te 'l capèl

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torna al vin a montar te 'l zervèl e le ganbe che Jàcon le fa.

Verso sera 'n a bala sfondràda barcolando i riva in stazién, al treno i ciapa, ma la direzién no' la é quéla che a casa la va.

Tra la ciòca e 'l sgorlar che fa 'l treno i se sogna de bàter al passo,

a la frontiera i riva de Chiasso e 'na guardia in divisa la bàt.

«Passaporten e piglietten, pdco!». Caio al vèrde an òcio a fadìga tra 'l parlar e 'l capèl a visièra ...

«Cencio, svéia che scopià 'l é la guèra! » e 'l lo sgorla tut quant desterà.

Déi dì dopo co' 'l foglio de via strachi morti i riva a Belun, ceti e senza parlar con nessun finalmente a casa rivà.

A le fémene no' i conta sigùr le figure da déi poregrami:

«I èra solo in sciopero i treni e cussì in ritardo sién qua».

Cencio e Caio i se struca 'l ocio:

«Almanco questa 'l é 'ndata via dréta, 'n altro an quela bèla sfilata

in zavàte la vardén in TV».

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s-ciara

Un ragazzo sale e si arrampica sulle crode della Schiara, la montagna di Belluno, e invita tutti coloro che amano pace e serenità a salire con lui.

Cossa zérchitu, bòcia,

ranpegà su le cròde de 'l S-ciara, picà come an rane picenin su pa' i cròz de 'l Pis Pil6n?

Zérche 'l òn

zérche 'l òn quel bòn, che là d6 no' care pì, zérche 'l òn, quel san, quel che no ròba, quel che no' fa camòra, quel che no' buta bonbe,

quel che no' copa bòce te le stazi6n, solo par far confusi6n

, ' ,

e senza aver na rason.

Quassù no' ghe n'é miseria, quassù no' ghe n' é cativèria, quassù te gnén solo g6ia de cantar canz6n,

de balar, de urlar de contentéza.

Dìghelo,

dìghelo S-ciara a 'l mondo: vegné quassù co' mi, picàdi te le crode tra mughi e stéle alpine, camòrz e gai zedr6i, vegné quassù co' noi che l'anima se né t a al cor al cata pace e no' scanparé mai pì.

(47)

Nòt te 'l Alpàgo

Arrivo sul Fadalto e mi fermo ad ammirare la conca dell'Alpago, che di not- te assume ttn fascino particolare specchiandosi nel lago di S. Croce.

Nòr,

spuza de nafta

drìo a 'n TIR che no' tira su par al Fadàlr.

Polm6i che se slarga c6 re riva in zima in zérca de aria bòna.

Fià che se torna a fermar vardando 'l Alpàgo che re 'l s6 lago al se spècia.

Me sénte in zima

' /

a n zoc a resptrar e vardar sta nòr, sri lum che me varda de là de 'l lago, i cròr, le zime,

le crode smalràde de neve

che slusa a 'llum de la luna granda come 'na lanpa picàda re 'l ziél, e le sréle le par angeli

che ride contenti de mirar sta cèra.

E 'na musica re sénr:

Tambre al tenor, Fara al soprano, Ceis contralto e Pòs in bas

47

(48)

che 'l bas al fa, Bascìa sugerid6r e Pieve in zima a 'l còl che fa da diret6r.

E tuti i altri paesét che fa da coro, te sént cantar:

Mosàn, Molìn, M6nt e QLtèrs,

S-ciucàz ghe risponde co Righe, Narnèi, Lavìna, Bròz, Cornèi.

E po' tuti i lum i c6r entro te i rui, te i fòss,

i salta da i sass e i riva d6 te 'l lago, i taca a balar,

co' le onde i se ingrùma, i se slarga,

i fa coda,

girotondo e scondicùc.

'Na làgrema spunta te i òci, la c6r su 'na golta,

la bat te i denòci, la c6r verso allago, la se ferma ...

po' lidiéra la va verso 'l ziél

par dirghe a 'l mondo intiero:

Alpàgo, te se' bèl!

(49)

L'onbra de vin

n

bicchieTe di vino, (~'onb-réta", non è solo un bicchie1·e di vino, ma qualcosa di più a seconda deUe ci-rcostanze.

'Na 6nbra, a Belun,

no' l' é solo an bicér de v in:

'l é saludar 'n amlgo dopo ani che no' te 'l véde e tra 'na paca e 'n "te te pénsitu"

al é n' 6nbra che te béve.

Al é catarse intorno a 'l f6go te 'na sera d'autuno

quando la bròsa gira par le case, rostìr castégne su le brase,

cantar canz6n vèce e nènie nostre, svodando senza pressa e pian pianin n' onbra in conpagnla, o dai de v in.

Al é co' n' 6nbra che se sèra la tiritèra

tra chi che vende e chi che conpra e a la fin de 'l tira e mòla

i mét 'n a onbra su la tòla

par dirse, entro de lori, te ò fregà. Al é 'na medesìna

pa 'l c6r e le fadìghe:

parécia n' 6nbra fresca a chi che spaca legne o tlra su an mur e quel, dopo repelì, grazie al te dirà grando cussì.

E a 'n pàlido inpiega t o che gnén fora da 'l so uficio

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co' na ziera da puina

parché i conti no' ghe torna, dàghe n' 6nbra,

e 'l s6 c6r al torna a batér, al s6 muso al se colora come 'n baldo contadin quando lèva su bon6ra.

Che l' 6nbra po' la sì e 'n a ròba bèla

lo à dir an dì anca nostro Signor

che a 'l prete su l' altar al ghe fa bére an cin de vin parché de Lu

no' 'l se desménteghesse.

Ma parché alléc no 'l ciape massa, e a forza de pensarlo

al finisésse par desmentegar,

de aqua fresca al ghe lo à far slongàr.

«LÒ senpre dìta, mi -al brontoléa l'òst-

tant che 'l gnén su da la cantina, l' aqua l'' e santa s1, '

ma l' 6nbra la é divina.

Jovana e la coriéra

Jovana è una nonna un po' particola1·e che peT pr·ende1·e l'autobus o la cor·-

?·iem va incont1·o ad una se1·ie di disavventum

J

o vana, 'na nòna tremenda,

ma senpre pì in ganba la à 'na manìa,

a dir p6c an cin stranba.

La c6r tuti i dì de marina e de sera

(51)

..

la c6r par ciapar par ciapar la coriéra.

Ma ben se la c6r e la move la ganba, tuti i dì la la perde, cuti i dì la ghe scanpa.

La la perde a le sète, la ghe scanpa a le òto, de macina l'é 'ndata,

l'

é scanpada de sera, ogni momento l'é bòn par no' ciapar la coriéra.

An dì la se dis:

«Anc6i giuro la ciape a costo de gnér

co' le ganbe an cin fìàpe». La ciapa 'na bici

an cin mal dotorìda, la branca al manubrio come 'n t or al torero d rio far 'na corìda.

Ma pendendo 'sta bici, come fusse an cavàl, se spaca 'na vide e la perde an pedàl.

De colpo par tèra la bat, la spaca via 'n tac,

te la còtola se r6np la cerniera e ghe scanpa cussl,

anca quel dì, la s6 brava coriéra.

E tuti dis6n:

«Anc6i la se rende»,

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cari amìghi avé cort co' 'l dét revessà in mèdo a la strada la fa aucoscop.

In vespa, in crac6r o co' n'aucolet:ìga sté tuti tranquì.li che a Belun la ghe riva.

Se la vedé davanti al monument:o a i caduti a turno, par piazér, carichémela tuti.

Rivàda a Belun la gira pa' i banchi no' la ghe 'n assa nessun e sì. che i é canti:

al tenp sola via, 'l é ormai meodì, l'autobus no' 'l te spèta 'l é bèlche partì..

J

o vana la c6r

par ciapar la coriéra, ma se spaca la borsa e tut quant: va par tèra e p6n, barbagigi, naranze e limoni che c6r via velòci d6 par Piaza Piloni.

Le man te la tesca vardando sca roba che c6re par tèra,

J

o vana la pensa

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«'L é propio 'n destin d6i o l te te 'n dì ò pers la coriéra! ».

Ma nona

J

avana,

che l' é senpre pì in ganba, la sogna e la dis:

«Yegnerà pur quel dì che avarò na coriéra tuta quanta par mi!».

Belumat in mèdo a 'l mar

I belltmesi, pescato'ri d'acq'ua dolce, ce'rcano 'Una volta l'avvent'ur·a per· ma- 're, ma il mm·e è ben altra cosa ed alla .fine, come l'cwmata Bmncaleone, tor·na- no scomati e senza pesce.

Se èra in tanti quel sabo marina co' la cana par 'ndar a pescar, l'aria fresca te i polm6i, fina fina, si6n partìdi par 'n dar verso 'l ma r.

In vintizinque da Belun si6n partìdi co' la sveglia la taca a sonàr

de panét e de vin si6n cargadi, tuti fieri a la conquista de 'l mar.

Si6n rivadi che l'èra l'alba spuntada, spunta 'l sol, taca 'l vént a tirar, d6i panét te 'l fiaschét, 'na ti rada, e po' via su la barca te 'l mar.

Te le onde la barca sgorléa, tu ti duri 'sti gran pescador, i denòci che tant slochedéa, i òci fissi te 'l fondo de 'l mar.

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Co la barca se ferma là in fondo co' le onde se taca a balar, i panét taca a far girotondo e le face scuminzia a sbiancar.

Te le sagre co' i bicéri de bianco tanti foghi se usa sparar,

' ' d

anca qua no se era e manco sprizzi e spruzzi se vede te 'l mar.

Giancarlo, pescad6r d'acqua d6lza, in denòcio al prega 'sto mar:

«Sta 'n cin cét, par piazér, dài pòlsa, che la cana no' s6n bòn de ciapar!».

Mario a prua co' i òci slargàdi come Tarzan al taca a urlar, i panét turi a i pés i é finidi

e gran festa 'l é anc6i qua te 'l mar.

Paolo, co' la facia da luna d'Alpago, che 'n fiaschét al avé a svodà,

là te 'l mar al forma an bèllago, tut i i pés 'na gran ciò ca i se fa.

San dro, magro che 'l par 'n sardèla, la s6 part anca lu al v6l far,

'l é star lu che finì 'l é in padèla e 'na renga al v61 deventar.

Aldo, Orvino e Walter l'autista, pì no' i parla, no' i p61 reagìr, Netuno i prega che 'l fae basta che 'sta péna la pòsse finir.

Turi i altri, quel sabo marina, 'na zornada da no' smentegar, ziére bianche che par 'na puìna, dént seràdi, no' i p6l pì parlar.

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Oci smorti, an cin desperàdi, come straz i sgorla te 'l mar, i ridèa c6 i era partidi,

'l é i pés che p61 'dès sganassar.

Dino Uliana co' i cavéi sgalinàdi, Sandokan al par deventà,

«Forza avanri - al ziga - miei prodi», c6 la tèra 'l vede rivar.

In denòcio a basarla 'sta tera i se buta 'sti gran pescad6r, i par stati te 'l mar par la guèra persa tuta, pers anca l' onor!

Belumàt, torné su te la Piave, aventure no' sté 'ndar a zercar, 'ndé a pescar in zima a le grave, massa granda l'é l'acqua de 'l mar!

La mostra de le z6che

A S. Gregorio nelle Alpi si svolge una mostra un po' particolare. Racco- gliendo dei rami o tronchi d'albero la fantasia degli artisti crea delle vere ope- re d'arte.

An paese in Valbeluna propio pién de fantasia 'l à inpiantà 'na mostra strana la pì strana che ghe sia.

Qua te i bosch la natura la la6ra e se divèrte, la fa ròbe de scultura tant da star a b6che vèrte.

'Na ociada basta svéia e an p6c de sal in zuca

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par mostrar la maravéia pensa ti, e l' é 'na z6ca.

E pensar che par la zént al é sol an tòc de stéc che no' conta quasi gnént, sol pa' 'l foga co' T é séc.

Ghe n'é tante forme strane torcolàde, stòrte e dréte fate a forma de banane, de serpenti, de baréte.

una par fin 'na fontana, n'altra an bòcia picenin, una par quasi me nòna c6 féa foga su 'llarin.

Un po', vede quel che 'l v6l, 'l é par questo che 'l é bèl, bate solo an cin de sol e la z6ca par 'n usèl.

No' ve par che anca i òmi i sìe come queste z6che:

'l é de quei cativi e bòni che i se cata zène zuche!

San Gregorio al podarìe méter qua in concorenza e no' ocore fantasia e no' 'l resterìe mai senza.

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An tosat come noi

Stm·ia di emigrazione: tm ragazzo parte da Tisoi e gim il mondo, dopo tani anni t01''na e rimane deluso pe1·ché tmva ttttto cambiato.

Sta qua l' é la storia de un come noi varda par caso nassést a Tiséi, an pìciol p a es 'ndé come tanti se féa fadìga a tirar avanti e se te oléa sol che magnar lontan de qua tochéa migrar.

Lèra passàda l'ora de i déghi,

- inverno co' 'l fério, pasqua co' i évi - co' le baléte o a scacamùssa

magnàndo i pén insieme a la scussa, co' le tosate al féa piè piedin

là su 'l murét, par pegno an basìn.

Salùda sé pare, salùda sé mare an vècio, 'na ièia co' sé comare, ' na b orsa a traco a co 'l ' ' n toc ' d e pan, - al viado 'l é lénc e segùr ghe gnén fan - e 'na valìsa fata su de cartén

ligàda co' 'l spago e via par l'Esenpén.

Passa i ani, trenta i é tanti girando al mondo indrìo e avanti - Svìzera, Belgio, Germania, Argentina - po' al se à fermà 'na bèla marina

e la fortuna infìn lo à basà cussì a Tiséi an dì al é tornà ...

Tante le robe al càta canbiàde, sparìdi i carét, strade sfaltàde, no' duga pì i boce a scacamussa, i magna i pén pelando la scussa e braghe réte no' te ghe 'n véde pì réte su 'l cul come quei dì.

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Tante le ròbe al càta canbiàde, anca le sc6le l' é state seràde parché tosàt pì no' ghe n'è, no' i ghe 'n fa pì, chissà parché, àli far che 'sti bòce de mal:

gnént, i parla inglese, i é 'n opzionàl!

Al pescador pescà

Un pescatore viene pTeso all'amo dalla sua mogliettina, l'amaTe ha il sopTav- vento sulla passione sportiva.

Al se l è va 'n a ma tina

- prima de 'l spuntar de 'l sol, l'aria fresca fina fina -

co' la cana par pescar.

Tuta calda e monesìna la s6 fémena ghe dis:

«Assa pèrder' sta marina

, ' d

resta qua, no sta n an>.

La passi6n l' é genuina, ma diviso 'l é al s6 amor e tra tròte e moglietìna pés no' 'l sa quel da ciapàr.

Ma 'l amor al riva prima co' le fémene se sa 'l 6n deventa de puìna e re 'llaz se fa ciapàr!

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Vècio le6n

Un giocatore di calcio appende le sca11Jette al chiodo e r·ipensa al tempo pas- sato sui campetti di 1Jeriferia con 1m po' di 1'Ì1npianto pe1· il tempo che ormai non torna più.

Vècio leon de i canpi de balon le scarpe ormai te à picà te 'l ciòdo co' 'n c ora an c in de fango te 'n canton e te à lassà te 'l cor an cin de vodo.

Te era pìciol, pì grant de ti al balon e in mèdo a 'n pra te ghe déa scarpàde, sluséa te i oci toi la gran passion e i altri doghi te paréa monàde.

Sigùr, co' te era solo 'ncora 'n bòcia là te 'l canpét a far gran confusion ti te sognéa co' l'età pì vècia de deventar an dì an gran canpion.

Fursi la qualità ti te l'avéa ma, te la vita ghe ol avér fortuna e 'l sogno che te la mente naveghéa par ti 'l éra lontan tant fa la luna.

Cussì te à smaltì la to passion

girando in su e in do par 's te con tra de, ma te sé stat istess an gran canpion dugando in umiltà, senza monàde.

Anca te i canp pì pìcioi de Belun la serietà 'l é quel che conta e vale

l . '

se no no te mcantara nessun anca se te à dugà in Nazionale.

Ròdola via al tenp come 'n balon e no' ghe n' é portieri par fermarlo, te à cocà fermar la to passion, anca se co' 'l magon te à tocà farlo.

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Vècio le6n de i canpi de bal6n le scarpe te à tocà picàr te 'l ciòdo, resta i ricordi e le sodisfazi6n

anca se in cor te resta an cin de vodo.

I fas6i

Q~wsta è la sto1·ict dell'ar·rivo a Belhmo della pianta del fagiolo con la descri- zione clei g~tstosi piatti che si possono c~wcere con qtwsto splendido legume.

Da la Mèrica, lontan l' é rivàde fin da noi de le ròbe propio bòne che av6n ciamà fas6i.

Le à portàde an zerto Pierio de fameja Valerian

che da Roma

l'

é rivà.de par calmarne an cin la fan.

De quei tenpi l'èra negra, disarìe fin bastarda, e la zénte la morìa sì de fan che de pelagra.

Pierio riva co' i fas6i fin da 'l Papa benedìdi, quando i èra là te 'l piato i èra squasi riverìdi, parché i era propio bòni da lecàrse anca i mostàci, an bel gusto par la boca an bel gusto fin pa' i òci.

O Dio, qualche òlta i te fa far an rumor fin sconveniente,

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ma i è bòni, cussì bòni

che i li magna an sac de zénce.

Oio, zéole e tane séo lèssi, turi ben conzàdi da 'l piazér te slusa i òci quando pian i gnén magnadi o pur méssi te 'na técia co' panzéta e pomidòro e quel tòcio monesìn al é propio fa 'n tesoro.

La menèstra de fas6i la te scalda man e cor e quel piato bel fumante ti te 'l varda co' amor.

Grazie Pierio da le Fosse, grazie sì da tu ti noi par sta ròba tant gustosa:

Viva ti e i t6 fas6i.

La storia de 'n mus

E' la storia di ·un piccolo asinello sft·uttato dal suo padmne e deriso da ~m

gmsso maiale, ma il finale che 1·imette le cose alloro posto.

An mussét tut strùssio e magro riva stuf te la s6 scala,

tu t al dì tacà 'n carét su e d6 tane fa 'na scala.

Tant la6ra e p6c al pòlsa e lo pende al s6 par6n tut al dì avanti e indrìo propio senza remissi6n.

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Rivà entro te 'l sé posto al se magna fìén e féia ma 'l é tanto strac, poarét, de magnar 'l à poca géia.

An porzèl tut gras e lustro, la visìn ben destirà,

taca a far an bel discorso a 'l mussét tut fadigà:

«Te sé propio an poregramo, tut al dì a far fadìga,

paron Nane te bastona, senza colpa 'l te castìga.

A mi inveze al me cura, tut al dì qua a pulsar, tanta e tanta bòna ròba al me porta da magnar.

Te 'l disée tenpo fa chi laéra e chi fa festa l' é difìcile canbiar:

un 'l'é mus e mus al resta!».

«Te à rasén - ghe dis al mus - sén an pore desgrazià, ma, vardàndote pulito, no' te sé quel de l'an passà!».

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Amor e amicizia

IJ amore, sotto ogni aspetto lo si guaTdi, porta sernpre gioia nel cuore.

'L amor, dis an proverbio, al mondo fa girar

senza de quel, sigùr,

1 'l ' ' d ' d

no sa pt n ove n ar.

An r6s 'na rosa v arda co' i òci che ghe slùsa, re vede re le golre

l'amor che 'l c or al brl:1sa.

'Na mama che la varda al pupo co' 'n sorìso se ilùmina de amor tut quanr al s6 bel viso.

E 'l bòcia che 'l piande parché 'l v61 far la nana amor lo indorménza tra i braz de la s6 mama.

Se qualchedun al piande parché ghe ciapa al mal 'l amor che dà 'n amìgo 'l é quel che conta e val.

An venresèl lidiér gnén d6 da 'l Pis Pil6n, amor co' ranr piànzer al porta d6 a Belun.

Amor Belun al dà a rura quela zénre che à bisonc de rur senza prerénder gnenre.

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A chi che da fortuna 'l é stat abandonà 'l amor no' 'l scanpa via ma senpre al rivarà.

'L amor dat a la zénte e am1c1z1a tanta a 'l mondo, s6n sigùr, al é la ròba pì granda.

La piaza de Tis6i

Dopo anni di promesse e delusioni, il Comune di Belluno si decide a daTe

~tna piazza ed 1m pa1·co al paesetto di Tisoi.

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Dopo ani de dure fadìghe tantl sogm e poca speranza ogni tam 'na promessa, po' persa, da far gnér fin al mal te la panza, se avéa tut i 'na gran delusi6n,

. '

orama1 se era come na straza

' ' / d 'l

c '

po , na voze gnen su a omun:

a Tis6i sarà fata la piaza.

La notizia se spande te 'n lanpo fa 'n starlùc te 'l sereno de 'l ziel, qualche làgrema spunta te i oci, tami sgrìsoi par tuta la pèl.

Cav6n senpre ciamada la Piaz.g., l' éra al posto pì larc de 'l paese par farse sì 'n a gran ciacolada fòra Messa o a Belun. a far spese.

Al é inveze d6i strade incrosàde che a i tenp de carét e barèla

-

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co' i noghèr e 'l so monumento a noialrri la paréa fin bèla.

Passa 'l te n p. te 'n canton le barèle gira machine, moto, autobus, tut che à pressa e tuti che core

fra 'n tochét mét la quarta anca i s-cius.

E cussì no' se p6l pì fermarse par scanbiàrse fati e inpressi6n ma star invéze su co' le réce par no' catàrse scacà te 'n canton.

Ol6n alora slargàrse 'sta piaza, ma in Comune fursi no' i sente, fon domande co' carte e cartate, no' i risponde propio par gnente.

Po' an dì, ormai pèrs le speranze, quasi anca perdést la pazienza, i ne dis: «Sì, ve f6n quela piaza!»

i se avéa mess la man in coscienza.

Caro Sindaco, adès si6n contenti, riva an grazie da cuti a Tis6i, sol 'na ròba da méter a posto:

l' é la strada che porta a G iaz6i e cussì, ringrazi6n al Comune, Giunta e Sindaco sior Fistar61, che le robe le fa, sion sigùri, par la rima, quando che i v61.

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La storia de Pina

Una vecchietta avanti con gli anni ma ancom a1·zilla, acquista 'ttn loculo pe1·

l'eterno 1·iposo, ma ~m dottoTe spiega che con una detenninata dieta si può vi- ve1·e più a hmgo.

Pina tmvisa un po' e teme di non ??Wt'i're più e pe1·dere così i soldi spesi.

'L era an bel dì, là de fora la césa dopo la messa de prima matina quatro vecète passà l' otantina le se conta le s6 novità.

Una la dis: ieri avée mal de schéna, n'altra la conta de 'l mal de 'l s6 c or, Bèta l' avéa ciamà 'l dotor,

ma par sta òlta no' sarà che la m6r.

Avéo sentÌ, la conta Teresa, sabo de sera te la sala de 'l bar riva an dotor a parlar de magnar parché cussì pulito se sta.

Pina la dis: «Mi vae propio a scoltarlo, te la vita se p6l senpre inparar

se i te dis quel che te à da magnar se p6l viver pulito de pÌ».

Conta al dotor che 'n c in de formài no' 'l te fa gnér al colesterolo e se te béi an bicér, ma un solo, al cor ve assicure pì ben batarà.

Pina la scolta contenta 'ste ròbe:

«Mi giure fae propio cussìta

e qualche òlta an brodin de 'na pita son sicura che mal no' 'l me fa». Su 'l pì bèl ghe gnén quasi 'n infarto su consilio de s6 amìga Teresa:

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