• Non ci sono risultati.

I primi provvedimenti relativi all’azione di classe dell’art. 140-bis cod.consumo - Judicium

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "I primi provvedimenti relativi all’azione di classe dell’art. 140-bis cod.consumo - Judicium"

Copied!
10
0
0

Testo completo

(1)

www.judicium.it SERGIO MENCHINI

I primi provvedimenti relativi all’azione di classe dell’art. 140-bis cod.consumo∗∗

Sommario: 1. Il decreto del Tribunale di Napoli: è ammessa la chiamata in causa, ex art. 106 c.p.c., su istanza del convenuto, del garante e dell’(asserito) effettivo obbligato. 2. L’ordinanza del tribunale di Torino: il difetto di interesse ad agire è dichiarato con il provvedimento di cui al comma 6 dell’art. 140-bis cod.consumo.

1. In questi primi sei mesi di vita del nuovo art. 140-bis cod. consumo, le azioni di classe che sono state proposte si contano sulle punta delle dita; per il momento, risulta che siano stati emessi soltanto due provvedimenti, uno del Tribunale di Napoli e uno del Tribunale di Torino.

Entrambi affrontano e risolvono questioni di carattere processuale.

Cominciamo con analizzare la vicenda affrontata dal Tribunale di Napoli.

L’Unione Nazionale Consumatori, sulla base di un mandato di rappresentanza volontaria conferitole da singoli soggetti, asseriti titolari di diritti individuali omogenei, intraprendeva un giudizio di classe, ai sensi dell’art. 140-bis cod.consumo, contro un tour operator, per ottenere il risarcimento dei danni patiti dai mandanti (oltre che da altri consumatori), in conseguenza dei gravi disagi affrontati in occasione delle vacanze di Natale del 2009-2010; i consumatori, giunti in Zanzibar sulla base di “un pacchetto tutto compreso” (artt. 82 ss. cod.consumo), si ritrovavano in un

“cantiere”, a causa dei lavori di costruzione del villaggio non ancora terminati, il quale, invece, era stato pubblicizzato come perfettamente in regola e particolarmente confortevole.

Il tour operator, con l’atto di costituzione in giudizio, chiamava in causa la compagnia di assicurazione e la società proprietaria del villaggio, con sede in Zanzibar. Il tribunale di Napoli, con decreto, differiva la data dell’udienza per la valutazione di ammissibilità dell’azione, concedendo termine all’impresa convenuta per effettuare la chiamata in causa dei terzi (tra l’altro, il differimento era di circa undici mesi, essendo la sede legale di uno dei chiamati in Zanzibar).

La vicenda pone un duplice ordine di problemi; in particolare, ci si deve chiedere se: a) è ammessa, nel processo collettivo, la chiamata in causa di terzi, su istanza dell’impresa convenuta e, in caso di risposta positiva, entro quali limiti; b) per effettuare la chiamata del terzo, si debbono seguire le regole di cui agli articoli 167, comma 3, e 269 c.p.c.

In ordine alla prima questione, è da rilevare, preliminarmente, che la legge tace circa l’applicabilità, nel procedimento relativo alla domanda della classe, degli articoli 106 e 107 c.p.c., limitandosi l’art. 140-bis cod.consumo a prevedere, al comma 10, che “è escluso l’intervento di terzi ai sensi dell’articolo 105 del codice di procedura civile”.

In corso di pubblicazione nella rivista Il Giusto processo civile.

(2)

www.judicium.it

La ratio di questa disposizione è chiara: si vuole evitare che, nel corso del giudizio, possano intervenire volontariamente altri consumatori, rispetto a quelli che hanno proposto l’azione di classe o che hanno aderito ad essa, facendo valere, con domanda individuale, la propria pretesa omogenea e connessa per titolo o per identità di questioni da risolvere con quelle esercitate collettivamente, acquisendo, in questo modo, il ruolo di parte formale e determinando la nascita di un litisconsorzio attivo con cumulo oggettivo1.

Ciò aiuta a comprendere che, per gli stessi motivi, è da escludere che il litisconsorzio attivo, con cumulo oggettivo della causa di classe e di quella individuale, possa essere realizzato a seguito di chiamata in causa, ex art. 106 c.p.c., di consumatori rimasti terzi, per iniziativa dell’impresa convenuta; infatti, per un verso, si realizzerebbe una sorta di coazione del titolare del diritto omogeneo a prendere parte al processo di classe, in contrasto con il sistema accolto dal legislatore che è incentrato sull’opting-in, e, per altro verso, si avrebbe quella pluralità di parti processuali, che tutelano gli stessi interessi, con conseguente pluralità di voci, nella gestione della lite, dal lato dell’attore, che la legge ha chiaramente inteso evitare, allorché ha escluso l’intervento volontario dei terzi consumatori ed ha imposto a costoro il ricorso all’adesione rispetto all’azione di classe da altri promossa (fatta salva, sempre, la domanda individuale in autonomo giudizio).

Tuttavia, altro è il discorso da fare, con riferimento ad altre fattispecie, del tipo di quelle che si sono poste all’attenzione del Tribunale di Napoli.

In quel caso, il convenuto ha chiamato in causa non ulteriori consumatori, portatori di un interesse omogeneo a quello che sta a base della domanda di classe, ma soggetti terzi che: a) sono garanti dell’impresa; b) sono, in via o alternativa o solidale, chiamati a rispondere delle pretese fatte valere dall’attore. La chiamata in causa realizza un cumulo oggettivo per abbinamento di cause ed un litisconsorzio tra più parti, ciascuna delle quali rappresenta e tutela posizioni in conflitto con quelle delle altre parti (non si ha, cioè, come avverrebbe se fosse ammessa la citazione di un consumatore, un cumulo di cause parallele ed un litisconsorzio attivo di più soggetti, affiancati gli uni agli altri, contro un comune convenuto); in particolare, si ha un cumulo oggettivo tra l’azione di classe e quella di garanzia o quella di individuazione dell’effettivo obbligato ed un litisconsorzio tra attore originario, convenuto e terzo o garante o vero obbligato, ognuno dei quali spiega un’autonoma domanda nei confronti non di una stessa parte, ma di parti diverse2.

Ciò posto, due sono gli elementi che assumono particolare rilievo ai fini del presente discorso.

In primo luogo, il terzo chiamato, una volta divenuto parte, gestisce la propria causa contro il convenuto o contro entrambe le parti del processo originario, la quale ha un oggetto diverso da quello della controversia della classe; dunque, non vi è pericolo di un giudizio nel quale, a causa della pluralità delle parti dal lato attivo, le attività dei titolari dei diritti risarcitori o restitutori omogenei siano duplicate o reiterate o, peggio ancora, diversificate o, addirittura, in contrasto.

1 In questo senso, S.Menchini, in S. Menchini-A. Motto, Art. 140 bis, in judicium.it., § 4; C. Consolo, Come cambia, rivelando ormai a tutti e in pieno il suo volto, l’art. 140-bis e la class action consumeristica, in Corr. Giur., 2009, 1297 ss., specie 1301-1302.

2 Sulla figura del litisconsorzio reciproco, che presenta cause abbinate ed è contraddistinto dalla diversità delle posizioni delle parti processuali, le quali sono tutte in reciproco conflitto di interessi, per tutti, confronta: S. Menchini, Il processo litisconsortile. Struttura e poteri delle parti, I, Milano 1993, 79 ss.; G. Tarzia, Il litisconsorzio facoltativo nel processo di primo grado, Milano 1972, 33 ss.

(3)

www.judicium.it

Ciascuno opera rispetto alla causa che lo vede coinvolto e compie gli atti relativi a questa, nel contraddittorio della parte cui è contrapposto3.

In secondo luogo, la chiamata in causa del terzo (garante od effettivo obbligato) soddisfa esigenze di assoluto rilievo per colui che la compie: a seguito di essa, le due controversie sono trattate e decise congiuntamente, di guisa che, essendo l’accertamento unitario, le statuizioni concernenti ciascuna di esse sono coordinate e coerenti, con effetti vincolanti per tutti i soggetti coinvolti nella vicenda sostanziale e processuale. Il cumulo pone rimedio al pericolo di giudicati disomogenei, che consegue al caso che le due controversie siano oggetto di processi separati e di pronunce distinte: la difformità (eventuale ma possibile) degli accertamenti può pregiudicare gli interessi di colui che è convenuto della lite principale e che ritiene di avere diritto o di essere garantito dal terzo o di essere, in tutto o in parte, esonerato dalla responsabilità ad opera di questo4.

Dunque, nei limiti individuati e ai fini indicati, deve essere ammessa l’applicabilità dell’art. 106 c.p.c. nel processo dell’art. 140-bis cod.consumo5.

Conseguito questo risultato, deve essere stabilita la disciplina dell’istituto, adattando le previsioni del codice alle peculiarità del rito (speciale) previsto per il giudizio di classe.

A tale riguardo, con riferimento alla fattispecie concreta sottoposta al Tribunale di Napoli, si deve considerare che esistono differenze non di poco conto tra le due figure di chiamata cui ha fatto ricorso il convenuto.

Nel caso della chiamata in garanzia della compagnia assicuratrice per la responsabilità civile, l’impresa esercita nei confronti di questa l’azione di regresso scaturita dal contratto di assicurazione; la causa di garanzia è dipendente da quella principale, il terzo è titolare di un diritto dipendente da quelli fatti valere con l’azione collettiva, le parti sostanziali (del rapporto) e processuali (della controversia) sono il garantito e il garante, la domanda, avente ad oggetto l’obbligazione di garanzia, con contenuti di accertamento e di condanna al ristoro di quanto eventualmente il convenuto verrà condannato a pagare all’attore, a seguito dell’accoglimento dell’azione principale, è introdotta direttamente dal convenuto contro il terzo, con l’atto di citazione di cui all’art. 269, comma 4, c.p.c.6.

Nell’ipotesi della chiamata del terzo, asserito corresponsabile o responsabile esclusivo della condotta illecita plurioffensiva, lesiva dei diritti individuali omogenei di una pluralità di

3 In questo modo: S. Menchini, op. ult. cit., 86; G. Tarzia, op. ult. cit., 37, 43-44.

4 Poiché nelle figure in considerazione i diritti sostanziali dedotti in causa sono legati da relazioni di pregiudizialità o di incompatibilità, i provvedimenti di merito debbono essere coordinati, di guisa che il simultaneo processo è volto ad armonizzare il contenuto delle decisioni; così, per tutti: S. Menchini, op. ult. cit., 81; G. Fabbrini, Connessione. I) Diritto processuale civile, in Enc. Giur., VIII, Roma 1988, 6-7.

5 In modo conforme, S. Menchini, in S. Menchini-A. Motto, op. cit., § 4, nota 30; M. Bove, Profili processuali dell’azione di classe, in judicium.it, § 4, per il quale è da ammettere la chiamata in causa con valenza comune “come ad esempio può accadere quando il professionista afferma che altri è il responsabile dell’illecito”; nello stesso senso, in sede di commento del primo testo dell’art. 140-bis, A. Briguglio, L’azione collettiva risarcitoria, Torino 2008, 30-31.

6 In termini generali, vedi: A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, 5° ed., Napoli 2006, 357 ss.; G. Balena, Elementi di diritto processuale civile, I, I principi, 4° ed., Bari 2008, 170-171; F.P. Luiso, Diritto processuale civile, I, Principi generali, 5° ed., Milano 2009, 334 ss.

(4)

www.judicium.it

consumatori, il convenuto contesta di essere il titolare passivo dell’obbligo e chiede l’accertamento che l’effettivo obbligato è, in tutto o in parte, il chiamato; la causa proposta contro costui è legata da una relazione di incompatibilità-alternatività con quella principale, il terzo è asserito titolare delle obbligazioni fatte valere in giudizio dall’attore originario, il convenuto chiede soltanto che venga riconosciuta la responsabilità (totale o parziale) di colui che è chiamato in causa, mentre egli non può domandare, e in realtà non domanda, che venga accertato il diritto di credito dell’attore nei confronti del terzo e, a maggior ragione, che vengano emessi a favore di quello e a carico di questo i provvedimenti di condanna necessari. La condanna del chiamato può essere emessa solo se l’attore originario, una volta che il terzo sia stato citato dal convenuto, in sede di repliche, chieda che, in via o solidale o alternativa rispetto al convenuto, il primo venga condannato al pagamento delle somme riconosciute dovute7.

Compiute queste precisazioni di carattere preliminare, è possibile affrontare il tema della disciplina processuale.

La prima domanda da porsi è se trovino applicazione gli articoli 167, comma 3, e 269, comma 2, c.p.c. e, dunque, se il convenuto debba, a pena di decadenza, effettuare la dichiarazione per la chiamata del terzo con l’atto di costituzione in giudizio, entro la prima udienza di cui all’art. 140- bis, comma 6, cod.consumo, oppure se tale dichiarazione possa essere formulata anche in un momento successivo, una volta che il tribunale abbia dichiarato ammissibile l’azione, nel rispetto dei termini assegnati alle parti per il deposito di atti difensivi, ai sensi del comma 11 dell’art. 140- bis cod.consumo.

La soluzione corretta sembra essere la prima, ossia anche nel rito speciale dell’azione di classe debbono essere rispettate le disposizioni dettate dai citati articoli del codice di procedura civile8.

A favore di questa interpretazione militano ragioni riconducibili al valore della ragionevole durata del processo e a quello del diritto di difesa di colui che è chiamato in causa.

Da un lato, è interesse del terzo prendere parte al procedimento destinato a valutare l’ammissibilità della domanda; vero è che tale giudizio riguarda la causa principale e non quella promossa contro di lui, ma è altrettanto innegabile che esso ha rilievo anche per gli esiti della sua controversia, atteso che, stante la connessione intercorrente tra le due liti e, dunque, la relazione di dipendenza o di interferenza reciproca tra esse, una volta dichiarata inammissibile l’azione di classe diviene inammissibile, per lo meno in quel processo, anche l’azione spiegata dal convenuto verso il chiamato.

Dall’altro lato, se la chiamata concerne l’effettivo obbligato, come già si è detto, l’attore originario può avere interesse a domandare, in via o alternativa o subordinata o solidale, la

7 Per la dottrina, la chiamata in causa del terzo (asserito) effettivo obbligato da parte del convenuto determina l’accertamento con efficacia di giudicato del rapporto facente capo al chiamato, mentre, perché possa aversi la condanna del terzo, occorre apposita domanda dell’attore (così, per tutti, confronta: G. Balena, op. ult. cit., 221; A.

Proto Pisani, Dell’esercizio dell’azione, in Commentario del codice di procedura civile diretta da E. Allorio, I, 2°, Torino 1973, 1177-1178); in modo diverso, per la giurisprudenza, la domanda di condanna originariamente proposta dall’attore nei confronti del convenuto si estende automaticamente al terzo, quantomeno nei casi in cui egli sia indicato come unico responsabile del fatto dannoso (così, da ultimo, Cass., 8 novembre 2007, n. 23308; Cass. 1 giugno 2006, n. 13131).

8 In modo parzialmente diverso, A. Motto, in S. Menchini-A. Motto, op. cit., § 8, con riferimento, però, alle attività difensive del convenuto concernenti l’esistenza dei diritti soggettivi dei membri della classe.

(5)

www.judicium.it

condanna di questo al pagamento delle somme dovute; in tal caso, viene proposta una nuova azione di classe, che si affianca a quella originaria, si ha, cioè, un cumulo oggettivo (di classe) con litisconsorzio passivo (solidale o alternativo). Ovviamente, anche questa seconda domanda dovrà essere sottoposta alla valutazione di ammissibilità, ai sensi del comma 6 dell’art. 140-bis cod.consumo. Orbene, se la dichiarazione di chiamata del terzo viene effettuata dal convenuto, a pena di decadenza, già con l’atto di costituzione in giudizio, l’attore, se vuole, deve formulare immediatamente la domanda (di classe) contro il terzo chiamato e il tribunale può valutare congiuntamente l’ammissibilità delle due azioni (solidali o alternative), con risparmio di tempi e di costi processuali. Al contrario, se la chiamata è possibile anche in un secondo momento, dopo che è stato superato in modo positivo il vaglio di ammissibilità, l’eventuale seconda azione collettiva proposta dall’attore contro il terzo è soggetta al controllo di ammissibilità da parte del tribunale in modo autonomo, con conseguente, inevitabile, arresto o rallentamento anche di quella originaria;

inoltre, dovranno essere effettuate, di nuovo, le attività di cui al comma 8 lett. b) dell’art. 140-bis cod.consumo, con duplicazioni di atti e moltiplicazione di spese.

Il secondo quesito riguarda le modalità di realizzazione del simultaneus processus e gli effetti di questo sulla controversia introdotta dal convenuto contro il terzo.

A tale proposito, in estrema sintesi, si può rilevare: a) si applicano integralmente le previsioni contenute nell’art. 269 c.p.c.; b) poiché per l’azione di classe la legge (comma 4 dell’art. 140-bis cod.consumo) detta criteri di competenza (per materia e per territorio) di carattere funzionale, la causa instaurata nei confronti del chiamato è attratta da quella originaria, per cui il cumulo si realizza davanti al tribunale territorialmente competente, ai sensi del citato comma 4, con deroga alle regole ordinarie di competenza rispetto alla controversia che è originata dall’atto di chiamata; c) le due cause sono, oltre che decise, trattate interamente dal tribunale in composizione collegiale, ex art. 140-bis, comma 4, ultimo capoverso, cod.consumo; d) in parziale deroga a quanto disposto in via generale dall’art. 40, comma 3, c.p.c., tutte le controversie si svolgono con le forme speciali, ossia con il rito del processo di classe; ciò anche se quella di garanzia o quella volta all’individuazione del vero obbligato è soggetta al rito ordinario; se così non fosse, attesa la inderogabilità del rito speciale stabilito per l’esercizio della tutela collettiva dei diritti individuali (omogenei) dei consumatori, il cumulo non potrebbe essere realizzato e i giudizi (quello di classe e quello individuale contro il terzo) dovrebbero svolgersi separatamente, con i noti pericoli di formazione di giudicati contraddittori, non ovviabili con il rimedio della sospensione necessaria, ex art. 295 c.p.c., se non pagando il prezzo dell’arresto della causa dipendente sino alla definizione con sentenza passata in giudicato di quella pregiudiziale, con palese violazione del valore (costituzionale) della ragionevole durata del processo.

2. Nel caso deciso dal Tribunale di Torino, il promotore aveva agito contro un istituto bancario per sentire dichiarare, in quanto in contrasto con le disposizioni della legge 28 gennaio 2009, n. 2, di conversione del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, la nullità e/o illiceità vuoi della “commissione per scoperto di conto (C.S.C.)” applicata sui conti non affidati, vuoi del “tasso debitore annuo nominale sulle somme utilizzate (T.U.O.F.)” applicato sui conti affidati, chiedendo, oltre all’adozione dei rimedi in forma specifica, la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti; l’attore affermava, altresì, di essere titolare di un diritto individuale omogeneo a quello di una pluralità di consumatori, atteso che il comportamento illecito tenuto dal convenuto nei suoi confronti era identico a quello posto in essere nei rapporti con una moltitudine di clienti e, dunque, assumeva carattere plurioffensivo.

(6)

www.judicium.it

Il Tribunale di Torino, con l’ordinanza in commento (presidente ed estensore Panzani), dopo avere ripercorso gli snodi fondamentali del nuovo istituto, ha dichiarato inammissibili le domande proposte, per carenza di interesse ad agire in capo a colui che ha introdotto l’azione di classe9.

Giova ripercorrere l’iter logico seguito: 1) come in tutti i giudizi, il giudice è tenuto a verificare la sussistenza delle condizioni dell’azione (legittimazione ed interesse ad agire) e dei presupposti processuali (competenza, giurisdizione, capacità processuale, e così via); 2) in specie, la pronuncia di merito può essere emessa soltanto se colui che ha instaurato la causa risulta essere, in concreto, legittimato e dimostra di avere un interesse attuale; l’interesse e la legittimazione in ordine alla tutela di classe non sono diversi da quelli che governano l’esercizio dei rimedi individuali; 3) l’attore, da un lato, deve essere titolare, in proprio e personalmente, del diritto individuale omogeneo fatto valere in giudizio, e, dall’altro lato, deve presentare i caratteri di “consumatore”, sulla base di quanto disposto dall’art. 3 cod.consumo; inoltre, egli deve denunciare la sussistenza di una lesione concreta ed effettiva delle situazioni soggettive dedotte in causa, dimostrando di avere interesse alla tutela richiesta; 4) nel caso di specie, risulta provato agli atti che, in primo luogo, la

“commissione per scoperto di conto” (C.S.C.), che riguarda i correntisti non affidati, non è stata adottata in danno dell’attore, in quanto questo gode di un’apertura di credito in conto corrente affidata, e, in secondo luogo, che l’applicazione al ricorrente del “tasso debitore annuo sulle somme utilizzate” (T.U.O.F.), che concerne i conti corrente sui quali è concessa l’apertura di credito, è avvenuta nel rispetto di quanto previsto dalla legge, essendo stato addebitato dalla banca il medesimo tasso previsto per il credito concesso nei limiti del fido; 5) ciò comporta che il promotore, circa la C.S.C., non è legittimato a contestare la validità della pattuizione contrattuale e difetta del necessario interesse ad agire, in quanto allo stato non è in alcun modo leso nei suoi diritti dall’introduzione di tale disciplina, e, in ordine al T.U.O.F., in assenza di pregiudizio derivatogli dall’applicazione della clausola contrattuale, è privo di un interesse concreto ed attuale a far valere la nullità della stessa10; 6) difettando l’interesse ad agire, l’azione proposta non può essere trattata e decisa nel merito; 7) il giudizio di ammissibilità di cui al comma 6 dell’art. 140-bis cod.consumo

9 In particolare, viene affermato che: a) la legittimazione ad agire spetta non ad enti collettivi ma a ciascun componente della classe (quindi, è individuale), il quale può conferire mandato anche ad associazioni o a comitati cui partecipa; b) la domanda può essere proposta da un soggetto che sia consumatore od utente, sulla base di quanto disposto dall’art. 3 cod.consumo; c) l’art. 140-bis cod.consumo non crea nuovi diritti, ma introduce e disciplina soltanto un nuovo mezzo di tutela, che si aggiunge, ma non si sostituisce, ai rimedi ordinari ed in specie all’azione individuale che spetta a ciascun consumatore o utente; d) la partecipazione al giudizio di classe avviene sulla base dell’adesione dei singoli, essendo stato adottato il sistema dell’opt-in; e) assolutamente centrale è il giudizio che il Tribunale è chiamato a compiere in via preliminare, consistente nella valutazione di ammissibilità della domanda in forza dei parametri stabiliti dal comma 6 dell’art. 140-bis cod.consumo; f) soltanto il soggetto che assume l’iniziativa processuale assume la qualità di parte in senso formale, mentre coloro che aderiscono all’azione ne subiscono gli effetti, ma sono privi di poteri processuali, non potendo, in particolare, dare impulso al processo ed impugnare la decisione, che fa stato nei loro confronti.

10 Rileva evidenziare che, in modo condivisibile, il Tribunale di Torino ha anche osservato che: a) l’interesse ad agire deve essere concreto e attuale, per cui non rileva dedurre che la lesione dell’attore, che non sussiste al momento del processo, può avvenire in futuro (invero, non sono ammessi accertamenti in prevenzione); b) il comportamento illecito denunciato, pur non colpendo l’attore, ha violato i diritti di una pluralità di altri consumatori, in quanto è necessario che il promotore sia titolare (affermato) della pretesa sostanziale fatta valere.

(7)

www.judicium.it

può avere per oggetto la valutazione, oltre che dei requisiti specifici indicati da tale disposizione, anche dei presupposti processuali generali, per cui il tribunale, qualora ravvisi il difetto di interesse ad agire, deve dichiarare, con ordinanza, inammissibile l’azione di classe proposta.

Questo ragionamento è in parte senz’altro da condividere, mentre in parte suscita problemi che richiedono una più articolata riflessione.

Non è dubbio che il Tribunale di Torino colga nel segno, con riguardo ai rilievi compiuti circa il concetto di legittimazione e di interesse ad agire in generale e rispetto all’azione di classe, nonché in ordine al fatto che, non diversamente da qualsivoglia altro processo, anche quello descritto dall’art. 140-bis cod. consumo richiede, per la pronuncia nel merito, la sussistenza degli ordinari presupposti processuali, oltre che delle condizioni speciali di ammissibilità previste dal comma 6 di quest’ultimo articolo11.

Tuttavia, vi sono due aspetti che suscitano dubbi e perplessità.

In primo luogo, nel caso di specie, con ogni probabilità, si è in presenza non di una carenza di interesse ad agire, quanto, prima ancora, di una manifesta infondatezza della domanda. Infatti, ad avviso del giudicante, da un lato, l’attore non ha subito il comportamento denunciato (ciò vale per la C.S.C.) e, dall’altro lato, la condotta posta in essere dalla banca, per la conformazione che ha assunto rispetto al promotore, non ha i caratteri della illiceità (ciò rileva per il T.U.O.F.). Rispetto ad entrambe le domande, è palese l’inesistenza del diritto del ricorrente al risarcimento del danno, in quanto, in una ipotesi, non è stato posto in essere nei suoi confronti il fatto lesivo denunciato, e, nell’altra, il fatto è stato compiuto ma non è antigiuridico. Poiché tali valutazioni sono oggetto di questioni di diritto e non richiedono alcun approfondimento istruttorio, essendo i fatti non contestati, l’infondatezza delle domande risulta ictu oculi, è, cioè, manifesta. Secondo quanto previsto dal comma 6 dell’art. 140-bis cod.consumo, l’azione, se manifestamente infondata, deve essere dichiarata inammissibile, con ordinanza del tribunale reclamabile di fronte alla Corte di Appello.

In secondo luogo, ci si deve chiedere quali siano, in un procedimento a struttura bifasica che prevede una fase preliminare deputata a giudicare in ordine alla sussistenza dei requisiti specifici di ammissibilità della domanda stabiliti dalla legge, i comportamenti che deve tenere il giudice qualora ravvisi l’esistenza di un vizio concernente o le condizioni dell’azione o gli ordinari presupposti processuali.

Preliminarmente, a scanso di equivoci, si deve rilevare che, a tutto concedere, il giudizio di ammissibilità può ma non deve estendersi all’esame e alla risoluzione delle questioni relative ai presupposti processuali e alle condizioni delle azioni; tali elementi possono emergere, ma non è necessario che vengano sollevati già in questa sede. Il giudice e le parti non incorrono in alcuna preclusione circa la rilevazione e la dichiarazione degli impedimenti processuali, che non siano stati presi in considerazione e non siano stati oggetto di esplicita pronuncia ad opera dell’ordinanza di ammissibilità; da essa non consegue alcun giudicato implicito circa la loro sussistenza, per cui, vuoi nel corso del processo vuoi al momento della pronuncia finale, può essere dedotto il vizio e può essere emessa la sentenza che, dichiarandolo, definisce in rito il giudizio12.

11 Confronta, S. Menchini, in S. Menchini-A. Motto, op. cit., § 15.

12 Con analogo ragionamento, con riferimento all’azione per la dichiarazione di paternità naturale, ai sensi dell’art. 274 c.c., la Corte di Cassazione, ord. 19 settembre 2006, n. 20242, ha stabilito che, con il provvedimento che autorizza l’azione, il giudice decide anche sui presupposti processuali, ma, attese l’autonomia e la diversità di oggetto del

(8)

www.judicium.it

Ciò posto, due sono le soluzioni prospettabili: il tribunale, ravvisato l’impedimento processuale (nel caso di specie, il difetto di interesse ad agire), lo dichiara con l’ordinanza di cui al comma 6 dell’art. 140-bis cod.consumo; oppure, alternativamente, tale ordinanza può essere emessa soltanto con riguardo ad uno dei requisiti specifici cui la legge subordina l’ammissibilità dell’azione, mentre rispetto ai presupposti processuali generali debbono essere seguite le regole del codice di rito, ossia la pronuncia avviene con sentenza, ai sensi dell’art. 279, comma 2, c.p.c.

Se si segue la prima interpretazione: a) la decisione è assunta con ordinanza emessa in esito all’udienza del comma 6 dell’art. 140-bis cod.consumo; b) il provvedimento è impugnabile con reclamo alla Corte di Appello, la cui statuizione, con ogni probabilità, non è ricorribile per cassazione, ex art. 111, comma 7, c.p.c.13.

Invece, sulla base della seconda soluzione: a) il tribunale, ove ravvisi esistente un vizio processuale impediente la decisione di merito, in applicazione di quanto disposto dal comma 3 dell’art. 187 c.p.c., rimette immediatamente la causa in decisione, invitando le parti a precisare le conclusioni ai sensi dell’art. 189 c.p.c; b) la questione è decisa con sentenza, che è definitiva se viene dichiarato il difetto processuale e non definitiva se esso è escluso (art. 279, comma 2, c.p.c.);

in entrambi i casi, il giudice di primo grado si spoglia del potere di riesaminare la questione, sulla quale non può tornare; c) la sentenza, vuoi definitiva vuoi parziale, è soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione.

La ricostruzione da preferire sembra essere la seconda, in quanto essa: a) assicura alla parte soccombente un più penetrante controllo del provvedimento mediante gli ordinari mezzi di impugnazione; b) permette al tribunale, in sede di giudizio di ammissibilità, di accantonare e di non decidere le questioni di rito che appaiono essere non fondate, favorendo la rapidità della trattazione;

c) consente di definire, una volta per tutte, la questione processuale che è insorta, sempre che essa, apparendo fondata, sia stata oggetto di trattazione e di pronuncia immediate14.

provvedimento di ammissibilità e di quello che decide sullo status, in quest’ultimo procedimento sono nuovamente verificati i presupposti processuali.

13 Circa la non proponibilità del ricorso per cassazione contro l’ordinanza della Corte di Appello, si vedano: C. Consolo, op. cit., 1302; M. Bove, op. cit., § 5; A. Motto, in S. Menchini-A. Motto, op. cit., § 13.

14 In dottrina, è prevalente la tesi per cui le questioni pregiudiziali di rito debbano essere decise con sentenza e non con l’ordinanza di cui al comma 6 dell’art. 140-bis: A. Motto, in S. Menchini-A. Motto, op.

cit., § 9 e, con riferimento al primo testo della norma, A. Briguglio, op. cit., 77-78; F. De Santis, La pronunzia sull’ammisibilità della «class action»: una «certification» all’italiana?, in Class action! (?), a cura di R. Lener e M. Rescigno, in Analisi giuridica dell’impresa, 2008, 143 ss., specie 152 ss. Nello stesso senso, con riferimento al procedimento di ammissibilità della domanda di risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, di cui all’art. 5 l. 117/1988, R. Vaccarella, Sub Art. 5, in Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati, a cura di N.

Picardi e R. Vaccarella, in Nuove leggi civ. comm., 1989, 1313 ss., specie 1320-1321; in modo diverso, A.

Ronco, Profili del giudizio di ammissibilità della domanda diretta al risarcimento dei danni per il fatto del magistrato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1995, 477 ss., specie 489 ss. In giurisprudenza, con riferimento all’azione per la dichiarazione di paternità naturale ex art. 274 c.c., è prevalente la tesi per cui con il decreto di ammissibilità possono essere risolte anche questioni pregiudiziali di rito, in ragione dell’autonomia e

(9)

www.judicium.it

Vi è un ultimo punto da considerare: se si segue la via accolta dal Tribunale di Torino, qualora il giudice abbia dichiarato ammissibile l’azione e con l’ordinanza abbia ritenuto infondata una questione di rito sollevata d’ufficio o dalle parti (ad esempio, abbia dichiarato la sussistenza dell’interesse ad agire), è consentito, in sede di decisione finale della causa, tornare su essa e dichiarare con sentenza definitiva di rito l’impedimento processuale, in precedenza escluso, oppure si è formata una preclusione a seguito della mancata proposizione del reclamo su tale punto ovvero del rigetto dell’impugnazione da parte della Corte di Appello?

Ogni risposta è discutibile.

Peraltro, sulla base dei principi generali, solo le questioni risolte con ordinanza revocabile possono essere riproposte e riesaminate quando la causa è rimessa in decisione (art. 178, comma 1, c.p.c.); nel caso di specie, la questione di rito è oggetto di un’ordinanza che, essendo impugnabile con uno speciale mezzo di reclamo, non è revocabile (art. 177 c.p.c.), per cui non sono consentite, in sede di decisione finale della controversia, nuove valutazioni e nuove decisioni circa il tema già affrontato.

La legge prevede uno strumento di controllo speciale, che è costituito dal reclamo del comma 7 dell’art. 140-bis cod.consumo; se questo non è stato proposto o è stato esperito senza successo, si è formata una preclusione, che impedisce di tornare sulla questione ormai definitivamente decisa.

della diversità di oggetto del procedimento di ammissibilità e di quello che decide sullo status (Cass., ord.

19 settembre 2006, n. 20242; Cass., sez. un., 31 marzo 2006, n. 7572; tuttavia, per una fattispecie in cui il tribunale adito ai sensi dell’art. 274 c.c. ha dichiarato la propria incompetenza con sentenza, Cass. 17 luglio 2007, n. 15949). Riguardo all’ipotesi di cui all’art. 5 l. 117/1988, parte della giurisprudenza ritiene che la competenza del giudice adito sia presupposto di ammissibilità della domanda, di guisa che, in caso di incompetenza, la domanda è dichiarata inammissibile con decreto (Cass. 29 marzo 2005, n. 6551); per un diverso orientamento, invece, “le questioni attinenti all’ammissibilità della domanda sono concettualmente distinte da quelle relative alla competenza ed anzi la decisione delle prime è riservata al giudice competente a conoscere della controversia”, con la conseguenza che il provvedimento con cui il tribunale adito dichiara la propria incompetenza va reso in forma di sentenza (Cass., ord. 22 maggio 2004, n. 9880).

(10)

www.judicium.it

Riferimenti

Documenti correlati

D ESIATO , Fusione di società: l’intervento chiarificatore delle sezioni Unite, cit., secondo cui nella diversa ipotesi di fusione di società l’impugnazione può

Il testo originario della legge prevedeva l’eventualità che il giudice, in caso di accoglimento dell’azione e conseguente condanna del convenuto, non liquidasse

11 sostituito, l’istituto della sostituzione è quello che meglio si presta a spiegare la particolare posizione in cui vengono a trovarsi gli aderenti nei confronti

Il terreno in cui, probabilmente, si avverte con più forza l’assenza di un incisivo controllo giudiziale è quello relativo alla transazione, ove il danno agli

Insomma, se si tratta di accertare con forza di giudicato dei diritti, è necessario dare alle parti l’opportunità di allegare e provare tutti i fatti potenzialmente

possa essere previsto un riesame del provvedimento da parte di un giudice diverso, occorre che la legge indichi le condizioni in presenza delle quali il potere giudiziale può

La convenuta deduceva ancora che non sussisteva il requisito dell’identità dei diritti per cui veniva chiesta la tutela di classe. L’attore pretendeva di far riferimento

E ciò è l’inevitabile conseguenza del necessario vaglio di ammissibilità della domanda, ovviamente successivo alla proposizione di essa, nonché della peculiarità per cui,