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L'OBBLIGO DI INFORMAZIONE DA PARTE DELL'ASL DEL CITTADINO-PAZIENTE, IN CASO DI NECESSITÀ DI CURE ALL'ESTERO

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L'OBBLIGO DI INFORMAZIONE DA PARTE DELL'ASL DEL CITTADINO-PAZIENTE,

IN CASO DI NECESSITÀ DI CURE ALL'ESTERO

Avv. Giacomo Claudio Rulli Bonaca*

L’interessante sentenza n. 16535 del 04/11/2003, della S.C. – che, peraltro, sembra sfuggita all’attenzione dei commentatori - riguarda un tema molto particolare, come è quello attinente al contenuto dell’obbligo di informazione del cittadino-paziente, in caso di necessità di cure all’estero, gravante sull’ASL.

Sotto il profilo legislativo, innanzitutto, è disciplinata da un regolamento CEE, il n.

1408/71, che ha come titolo “LIBERA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI / POLITICA SOCIALE E PROTEZIONE SOCIALE”, che si è posto come “OBIETTIVO” quello di

“coordinare le legislazioni nazionali sulla sicurezza sociale al fine di proteggere i diritti di sicurezza sociale delle persone che si spostano all’interno dell’Unione Europea”.

Tale regolamento, pertanto, sembra contraddire le opinioni di coloro – come il sottoscritto – i quali ritengono che l’Unione Europea abbia dato più peso ai profili economici, rispetto a quelli etici, ovvero ai valori della persona (basti ricordare, come Giuseppe Mazzini, già nell’800, pensasse ad “una Europa dei popoli e dei valori”).

Come spesso accade nel nostro Paese, però, l’indicato Regolamento Europeo è stato recepito tardivamente nell’Ordinamento italiano e regolato, in maniera alquanto disordinata, da numerosi provvedimenti legislativi interni, dei quali interessa ricordare soltanto i principali, poiché vengono richiamati esplicitamente nella sentenza che andremo

* Avvocato, Terni

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a commentare, ovvero la L. 23/10/85 N. 595, il D.M. (ovviamente della Sanità Pubblica) del 3/11/1989 e il D.L. 30/9/03 n. 269.

In base all’indicata legislazione, si può affermare che il Sistema Sanitario Italiano, oltre ad assicurare a tutti i cittadini residenti le prestazioni in forma diretta, cioè gratuite, erogate sul territorio nazionale dalle strutture pubbliche o private accreditate, prevede anche che l’assistenza sanitaria all’estero, preventivamente autorizzata, è consentita, in via di eccezione, solo per le prestazioni di altissima specializzazione che non siano ottenibili nel nostro paese tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico.

Appare, dunque, opportuno (per non dire necessario, soprattutto per coloro che non hanno una conoscenza approfondita della materia) richiamare le complesse procedure adottate dal sistema Sanitario Nazionale, riguardanti l’autorizzazione al trasferimento, per cure all’estero, poiché soltanto per le prestazioni autorizzate viene concesso il concorso nella spesa, che non può, comunque, superare il limite massimo della tariffa prevista dalle convenzioni vigenti, per la medesima prestazione:

1) l’interessato, o chi per esso, deve presentare domanda all’ASL di appartenenza corredata dalla proposta di un medico specialista, nonché dall’ulteriore documentazione eventualmente prescritta da disposizioni regionali;

2) la proposta del medico specialista deve essere adeguatamente motivata, in ordine all’impossibilità di fruire delle prestazioni in Italia tempestivamente o in forma adeguata al caso clinico;

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3) l’istanza o la proposta del medico deve contenere l’indicazione della struttura estera prescelta per la prestazione;

4) l’ASL, provvede secondo modalità stabilite dalla Regione, alla trasmissione della domanda e della documentazione al centro di riferimento regionale territorialmente competente all’autorizzazione;

5) Il centro di riferimento, valutata la sussistenza dei presupposti sanitari per usufruire delle prestazioni richieste (per impossibilità di fruirle tempestivamente in Italia, ovvero in forma adeguata alla particolarità del caso clinico) presso la struttura estera, comunica all’ASL competente il proprio parere motivato in ordine all’autorizzazione richiesta;

6) l’ASL, acquisito il parere del centro, provvede o meno al rilascio dell’autorizzazione, dandone comunicazione all’interessato e al centro predetto;

7) in ogni caso di accoglimento della domanda, la ASL rilascia apposita autorizzazione scritta, se la prestazione richiesta è per uno stato non convenzionato; provvede a rilasciare un formulario (cd. “E112”) – se è per uno stato comunitario – oppure un formulario analogo, se si tratta di uno stato convenzionato;

8) A- in caso di rigetto della domanda di autorizzazione, l’interessato ha la facoltà di avvalersi dei seguenti mezzi di impugnativa, in via amministrativa:

· ricorso al Direttore Generale dell’Azienda ASL;

· ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR);

· ricorso straordinario al Presidente della Repubblica;

· ricorso in appello al Consiglio di Stato.

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B- in caso di rigetto della domanda di rimborso delle spese, invece, l’interessato ha

facoltà di ricorrere, ai sensi degli artt. 442 e 444 c.p.c. (trattandosi di controversia in materia di previdenza e assistenza obbligatorie) al Giudice del Lavoro, ovvero:

· alla Magistratura ordinaria di primo grado;

· alla Magistratura ordinaria di appello;

· alla Magistratura di Cassazione.

In proposito, soprattutto per i non giuristi, sarà bene accennare che la differente competenza sopra delineata deriva dal fatto che l’ipotesi sub. A) viene ricondotta nella figura giuridica dell’interesse legittimo, che – secondo la definizione fornita dalle S.U.

Civili, con la notissima sentenza 22/07/1999, n. 500 - “va inteso (ed ormai in tal senso viene comunemente inteso) come la posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo e consistente nell’attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione dell’interesse al bene. In altri termini, l’interesse legittimo emerge nel momento in cui l’interesse del privato ad ottenere o a conservare un bene della vita viene a confronto con il potere amministrativo, e cioè con il potere della pubblica amministrazione di soddisfare l’interesse (con provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dell’istante) o, di sacrificarlo (con provvedimenti ablatori).”

Nel caso sub. B), invece, si configura un diritto soggettivo, come tale suscettibile di diretta tutela, innanzi al Giudice ordinario.

Sull’argomento sembra opportuno richiamare gli insegnamenti della S.C., ma anche del Consiglio di Stato, per cui, secondo quest’ultimo (C. Stato, sez. V, 10/4/2000 n. 2077, in

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rep.1981 –2003, Foro It.): “in tema di assistenza sanitaria indiretta la generica domanda dell’assistito volta ad ottenere il rimborso di spese ospedaliere sostenute all’estero senza preventiva autorizzazione della Regione ha come presupposto una situazione soggettiva di mero interesse legittimo (attesa la discrezionalità riconosciuta all’Autorità Amministrativa – titolare del potere di autorizzazione – sul piano della valutazione della propria capacità di soddisfare, tempestivamente ed in forma adeguata, anche sotto il profilo della disponibilità finanziaria, le esigenze del richiedente), mentre, nell’ipotesi in cui a fondamento della domanda vengano dedotte ragioni di urgenza – tali cioè da comportare, per l’assistito, pericolo di vita, di aggravamento della malattia o di non adeguata guarigione, il tutto evitabile soltanto per effetto di cure tempestive non ottenibili dalla struttura pubblica – l’interesse vantato dal privato riveste il carattere del diritto soggettivo perfetto (il diritto, cioè, alla salute costituzionalmente garantito), tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attesa l’assenza di qualsivoglia potere autorizzatorio discrezionale della P.A. ed a prescindere dell’eventuale discrezionalità tecnica riconosciuta alla stessa in punto di apprezzamento dei motivi di urgenza” .

Sui principi appena esposti dal Giudice Amministrativo concorda anche la S.C., la quale, infatti, afferma che: “in tema di assistenza sanitaria del cittadino italiano per terapie praticate all’estero, sia le leggi di riferimento (n. 833 del 1978, n. 595 del 1985), coordinate tra loro e armonizzate con il principio di cui all’art. 32 cost., sia la normativa secondaria delegata per la concreta applicazione delle suddette leggi, ove correttamente interpretate, consentono l’assistenza indiretta – e, pertanto, il rimborso delle spese sostenute - in tutti i casi in cui per l’interessato che si sia trovato fuori dal territorio nazionale sia configurabile, indipendentemente da ogni forma di autorizzazione preventiva da parte degli organi competenti italiani, la ipotesi di eccezionale gravità della patologia,

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da accertare a posteriori, comportante la urgente necessità di un improcrastinabile ricovero presso un centro ospedaliero di altissima specializzazione ai fini di una adeguata e tempestiva terapia immediata, senza che il detto ricovero e le cure in loco possano essere subordinati all’accertamento che gli stessi siano eventualmente ottenibili, alle medesime condizioni, in territorio nazionale presso strutture pubbliche o convenzionate; infatti il significato precettivo più profondo dell’art. 32 Cost. nel quale la tutela della salute è considerata come fondamentale, primario e inviolabile diritto dell’individuo e interesse della collettività – afferisce ad un diritto soggettivo il cui riconoscimento e la cui attuazione non soffrono limitazioni di sorta né spaziale né temporale, da parte di leggi ordinarie o di normative secondarie che comunque ne possano condizionare l’esercizio in qualsivoglia direzione e pertanto anche sotto il profilo dell’assistenza sanitaria diretta o indiretta” (per tutte si veda Cass. Sez.

Lavoro 14/6/1999 n. 5890, sempre in Rep. Foro It.).

E’ sembrato utile, prima di procedere al commento della sentenza, per la migliore comprensione di essa, delineare il “sistema”, che - come spesso accade in Italia - non è affatto semplice, ma passiamo ora alla disamina della decisione n. 16535 del 4/11/2003 .

Nel caso sottoposto, dunque, all’esame della Corte di Cassazione, si era verificato che:

1) con ricorso del 27/6/95, A.O. aveva convenuto in giudizio, davanti al Pretore di Lecce,

in funzione del Giudice del Lavoro, la USL LE/6, esponendo che al proprio coniuge, affetto da neoplasia polmonare, prima del decesso, era stata consigliata una cura con chemioterapia loco regionale a mezzo di catetere angiografico, all’epoca praticabile soltanto presso una clinica di WIESBADEN, per cui era stata richiesta l’autorizzazione per

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l’assistenza sanitaria all’estero, onde ottenere il rimborso delle relative spese documentate.

Con lettera del 5/6/1995, era stato comunicato il diniego di autorizzazione, del Centro Regionale di riferimento, motivato dalla presenza in Italia di strutture idonee ad eseguire le stesse prestazioni; secondo il ricorrente, il diniego di autorizzazione, era, però, immotivato ed ingiustificato, per cui chiedeva la condanna della USL al pagamento della somma spesa, di DM 53.934, oltre accessori.

La USL LE/6 si costituiva in giudizio, opponendosi alla domanda, e il Tribunale di Lecce, con sentenza del 18/10/99, rigettava il ricorso, così come veniva respinta l’impugnazione, con sentenza del 6/12/2000 della Corte di Appello di Lecce, sul presupposto che dagli atti acquisiti in giudizio sarebbe emerso come, già dal gennaio 1994, presso un Ospedale di Bologna, si praticasse la medesima terapia cui il paziente si era sottoposto all’estero.

2) La S.C., preliminarmente, quanto opportunamente, richiama il contenuto delle norme di

riferimento:

· a) l’articolo 3, comma 5, della L. 23/10/1985 N. 595, in forza del quale: “con decreto

del Ministero della sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale, previo parere del Consiglio superiore di sanità, sono previsti i criteri di fruizione, in forma indiretta, di prestazioni assistenziali presso centri di altissima specializzazione all’estero in favore di cittadini italiani residenti in Italia, per prestazioni che non siano ottenibili nel nostro Paese tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico”;

· b) il D.M. 3 novembre 1989, con il quale si è stabilito che per le: “prestazioni non ottenibili tempestivamente in Italia” e per le “prestazioni non ottenibili in forma

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adeguata alla particolarità del caso clinico” (art.2), il cittadino italiano può rivolgersi a centri di altissima specializzazione all’estero, previa autorizzazione del Centro Regionale di Riferimento che, valutata la sussistenza dei presupposti sanitari per usufruire della prestazioni richieste (impossibilità di fruire tempestivamente ovvero in forma adeguata alla particolarità del caso clinico) (art. 4) e valutata la altissima specializzazione della struttura estera (art.5), autorizza o meno la prestazione, dandone comunicazione alla Unità sanitaria locale competente (art.4), fermo restando l’esonero dalla preventiva autorizzazione “per le prestazioni di comprovata eccezionale gravità ed urgenza” (art.

7);

· c) per quanto rileva nel caso specifico, va rimarcato che è considerata “prestazione

non ottenibile, in forma adeguata alla particolarità del caso clinico” la prestazione che richiede specifiche professionalità ovvero procedure tecniche o curative non praticate, ovvero attrezzature non presenti nelle strutture italiane pubbliche o convenzionate con il servizio sanitario nazionale (art. 2 comma 4);

· d) con D.M. 24 gennaio 1990, sono state indicate “le classi di patologia e le relative

prestazioni erogabili presso centri di assistenza di altissima specializzazione all’estero”, e sono stati determinati tempi massimi di attesa, trascorsi i quali la prestazione è considerata non ottenibile tempestivamente in Italia presso le strutture pubbliche o convenzionate con il SSN; per quanto qui interessa il termine di attesa per i trattamenti chemioterapici di oncologia medica è stato fissato in 30 giorni;

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· e) il successivo decreto 13 maggio 1993, per i casi di urgenza, così ha modificato i

commi 2 e 3 dell’art. 7 del precedente decreto: “Fermo restando la sussistenza dei presupposti e delle condizioni di cui all’art. 2 (del D.M. 3 novembre 1989) si prescinde dalla preventiva autorizzazione per le prestazioni di comprovata eccezionale gravità ed urgenza ivi comprese quelle usufruite dai cittadini che si trovino già all’estero. In tali casi la valutazione sulla sussistenza dei presupposti e condizioni ed il parere sulle spese rimborsabili sono date dal Centro di Riferimento territorialmente competente sentita la Regione.

Le relative domande di rimborso devono essere presentate all’unità sanitaria locale competente entro tre mesi dall’effettuazione della relativa spesa a pena di decadenza del diritto di rimborso”.

3) La S.C., dunque, dopo aver necessariamente richiamato il complesso quadro normativo

di riferimento, conclude affermando: “deve ritenersi che il provvedimento di rigetto della richiesta di autorizzazione non assolve all’obbligo della motivazione richiesto dall’art. 3 della L. 7/8/1990 N.241” – che, come è noto, detta norme in materia di procedimenti amministrativi e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, specificando, all’art. 3, comma 1, che <ogni provvedimento amministrativo… deve essere motivato …. la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria> –

“con la generica indicazione dell’esistenza in Italia di centri idonei a praticare la medesima terapia richiesta dall’assistito”.

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Già questo primo accenno appare piuttosto significativo, poiché censura l’operato della Pubblica Amministrazione, sotto il profilo del mancato rispetto del principio di “trasparenza amministrativa”, ribadendo che non può prescindere, da un lato, dall’adeguata motivazione del provvedimento e, dall’altro, dalla compiuta informativa del cittadino.

4) La Corte di Cassazione, pertanto, così conclude: “Dal complesso di norme sopra

indicate, e dai generali principi costituzionali di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e di tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo (art. 32 Cost.), compito spettante in via principale alla medesima amministrazione, deriva che certamente fa carico all’amministrazione sanitaria, e nella specie ai Centri Regionali di Riferimento ed alla Aziende sanitarie locali, un obbligo di informazione a favore del cittadino circa le strutture sanitarie di alta o altissima specializzazione esistenti in Italia idonee a fornire, per le patologie lamentate, le stesse prestazioni specialistiche richieste e praticate all’estero. E’ infatti compito fondamentale ed ineludibile della stessa amministrazione indirizzare il cittadino affetto da grave patologia, non adeguatamente curabile in sede locale, presso i centri di alta o altissima specializzazione del settore, di cui essa è certamente a conoscenza e con i quali è in contatto, non essendo pensabile lasciare all’assistito il compito di attivarsi per individuare dette strutture.

Tutto ciò premesso ne consegue che la motivazione della sentenza impugnata si rivela del tutto insufficiente per non aver adeguatamente preso in considerazione e valutato le circostanze, che il Centro Regionale di Riferimento, con nota n. 259 del 17/11/1994, nel negare al dott. G. la richiesta

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autorizzazione sul presupposto che in Italia esistessero diversi presidi specializzati che praticavano la stessa terapia, abbia omesso di fornire al richiedente le necessarie informazioni sul nome e l’ubicazione di tali strutture;

che tali informazioni non siano state fornite neppure dalla ASL competente e che nessuna di dette strutture pubbliche si sia offerta di porre in contatto l’assistito con le strutture specialistiche nazionali. Né ha valutato la Corte territoriale se tale omissione, comportando per l’assistito un allungamento dei tempi di attesa per la necessità di ricercare i predetti ospedali e di mettersi in contatto con i medesimi, non integrasse per il dott. G. quella situazione di

<eccezionale gravità e urgenza> che rendeva superflua la preventiva autorizzazione, visto che per comune esperienza lo sviluppo delle neoplasie e delle metastasi non si ferma in attesa del perfezionamento degli iter burocratici”.

E’ fin troppo evidente come gli argomenti utilizzati dalla S.C. siano assolutamente condivisibili ed importanti e comportino un più pregnante riconoscimento del diritto fondamentale del cittadino alla salute, costituzionalmente garantito, che non può certamente soffrire limiti di sorta, a causa degli “iter burocratici” – come li definisce la Cassazione - da un lato; dall’altro, il Giudice di legittimità “sferza” la Pubblica Amministrazione a dovere, richiamandola alle proprie precise obbligazioni.

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