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Dal comunismo alle privatizzazioni

Nel documento Dipartimento di Scienze Politiche (pagine 40-43)

Poco prima della dissoluzione dell’Unione Sovietica, si era tenuta la prima elezione presidenziale diretta dalla storia russa, che aveva visto Boris Eltsin eletto alla carica di Presidente della Federazione Russa.

L’URSS era ormai prossima all’implosione, quando Eltsin annunciò interventi di liberalizzazione del mercato e privatizzazioni, una serie di misure conosciute anche come

“terapia shock”.

Con la disgregazione del sistema sovietico, la rendita legata al petrolio e al gas divenne la principale fonte di ricchezza e potere in Russia. I nuovi gruppi privati progressivamente se ne appropriarono mentre lo Stato, conformemente al dogma neo-liberale, si ritirava dalla sfera economica e sociale.

L’immensa disponibilità di preziose risorse naturali ha favorito l’enorme corruzione emersa con la privatizzazione dell’industria statale. Inoltre, la dissoluzione dell’Unione Sovietica permise ai neonati Stati e ai gruppi privati di appropriarsi delle sue abbondanti risorse – in particolare gli idrocarburi della Siberia e del Caspio – e dei suoi impianti. In questo processo, la Russia risultò in una posizione privilegiata, poiché la maggior parte delle risorse si trovavano circoscritte all’interno dei suoi confini.

I tradizionali problemi dell'Unione Sovietica nella produzione di petrolio risultarono aggravati negli anni 90 dopo la privatizzazione e la successiva erosione dell'autorità del Ministero dell'Energia. Nel 1996 furono prodotti 293 milioni di tonnellate di petrolio, rispetto ai 536 milioni del 1985, con una diminuzione di oltre il 45%.

La privatizzazione da un lato certamente non ha agevolato lo sviluppo del settore energetico, dall’altro ha arricchito coloro i quali hanno saputo approfittare di questo processo mossi prevalentemente da interessi privati. Gli apparatchiks65 riconobbero le vaste opportunità del neo-formato Ministero dell'Energia e si assicurarono posizioni come amministratori delegati e maggiori azionisti nelle nuove società che controllavano quelle risorse. Così nel

65 Membri dell’apparato del partito comunista russo

1989 Viktor Chernomyrdin, Ministro dell'Industria del Gas, divenne l'amministratore delegato di Gazprom – in cui lo stato mantenne il 37,5% del capitale -. Il viceministro Rem Vyakhirev, invece, divenne il secondo in comando e sostituì Chernomyrdin quando questi fu rinominato vice primo ministro.66

Lo Stato non cedette immediatamente il controllo completo su tutti i beni delle imprese petrolifere o del gas naturale. Dopo aver inizialmente trasferito tali diritti a prezzi particolarmente bassi, i funzionari governativi si resero conto che potevano usare i proventi della vendita di tali beni per compensare la loro incapacità di raccogliere entrate fiscali. La tentazione di sfruttare la privatizzazione come mezzo per la riscossione delle imposte ha trovato espressione in un programma chiamato "Prestito per azioni", che, iniziato per volere di alcuni ricchi banchieri, ha portato alla vendita a prezzi stracciati di importanti imprese produttrici di risorse come il nichel e il petrolio a molti degli stessi miliardari.

La teoria dietro al sopracitato Loans for Shares era ragionevole.

Il governo russo aveva bisogno di ridurre il suo deficit di bilancio, così le banche accettarono di fornire prestiti temporanei, ponendo come garanzia per questi, azioni di ex imprese statali ormai privatizzate. Se lo stato non fosse stato in grado di ripagare, il prestatore avrebbe messo all'asta le azioni in garanzia al miglior offerente e avrebbe tenuto una frazione dei proventi equivalente al valore del prestito.

La proposta in sé si poteva considerare valida, ma l’oggettiva difficoltà dei russi nel pagare le tasse e dunque dello Stato nel ripagare a sua volta i debiti, consentì alle banche la messa all’asta di azioni statali di alcune imprese di grande valore. Ciò comportò un immenso spostamento di ricchezza nelle mani dei creditori privati.

Un modo ovvio per aumentare le entrate dello Stato e gli investimenti in strutture produttive sarebbe stato quello di coinvolgere investitori stranieri nelle compagnie petrolifere. Ma una forte resistenza fu opposta, rispetto a questa ipotesi, dalle compagnie energetiche russe e dai rappresentanti della nuova ricchezza del paese, gli oligarchi.

Uno dei più potenti oligarchi, Boris Berezovsky, sostenne fortemente che non era nell'interesse della Russia permettere agli stranieri di fare investimenti "strategici" nel settore dell'energia. Il partito comunista e i gruppi nazionalisti, specialmente quelli nella Duma67, avevano opinioni concordanti. Ciò nonostante il denaro straniero era bene accetto, ma si temevano le ingerenze esterne.

66 The Russian foreign energy policy, European Scientific Institute, T. Varol, 2013 67 Parlamento russo

1. quante azioni estere si potevano detenere in una compagnia petrolifera russa 2. se le compagnie petrolifere occidentali potevano partecipare alla produzione di

nuovi campi sviluppati tramite accordi di ripartizione della produzione (Production Sharing Agreement)

3. che tipo di protezione sarebbe stata prevista per gli azionisti di minoranza.

Le ultime due questioni sono state le più difficili da affrontare.

Rispondendo alle richieste di tutela da parte degli interessi petroliferi e bancari russi, nell'aprile 1992 il presidente Boris Eltsin decretò che gli stranieri potevano acquistare solo fino al 15% delle azioni di una compagnia petrolifera russa. Di conseguenza gli investitori stranieri reagirono rivolgendo i loro investimenti altrove, compresi gli stati non russi che circondano il Mar Caspio68.

Senza questo flusso di denaro e competenze, specialmente nelle difficili aree di lavoro offshore o nell'Artico, la produzione di petrolio russo ha cominciato a diminuire. Nel tentativo di compensarne il declino, il presidente Eltsin revocò il decreto nel novembre 1997 , autorizzando gli stranieri a possedere il 100% di tali azioni.

La Russia nel 1998 subì una gravee crisi economica dovuta alla vertiginosa caduta del prezzo del petrolio, che ebbe come conseguenza diretta una forte “fuga” di valuta estera dal paese: ciò si tradusse in un rapido deterioramento del tasso di cambio e decretò la rovina delle riforme di Eltsin.

Sempre in quell’anno l’inflazione crebbe all’84% e il debito statale, finanziato da titoli di Stato a breve termine, ebbe un tasso di interesse sempre maggiore tale da divenire insostenibile, e anche i sussidi pubblici all’agricoltura precipitarono dell’80%.

Nell’agosto dello stesso anno, con la svalutazione del rublo, si registrarono il default sul debito interno e una proroga di 90 giorni su quello estero. Ciò portò ad una forte crisi sociale, con il 40% della popolazione costretta a vivere al di sotto della soglia di povertà e il tasso di disoccupazione al 20%69.

68 Russian Energy: a blessing and a Curse, Marshall I. Goldman 69 Russian Energy: a blessing and a Curse, Marshall I. Goldman

Nel documento Dipartimento di Scienze Politiche (pagine 40-43)