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L’INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE

CAPITOLO 2 LO SHUOWEN JIEZI 說文解字

2.2.1. L’INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE

Quella che Xu Shen scelse come titolo per il suo dizionario può sembrare ad un’analisi superficiale un’espressione dal carattere non particolarmente eccezionale. Tuttavia, se analizzata in maniera più approfondita, rivela invece importanti informazioni in merito alla peculiare concezione della scrittura che Xu Shen intendeva apparentemente trasmettere, tanto da costituire uno degli aspetti dell’opera cui gli studiosi dedicano maggiore attenzione. In particolare, questi ultimi si sono recentemente divisi in merito all’interpretazione di due dei quattro caratteri che vanno a comporre il titolo, ossia i termini wen 文 e zi 字. Guardando nel complesso alle ipotesi fino ad ora proposte, è possibile riscontrare la presenza di due principali approcci relativi alla spiegazione dei due termini, l’uno fondato su un tipo di interpretazione tradizionale, l’altro incentrato invece sulla proposta di una nuova interpretazione. Cosa rende dunque wen e zi nozioni importanti in relazione allo studio della scrittura? E soprattutto, cosa rappresentano questi due concetti per Xu Shen? Perché conferiscono al titolo dello Shuowen un carattere innovativo?

Per rispondere a queste domande, occorre fare un passo indietro rispetto all’epoca in cui Xu Shen compose la sua opera, e prendere in considerazione la storia relativa all’uso di tale terminologia. Ci si accorgerà così che, prima dell’unificazione dell’impero – avvenuta con il regno Qin e consolidatasi durante la dinastia Han – non solo wen e zi non venivano utilizzati come termini complementari l’uno all’altro, ma di fatto, sebbene il termine wen fosse già comunemente in uso, lo stesso non si poteva dire della parola zi.126

124 Per un elenco delle opere dei tre autori, oltre che per la descrizione dei relativi contenuti e l’indicazione dei rispettivi riferimenti bibliografici, cfr. Ibid., pp. 440-442.

125 Per quanto riguarda i tre sinologi occidentali, i principali lavori a trattare lo Shuowen sono rispettivamente: MILLER, Problems in the Study of the Shuo-wen chieh-tzu, op. cit.; Paul L. M. SERRUYS, “On the System of the Pu Shou 部首 in the Shuo-wen chieh-tzu 說文解字”, Bulletin of the Institute of History and Philology, Academia Sinica, 55.4, 1984, pp. 651–754; Paul L. M. SERRUYS, “The Study of the Chuan Chu in Shuo Wen”, in Bulletin of the Institute of History and Philology, Academia Sinica, 29, 1957, pp. 131–195; BOTTERO, Sémantisme et classification dans l'écriture chinoise., op. cit. Per una bibliografia generale relativa agli studi condotti in epoca moderna sullo Shuowen, si rimanda inoltre alle sezioni 5.1.1.3 e 12.3.4 di: Paul Fu-mien YANG, Chinese Lexicology and Lexicography: a Selected and Classified Bibliography, Hong Kong, The Chinese University Press, 1985.

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In particolare, il termine wen, tradizionalmente tradotto come “carattere semplice” (“simple graph”), era anticamente associato ad una rosa di significati che spaziano, a seconda degli studi, da “pattern” a “striped, adorned”, o ancora “ornaments”, fino a “civilization”.127

Per giunta, essendo inizialmente l’unico termine disponibile per fare riferimento agli elementi propri della lingua scritta, wen indicava perciò in passato qualsiasi tipologia di unità grafica – vale a dire, sia quelle costituite da una singola componente, sia quelle costituite da più componenti.128 A questo proposito, si prendano in considerazione i seguenti passi tratti dal

testo dello Zuo Zhuan 左傳 (Commentario di Zuo), all’interno del quale è possibile trovare alcuni tra i primi utilizzi di wen:

仲子生而有文在其手[…]。

When she was born, Zhongzi had a mark on her hand […].129

於文,皿蟲為蠱。

As for the graphic structure, “vessel” with “worms” forms “bewitchment”.130

È possibile notare come, nel primo caso, wen non assuma il significato specifico di “carattere”, né tanto meno quello di “carattere semplice”, ma indichi piuttosto un segno leggibile sulla mano di una persona, associato qui ad una condizione particolare perché connessa alla sfera del divino.131 Nel secondo caso, tratto da un passo in cui si sta argomentando una tesi, il

termine wen fa invece riferimento alla spiegazione della struttura grafica di un carattere

127 Per un’analisi più approfondita dei significati assunti da wen nei testi antichi, si rimanda allo studio condotto sull’argomento ad opera di Lothar von Falkenhausen. Questi intende sostenere l’ipotesi di Arthur Waley, il quale ha interpretato wen come “a pattern, and hence 'a written symbol,' book-learning as opposed to battle-prowess, the 'pen' as opposed to the 'sword,' the arts of peace as opposed to those of war". Questa stessa tesi si contrappone a sua volta a quella proposta da Herrlee G. Creel, ovvero: "The character wen 文 appears to have originally had the sense of 'striped' or 'adorned,' and it may be by extension from this that wen came to mean 'accomplished,' 'accomplishments,' and even 'civilization': all of those adornments of life that distinguish the civilized man from the untutored barbarian". Cfr. Herrlee G. CREEL, The Origins of Statecraft in China, vol. I: The Western Zhou Empire, Chicago, University of Chicago Press, 1970, p. 67; Cfr. Lothar Von FALKENHAUSEN, “The Concept of Wen in the Ancient Chinese Ancestral Cult”, in Chinese Literature: Essays, Articles, Reviews (CLEAR), 18, 1996, pp. 1-22.

128 BOLTZ, The Origin And Early Development, op. cit., p. 139.

129 Francoise BOTTERO, “Revisiting the wén 文 and the zì 字: The Great Chinese Characters Hoax”, in Bullettin Of

The Museum Of Far Eastern Antiquities, 74, 2002, p. 29.

130 Ibid., p. 15.

131 Zhongzi era la seconda moglie legittima del Duca Hui 惠 di Lu 魯. Quando diventò sua moglie, questi aveva a sua volta già avuto un figlio da un’altra consorte, che sarebbe diventato il Duca Yin 隱. Zhongzi diede però alla luce un figlio di nome Yun 允, il quale divenne poi il Duca Huan 桓, scavalcando il fratellastro in quanto figlio di moglie legittima. Il segno che si dice Zhongzi avesse sulla mano quando era nata, fu così interpretato come un segno premonitore del suo destino di potere (in quanto madre del Duca Huan). Cfr. BOLTZ, The Origin And Early Development, op. cit., p. 139.

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costituito da più componenti, chiamata qui in causa come argomentazione a sostegno della tesi stessa.132

Per quanto riguarda poi il termine zi, tradizionalmente tradotto come “carattere composto” (“compound character”), si è detto come prima dell’unificazione Qin-Han non rappresentasse una parola di uso comune. Infatti, ad essere generalmente diffuso era invece il carattere ming 名.133 A livello terminologico, la fase di transizione dall’abbandono del secondo all’utilizzo del

primo – nell’accezione di “carattere della lingua scritta” – è testimoniata in un passaggio del commentario alla sezione Chunguan 春官 del Zhouli 周禮 (Riti dei Zhou), ad opera di Zheng Xuan 鄭玄 (127-200 d.C.), nel quale si afferma:

古曰名今曰字。

In the past we said ming [for characters], now we say tzu.134

Per comprendere la logica secondo cui il carattere zi è venuto dunque ad assumere il significato specifico di “carattere composto”, commenta Boltz, è sufficiente prendere in considerazione la sua etimologia. Inizialmente, il carattere zi possedeva infatti la valenza di “to rear, raise offspring; to breed, procreate, proliferate”, e per estensione anche quella di “to love and cherish (as a parent for a child)”135. Prova di ciò è data ad esempio in questo passaggio

dello Zuo Zhuan:

其僚無子使字敬叔。

Her companion had no children, but she was sent to rear and care for Ching-shu.136

È proprio sul significato di “rear” (allevare, crescere), derivato a sua volta da quello di “to breed, proliferate” (riprodursi, moltiplicarsi), che si fonda l’accezione assunta in seguito dal carattere zi: una combinazione di wen, o in altre parole, un “moltiplicarsi di wen”.

A fronte di tali premesse relative all’etimologia di wen e zi, due sono le principali riflessioni necessarie dal punto di vista storico e terminologico. In primo luogo, va sottolineato come in passato wen si usasse indistintamente per indicare tanto i cosiddetti “caratteri semplici”

132 BOTTERO, “Revisiting the wén 文 and the zì 字”, op. cit., pp. 15-16.

133 Boltz specifica come il termine ming fosse largamente utilizzato in testi a partire dal 500 a.C. In questo contesto, l’espressione era usata allo stesso modo per indicare parole della lingua parlata così come della lingua scritta, e nel secondo caso veniva quindi di fatto a definire il concetto di “carattere”. Cfr. BOLTZ, The Origin And Early Development, op. cit., p. 138.

134 Ivi.

135 Ibid., p. 142. 136 Ivi.

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quanto quelli “composti”. In secondo luogo, occorre evidenziare come il termine zi non sia di fatto originariamente nato con il significato di “carattere composto”, e come è solo al tempo degli Han – grazie all’attenzione senza precedenti che all’epoca venne dedicata allo studio del sistema di scrittura – che zi venne ad assumere tale nuova accezione, segnando così la nascita di un’effettiva distinzione tra i due termini.137

Tuttavia, occorrerà aspettare lo Shuowen perché tale distinzione venga stabilita in modo definito, nonché rappresentata nella sua forma più matura. È infatti proprio nel titolo dell’opera che wen e zi vengono presentati – per la prima volta in assoluto138 – come termini

opposti e complementari, indicando apparentemente da parte di Xu Shen l’intento di applicare al vocabolario un approccio analitico fondato proprio sulla differenza tra i due. In cosa consiste di preciso questa distinzione? Stando ai sostenitori dell’interpretazione tradizionale, Xu Shen avrebbe così concepito tale differenza: il termine wen farebbe riferimento ad un carattere consistente di un singolo corpo grafico, non scomponibile in più parti (se non in singoli tratti non portatori di significato); il temine zi indicherebbe invece un carattere costituito da più componenti grafiche, e dunque scomponibile in più parti.139 Di

conseguenza, mentre il primo, in quanto “carattere semplice”, può solo essere spiegato (shuo 說) come tale, il secondo, in quanto “carattere composto”, può invece essere analizzato (jie 解 ) nelle sue varie componenti. Così viene interpretato il titolo dell’opera di Xu Shen,

137 Si noti come, con l’affermarsi di questa distinzione, nella seconda frase presa sopra come esempio dallo Zuo

Zhuan è dunque possibile riferirsi al carattere gu 蠱 con il termine zi, piuttosto che con il più vago wen. Cfr. Ibid., p. 138.

138 Secondo lo studioso di epoca Qing Gu Yanwu 顧炎武 (1613-1682), il più antico uso dell’espressione wenzi 文 字 sarebbe rintracciabile nello Shiji, e più nello specifico nell’espressione tongshu wenzi 同書文字 (il riferimento è alla riforma della scrittura promossa da Qin Shi Huangdi). Tuttavia, in questo caso il termine indica la scrittura in generale, e non due concetti distinti connessi con i significati di “carattere semplice” e “carattere composto”. Cfr. Francoise BOTTERO, “Wen 文 versus zi 字”, in Rint SYBESMA (ed.), Encyclopedia of Chinese language and linguistics, Leiden; Boston, Brill, Vol. IV, 2015, p. 517.

139 La distinzione, qui spiegata sulla base dell’analisi proposta da Boltz (cfr. BOLTZ, The Origin And Early

Development, op. cit., p. 141.), è sostenuta anche da Vandermeersch, il quale sottolinea a sua volta come i caratteri cinesi si possano sostanzialmente dividere in due uniche, grandi categorie: “des graphies de dessin singulier (wen), comme les appelle Xu Shen – autrement dit des graphies primitives –, et des graphies enfantées par les premières (zi), comme les appelle Xu Shen – autrement dit des graphies dérivées”. Cfr. Léon VANDERMEERSCH, “Écriture et langue graphique”, in Le Débat, 5.62, 1990, p. 60. Anche P. Boodberg sostiene tale interpretazione, proponendo a sua volta nel suo studio una particolare traduzione delle due espressioni. Il termine wen, in quanto indicante un carattere non scomponibile in più parti, viene reso come “holograms” o “monosomatic”, o ancora come “matrograms” (mu 母), essendo i wen le “madri” degli zi. Il termine zi viene invece reso per contrasto tramite le traduzioni di “tomosomatic” o “syssomatic”, o ancora di “teknograms” o “tokograms” (dal greco teknon, tokos, ovvero ‘child’, ‘offspring’). Cfr. Peter A. BOODBERG, “The Chinese Script: An Essay on Nomenclature (The First Hecaton)”, in Bulletin of the Institute of History and Philology, Academia Sinica, 29, 1957, pp. 116-117.

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tradizionalmente tradotto come “Explaining the unit characters and analyzing the compound characters” (Spiegazione dei caratteri semplici e analisi dei caratteri composti).140

Tale interpretazione di wen come “carattere semplice” e di zi come “carattere composto” si è sostanzialmente affermata come la comprensione tradizionale delle due espressioni. In passato, questo tipo di tradizione interpretativa si consolidò anche sulla base di alcune osservazioni proposte da Duan Yucai, il quale, nel suo Shuowen jiezi zhu, così spiega la differenza tra i due: duti yuewen 獨體曰文 (“a “single-bodied character” is called a wen”), heti

yuezi 合體曰字 (“a “joint-bodied character” is called a zi”).141 Da allora fino ad oggi, questa

stessa concezione di wen e zi è stata stabilmente considerata nell’ambito degli studi tradizionali come “the cornerstone of the traditional Chinese approach to the nature and the structure of the script”.142