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A CCESSIBILITÀ E VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO ESISTENTE

1 ACCESSIBILITÀ AMBIENTALE

A CCESSIBILITÀ AMBIENTALE : VERSO L ’ INCLUSIVITÀ NELLA PROGETTAZIONE

1.1 A CCESSIBILITÀ E VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO ESISTENTE

Alessandra Mabellini, Aldina Silvestri

Il costante e preoccupante aumento della condizione di obsolescenza tecnologi- ca e funzionale che caratterizza parte del patrimonio edilizio italiano conduce a un incessante degrado a seguito dell’abbandono dei fabbricati esistenti non più conformi alle normative in vigore. La costruzione di nuovi edifici diviene or- mai troppo spesso conseguenza dell’abbandono di altri, in particolar modo di quelli di proprietà pubblica. Proprio in merito all’accessibilità di questi immobili dismessi, nati per essere a servizio della collettività, sono quantitativamente ele- vati quelli su cui, a oggi, si deve operare, in quanto non più in grado di rispon- dere alle prestazioni richieste. Tra questi, rilevante è la quantità di quelli co- struiti intorno agli anni ‘60 e ‘70 e non ancora soggetti al vincolo monumentale, come previsto dalla legge 1089/391.

Secondo le indagini del Cresme2 infatti, in Italia solo il 49% degli edifici pubblici è stato realizzato prima del 1945.3 Per tali edifici è proprio la rifunzio- nalizzazione, ovvero il “riuso4 del costruito” attraverso un utilizzo compatibile, uno degli interventi più problematici da effettuare, a seguito della loro specifica destinazione d’uso e conformazione architettonica, complessa da “adattare” a una nuova funzione. Questi interventi comportano quindi un inevitabile riasset- to spaziale dell’immobile nel rispetto delle normative vigenti, tale da consentire e garantire il riuso dello stesso.

La scelta della nuova destinazione d’uso dell’edificio e il rispetto delle normative specifiche non sono i soli fili conduttori del processo da eseguire, ma condizione necessaria d’uso e funzione dello stesso sarà l’accessibilità del luo- go, dello spazio, dei servizi, tale da permettere la sua fruizione a tutte le tipolo-

Alessandra Mabellini, collaboratore didattico al Corso di studi in Architettura, Università degli Studi di Udine.

Aldina Silvestri, dottoranda in Progettazione tecnologica ambientale, Sapienza Università di Roma.

1

Trasfuso nel Testo Unico n. 490 del 1999 e nell’articolo 10, comma 1, del Codice n. 42 del 2004, “Tutela delle cose d’interesse artistico o storico”.

2

Cresme, Centro ricerche economiche sociali di mercato per l’edilizia e il territorio.

3

Cresme, (2014), “5.3.1 Il patrimonio di edifici per uffici pubblici”, in Riuso03. Ristrutturazione

edilizia. Riqualificazione energetica. Rigenerazione urbana, estratto della ricerca Cresme del 24

febbraio 2014, p. 18, available at:

http://www.awn.it/attachments/article/861/RAPPORTO_riuso03.pdf (accessed 7 October 2015).

4 Il termine “riuso” è definito dalla norma Uni 10914-1: 2001.

gie di utenza.

Tutti gli edifici pubblici in disuso dovranno quindi essere riprogettati o ri- qualificati nel pieno rispetto dell’inclusione dell’intera comunità che ne fruisce, superando il concetto di diversità di genere, età o capacità, e avvalendosi dei principi più generali della “Progettazione universale”5, metodologia che ha co- me obiettivo fondamentale la progettazione di spazi e attrezzature accessibili e utilizzabili dalla maggior parte degli utenti, a prescindere dalla loro condizione sociale, fisica o mentale.

Progettare uno spazio secondo tali principi base vuol dire renderlo accessi- bile, confortevole, sicuro e qualitativamente valido per tutti i suoi potenziali uti- lizzatori: l’uomo e le sue esigenze devono essere posti al centro del processo progettuale, cercando di trovare soluzioni che possano abbracciare la totalità di quella “utenza ampliata” evitando emarginazioni, discriminazioni o limitazioni di autonomia.

Tale concezione è giustificata dall’osservazione dei dati relativi alla popola- zione, decisamente eterogenea e costituita da individui che, nella loro normali- tà, hanno caratteristiche comportamentali e abitudinali molto diverse. Inoltre, dalle stime condotte dall’Istat, la popolazione italiana over 65 raggiungerà, nel 2050, il 41% del totale; già la Commissione Europea ha stanziato numerosi fon- di nel programma Active ageing6 per promuovere la ricerca di soluzioni a sup- porto dell’invecchiamento attivo della popolazione e aumentare la vita media in salute e autonomia dei cittadini europei.

In un simile contesto, non si può non considerare il valore aggiunto che un progetto altamente inclusivo apporterebbe all’edificio su cui si opera: se la va- lorizzazione consiste “nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle atti- vità dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicu- rare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso”7bisogna anche considerare che la potenzialità economica del manufatto edilizio dipenderà dalla qualità del progetto di riqualificazione, progetto che dovrà essere realizzato attraverso l’acquisizione di una nuova sensibilità, in cui “le esigenze di accessibilità […] devono considerarsi come normali elementi di progetto, quali la sicurezza, la solidità strutturale, il comfort termoigrometrico, le norme edilizie e urbanistiche” (Carbonara, 2002).

L’accessibilità se correttamente progettata può essere quindi un fattore de- terminante per la valorizzazione di un immobile, soprattutto se di pubblico ac- cesso: gli aspetti inclusivi indurranno più fruitori a prendere parte alle attività

5

Il termine “Progettazione universale” (in inglese Universal design) è stato coniato nel 1985 dall’architetto Ronald Mace, della North Carolina State University.

6

Il piano strategico Active ageing è un progetto pilota nato nel 2012 che prevede una partnership tra Commissione Europea e i Paesi dell’Unione, le Regioni, i Comuni, le aziende o le organiz- zazioni sanitarie che rappresentano gli anziani e i pazienti. L’obiettivo posto è l’aumento di due anni di vita autonoma in buona salute degli europei entro il 2020.

1.1 A

CCESSIBILITÀ E VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO ESISTENTE

Alessandra Mabellini, Aldina Silvestri

Il costante e preoccupante aumento della condizione di obsolescenza tecnologi- ca e funzionale che caratterizza parte del patrimonio edilizio italiano conduce a un incessante degrado a seguito dell’abbandono dei fabbricati esistenti non più conformi alle normative in vigore. La costruzione di nuovi edifici diviene or- mai troppo spesso conseguenza dell’abbandono di altri, in particolar modo di quelli di proprietà pubblica. Proprio in merito all’accessibilità di questi immobili dismessi, nati per essere a servizio della collettività, sono quantitativamente ele- vati quelli su cui, a oggi, si deve operare, in quanto non più in grado di rispon- dere alle prestazioni richieste. Tra questi, rilevante è la quantità di quelli co- struiti intorno agli anni ‘60 e ‘70 e non ancora soggetti al vincolo monumentale, come previsto dalla legge 1089/391.

Secondo le indagini del Cresme2 infatti, in Italia solo il 49% degli edifici pubblici è stato realizzato prima del 1945.3 Per tali edifici è proprio la rifunzio- nalizzazione, ovvero il “riuso4 del costruito” attraverso un utilizzo compatibile, uno degli interventi più problematici da effettuare, a seguito della loro specifica destinazione d’uso e conformazione architettonica, complessa da “adattare” a una nuova funzione. Questi interventi comportano quindi un inevitabile riasset- to spaziale dell’immobile nel rispetto delle normative vigenti, tale da consentire e garantire il riuso dello stesso.

La scelta della nuova destinazione d’uso dell’edificio e il rispetto delle normative specifiche non sono i soli fili conduttori del processo da eseguire, ma condizione necessaria d’uso e funzione dello stesso sarà l’accessibilità del luo- go, dello spazio, dei servizi, tale da permettere la sua fruizione a tutte le tipolo-

Alessandra Mabellini, collaboratore didattico al Corso di studi in Architettura, Università degli Studi di Udine.

Aldina Silvestri, dottoranda in Progettazione tecnologica ambientale, Sapienza Università di Roma.

1

Trasfuso nel Testo Unico n. 490 del 1999 e nell’articolo 10, comma 1, del Codice n. 42 del 2004, “Tutela delle cose d’interesse artistico o storico”.

2

Cresme, Centro ricerche economiche sociali di mercato per l’edilizia e il territorio.

3

Cresme, (2014), “5.3.1 Il patrimonio di edifici per uffici pubblici”, in Riuso03. Ristrutturazione

edilizia. Riqualificazione energetica. Rigenerazione urbana, estratto della ricerca Cresme del 24

febbraio 2014, p. 18, available at:

http://www.awn.it/attachments/article/861/RAPPORTO_riuso03.pdf (accessed 7 October 2015).

4 Il termine “riuso” è definito dalla norma Uni 10914-1: 2001.

gie di utenza.

Tutti gli edifici pubblici in disuso dovranno quindi essere riprogettati o ri- qualificati nel pieno rispetto dell’inclusione dell’intera comunità che ne fruisce, superando il concetto di diversità di genere, età o capacità, e avvalendosi dei principi più generali della “Progettazione universale”5, metodologia che ha co- me obiettivo fondamentale la progettazione di spazi e attrezzature accessibili e utilizzabili dalla maggior parte degli utenti, a prescindere dalla loro condizione sociale, fisica o mentale.

Progettare uno spazio secondo tali principi base vuol dire renderlo accessi- bile, confortevole, sicuro e qualitativamente valido per tutti i suoi potenziali uti- lizzatori: l’uomo e le sue esigenze devono essere posti al centro del processo progettuale, cercando di trovare soluzioni che possano abbracciare la totalità di quella “utenza ampliata” evitando emarginazioni, discriminazioni o limitazioni di autonomia.

Tale concezione è giustificata dall’osservazione dei dati relativi alla popola- zione, decisamente eterogenea e costituita da individui che, nella loro normali- tà, hanno caratteristiche comportamentali e abitudinali molto diverse. Inoltre, dalle stime condotte dall’Istat, la popolazione italiana over 65 raggiungerà, nel 2050, il 41% del totale; già la Commissione Europea ha stanziato numerosi fon- di nel programma Active ageing6 per promuovere la ricerca di soluzioni a sup- porto dell’invecchiamento attivo della popolazione e aumentare la vita media in salute e autonomia dei cittadini europei.

In un simile contesto, non si può non considerare il valore aggiunto che un progetto altamente inclusivo apporterebbe all’edificio su cui si opera: se la va- lorizzazione consiste “nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle atti- vità dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicu- rare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso”7bisogna anche considerare che la potenzialità economica del manufatto edilizio dipenderà dalla qualità del progetto di riqualificazione, progetto che dovrà essere realizzato attraverso l’acquisizione di una nuova sensibilità, in cui “le esigenze di accessibilità […] devono considerarsi come normali elementi di progetto, quali la sicurezza, la solidità strutturale, il comfort termoigrometrico, le norme edilizie e urbanistiche” (Carbonara, 2002).

L’accessibilità se correttamente progettata può essere quindi un fattore de- terminante per la valorizzazione di un immobile, soprattutto se di pubblico ac- cesso: gli aspetti inclusivi indurranno più fruitori a prendere parte alle attività

5

Il termine “Progettazione universale” (in inglese Universal design) è stato coniato nel 1985 dall’architetto Ronald Mace, della North Carolina State University.

6

Il piano strategico Active ageing è un progetto pilota nato nel 2012 che prevede una partnership tra Commissione Europea e i Paesi dell’Unione, le Regioni, i Comuni, le aziende o le organiz- zazioni sanitarie che rappresentano gli anziani e i pazienti. L’obiettivo posto è l’aumento di due anni di vita autonoma in buona salute degli europei entro il 2020.

svolte, generando maggiori profitti e aumentando il valore simbolico e sociale dell’edificio stesso.

La valorizzazione degli edifici pubblici dismessi deve perciò perseguire un’azione di riuso a favore dell’interesse collettivo, attuando un processo tale da restituire alla società la struttura esistente, ponendola nelle condizioni di soddisfare le specifiche esigenze richieste dal territorio e dalla collettività nel suo complesso, oltre a integrare l’ambiente con le attrezzature e i servizi di cui è carente.

La rifunzionalizzazione è una delle azioni fondamentali che conducono ver- so la tutela del bene stesso, la ripresa del suo Lca8 e il suo adeguamento legisla- tivo. Spesso però non è semplice riuscire a rendere accessibili edifici o siti di interesse pubblico, perché non adattabili a nuove configurazioni (questo può dipendere da vari fattori: l’area di accesso circostante, il valore ambientale del luogo, i materiali da costruzione utilizzati, la vetustà dell’immobile ecc.). Ma il problema maggiore resta quello dei fondi di investimento: il processo volto al riuso di fabbricati esistenti comporta un elevato costo per le amministrazioni comunali o provinciali, che quasi sempre ne sono proprietarie. Spesso infatti, data la carenza delle risorse per finanziare gli interventi necessari, sono costret- te alla vendita o concessione degli stessi a privati e/o associazioni che investo- no al fine di rifunzionalizzare l’immobile e trasformarlo in una fonte di reddito. Tale condizione ha condotto nel tempo all’individuazione di numerose metodo- logie d’intervento, determinando diverse casistiche, ciascuna caratterizzata da processi attuativi differenti in relazione alle specifiche variabili progettuali ed economiche: per questo tramite l’emanazione di alcune normative negli ultimi anni si è cercato sempre più spesso di coinvolgere il privato nelle procedure di impiego di capitale in processi di riqualificazione e gestione dei beni di proprie- tà demaniale. Il decreto legislativo del 28 maggio 2010, n. 859 è stato il primo provvedimento di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale e ha di- sciplinato l’attribuzione di parte del patrimonio dello Stato a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Poiché secondo l’articolo 58 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 11210 i beni acquisiti dagli enti territoriali possono essere oggetto di processi di alienazione e dismissione, da parte di amministrazioni statali come da privati, in questi ultimi cinque anni sono state molte le azioni di “vendita” degli immobili pubblici, sia per garantire a questi ultimi una “nuova vita”, attraverso programmi ben definiti di un chiaro processo di valorizzazione strategica, recupero o riuso, sia per incentivare la stabilizzazione, e la ripresa, delle finanze pubbliche.

8

Lca, Life cycle assessment, è definito dalla norma Uni Iso 14040.

9

In attuazione dell’articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42, “Attribuzione a comuni, pro- vince, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio”.

10

Decreto legge 25 giugno 2008, n.112, “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”.

Ogni ente territoriale, a seguito dell’emanazione del decreto legge 112/2008, ha predisposto un “Piano di alienazione e valorizzazione”, che disciplina le at- tività, le procedure e gli strumenti che interessano il processo stesso, secondo differenti modalità.

Nonostante ciò, la vendita del bene statale al privato ha riscontrato difficoltà importanti. La prima è quella della poca richiesta, visto il costo elevato degli immobili; inoltre in assenza di strumenti di valutazione del bene stesso è diffi- cile prevedere se la destinazione d’uso dell’edificio potrà essere compatibile con il suo stato di conservazione.

Pertanto, la Pubblica amministrazione sta sperimentando una nuova strate- gia di gestione degli immobili: la “concessione di valorizzazione”. Attraverso questo processo “i beni immobili di proprietà dello Stato […] possono essere concessi o locati a privati, a titolo oneroso, per un periodo non superiore a cinquanta anni, ai fini della riqualificazione e riconversione dei medesimi beni tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione anche con l’introdu- zione di nuove destinazioni d’uso”11.

Questo strumento ha come obiettivo mettere a reddito i beni pubblici. L’affidamento al privato avviene generalmente attraverso bando di gara: i pri- vati devono presentare la loro offerta unitamente al programma di gestione del bene, che può avere anche una diversa destinazione d’uso (vincolata dalla So- printendenza). La concessione è aggiudicata valutando l’offerta economicamente più vantaggiosa che possa valorizzare il bene senza minarne le potenzialità cul- turali e artistiche, e che possa, attraverso un progetto di riqualificazione e ge- stione, garantire una partecipazione ampliata agli utilizzatori favorendone così un cospicuo guadagno.

In un quadro simile il valore aggiunto dell’accessibilità potrebbe essere di- scriminante per l’aggiudicazione della gara, poiché inserita in un piano di ge- stione sicuramente più vantaggioso dal punto di vista economico. Ma è soprat- tutto il valore culturale e sociale a beneficiarne: un luogo inclusivo, condiviso e fruibile da tutti, che sia sede di attività diversificate, dedicate alla crescita col- lettiva dell’intera comunità del posto, si configura come scenario altamente va- lido e legittimo da attuare.

Possiamo proporre, di seguito, degli esempi di riuso e valorizzazione di beni pubblici che in questi ultimi anni sono stati particolarmente significativi per la loro concretizzazione, nel pieno rispetto delle norme in vigore e delle misure di accessibilità. Attuale è ad esempio il recupero delle ex colonie marine di Ca- lambrone, in Toscana: 80.000 mq di edifici pubblici in stato di degrado, inter- vento per il quale sono stati stanziati, grazie a una partnership tra pubblico e privati, 300 milioni di euro per la riconversione delle strutture a carattere resi- denziale e alberghiero. Dal 1998 già molte sono le ex colonie recuperate e atti-

11

Articolo 3 bis, legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modifiche e integrazioni, “Valoriz- zazione e utilizzazione a fini economici dei beni immobili tramite concessione o locazione”.

svolte, generando maggiori profitti e aumentando il valore simbolico e sociale dell’edificio stesso.

La valorizzazione degli edifici pubblici dismessi deve perciò perseguire un’azione di riuso a favore dell’interesse collettivo, attuando un processo tale da restituire alla società la struttura esistente, ponendola nelle condizioni di soddisfare le specifiche esigenze richieste dal territorio e dalla collettività nel suo complesso, oltre a integrare l’ambiente con le attrezzature e i servizi di cui è carente.

La rifunzionalizzazione è una delle azioni fondamentali che conducono ver- so la tutela del bene stesso, la ripresa del suo Lca8 e il suo adeguamento legisla- tivo. Spesso però non è semplice riuscire a rendere accessibili edifici o siti di interesse pubblico, perché non adattabili a nuove configurazioni (questo può dipendere da vari fattori: l’area di accesso circostante, il valore ambientale del luogo, i materiali da costruzione utilizzati, la vetustà dell’immobile ecc.). Ma il problema maggiore resta quello dei fondi di investimento: il processo volto al riuso di fabbricati esistenti comporta un elevato costo per le amministrazioni comunali o provinciali, che quasi sempre ne sono proprietarie. Spesso infatti, data la carenza delle risorse per finanziare gli interventi necessari, sono costret- te alla vendita o concessione degli stessi a privati e/o associazioni che investo- no al fine di rifunzionalizzare l’immobile e trasformarlo in una fonte di reddito. Tale condizione ha condotto nel tempo all’individuazione di numerose metodo- logie d’intervento, determinando diverse casistiche, ciascuna caratterizzata da processi attuativi differenti in relazione alle specifiche variabili progettuali ed economiche: per questo tramite l’emanazione di alcune normative negli ultimi anni si è cercato sempre più spesso di coinvolgere il privato nelle procedure di impiego di capitale in processi di riqualificazione e gestione dei beni di proprie- tà demaniale. Il decreto legislativo del 28 maggio 2010, n. 859 è stato il primo provvedimento di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale e ha di- sciplinato l’attribuzione di parte del patrimonio dello Stato a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Poiché secondo l’articolo 58 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 11210 i beni acquisiti dagli enti territoriali possono essere oggetto di processi di alienazione e dismissione, da parte di amministrazioni statali come da privati, in questi ultimi cinque anni sono state molte le azioni di “vendita” degli immobili pubblici, sia per garantire a questi ultimi una “nuova vita”, attraverso programmi ben definiti di un chiaro processo di valorizzazione strategica, recupero o riuso, sia per incentivare la stabilizzazione, e la ripresa, delle finanze pubbliche.

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Lca, Life cycle assessment, è definito dalla norma Uni Iso 14040.

9

In attuazione dell’articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42, “Attribuzione a comuni, pro- vince, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio”.

10

Decreto legge 25 giugno 2008, n.112, “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”.

Ogni ente territoriale, a seguito dell’emanazione del decreto legge 112/2008, ha predisposto un “Piano di alienazione e valorizzazione”, che disciplina le at- tività, le procedure e gli strumenti che interessano il processo stesso, secondo differenti modalità.

Nonostante ciò, la vendita del bene statale al privato ha riscontrato difficoltà importanti. La prima è quella della poca richiesta, visto il costo elevato degli immobili; inoltre in assenza di strumenti di valutazione del bene stesso è diffi- cile prevedere se la destinazione d’uso dell’edificio potrà essere compatibile con il suo stato di conservazione.

Pertanto, la Pubblica amministrazione sta sperimentando una nuova strate- gia di gestione degli immobili: la “concessione di valorizzazione”. Attraverso questo processo “i beni immobili di proprietà dello Stato […] possono essere concessi o locati a privati, a titolo oneroso, per un periodo non superiore a cinquanta anni, ai fini della riqualificazione e riconversione dei medesimi beni tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione anche con l’introdu- zione di nuove destinazioni d’uso”11.

Questo strumento ha come obiettivo mettere a reddito i beni pubblici. L’affidamento al privato avviene generalmente attraverso bando di gara: i pri- vati devono presentare la loro offerta unitamente al programma di gestione del bene, che può avere anche una diversa destinazione d’uso (vincolata dalla So- printendenza). La concessione è aggiudicata valutando l’offerta economicamente più vantaggiosa che possa valorizzare il bene senza minarne le potenzialità cul- turali e artistiche, e che possa, attraverso un progetto di riqualificazione e ge-