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3 PATRIMONIO ARCHITETTONICO

PROGETTO , QUALITÀ E BUONE PRASS

Maria Luisa Germanà

La dimensione pubblica del patrimonio

Un recente decreto legislativo (Dlgs 18/09/2015) ha inserito musei e luoghi del- la cultura tra i “servizi pubblici essenziali”. Pur avendo acceso un dibattito cir- coscritto alla contrapposizione tra Governo e sindacati, esso offre spunti per una più ampia riflessione, con riferimento al processo di riorganizzazione del Mibact avviato nel 2014 (Volpe 2015a; 2015b). Infatti, la dimensione pubblica si riscontra in ogni aspetto del patrimonio culturale (Manacorda, 2015; Monta- nari, 2015), a partire dalla tutela (uno dei principi fondamentali della Costitu- zione della Repubblica Italiana), coinvolgendo sia l’insieme di oggetti che com- pongono il patrimonio sia l’insieme di attività che lo riguardano, perseguendo gli obiettivi della conoscenza, conservazione, gestione e valorizzazione.

La dimensione pubblica del patrimonio culturale è ancora più forte nel pa- trimonio architettonico, che, in quanto esito di attività costruttive, si distingue da altre forme di patrimonio culturale per più incisivi effetti dei fattori “luogo” e “uso”, entrambi intrecciati in modo molto peculiare alla variabile “tempo”. L’ar- chitettura, a tutte le scale di osservazione, è al tempo stesso causa ed effetto delle condizioni umane: lungi dal ridursi a un mero contenitore, l’ambiente costruito costituisce una sorta di estensione dell’uomo, che lo condiziona e lo rappresen- ta, come individuo e/o comunità. Ciò tende a consolidarsi con lo scorrere del tempo, enfatizzando, talvolta impietosamente, miseria e nobiltà, sciatteria e de- coro, volgarità e buon gusto.

Quando il costruito assume quei significati che lo trasformano in “patrimo- nio” (lascito del pater o hereditas), imponendo l’obiettivo della trasmissione alle generazioni future, il processo d’immedesimazione e rappresentatività non ces- sa e, anzi, se ne rafforza proprio la dimensione pubblica. Infatti, le condizioni del patrimonio architettonico rappresentano un intero popolo, sgombrando il campo da ogni dichiarazione programmatica, perché sono conseguenza di due agenti concomitanti: la sensibilità e il coinvolgimento delle comunità (che ge- nerano quel rispetto del passato da cui dipende l’indispensabile cura quotidia- na); il Governo e le classi dirigenti, con l’attribuzione di priorità nelle strategie politiche, le capacità organizzative e tecniche della Pubblica amministrazione,

Maria Luisa Germanà, professore associato di Tecnologia dell’architettura, Università di Palermo.

le potenzialità in termini di risorse umane e finanziarie dedicate.

Per quanto riguarda gli interventi sul patrimonio culturale, la dimensione pubblica domina l’intera estensione dei processi, dalla programmazione alla gestione dei risultati conseguiti: tale dimensione dovrebbe indurre a superare ogni diatriba pubblico-privato (Montanari, 2015), imponendo alla Pubblica am- ministrazione procedure improntate da tempestività, trasparenza e correttezza (vedi legge 109/1994).

Negli interventi sul patrimonio architettonico, dunque, si enfatizza la di- mensione pubblica che si riscontra in ogni intervento edilizio (a prescindere dalla natura del finanziamento, dall’entità dell’operazione e dalla destinazione d’uso) per il fatto che esso produce conseguenze non solo sui diretti fruitori, ma anche su visitatori o passanti, costituendo un “valore per la collettività per i po- tenziali benefici in termini economici, ambientali e sociali” (Uni 10722-1/1998). Ai casi di provata incapacità nel gestire tempi e costi, agli scandalosi esempi di lavori inutili o incompiuti così comuni nelle opere pubbliche, gli interventi sul costruito storico potenzialmente assommano altri infausti esiti, esponendo il patrimonio al rischio di comprometterne la permanenza e ostacolarne la valo- rizzazione.

Alcune criticità nello scenario italiano

In gran parte, le criticità del patrimonio culturale nello scenario italiano posso- no essere meglio comprese e risolte proprio a partire dalla dimensione pubblica. Un intreccio di ostacoli di matrice culturale e organizzativa (arroccamenti ac- cademici, chiusura al confronto e incapacità di cooperazione, incomunicabilità tra istituzioni, sovrapposizioni o gap tra livello centrale e periferico) e un diffu- so smarrimento della sostanziale valenza etica del patrimonio culturale (Settis, 2002; Montanari, 2105) creano condizioni di elevata complessità, che nessuno può affrontare singolarmente.

Ciò rende auspicabile uno sforzo condiviso per consolidare metodologie e per raggiungere un aggiornamento legislativo affrancandosi da un concetto di tutela indistintamente applicato a qualunque patrimonio culturale, senza adat- tarsi alle molteplici specificità. La disomogeneità del patrimonio architettonico è un dato oggettivo, ma, sotto il profilo metodologico, un approccio unitario eviterebbe molte disparità di trattamento: si pensi, ad esempio, alla focalizza- zione su alcuni siti straordinari (come quelli inseriti nella World heritage list Unesco), che porta ad abbassare la guardia sul resto, fino a quando qualche e- vento (sisma, frana, inondazione o anche un prevedibile crollo dovuto a perdu- rante incuria) non ne porti in evidenza coram populo la “vulnerabilità”.

L’esigenza di perseguire qualità uniformi in processi che prendono avvio da scenari diversi, si riscontra ancor di più per il patrimonio architettonico “mino- re” e per i “centri storici”, autentico tessuto connettivo dell’identità dell’ambiente

P

ATRIMONIO ARCHITETTONICO

:

PROGETTO

,

QUALITÀ E BUONE PRASSI

Maria Luisa Germanà

La dimensione pubblica del patrimonio

Un recente decreto legislativo (Dlgs 18/09/2015) ha inserito musei e luoghi del- la cultura tra i “servizi pubblici essenziali”. Pur avendo acceso un dibattito cir- coscritto alla contrapposizione tra Governo e sindacati, esso offre spunti per una più ampia riflessione, con riferimento al processo di riorganizzazione del Mibact avviato nel 2014 (Volpe 2015a; 2015b). Infatti, la dimensione pubblica si riscontra in ogni aspetto del patrimonio culturale (Manacorda, 2015; Monta- nari, 2015), a partire dalla tutela (uno dei principi fondamentali della Costitu- zione della Repubblica Italiana), coinvolgendo sia l’insieme di oggetti che com- pongono il patrimonio sia l’insieme di attività che lo riguardano, perseguendo gli obiettivi della conoscenza, conservazione, gestione e valorizzazione.

La dimensione pubblica del patrimonio culturale è ancora più forte nel pa- trimonio architettonico, che, in quanto esito di attività costruttive, si distingue da altre forme di patrimonio culturale per più incisivi effetti dei fattori “luogo” e “uso”, entrambi intrecciati in modo molto peculiare alla variabile “tempo”. L’ar- chitettura, a tutte le scale di osservazione, è al tempo stesso causa ed effetto delle condizioni umane: lungi dal ridursi a un mero contenitore, l’ambiente costruito costituisce una sorta di estensione dell’uomo, che lo condiziona e lo rappresen- ta, come individuo e/o comunità. Ciò tende a consolidarsi con lo scorrere del tempo, enfatizzando, talvolta impietosamente, miseria e nobiltà, sciatteria e de- coro, volgarità e buon gusto.

Quando il costruito assume quei significati che lo trasformano in “patrimo- nio” (lascito del pater o hereditas), imponendo l’obiettivo della trasmissione alle generazioni future, il processo d’immedesimazione e rappresentatività non ces- sa e, anzi, se ne rafforza proprio la dimensione pubblica. Infatti, le condizioni del patrimonio architettonico rappresentano un intero popolo, sgombrando il campo da ogni dichiarazione programmatica, perché sono conseguenza di due agenti concomitanti: la sensibilità e il coinvolgimento delle comunità (che ge- nerano quel rispetto del passato da cui dipende l’indispensabile cura quotidia- na); il Governo e le classi dirigenti, con l’attribuzione di priorità nelle strategie politiche, le capacità organizzative e tecniche della Pubblica amministrazione,

Maria Luisa Germanà, professore associato di Tecnologia dell’architettura, Università di Palermo.

le potenzialità in termini di risorse umane e finanziarie dedicate.

Per quanto riguarda gli interventi sul patrimonio culturale, la dimensione pubblica domina l’intera estensione dei processi, dalla programmazione alla gestione dei risultati conseguiti: tale dimensione dovrebbe indurre a superare ogni diatriba pubblico-privato (Montanari, 2015), imponendo alla Pubblica am- ministrazione procedure improntate da tempestività, trasparenza e correttezza (vedi legge 109/1994).

Negli interventi sul patrimonio architettonico, dunque, si enfatizza la di- mensione pubblica che si riscontra in ogni intervento edilizio (a prescindere dalla natura del finanziamento, dall’entità dell’operazione e dalla destinazione d’uso) per il fatto che esso produce conseguenze non solo sui diretti fruitori, ma anche su visitatori o passanti, costituendo un “valore per la collettività per i po- tenziali benefici in termini economici, ambientali e sociali” (Uni 10722-1/1998). Ai casi di provata incapacità nel gestire tempi e costi, agli scandalosi esempi di lavori inutili o incompiuti così comuni nelle opere pubbliche, gli interventi sul costruito storico potenzialmente assommano altri infausti esiti, esponendo il patrimonio al rischio di comprometterne la permanenza e ostacolarne la valo- rizzazione.

Alcune criticità nello scenario italiano

In gran parte, le criticità del patrimonio culturale nello scenario italiano posso- no essere meglio comprese e risolte proprio a partire dalla dimensione pubblica. Un intreccio di ostacoli di matrice culturale e organizzativa (arroccamenti ac- cademici, chiusura al confronto e incapacità di cooperazione, incomunicabilità tra istituzioni, sovrapposizioni o gap tra livello centrale e periferico) e un diffu- so smarrimento della sostanziale valenza etica del patrimonio culturale (Settis, 2002; Montanari, 2105) creano condizioni di elevata complessità, che nessuno può affrontare singolarmente.

Ciò rende auspicabile uno sforzo condiviso per consolidare metodologie e per raggiungere un aggiornamento legislativo affrancandosi da un concetto di tutela indistintamente applicato a qualunque patrimonio culturale, senza adat- tarsi alle molteplici specificità. La disomogeneità del patrimonio architettonico è un dato oggettivo, ma, sotto il profilo metodologico, un approccio unitario eviterebbe molte disparità di trattamento: si pensi, ad esempio, alla focalizza- zione su alcuni siti straordinari (come quelli inseriti nella World heritage list Unesco), che porta ad abbassare la guardia sul resto, fino a quando qualche e- vento (sisma, frana, inondazione o anche un prevedibile crollo dovuto a perdu- rante incuria) non ne porti in evidenza coram populo la “vulnerabilità”.

L’esigenza di perseguire qualità uniformi in processi che prendono avvio da scenari diversi, si riscontra ancor di più per il patrimonio architettonico “mino- re” e per i “centri storici”, autentico tessuto connettivo dell’identità dell’ambiente

costruito italiano. Dopo oltre cinquant’anni di studi e di sperimentazioni, luci e ombre tracciano un quadro nazionale assai disomogeneo, dimostrando la man- canza di un condiviso paradigma metodologico e operativo per la diagnosi e il progetto che sia finanziariamente ragionevole e abbastanza flessibile per adat- tarsi al variabile mix di esigenze conservative e trasformative, nel rispetto delle istanze della sostenibilità. In mancanza di simile condiviso paradigma, il pro- getto sul patrimonio architettonico resta esposto al dominio dell’opinabile: pre- vale il “parere”, necessariamente soggettivo e inappellabile, invece del “crite- rio”, oggettivamente dimostrabile, condivisibile e perfezionabile.

Le attività che, perseguendo vari obiettivi, si attuano sul patrimonio sugge- riscono altre ricorrenti criticità, variamente riconducibili a una “incompletezza processuale”: le attività di conoscenza tendono a rimanere fini a se stesse, di- scontinue, esposte all’obsolescenza di supporti e di contenuti; le attività di con- servazione sono circoscritte nel breve termine (come dimostrano frequenti esem- pi di esiti non durevoli, ingestibili, inutilizzabili) non acquisendo l’indispensa- bile dimensione programmatica (Della Torre, 2003) e non integrandosi con la sfera socio-economica, ignorando il necessario coinvolgimento dei portatori d’interesse e la non trascurabile questione dei costi; la valorizzazione resta am- biguamente indefinita, limitandosi a una sorta di superficiale cultural-washing1, in conflitto con la conservazione e ancorata a una visione sitocentrica, senza un autentico coinvolgimento delle persone.

Un quadro completo delle criticità nel campo del patrimonio architettonico richiederebbe una trattazione molto più ampia, che sarebbe indispensabile per poterle risolvere in modo efficace, ambizione tanto più urgente per passare da uno stato di continua emergenza, che giustifica procedure “straordinarie”, a una più auspicabile normalità, che dia spazio a buone pratiche verificabili, perfe- zionabili e replicabili.

Il contributo della Tecnologia dell’architettura

Come succede per qualunque artefatto, i processi di formazione, mantenimento, trasformazione e dismissione dell’ambiente costruito, sono fenomeni tecnologi- ci, a prescindere dalla scala di osservazione. Essi sono strettamente legati alla società (la condizionano e ne sono condizionati), ai modelli produttivi, alle re- lazioni con il contesto. La Tecnologia dell’architettura focalizza il “progetto” (momento di sintesi mirato a individuare le soluzioni preferibili, collegato alla programmazione a monte e alla realizzazione e gestione a valle del processo) come fase cruciale nel raggiungimento della “qualità”, definita come soddisfa- cimento delle esigenze dei fruitori. Inoltre, come avviene in altri ambiti produt-

1

Si propone questa locuzione parafrasando quanto s’intende con green-washing: operazione di

merchandising basata su affermazioni infondate o fuorvianti sulle caratteristiche di sostenibilità

di un certo prodotto.

tivi, all’interno della dialettica progetto/qualità la cultura tecnologica dell’archi- tettura, si confronta sempre con due livelli, distinguibili ma non separabili: la sfera materiale (insieme di oggetti) e la sfera immateriale (insieme di attività)2.

Negli ultimi cinquant’anni la Tecnologia dell’architettura si è evoluta paral- lelamente alle profonde trasformazioni della società italiana, alle tendenze del mercato immobiliare, alle dinamiche del settore edilizio, agli orientamenti cul- turali. Così negli anni ‘70 la disciplina ha recepito le basilari istanze della pro- gettazione ambientale e, nel decennio successivo, quelle dell’intervento sul co- struito, destinato a passare da segmento di nicchia o privo di interesse a quota sempre più dominante degli investimenti in edilizia. Il progressivo allargamen- to del campo applicativo, che nel frattempo ha coinvolto anche altri ambiti, ha confermato la validità di un approccio analitico-progettuale metodologicamente strutturato, riconoscibile e solido. Negli anni ‘90 sono maturate le condizioni affinché i capisaldi teorici della Tecnologia dell’architettura (visione sistemica degli oggetti, attenzione alle dinamiche processuali, approccio esigenziale e pre- stazionale alla qualità) potessero essere applicati al patrimonio costruito con significati culturali. Ciò ha dimostrato l’utilità dell’apporto disciplinare, sul piano sia teorico che operativo, nell’affrontare le criticità del settore, enfatizzate dalla dimensione pubblica degli interventi e dalla portata collettiva dei valori in gio- co. Per dare più forza e riconoscibilità al contributo delle discipline tecnologi- che al Patrimonio architettonico, nel 2013 all’interno della SITdA (Società ita- liana della Tecnologia dell’architettura) è stato proposto un cluster dedicato3.

Focalizzando l’attenzione sul patrimonio architettonico si facilita una più generale “visione olistica” del patrimonio culturale, auspicata per conciliare spe- cialismi e interdisciplinarità e per affrontare problemi complessi, superando un concetto di tutela arroccato su vincoli (Volpe, 2015a). Infatti, lo spazio architet- tonico da sempre supporta tutti gli altri manufatti artistici o strumentali; esso ha spesso raccolto le sedimentazioni del tempo attraverso stratificazioni anche mol- teplici, per via della lunga permanenza dell’uomo in certi luoghi. Per questo, molto più che altre forme di patrimonio culturale, quello architettonico si presta a essere studiato come un “sistema” in cui elementi diversi, connotati per speci- fiche caratteristiche, sono collegati da relazioni intrecciate e dinamiche.

La visione sistemica (Di Battista et al., 2006) aiuta nella conoscenza del singolo esempio di ambiente costruito con significato culturale, focalizzando in un’ottica evolutiva e con riferimento alle condizioni originarie, attuali e poten- ziali: le connessioni tra attività accolte e aspetti dimensionali e distributivi; le

2

Qualità e progetto sono tra i cardini concettuali della Tecnologia dell’architettura; in questa sede si ritiene preferibile non riportare riferimenti bibliografici, che le regole editoriali rende- rebbero forzatamente parziali.

3

L’evoluzione della Tecnologia dell’architettura negli ultimi decenni si rispecchia nelle deno- minazioni dei corsi nei vari livelli di formazione universitaria. Per il cluster SITdA Patrimonio architettonico, vedi i contributi di chi scrive su: Techne, n. 7, 2014, pp. 41-51 e pp. 233-234; http://www.sitda.net/index.php/cluster/patrimonio-architettonico.html.

costruito italiano. Dopo oltre cinquant’anni di studi e di sperimentazioni, luci e ombre tracciano un quadro nazionale assai disomogeneo, dimostrando la man- canza di un condiviso paradigma metodologico e operativo per la diagnosi e il progetto che sia finanziariamente ragionevole e abbastanza flessibile per adat- tarsi al variabile mix di esigenze conservative e trasformative, nel rispetto delle istanze della sostenibilità. In mancanza di simile condiviso paradigma, il pro- getto sul patrimonio architettonico resta esposto al dominio dell’opinabile: pre- vale il “parere”, necessariamente soggettivo e inappellabile, invece del “crite- rio”, oggettivamente dimostrabile, condivisibile e perfezionabile.

Le attività che, perseguendo vari obiettivi, si attuano sul patrimonio sugge- riscono altre ricorrenti criticità, variamente riconducibili a una “incompletezza processuale”: le attività di conoscenza tendono a rimanere fini a se stesse, di- scontinue, esposte all’obsolescenza di supporti e di contenuti; le attività di con- servazione sono circoscritte nel breve termine (come dimostrano frequenti esem- pi di esiti non durevoli, ingestibili, inutilizzabili) non acquisendo l’indispensa- bile dimensione programmatica (Della Torre, 2003) e non integrandosi con la sfera socio-economica, ignorando il necessario coinvolgimento dei portatori d’interesse e la non trascurabile questione dei costi; la valorizzazione resta am- biguamente indefinita, limitandosi a una sorta di superficiale cultural-washing1, in conflitto con la conservazione e ancorata a una visione sitocentrica, senza un autentico coinvolgimento delle persone.

Un quadro completo delle criticità nel campo del patrimonio architettonico richiederebbe una trattazione molto più ampia, che sarebbe indispensabile per poterle risolvere in modo efficace, ambizione tanto più urgente per passare da uno stato di continua emergenza, che giustifica procedure “straordinarie”, a una più auspicabile normalità, che dia spazio a buone pratiche verificabili, perfe- zionabili e replicabili.

Il contributo della Tecnologia dell’architettura

Come succede per qualunque artefatto, i processi di formazione, mantenimento, trasformazione e dismissione dell’ambiente costruito, sono fenomeni tecnologi- ci, a prescindere dalla scala di osservazione. Essi sono strettamente legati alla società (la condizionano e ne sono condizionati), ai modelli produttivi, alle re- lazioni con il contesto. La Tecnologia dell’architettura focalizza il “progetto” (momento di sintesi mirato a individuare le soluzioni preferibili, collegato alla programmazione a monte e alla realizzazione e gestione a valle del processo) come fase cruciale nel raggiungimento della “qualità”, definita come soddisfa- cimento delle esigenze dei fruitori. Inoltre, come avviene in altri ambiti produt-

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Si propone questa locuzione parafrasando quanto s’intende con green-washing: operazione di

merchandising basata su affermazioni infondate o fuorvianti sulle caratteristiche di sostenibilità

di un certo prodotto.

tivi, all’interno della dialettica progetto/qualità la cultura tecnologica dell’archi- tettura, si confronta sempre con due livelli, distinguibili ma non separabili: la sfera materiale (insieme di oggetti) e la sfera immateriale (insieme di attività)2.

Negli ultimi cinquant’anni la Tecnologia dell’architettura si è evoluta paral- lelamente alle profonde trasformazioni della società italiana, alle tendenze del mercato immobiliare, alle dinamiche del settore edilizio, agli orientamenti cul- turali. Così negli anni ‘70 la disciplina ha recepito le basilari istanze della pro- gettazione ambientale e, nel decennio successivo, quelle dell’intervento sul co- struito, destinato a passare da segmento di nicchia o privo di interesse a quota sempre più dominante degli investimenti in edilizia. Il progressivo allargamen- to del campo applicativo, che nel frattempo ha coinvolto anche altri ambiti, ha confermato la validità di un approccio analitico-progettuale metodologicamente strutturato, riconoscibile e solido. Negli anni ‘90 sono maturate le condizioni affinché i capisaldi teorici della Tecnologia dell’architettura (visione sistemica degli oggetti, attenzione alle dinamiche processuali, approccio esigenziale e pre- stazionale alla qualità) potessero essere applicati al patrimonio costruito con significati culturali. Ciò ha dimostrato l’utilità dell’apporto disciplinare, sul piano sia teorico che operativo, nell’affrontare le criticità del settore, enfatizzate dalla dimensione pubblica degli interventi e dalla portata collettiva dei valori in gio- co. Per dare più forza e riconoscibilità al contributo delle discipline tecnologi- che al Patrimonio architettonico, nel 2013 all’interno della SITdA (Società ita- liana della Tecnologia dell’architettura) è stato proposto un cluster dedicato3.

Focalizzando l’attenzione sul patrimonio architettonico si facilita una più generale “visione olistica” del patrimonio culturale, auspicata per conciliare spe- cialismi e interdisciplinarità e per affrontare problemi complessi, superando un concetto di tutela arroccato su vincoli (Volpe, 2015a). Infatti, lo spazio architet- tonico da sempre supporta tutti gli altri manufatti artistici o strumentali; esso ha spesso raccolto le sedimentazioni del tempo attraverso stratificazioni anche mol- teplici, per via della lunga permanenza dell’uomo in certi luoghi. Per questo, molto più che altre forme di patrimonio culturale, quello architettonico si presta a essere studiato come un “sistema” in cui elementi diversi, connotati per speci- fiche caratteristiche, sono collegati da relazioni intrecciate e dinamiche.

La visione sistemica (Di Battista et al., 2006) aiuta nella conoscenza del singolo esempio di ambiente costruito con significato culturale, focalizzando in un’ottica evolutiva e con riferimento alle condizioni originarie, attuali e poten- ziali: le connessioni tra attività accolte e aspetti dimensionali e distributivi; le

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Qualità e progetto sono tra i cardini concettuali della Tecnologia dell’architettura; in questa sede si ritiene preferibile non riportare riferimenti bibliografici, che le regole editoriali rende- rebbero forzatamente parziali.

3

L’evoluzione della Tecnologia dell’architettura negli ultimi decenni si rispecchia nelle deno- minazioni dei corsi nei vari livelli di formazione universitaria. Per il cluster SITdA Patrimonio architettonico, vedi i contributi di chi scrive su: Techne, n. 7, 2014, pp. 41-51 e pp. 233-234;