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4. La mia esperienza diretta a Caltanissetta

4.2 A contatto con una realtà poco “conosciuta”

Li incontri per le strade della città, sembrano vivere in una dimensione tutta loro, eppure oggi più che mai rappresentano una realtà che convive accanto a “noi”. Ben poco conosciamo della vita dei nostri vicini di casa che migrano dal loro paese per cercare di migliorare le loro condizioni

183Allievi, S., Islam Italiano: viaggio nella seconda religione del paese, Einaudi, Torino

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economiche, sociali o semplicemente la loro vita, accontentandosi di vivere al margine di una società che, allo stesso modo, ben poco conoscono.

Ma prima di conoscerli più da vicino, occorre qualche piccola precisazione in riferimento alla figura stessa del migrante a cui erroneamente, il più delle volte, ci limitiamo a considerarlo “assente”. Quest’assenza, secondo Abdelmalik Sayad, sociologo algerino184, richiede una legittimazione che è possibile riscontrare in ciò che “gli immigrati cercano di provare con atti e progetti miranti a dimostrare che la loro migrazione non rappresenta un tradimento, o un fallimento, o un atto individualista, ma un “sacrificio compiuto per la causa e l’interesse del gruppo”185

.

Al tempo stesso, però, essi sostengono fortemente che la loro è una “situazione provvisoria”. Non a caso, l’emigrazione familiare fu considerata, in un primo momento, un atto di cui vergognarsi “che veniva nascosto, al punto tale da lasciare il villaggio nottetempo”. In realtà, però, essa “ha grande possibilità di diventare definitiva o di estendersi alla vita attiva”186

.

In questo modo, il migrante resta intrappolato tra due realtà, ed “impersonifica”, il paradosso del “provvisorio che dura”. Ciò si traduce, nell’ordine spaziale, in una “doppia assenza”, quella doppia assenza che fa titolo all’opera di Sayad e che lo porta ad affermare che : “si è solo parzialmente assenti là dove si è assenti, assenti dalla famiglia, dal villaggio, dal paese, e, nello stesso momento, non essere totalmente presenti là dove non si è presenti, per le molte esclusioni di cui si è vittima nel paese d’arrivo”187

.

184 Abdelmalek Sayad, sociologo algerino, ha scritto “uno dei più originali e fertili

contributi dell’antropologia dell’immigrazione dell’ultimo secolo”(Cfr. Bourdieu P., Wacquant L., "The Organic Ethnologist of Algerian Migration", in Ethnography, 1-2, 2000, pp. 182-197) intitolato: La doppia assenza. Dalle illusioni dell'emigrato alle sofferenze

dell'immigrato, riunisce le riflessioni e le ricerche dello studioso recentemente scomparso,

scritte tra il 1975 e il 1996, intorno al tema delle migrazioni e specialmente dell'emigrazione-immigrazione algerina in Francia.

185 Sayad, A., La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze

dell’immigrato, Raffaello Cortina, Milano 2002.

186 Ibid. 187 Ibid.

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Contraddizioni e paradossi che possono indurre l’emigrante-immigrato 188 a vivere nel paese d’accoglienza come: “un inferno ricoperto da un lenzuolo o, in apparenza, da un tappeto immobile fatto di tristezza, di angoscia e di sofferenza”189

.

Ed è proprio questo sentimento di angoscia e tristezza ciò che ho letto negli occhi dei soggetti con cui ho avuto l’onore di interloquire. Spinta dalla mia curiosità e dalla voglia di conoscere il loro “mondo arabo-nisseno” ho iniziato a porre loro qualche domanda, cercando nella maniera più naturale possibile di metterli a proprio agio. Partendo da quest’approccio, ho provato ad “entrare nel loro piccolo-grande mondo” e particolarmente colpita per il lungo tempo a me dedicatomi, ho cominciato ad immedesimarmi nelle loro storie.

Tra le domande che ponevo ai miei interlocutori, ve ne erano due che più fra tutte rivolgevo loro con maggiore interesse: “da quanto tempo vivi a Caltanissetta?, “In che modo vivi e professi la tua fede (l’Islam) qui a Caltanissetta?”. Due semplici domande, due piccoli mondi che con-vivono l’uno accanto all’altro ma che si conoscono ben poco.

Ed è partendo proprio da questa “conoscenza” che ho voluto incentrare la mia ricerca sul campo, seppur sommaria ed il più delle volte tratteggiata da una certa diffidenza verso chi, a differenza d’altri, giudicava la mia presenza una vera e propria invadenza.

Non mi sono limitata ad intervenire nei vari uffici del comune, aiutando loro a compilare moduli e richieste per il rinnovo del permesso di soggiorno o traducendo loro le varie procedure burocratiche da effettuare per il cambio di residenza. Ma sono anche uscita fuori dagli uffici comunali per sedermi accanto al loro, in un caffè del centro ed ascoltare le loro storie.

188

Abdelmalek Sayad, fa un costante riferimento a quella che è la condizione del migrante che è contemporaneamente emigrato, nel caso della sua esperienza nel paese di provenienza, ed immigrato, nel caso della sua esperienza nel paese d’accoglienza.

189 Sayad, A., La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze

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Ho notato, di come fossi io a sentirmi un po’ come in Marocco, in Algeria o in Tunisia, scoprendo un volto diverso che la mia città assume “alle tre del pomeriggio”, l’ora del “caffè”. Proprio così, l’ora del caffè e non del tè, perché i soggetti intervistati, ordinavano un profumatissimo espresso italiano e sorseggiandolo mi dicevano di sentirsi a casa, di sentirsi in Marocco.

La maggior parte dei soggetti intervistati appartiene ad un’estrazione sociale medio-bassa, disoccupati o ambulanti, ma non mancano tra loro “cittadini- immigrati”, che attendono impazienti di diventare cittadini italiani a tutti gli effetti e che occupano nella società nissena posizioni non indifferenti.

È il caso ad esempio di F., marocchino che vive in Italia da più di dieci anni, lavora come mediatore culturale presso il Centro di prima accoglienza per immigrati della città. È musulmano praticante, si reca poco assiduamente presso la moschea della città ma mi fa notare più volte di come la comunità sia poco unita giustificando tale affermazione con la mancanza di tempo che molti fedeli hanno nel dedicare alla vita comunitaria in moschea, il più delle volte impegnati nel lavoro o in famiglia.

Non a caso mi fa notare che: “essere arabi, così come essere musulmani, è un way of life, non ha delle connotazioni spazio-temporali ben precise, non importa dove!” giustificandomi tale affermazione con il versetto coranico II: 115, che afferma:

“A Dio appartiene l’Oriente e l’Occidente, e ovunque vi volgiate ivi è il volto di Dio, ché Dio è ampio Sapiente”190

.

“Ecco come vivo il mio Islam, nel mio intimo, in famiglia, tra i miei amici, perché l’Islam è ovunque, Dio è ovunque”, continua F.

Da ciò comprendo di come questa dualità, probabilmente insita nell’animo di ogni migrante, gioca un ruolo, il ruolo, oserei affermare, principale in

190 Bausani, A., il Corano, introduzione, traduzione e commento di Alessandro Bausani,

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quella che potremmo definire: la formazione dell’identità del musulmano (“nisseno”, nel nostro caso specifico).