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L’ipotesi della Casa della Conoscenza nella società ospitante

5. Alcune forme d’integrazione

5.1 L’ipotesi della Casa della Conoscenza nella società ospitante

Abbiamo considerato in precedenza l’ipotesi della Casa della Conoscenza da un punto di vista geopolitico all’interno del quale, ci troviamo in presenza di un mondo in cui vi è un “ambiente ideale” atto a conciliare l’essere musulmano con la società d’accoglienza. Tale prospettiva, però, non ci offre un quadro chiaro atto a rappresentare la situazione dei

209 Habermas, S. J., Teoria dell'agire comunicativo; 2 voll. Tr. It. Di P. Rinaudo, a cura di

G. E. Rusconi, il Mulino, Bologna1986

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musulmani in Europa, sia perché non ci troviamo di fronte ad un mondo chiuso e “purificato” da qualsiasi influenza straniera, sia per le difficoltà che il musulmano riscontra all’interno di un mondo “globalizzato” in cui non è possibile “praticare” il proprio credo in maniera coerente ed equilibrata in tutti gli aspetti della vita (come nel caso, ad esempio, della difficoltà di compiere le cinque preghiere giornaliere perché impegnati in attività lavorative).

Risulta necessario, perciò, soffermarci sul mondo interiore del musulmano piuttosto che sul mondo che lo circonda in cui i “confini” che si trovano “tra” le cose, le culture, le identità, appaiono non più (se mai lo siano stati) linee demarcanti, ma linee “tratteggianti” che tra cose, culture ed identità rappresentano il musulmano in Occidente. Tali identità, se formulabili in maniera contestuale, diventano sempre più suscettibili a dimensioni di soggettività tanto collettiva che individuale, alle differenze di genere nonché alle richieste di riconoscimento della propria autenticità e autodeterminazione, che occupano sempre più gli spazi di nuove sfere pubbliche create dalla globalizzazione e dalla planetarizzazione211.

“Confini”, perciò, non solo nella loro dimensione territoriale ma anche delle identità e delle appartenenze che devono essere ri-definiti dalle pratiche sociali, dalle interazioni economiche, dall’elaborazioni culturali212

.

Tuttavia, in riferimento alle “pratiche sociali”, è necessario soffermarci sulla difficoltà del fedele musulmano ad entrare in contrasto con sé stesso perché combattuto tra una cultura iniziale ed intima del “dovere della comunità” con una che da la priorità alla “libertà e all’autonomia”. Tale difficoltà della cultura e della religione islamiche risultano essere lontane dal ciclo di formazione ordinaria di base degli europei o più precisamente, sono delle difficoltà forzate da un “matrimonio” con una “sposa straniera”213

(nordafricana, nel nostro caso specifico). Da questo matrimonio combinato a

211 Fabietti, U., La costruzione dei confini in Antropologia. Pratiche e rappresentazioni,

2005, in S. Salvatici, Costruzioni, attraversamenti, rappresentazioni, Rubettino Editore, Soveria Mannelli 2005.

212 Ibid.

213 Cfr. zu Furstenberg, N., Chi ha paura di Tariq Ramadan? L’Europa di fronte al

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“distanza”, si crea, oggi più che mai, un legame “indissolubile” con i nostri destini.

In tal modo l’Islam europeo entra in una fase, come definirebbe Tariq Ramadan, di “accasamento” che mette la comunità musulmana di fronte ad una scelta che inevitabilmente lo porta poi a prendere coscienza del fatto che l’”essere musulmano” non è soltanto una religione ma, come precedentemente considerato, un way of life. All’interno di questo “stile di vita” non dobbiamo trascurare il “campo sociale” in cui si verifica tale “conflittualità” in cui, all’interno di essa, gioca un ruolo o, più precisamente, il ruolo principale l’”azione”. Essa si realizza attraverso la partecip-“azione” del credente alle relazioni sociali in generale, ma anche nelle relazioni politiche ed economiche.

Tuttavia, la relazione che privilegerò sarà quella sociale; a tal proposito, propongo di considerare un’affermazione di Asad214: “se l’antropologia

cerca di comprendere la religione universale ponendola concettualmente nel suo contesto sociale, allora la via per mezzo della quale questo contesto sociale viene descritto, deve pregiudicare la comprensione della religione”215

.

Partendo da questo aspetto è possibile affermare che, in questo modo, i musulmani ragionano, pensano, discutono, non “recitano” la parte dell’Islam, ma si posizionano in un certo rapporto tra ciò che loro pensano sia il loro passato e il loro futuro o più precisamente, tra tradizione e innovazione. In questo modo, la rappresentazione dell’Islam dipenderà non solo dal modo in cui le strutture sociali vengono pensate, ma su come la religione stessa viene definita216.

Risulta perciò necessario domandarci: come definire l’Islam?

214 Cfr. Asad, T., The idea of Anthropology of Islam, March 1986, Center for Study

Contemporary Arab Studies, Geargetown University Washington, pag. 9.

215 Ibid. 216

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Propongo tale definizione: l’Islam è una “sottomissione a Dio”217

. Il musulmano che si sottomette a Dio svolge un’azione; il verbo che esprime tale azione è il verbo di IV forma `Aslama218 che, a sua volta, assume due significati; il primo è strettamente legato ad un’ “azione interiore” che il fedele compie poiché si “arrende a Dio” mentre il secondo significato è strettamente connesso ad un’azione mirante a definire il musulmano in quanto tale che, a sua volta, agisce nella società. L’essere musulmano, perciò, altro non è che la rappresentazione massima di una presa di coscienza che porta il fedele ad affermare che “Non c’è altro Dio che Iddio e Mu|ammad è il suo Messaggero”219. Per Ramadan “la šah…da lega l’identità musulmana e la responsabilità sociale dei musulmani”220

.

Questa “presa di coscienza” deve realizzarsi in uno spazio ben preciso, in ciò che definisco “Casa della Conoscenza”. La casa è il luogo dove si realizza un’azione: la conoscenza del musulmano e dell’Islam che agisce nella vita sociale.

All’interno della Casa della Conoscenza, si verifica, inoltre, un’azione sociale. Tale azione, può essere posta in relazione a quanto si verifica nel teatro, o più precisamente, all’azione che l’attore compie su se stesso, attraverso ciò che rappresenta il metodo di Stanislavskij.

Tale metodo si basa sull’apprendimento psicologico del “personaggio” e sulla ricerca di affinità tra il mondo interiore di quest’ultimo con quello dell’attore. Esso si basa sull’esternazione delle emozioni interiori attraverso la loro interpretazione e rielaborazione a livello intimo. È importante, perciò, suscitare “emozioni” poiché ogni emozione esteriore è frutto di un’azione interiore che porta, nel nostro caso, il musulmano a definirsi tale, nella sua essenza. Accanto a quest’azione interiore, ve n’è un’altra, che rappresenta il passo successivo rappresentato da quelle che sono le rel-

217

Isl…m: ma¡dar di IV forma dalla radice S-L-M; assume il significato di “sottomissione”, “abbandono totale”. (Cfr. Bosworth C.E. ,Van Donzel E., Heinrichs W.P., Pellat CH.; The

Encyclopaedia of Islam, J. Brill, Leiden-Boston 1993, voll. VI, pag. 171).

218

Ibid.

219

Cfr., Bosworth, C.E. ,Van Donzel, E., Heinrichs, W.P., Pellat, CH.; The Encyclopaedia

of Islam, J. Brill, Leiden-Boston 1993, voll. IX, pag. 201, alla voce šah…da .

220 Ramadan, T., Essere musulmano europeo: Studio delle fonti islamiche alla luce del

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“azioni” sociali che il musulmano incamera con il mondo che lo circonda, ri-creando la propria identità musulmana che dipende dal contesto sociale in cui il musulmano si inserisce.

Le emozioni esteriori, perciò, altro non sono che il frutto di un lavoro che l’attore di Stanislavskij compie su se stesso. Come ogni “lavoro interiore”, esso implica una “presa di coscienza”, che consiste, nel nostro caso specifico, nel musulmano che si definisce tale per mezzo dell’attestazione di fede (šah…da). La coscienza, poi, si accompagna al subconscio e alla volontà di esprimere esternamente ciò che è interiore; è un “prender vita” di un’azione che non è “recitata” ma è, come Stanislavskij definisce, un’“azione scenica vera”, è il “sé”, che insieme alle circostanze date agisce nella realtà, nella società, nella “scena”.

È perciò importante comunicare, conoscere. Stanislavskij parla di vari tipi di comunicazione221: il contatto con sé stessi, il contatto reciproco tra gli attori, il contatto con un oggetto immaginario e il contatto con il pubblico. Esaminiamoli brevemente e in relazione al musulmano migrante.

- Il contatto con se stessi: tale contatto è rappresentato dall’attestazione di fede che testimonia il suo essere musulmano e lo identifica in quanto tale.

- Il contatto reciproco tra gli attori: rappresenta il passo successivo alla šah…da ed è il legame comunitario che si istaura tra il fedele musulmano e i suoi fratelli, sviluppando, perciò, un senso di appartenenza che lo lega ad essi perché accomunati dalla stesso credo.

- Il contatto con un oggetto immaginario: l’immaginazione è indispensabile per il mestiere dell’“attore”; essa crea e rinnova ciò che è stato creato proprio come il musulmano migrante che all’interno della società d’accoglienza immagina più modi di vivere la vita attraverso, per esempio, l’ausilio dei mass-media, che

221 Stanislavskij, K. S., 1956, trad. di E. Povoledo, 1963, Il lavoro dell’attore su se stesso,

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oltrepassano i “confini” dello Stato-nazione; immaginandosi laddove non vi è una vera e propria “dimora” atta ad identificarli.

- Il contatto con il pubblico: è il contatto più difficile perché implica una conoscenza del mondo che lo circonda ma soprattutto del soggetto con cui comunicare. È importante che tale contatto sia reciproco e più precisamente: “è importante che il pubblico dia qualcosa all’attore; lacrime, risa, applausi, fischi a scena aperta, commozione (..) esso crea l’acustica spirituale, riceve dall’attore sentimenti vivi, umani e, come un diapason, restituisce all’attore i suoi sentimenti”222

.

“Per stabilire un contatto bisogna avere qualcosa da comunicare!”223

. Attraverso tali contatti, sia che si tratti del contatto con se stesso o con il pubblico, si assiste ad una inter-azione: laddove inter sta per “vivere tra” le linee dei “confini tratteggiati” la cui azione conduce la parte interiore dell’attore con tutte le sue qualità, le sue doti personali, le sue difficoltà a generare linee di tendenza definitive e non più tratteggiate, frutto di una fusione di elementi interni ed esterni che infine confluiranno in quella “linea d’azione” che rappresenta la vita del musulmano a Caltanissetta (nel mio caso specifico) ma più in generale, nella società d’accoglienza.