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A LIMENTAZIONE Silvana Moscatell

I VARI SETTOR

IV. A LIMENTAZIONE Silvana Moscatell

SOMMARIO. 1. Premessa . 2. Il fondamento giuridico del diritto ad una alimentazione adeguata. 3. Il diritto all’alimentazione e le istituzioni finanziarie. 4. La FAO, la sicurezza alimentare e il “rights-based approach”. 5. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

Nel settembre del 2000, nel corso del Vertice del Millennio, i Capi di Stato e di governo hanno valutato con attenzione lo stato profondamente iniquo dello sviluppo umano nel mondo riconoscendo la loro responsabilità collettiva a sostegno dei principi di dignità umana, di uguaglianza e di giustizia a livello globale. Oltre a dichiarare il loro sostegno alla libertà, alla democrazia e ai diritti umani, essi hanno delineato otto obiettivi per lo sviluppo da raggiungere entro il 2015, primo fra tutti, eliminare la povertà estrema e la fame.

Dall’ultimo rapporto della FAO sullo stato dell’alimentazione e dell’insicurezza alimentare nel mondo emerge che 854 milioni di persone versano in condizione di malnutrizione e sottoalimentazione cronica e, secondo questa stima, 820 milioni vivono nei Paesi in via di sviluppo, 25 milioni nei Paesi ad economia in transizione e 9 milioni negli Stati industrializzati.369

Tuttavia è opportuno operare una distinzione tra fame e sottoalimentazione, da una parte, e malnutrizione, dall’altra. La fame e la sottoalimentazione designano un apporto di calorie insufficiente o, addirittura, inesistente; la malnutrizione indica l’insufficienza o l’assenza di vitamine e minerali, indispensabili per la vita delle cellule e per l’impulso nervoso. La carenza di tali sostanze si ripercuote inevitabilmente sulle condizioni di salute della persone, aumentando le possibilità di contrarre malattie e infezione trasmissibili di generazione in generazione. Si parla

369

anche di “fame estrema” in riferimento soprattutto a donne e bambini che non dispongono del minimo necessario per assicurare la propria sopravvivenza.370

La fame è inoltre strettamente legata alla sicurezza alimentare, vale a dire alla disponibilità, all’accessibilità, alla stabilità e all’utilizzo degli alimenti. Affinché un individuo possa godere di un’effettiva sicurezza alimentare, lo Stato deve essere in grado di produrre o importare cibo necessario e garantire sistemi di conservazione, distribuzione nonché assicurarne un equo accesso.371

In ambito internazionale si afferma quindi l’urgente necessità di trovare soluzioni adeguate al problema della fame e della malnutrizione e alle contraddizioni tra la quantità di cibo prodotta a livello globale, sufficiente a nutrire l’intera popolazione del pianeta, e il numero sempre crescente di persone affamate e malnutrite.

Da qui nasce la necessità di riconoscere in maniera sempre più pregnante, il diritto all’alimentazione come diritto umano fondamentale, di cui la sicurezza alimentare rappresenta un necessario corollario, al fine di garantire l’accesso al cibo e all’acqua potabile, elementi indispensabili per la vita e la sopravvivenza dell’essere umano.

2. Il fondamento giuridico del diritto all’alimentazione Nei vari strumenti internazionali inerenti i diritti umani, operanti a livello internazionale e regionale, troviamo, per quanto riguarda il catalogo dei diritti, un nucleo comune a tutti i testi che ha le proprie radici nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Al di fuori di questo nucleo operano, però, alcune distinzioni che fanno riferimento all’evoluzione (diritti di prima, seconda e terza generazione), alla natura (civili, politici ed

370 Z

IEGLER, Dalla parte dei più deboli. Il diritto all’alimentazione, Milano, 2004, pp. 42-43. Sulla distinzione tra fame,

sottoalimentazione e malnutrizione si veda anche WFP, World Hunger

Series, 2006, Roma, pp. 20-21.

371 F

AO,Committee on World Food Security, Implications of The

Voluntary Guidelines for Parties and non-Parties to the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, Information Paper,

economici, sociali e culturali) e alla titolarità dei diritti (individuali e collettivi).372

La creazione di tali categorie risponde alla necessità di definire i diritti e di individuarne la sfera di applicazione e di controllo. Di fronte all’universalità dei diritti proclamati nella Dichiarazione universale, non dovrebbe quindi sussistere alcun dubbio sull’unitarietà dei diritti stessi, tuttavia, si assiste, a volte, al tentativo di utilizzare in modo strumentale tali classificazioni cercando di stabilire così un rapporto gerarchico fra i diritti che rischia arbitrariamente di negarne alcuni.373

Il diritto all’alimentazione rientra nei c.d. diritti economici, sociali e culturali, la cui realizzazione, si afferma da più parti, è legata ad un’esplicita attività ed intervento da parte dello Stato nei confronti dell’individuo.374 A differenza dei diritti civili e politici, la cui attuazione prevede un obbligo di non ingerenza da parte dello Stato nella sfera propria dell’individuo, l’applicazione dei diritti economici sociali e culturali non può essere immediata ma è subordinata alla situazione economica ed altri fattori propri ad ogni Stato.375

A livello internazionale, la prima affermazione al diritto all’alimentazione compare all’art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, in cui si enuncia il diritto di ogni individuo “ad un tenore di vita sufficiente per sé e per la sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione al vestiario,

372 Cfr. Z

ANGHÌ, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, Torino, 2002, pp.17-20.

373 La creazione di categorie di diritti umani è stato un tema ampiamente dibattuto in dottrina. A tale riguardo, la Conferenza sui diritti umani tenutasi a Vienna nel 1993 ha riaffermato l’indivisibilità, interdipendenza e l’interrelazione dei diritti umani, vale a dire, che non esistono gerarchie di riconoscimento e di attuazione dei diritti umani. Per il testo della Dichiarazione e del Programma d’azione adottato alla Conferenza si veda, UN, General Assembly, Report of the World

Conference on Human Rights (Vienna 14-25 June 1993),

A/CONF.157/24 (Part I) del 25.06.2003. 374

Sul tema si veda EIDE,KRAUSE,ROSAS,Economic, Social and Cultural Rights, Boston-London, 2001.

375 Z

ANGHÌ,La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, cit.,

all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari (…)”.

Il contenuto dell’art. 25 è stato in seguito ripreso dall’art. 11 del Patto sui diritti economici sociali e culturali adottato dall’Assemblea generale nel 1966.

Nel primo paragrafo dell’art. 11 si afferma che gli Stati contraenti si impegnano a riconoscere “il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la sua famiglia, che includa, alimentazione, vestiario ed alloggio adeguati e al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita (…)”, e ad adottare, a tal fine, misure idonee ad assicurare l’attuazione di questo diritto e riconoscendo l’importanza essenziale della cooperazione internazionale basata sul libero consenso.376

Il secondo paragrafo dell’art. 11 specifica che gli Stati aderenti al Patto riconoscono “il diritto di ogni individuo di essere libero dalla fame”. A tale scopo, essi si impegnano, individualmente o attraverso la cooperazione internazionale, ad adottare tutte le misure che saranno necessarie, e fra queste, anche programmi concreti, per migliorare i metodi di produzione, di conservazione e di distribuzione delle derrate alimentari mediante la piena applicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, la diffusione delle nozioni relative ai principi della nutrizione, lo sviluppo o la riforma dei regimi agrari, al fine di assicurare un’equa distribuzione delle risorse alimentari mondiali in relazione ai bisogni, tenendo in considerazione i problemi sia dei paesi importatori che esportatori di prodotti alimentari.

In virtù del Patto, gli Stati parte si impegnano inoltre a riconoscere ad ogni individuo, senza distinzione di razza, colore, sesso, lingua religione, opinione politica o altra opinione, origine nazionale o sociale, condizione economica, nascita o qualsiasi

376 In base all’art. 55 della Carta, al fine di creare condizioni di benessere e stabilità che sono necessarie per mantenere rapporti pacifici tra le nazioni, gli Stati membri si impegnano a promuovere un più alto tenore di vita, il pieno impiego della manodopera e condizioni di progresso e sviluppo economico e sociale, la soluzione di problemi internazionale economici, sociali, sanitari e simili e l’osservanza dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di sesso, razza, lingua o religione. Sulla cooperazione tra gli Stati in tema tutela e promozione dei diritti economici, sociali e culturali, cfr. UN., Committee on Economic, Social and Cultural Rights, The nature of the

altra condizione l’esercizio dei diritti in esso enunciati attraverso una serie di misure appropriate, in particolare, misure legislative.377

Quando ci si riferisce al “diritto all’alimentazione” è necessario porre in evidenza che tale espressione rappresenta una sintesi di due diverse disposizioni contenute rispettivamente nel primo e nel secondo paragrado dell’art. 11, vale a dire, del “diritto di ognuno ad un tenore di vita adeguato per sé e per la propria famiglia, che includa alimentazione, vestiario ed alloggio adeguati (…)” – che può essere indicato come “diritto ad un’alimentazione adeguata” (par.1) – e del “diritto di ogni individuo di essere libero dalla fame” (par.2).

Sebbene talvolta le due espressioni siano usate come sinonimi, esiste tra loro una differenza sostanziale che riguarda l’estensione della loro sfera di applicazione, avendo la disposizione contenuta nel primo paragrafo una portata più ampia di quella racchiusa nel secondo.

Si può affermare, infatti, che l’espressione “diritto ad una alimentazione adeguata” sia il termine più corretto in quanto non vi è nessun elemento che possa far intendere che gli Stati, al momento dell’elaborazione del testo dell’art. 11, abbiano voluto restringere l’ambito di applicazione del par.1. Inoltre, se la formulazione del par. 2 fosse isolata dal resto dell’art. 11, il Patto non risulterebbe un’evoluzione di quanto enunciato dalla Dichiarazione universale, ma invece comporterebbe una considerevole riduzione della portata del diritto proclamato nel 1948.

La ragione della diversità tra i due paragrafi è spiegata dal fatto che la formulazione del par. 2 è stata proposta dalla FAO nel 1963 al fine di aggiungere un supporto giuridico alla campagna

377 Il Patto sui diritti economici sociali e culturali non prevede, al pari del Patto sui diritti civili e politici, un organo di controllo ad hoc per monitorare le attività e le misure poste in essere dagli Stati in attuazione delle disposizioni contenute nel Patto. Con la risoluzione n. 1985/17 del 28 maggio 1985, l’ECOSOC ha istituito il Comitato per i diritti economici, sociali e culturali, assegnando a tale organo le funzioni di controllo previste dall’art. 16, par. 2 del Patto. Il Comitato, così istituito, ha il compito di esaminare i rapporti presentati dagli Stati e formulare commenti e raccomandazioni di carattere generale.

mondiale contro la fame ( “Freedom from Hunger Campaign”) che l’Organizzazione aveva lanciato negli anni ’60.378

Il diritto all’alimentazione non si afferma perciò come diritto “isolato”, ma costituisce parte e complemento di altri diritti che trovano attuazione anche attraverso l’esercizio di questo.

L’obbligo di realizzazione del diritto all’alimentazione da parte degli Stati comporta quello di assicurare la libertà dalla fame in tempo di pace e in tempo di guerra.379 Tale obbligo non si riferisce in realtà al fatto che ogni persona sottoalimentata o malnutrita sia considerata vittima di una violazione di un diritto umano. È però evidente che la persistenza di situazioni di fame ed estrema povertà dipende dalla volontà degli Stati, i quali esprimendo il loro consenso ad essere vincolati ad accordi internazionali che riconoscono il diritto all’alimentazione, rispondono anche dinanzi alla loro popolazione nel momento in cui non rispettano gli impegni contratti.380

3. Il diritto all’alimentazione e le istituzioni finanziarie

378 A

LSTON, International Law and Human Right to Food, in

ALSTON- TOMAŠEVSKI, The Right to Food, Leiden, 1987, pp. 32-35.

L’autore sostiene inoltre che il fatto di adottare l’espressione contenuta nel primo o nel secondo paragrafo comporta sostanziali differenze. Mentre la prima muove verso l’adozione di un approccio massimalista, la seconda invece, costituendo una sotto-disposizione della prima, favorirebbe un un approccio minimalista. L’autore sottolinea altresì che i principi di dignità umana cui si ispira il Patto promuoverebbero il primo approccio, tendente al progressivo miglioramento della condizione dell’individuo piuttosto che al soddisfacimento statico dei bisogni di base.

379 Sull’argomento Cfr. C

OTULA-VIDAR, The Right to Food in Emergencies, FAO Legal Series, n.77, Rome, 1999.

380 Ulteriori riferimenti al diritto all’alimentazione si possono rilevare all’art. 2 della Convenzione della prevenzione e punizione del crimine di genocidio del 1948, all’ art. 12 della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne del 1969 , all’art. 24 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 e nello Statuto della Corte penale internazionale del 1998 che definisce la privazione dell’accesso al cibo come crimine contro l’umanità. Su quest’ultimo punto Cfr. MARCUS, Famine Crimes in International Law, in “American Journal of International Law”, 2003,

Quando si affronta il tema del diritto all’alimentazione è necessario tener conto dei vari fattori che condizionano la produzione di cibo. Le politiche di gestione del prezzo dei prodotti alimentari, il possesso della terra, l’agricoltura destinata all’esportazione, gli aiuti alimentari, i diritti delle donne legati alla terra possono essere considerate come questioni che rientrano nell’esercizio e nella realizzazione del diritto all’alimentazione (right to food issues).381

Nel primo rapporto annuale presentato dal Relatore speciale Ziegler nel 2001,382 il diritto all’alimentazione è definito come il diritto di avere un accesso regolare, libero e permanente, sia direttamente che attraverso mezzi economici, a cibo sufficiente ed adeguato sia quantitativamente che qualitativamente, che sia corrispondente alle tradizioni culturali del popolo cui il consumatore appartiene e che assicuri un soddisfacimento fisico e mentale, individuale o collettivo e una vita degna libera dalla fame.

Nel medesimo rapporto il Relatore individua sette principali ostacoli economici che impediscono la piena realizzazione del diritto all’alimentazione, tra cui, i problemi connessi allo sviluppo del commercio mondiale, in particolare le politiche agricole protezionistiche dei Paesi industrializzati, che negano l’accesso ai loro mercati dei prodotti alimentari dei Paesi in via di sviluppo incidendo significativamente sulla condizione di fame e malnutrizione nel Sud del mondo; il debito estero e il suo impatto sulla sicurezza alimentare, compresi i programmi di aggiustamento strutturale del FMI e delle banche regionali che prevedono l’eliminazione di sussidi pubblici destinati all’alimentazione di base aggravando consistentemente la situazione di sottoalimentazione e malnutrizione dei paesi debitori; gli sviluppi della biotecnologie, compresi quelli nel campo dei vegetali geneticamente modificati, il possesso di brevetti internazionali da parte di aziende nei paesi industrializzati e la protezione internazionale degli stessi che impediscono l’accesso e limitano la disponibilità di cibo; le guerre e il loro

381

TOMASEVSKI,ibidem, p.1326.

382 Cfr. UN, Economic and Social Council, The right to food. Report by the Special Rapporteur on the right to food Mr.Jean Ziegler, submitted in accordance with Commission on Human Rights resolution 2000/10, (E/CN.4/2001/53 del 07.02. 2001).

impatto distruttivo sulla sicurezza alimentare; la corruzione; l’accesso alla terra e al credito e la discriminazione contro le donne e l’impatto sulla realizzazione del diritto all’alimentazione.

Il rapporto del Relatore speciale per il diritto all’alimentazione del 2005 mette in luce come attori diversi dallo Stato, quali istituzioni internazionali come la Banca Mondiale, il FMI, il WTO e le società transnazionali, devono assumere le proprie responsabilità nei confronti del rispetto dei diritti umani, compreso il diritto all’alimentazione, e riconoscere il loro dovere di astenersi nel promuovere politiche o progetti che hanno un impatto negativo sul tale diritto. Esse sono inoltre tenute a riconoscere il loro obbligo positivo di proteggere,383, assicurando che i loro partner non violino il diritto all’alimentazione nel dare attuazione ai progetti comuni e sostenendo i governi nel realizzare pienamente tale diritto.384

È da notare che le società transnazionali stanno giocando un ruolo crescente nel determinare il livello di sicurezza alimentare per la popolazione mondiale. Come le politiche economiche nazionali, spesso dettate delle istituzioni internazionali, che incoraggiano la sostituzione di coltivazioni destinate al consumo locale con coltivazioni commerciali destinate all’esportazione, gli investimenti nel settore agricolo effettuati dalle società transnazionali hanno avuto spesso un impatto negativo sulla produzione alimentare. La sostituzione di varietà locali di coltivazioni per uso alimentare con le varietà commerciali può danneggiare gli ecosistemi e condurre, nel lungo periodo, alla diminuzione della produzione di cibo.

L’esistente regime giuridico che tutela i diritti umani non si occupa degli attori non statali che possono contribuire con le loro politiche allo stato della fame nel mondo. Emerge pertanto che non esistono obblighi adeguatamente definiti per le istituzioni finanziarie internazionali e tanto meno per le società transnazionali.

383 Cfr. UN Doc., Sub-Commission on Prevention of Discrimination and Protection of Minorities, The Report on the right to

adequate food as a human right, submitted by Asbjørn Eide, Special Rapporteur E/CN.4/Sub.2/1987/23.

384 UN Doc, General Assembly, The Right to Food, Report of the Special Rapporteur on the Right to Food, A/60/350 del 12.09.2005, pp.

Negli anni passati, le prescrizioni economiche del FMI sono state oggetto di approfondite analisi dovute soprattutto al fallimento dei programmi di aggiustamento strutturale tra gli anni ottanta e novanta. I membri più potenti del FMI sono stati responsabili di aver definito politiche economiche e forzato la liberalizzazione dei mercati dei Paesi in via di sviluppo. Molte critiche sono state sollevate nei confronti delle condizioni imposte dal FMI in cambio di assistenza finanziaria, la quale si è rivelata una minaccia alla sovranità nazionale e all’esercizio dei diritti economici e sociali delle popolazione dei Paesi indebitati, compreso il diritto all’alimentazione.385

L’adempimento degli obblighi per la realizzazione dei diritti umani è tradizionalmente imputabile allo Stato parte nell’ambito del suo territorio, ma, come si nota, l’esercizio del diritto all’alimentazione è minacciato non solo dall’atteggiamento degli enti statali, ma anche delle istituzioni finanziarie, delle corporazioni transnazionali che con le loro politiche diminuiscono la facoltà degli individui di soddisfare i propri bisogni alimentari.

Inoltre, molti Stati, in qualità di membri delle suddette istituzioni, possono incidere sull’effettivo esercizio del diritto all’alimentazione anche al di fuori del loro territorio. Un approccio efficace all’attuazione del diritto all’alimentazione richiederebbe dei meccanismi per giudicare responsabili tali enti non statali per le violazioni commesse e ritenere gli Stati responsabili per le violazioni dei diritti nei confronti degli individui che si trovano al di fuori del loro territorio.

Il Rapporto del Relatore Speciale per il diritto all’alimentazione del 2005 ha tentato di definire tali obblighi estendendo l’applicazione del Patto sui diritti economici, sociali e culturali al di là del territorio di uno Stato e richiamando la responsabilità delle società transnazionali e delle istituzioni finanziarie attraverso il loro rapporto con lo Stato. Affermando che l’obbligo principale permane in capo allo Stato, il Relatore speciale nota che i governi hanno anche “obblighi extraterritoriali” di rispettare, proteggere e soddisfare il diritto all’alimentazione. Egli afferma che il dovere di rispettare si

385 N

ARULA, The Right to Food: Holding Global Actors Accountable under International Law, Centre for Human Rights and

Global Justice Working Paper No.7, 2006,

estende alle azioni che hanno un impatto negativo sul diritto all’alimentazione per le popolazioni di altri Stati.386

Uno Stato deve astenersi dall’imporre sanzioni o embarghi e deve assicurare che le sue politiche commerciali e relazioni non violino il diritto all’alimentazione degli individui negli altri Stati.

In base all’ “obligation to protect” uno Stato deve tutelare gli individui contro le attività pericolose delle corporazioni transnazionali che operano all’interno del suo territorio (host state obligations) e ha anche il dovere di prevenire violazioni delle proprie società e corporazioni operanti all’estero (home state obligations).387

Le attività degli attori non statali, non essendo questi soggetti di diritto internazionale, possono essere regolamentate solo attraverso lo Stato. Tuttavia tale regolamentazione indiretta è piuttosto problematica. Gli accordi economici tra le imprese multinazionali e gli Stati ospitanti possono restringere la capacità dello Stato di regolare l’attività di tali imprese sia in termini pratici che giuridici. Inoltre, in base al diritto internazionale, lo Stato nazionale non è responsabile per l’attività condotta da enti non statali, a meno che questi siano di fatto agenti dello Stato o stiano agendo sotto la sua direzione o controllo. Invocare la responsabilità dello Stato per le conseguenze delle attività poste in essere da società transnazionali implica l’estensione

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