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Abuso di posizione dominante

Nel documento Il rifiuto abusivo di contrarre (pagine 179-184)

CAPITOLO IV: OBBLIGO A CONTRARRE: VECCHIE E NUOVE

4. Obbligo a contrarre nella disciplina della concorrenza

4.1. Abuso di posizione dominante

Trattando dell’obbligo a contrarre nell’ambito della normativa anticoncorrenziale, viene in rilievo in primo luogo l’abuso di posizione dominante. Tale disciplina costituisce un significativo elemento di confronto con quanto detto finora, sia per l’origine che per la ratio che vi è (almeno in linea di principio) sottesa: si tratta infatti di una figura che poggia le proprie radici nell’ordinamento comunitario e che è stata pensata con il fine di contrastare quelle situazioni di potere economico che risultano capaci di alterare il corretto esplicarsi dei meccanismi del mercato.

482

Cfr. M. Libertini, P. M. Sanfilippo, Obbligo a contrarre, cit., 485.

483

Cfr. M. Bianchini, Positivismo e non nel diritto dell’impresa: a proposito dei fondamenti

dell’abuso dell’autonomia contrattuale nel “tempo dell’economia” (con particolare riguardo ai

179 Con gli articoli 85 e 86 TCE, oggi rispettivamente artt. 101 e 102 TFUE, il legislatore comunitario ha introdotto il divieto delle intese capaci di modificare il regime della concorrenza e tali da determinare un pregiudizio per il commercio fra gli Stati membri, nonché il divieto di sfruttamento abusivo di una posizione di mercato che si esplichi nell’imposizione di condizioni inique, in limitazioni che risultino dannose per i consumatori, in pratiche discriminatorie, o nell’imposizione di prestazioni supplementari non collegate all’oggetto dei contratti.

Su tale modello è stata introdotta la legge n. 287 del 1990 che, alla lettera c) dell’art. 3, ricalcando l’art. 102 TFUE, vieta le condotte volte ad “impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico a danno dei consumatori”.

A fronte dell’opinione comune, secondo la quale non è la posizione dominante ad essere vietata ma l’esercizio abusivo della stessa, uno dei profili che più ha sollecitato l’attenzione dei teorici riguarda la riconducibilità o meno della fattispecie a quella più ampia di abuso del diritto o se si configuri un’ipotesi di illiceità per contrarietà alla legge.

Come si è già anticipato trattando dell’abuso del diritto, sembra doversi escludere un rapporto di species a genus tra le due discipline, posto che nel caso in esame l’impresa non abusa di una prerogativa giuridica, bensì di un potere derivante da una situazione di fatto.

La questione assume particolare rilievo se si considera che il divieto non è corredato da un’espressa sanzione, la cui individuazione è rimessa all’interprete. Si pone allora il problema di capire quali siano le conseguenze dell’abuso di potere, in particolare, laddove questo si esplichi in un’esclusione della controparte, in un rifiuto ai sensi della lettera c) dell’art. 3.

La dottrina più risalente, interrogandosi intorno alla prima formulazione dell’art. 86 TCE, aveva avanzato diverse possibili soluzioni.

Una prima tesi ha sostenuto che la disposizione comunitaria avrebbe posto le basi per la configurazione di un illecito concorrenziale ai sensi dell’art. 2598, c. 3 c.c.. Secondo tale ricostruzione le norme sulla concorrenza sleale sarebbero intervenute sul piano della ripartizione del rischio d’impresa, sollevando l’imprenditore da

180 quei rischi che possono essere considerati in contrasto con la “correttezza professionale”. La condotta escludente potrebbe in tal senso essere inquadrata come contravvenzione all’affidamento che l’operatore economico può legittimamente riporre sul rispetto delle regole di mercato484. In un noto saggio del 1968, Barcellona osservava tuttavia che nel caso di specie non è l’affidamento che determina la regola di condotta, ma è quest’ultima che fa sorgere un affidamento, determinando l’irrilevanza di una sua eventuale lesione. Ragionando in termini diversi si giungerebbe a sostenere che la violazione di qualsiasi norma da cui deriva una responsabilità sarebbe tale da integrare un illecito concorrenziale. Inoltre, a differenza di quanto previsto dall’art. 2598, comma 3 c.c., nel caso di specie non vi è un dovere generale e reciproco di conformarsi ai principi di correttezza; lo stesso fa capo ad un soggetto specifico, in ragione della sua peculiare posizione sul mercato, senza che vi corrisponda la previsione di una tutela di interessi complementari485.

Una diversa tesi ha proposto la configurazione del rifiuto abusivo ricavabile dall’art. 86 TCE come fonte di un illecito aquiliano. Anche rispetto a tale ricostruzione, tuttavia, sono state evidenziate diverse criticità. Si è osservato in particolare che l’obbligo imposto scaturisce da una peculiare situazione di fatto e non da una situazione astratta che si presuppone meritevole di tutela. Inoltre, il riferimento alla tutela dei consumatori dovrebbe indurre a qualificare come illecito il comportamento dell’impresa, a prescindere dalla mancata astensione da un determinato comportamento che cagioni un danno rilevante ex art. 2043 c.c.486. Un’analisi della ratio della disciplina potrebbe far emergere un’analogia con l’obbligo a contrarre, con riferimento soprattutto a “l’interesse alla disponibilità di beni o servizi in base a criteri obiettivamente apprezzabili”. Analizzando la disposizione comunitaria, Barcellona giungeva alla conclusione che “il rifiuto

484

Cfr. P. Marchetti, Boicottaggio e rifiuto di contrarre, cit., 195, spec. 206-208.

485

P. Barcellona, Obbligo di contrarre, disciplina anti-trust e tutela del consumatore-

acquirente, cit. 61 ss.

486

181 abusivo è illecito perché a carico dell’imprenditore, che si trova in posizione di dominio del mercato, è posto un obbligo (legale) di contrarre”487

.

Oggi dottrina e giurisprudenza ricostruiscono le fattispecie di abuso previste dall’art. 102 TFUE distinguendo tra explitive abuses e exclusionary abuses488

. Nell’ambito di questo secondo gruppo si riconducono tutte quelle condotte che determinano, come conseguenza dello sfruttamento della posizione dominante, l’esclusione dell’impresa concorrente dal mercato o tendono ad isolarla o a costringerla ad assumere un ruolo satellite.

Posto che, come si è detto, non è la posizione dominante di per sé ad essere vietata dalle disposizioni in esame, non può neppure ritenersi che sull’impresa che detenga tale potere di mercato gravi un generale obbligo a contrarre, a maggior ragione nei confronti delle imprese che operano nello stesso mercato.

Tuttavia, specifica attenzione richiedono quelle circostanze in cui il rifiuto di contrarre ha come immediato effetto l’esclusione o la sostanziale marginalizzazione degli altri operatori economici.

Ciò si verifica quando l’impresa in posizione dominante ha un potere di controllo su una risorsa strumentale alla produzione di altri beni e servizi.

In tale contesto, particolare rilevo assume la figura delle essential facilities. Tra le risorse che vi vengono tipicamente ricondotte vi sono le infrastrutture materiali, che per ragioni naturali o economiche non sono sostituibili, né riproducibili e che risultano essenziali perlopiù nei mercati strutturati in reti di produzione; le infrastrutture organizzative; le infrastrutture virtuali, relative ad esempio a schemi di organizzazione di informazioni; le materie prime o le risorse intermedie insostituibili, in relazione alle quale numerose controversie sono sorte nel settore chimico-farmaceutico; le licenze relative a diritti di proprietà intellettuale489. In tali casi la giurisprudenza ha riconosciuto la sussistenza di un obbligo a contrarre in capo all’impresa in posizione dominante.

487

Ibidem, 67. L’A. affronta anche la questione relativa agli obblighi accessori, risolvendola nel senso che la modalità di gestione dell’impresa deve essere compresa tra i criteri di valutazione di liceità dell’eventuale rifiuto.

488

M. Libertini, L’abuso di posizione dominante, in C. Castronovo, S. Mazzamuto, Manuale di

diritto privato europeo, Milano, Giuffrè, 2007, 271 ss.

489

182 L’aspetto più interessante deriva dal fatto che nel caso di specie non si tratta di un obbligo a carattere generale, ma strettamente correlato alla sussistenza di specifiche circostanze. In primo luogo, la risorsa di cui si chiede l’accesso deve caratterizzarsi per l’insostituibilità, da valutarsi secondo parametri sia soggettivi che oggettivi, e quindi in relazione alle effettive capacità d’offerta del mercato. In secondo luogo, le due imprese devono collocarsi in modo indipendente sul mercato, non potendo l’una porsi come mera ausiliaria dell’altra490

.

Un esempio particolarmente interessante nel panorama italiano è dato dalle reti ferroviarie. Nel maggio 2012 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato un’istruttoria nei confronti delle società del gruppo FS, che gestiscono le reti ferroviarie italiane, per aver posto in essere un’articolata strategia escludente nei confronti dell’impresa ferroviaria Nuovo Trasporto Viaggiatori S.p.a., unico concorrente italiano di Trenitalia nel settore dell’Alta Velocità. Nel caso di specie, non si è trattato di un vero e proprio rifiuto di contrarre, ma dell’assunzione di una serie di comportamenti ritenuti idonei a rallentare l’ingresso nel mercato della società NTV, in considerazione dell’essenzialità e non duplicabilità delle infrastrutture facenti capo al Gruppo FS.

Tra le condotte contestate vi era la previsione di un canone d’uso particolarmente ingente, la mancata assegnazione di tracce nell’ora di punta, il mancato accesso a determinati impianti di manutenzione, mancata apposizione di segnaletica e di desk informativi nelle stazioni, discriminazione nell’accesso agli spazi pubblicitari, inefficienze nella gestione delle stazioni servite da NTV.

Dopo che l’AGCM ha riconosciuto che tali condotte contravvenivano al divieto di abuso di posizione dominante ex art. 102 TFUE, la procedura si è conclusa nel momento in cui l’Autorità ha giudicato idonei gli impegni che il Gruppo FS ha assunto ai sensi dell’art 14-ter della legge n. 287 del 1990491.

Significativa in tale vicenda è la presentazione di osservazioni da parte Assoutenti, Movimento Consumatori e Società Viaggiatori S.r.l., a testimonianza del fatto che la questione non ha riguardato solo i rapporti tra le imprese, ma ha

490

Ibidem, 303 ss.

491

183 posto l’esigenza di tenere in attenta considerazione le ripercussioni che le misure adottate avrebbero prodotto sugli utenti.

A differenza di quanto si è visto per gli obblighi a contrarre di “stampo civilistico”, nel caso di specie la ratio è prettamente economica, essendo predisposti al fine specifico di non alterare la concorrenza tra imprese. Eppure, come emerge dalla fattispecie descritta e come si vedrà meglio con riferimento all’abuso di dipendenza economica, anche negli obblighi a contrarre di matrice concorrenziale è possibile riscontrare fini redistributivi e un’attenzione non trascurabile per le posizioni dei singoli.

Nel documento Il rifiuto abusivo di contrarre (pagine 179-184)