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Origini del principio di eguaglianza nel diritto privato

Nel documento Il rifiuto abusivo di contrarre (pagine 45-50)

CAPITOLO I: PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA E DIVIETO D

2. Evoluzione normativa e dottrinaria

2.1. Origini del principio di eguaglianza nel diritto privato

La casistica tracciata solleva una pluralità di questioni, rispetto alle quali può essere individuato quale leitmotiv il ruolo del “principio di eguaglianza” nei rapporti privati e, in particolare, in relazione alla libertà contrattuale, dilemma storico del giurista e, ancor più, del privatista.

L’idea di eguaglianza, inoltre, deve essere coordinata con quella di discriminazione. Da un lato, infatti, il diritto non avrebbe nessuna possibilità di disciplinare le relazioni sociali ai vari livelli se non si preoccupasse di distinguere

45 ciascuna situazione per le sue specificità, ma al tempo stesso presupposto essenziale di ogni regolamentazione è la “negazione dell’arbitrio”, ed è in ciò che va rintracciata l’essenza dell’eguaglianza e/o della parità di trattamento82.

Non dovrebbe stupire, pertanto, il fatto che l’idea di eguaglianza poggi le proprie radici in tempi assai antichi, quando ben diversa era la percezione della stessa rispetto a quella oggi diffusa. Si ritiene che la paternità dell’“isonomia”, dell’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, venga rivendicata da Solone, di cui si legge: “Io ho redatto leggi eguali per il plebeo e per il nobile, fissando per ciascuno una retta giustizia”83.

Si tratta dell’affermazione dell’eguaglianza di ciascuno di fronte alla legge, principio divenuto poi cardine negli Stati moderni. Tale principio si trova infatti sancito nelle più importanti Carte degli ultimi secoli, a partire dalla Dichiarazione d’indipendenza redatta da Jefferson nel 1776 e dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, dove il valore simbolico del principio lo fa assurgere a forma di Stato, così come lo si ritrova nelle Costituzioni del secondo dopoguerra. Tra queste ultime vi è la nostra Carta del 1948 che, all’art. 3, afferma l’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alle legge, individuando altresì i motivi che non possono importare cause di discriminazione e imponendo allo Stato la rimozione degli “ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Come emerge dallo stesso articolo 3, circoscrivere il principio di eguaglianza alla sola assenza di discriminazione nei confronti delle disposizioni normative rischierebbe di svuotarne la portata, soprattutto in un’era in cui il mercato, con le sue logiche, tende a prendere il posto degli apparati pubblici nella determinazione dell’accesso ai diritti sociali e ai beni che li soddisfano84

.

82

Inter alios, D. Carusi, Il principio di eguaglianza nel diritto civile: vecchie e nuove

prospettive, cit. 7 ss.

83

Elegia riferita ad Aristotele, La Costituzione degli Ateniesi, XII, trad. it. E. Lanzilotta, Sulla

formazione del concetto di democrazia, in A. D’Atena, E. Lanzilotta, (a cura di) Alle radici della democrazia, Roma, Carocci, 1998, 25.

84

Cfr. G. Ferrara, L’uguaglianza oggi, in G. Alpa, V. Roppo (a cura di), La vocazione civile

del giurista. Saggi dedicati a Stefano Rodotà, Roma, Editori Laterza, 2013, 284 ss.; AA. VV., Giustizia sociale nel diritto contrattuale europeo. Un manifesto. Gruppo di studio sulla giustizia sociale nel diritto privato europeo, in Rivista critica del diritto privato, 2005, 99 ss.

46 Se da un lato esso impone allo Stato e agli enti pubblici di porre in essere interventi positivi, volti a prevenire il rischio di discriminazioni, dall’altro ci si chiede se lo stesso assuma un ruolo precettivo anche nei rapporti tra i privati, se possa cioè costituire una regola di condotta per questi ultimi ed eventualmente in quali forme.

Alla luce della giurisprudenza analizzata, l’interrogativo da cui parte la riflessione è se, a fronte dell’albergatore che rifiuta di offrire la camera ad una coppia perché omosessuale o al proprietario di un immobile che non accetta di locarlo ad una cittadina della Costa d’Avorio solo perché di colore, possa essere posta solo una valutazione di tipo morale, o possa essere mosso un rimprovero giuridico.

Affrontando le varie ipotesi di questo tipo, le Corti si sono espresse alternativamente in termini di ragionevolezza, proporzionalità, richiamando principi quali la dignità o la parità di trattamento, ma perché possa ritenersi che i privati siano obbligati a rispettare il principio di eguaglianza nel senso di divieto di discriminazioni arbitrarie è necessario individuarne il fondamento normativo. In tale contesto il tema diviene particolarmente problematico, poiché immediatamente evidenti sono le possibili collisioni con quello che viene tradizionalmente considerato il principio cardine delle relazioni private, quello di autonomia.

Sintomatico di tale tensione è l’atteggiamento assunto dalla dottrina civilistica: se il diritto pubblico per sua natura si è da sempre confrontato con il tema dell’uguaglianza, un’analisi approfondita dello stesso nell’ambito del diritto privato ha tardato ad arrivare.

Una prima sistematica trattazione del tema la si deve alla fine degli anni ’50 al tedesco Hueck, dalle cui riflessioni ha tratto spunto la fondamentale analisi in materia di Pietro Rescigno85.

Secondo tale ricostruzione, presupposto fondamentale per l’affermazione del principio di eguaglianza come precetto rilevante nelle relazioni private è l’idea di

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47 “comunità”, da intendere come insieme di soggetti accumunati dai medesimi interessi in conflitto86.

È la sussistenza, o meglio la preesistenza, di tale rapporto che giustifica la parità di trattamento. Nel caso di un’associazione, ad esempio, detta tesi porta ad affermare che non è necessario che venga rispettato il principio nei confronti di chi ancora non ne fa parte, con la possibilità pertanto di escludere un aspirante membro anche laddove presenti tutti i requisiti richiesti dallo statuto, purché all’interno dell’associazione non sussistano discriminazioni tra i suoi iscritti87

. La rilevanza della comunità sta nel fatto che la stessa rende possibile e necessaria una “valutazione comparativa” tra i soggetti che ne fanno parte e solo all’interno della stessa sarebbe possibile allora l’operatività della parità di trattamento88, che viene qui assunta come equità.

Esempi di questa logica sarebbero la donazione che, salvo diversa volontà del donante, si intende fatta in parti uguali, o la società di capitali, nell’ambito della quale è prevista la parità di trattamento pro quota dei soci.

Viene escluso invece che il principio in esame possa essere fondato sulla buona fede, perché ritenuto concetto vago, o sul buon costume, non potendosi comunque configurare come immorale la disuguaglianza tra privati.

Al di fuori dell’ambito comunitario, l’eguaglianza può trovare espressione nelle relazioni tra privati come conseguenza dell’intervento dello Stato nell’economia, come nel caso dell’obbligo a contrarre del monopolista legale o quello delle condizioni generali di contratto, o dei contratti collettivi di lavoro.

Tanto in un caso quanto nell’altro, il principio non ha portata generale, ma trova spazio in quanto trattasi di ipotesi specifiche, che hanno la propria ratio nella

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Secondo questa teoria, si pone un problema di parità di trattamento quando vi è un conflitto di interessi, oppure il privilegio riconosciuto ad uno costituisce un danno per l’altro.

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D. Carusi, Il principio di eguaglianza nel diritto civile: vecchie e nuove prospettive, cit., 11. Contestualizzandola nel contesto di common law, lo stesso A. riporta la sentenza statunitense che ha giudicato illegittima la clausola statutaria del club Rotary, la quale precludeva alle donne l’accesso all’associazione. D. Carusi, Principio di eguaglianza, diritto singolare e privilegio.

Rileggendo i saggi di Pietro Rescigno, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1998, 24.

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Nell’opera in esame si parla alternativamente di eguaglianza e parità di trattamento, sebbene, come è emerso e come si cercherà successivamente di chiarire, si ritiene opportuno introdurre dei distinguo tra i due concetti, così come tra questi e quello di divieto di discriminazione.

48 sussistenza di relazioni antecedenti al rapporto contrattuale89 o nella corretta esplicazione della concorrenza. Secondo questa analisi, l’eguaglianza deve ritenersi comunque in posizione di subordinazione rispetto alla libertà contrattuale90.

La ricostruzione offerta deve essere opportunamente analizzata tenendo conto di almeno tre aspetti. In primo luogo, il contesto di riferimento è quello strettamente economico-distributivo, tanto è vero che, nel momento in cui viene fatto riferimento alle qualità personali di cui all’art. 3 della Costituzione, si sottolinea come quest’ultimo non possa essere ritenuto indifferente nelle relazioni private, dovendosi escludere che ipotesi di disparità di trattamento possano essere fondate sulle caratteristiche in esso contemplate91. Si può ipotizzare allora che l’analisi condotta potrebbe assumere caratteri diversi nel momento in cui il fulcro del discorso venisse spostato dalle dinamiche economiche, regno della concorrenza, ai rapporti concernenti la persona, ai casi in cui l’esclusione o il rifiuto di contrarre trovano fondamento nelle caratteristiche personali dei contraenti e, in particolare, laddove il contesto di riferimento è quello dei mercati diretti a soddisfare bisogni essenziali.

In secondo luogo, nell’analisi offerta da Rescigno, seppur con il margine di apprezzamento indicato poco sopra, si ritiene che l’art. 3 delle Costituzione debba essere letto esclusivamente come norma di principio per il legislatore e non anche come precetto direttamente vincolante, ciò che comporterebbe a suo avviso un’insanabile contraddizione con il riconoscimento dell’autonomia privata. Oggi tale affermazione non sembra potersi più asserire con la medesima sicurezza. Pur dovendosene escludere un’applicabilità generalizzata nel rispetto della libertà negoziale, si va delineando la convinzione che anche in alcuni settori

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Carusi fa riferimento a una pluralità di comunità connesse e antecedenti ad una risorsa scarsa: quelle che sono esse stesse costitutive di una risorsa scarsa, quelle nascenti dalla convergenza di più titoli giuridici sulla stessa risorsa, quelle determinate da un atto giuridico privato che autonomamente decide di fornire il titolo ad una specifica pretesa in ordine ad una risorsa e, infine, quelle che traggono origine da una pluralità di atti giuridici di un medesimo privato, fonti di contrastanti pretese su risorse scarse. Cfr. D. Carusi, Principio di eguaglianza,

diritto singolare e privilegio. Rileggendo i saggi di Pietro Rescigno, cit., 20-21.

90

P. Rescigno, Persona e comunità. Saggi di diritto privato, cit., 359.

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49 privatistici vada individuata l’immediata applicazione del principio come divieto di discriminazione e/o obbligo di parità di trattamento92.

Infine, la difficoltà di declinare l’eguaglianza nell’ambito del diritto dei contratti deve essere ricondotta alla tendenziale sovrapposizione, che in tale pensiero si riscontra, tra il divieto di arbitrarie discriminazioni e la parità di trattamento; come già emerso anche dall’analisi della giurisprudenza in tema di differente calcolo dei premi assicurativi, i due concetti meritano invece degli opportuni distinguo. Occorre ora verificare se l’evoluzione del pensiero giuridico interno e le prospettive aperte dal diritto comunitario, sia a livello di principi generali che di specifiche disposizioni normative, possano offrire nuova linfa al principio di eguaglianza.

Nel documento Il rifiuto abusivo di contrarre (pagine 45-50)