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Accanto a questo provvedimento riformistico, che dimostra una for- for-te volontà del pofor-tere centrale di mutare le strutture organizzative infor-ter-

inter-ne, prende un rilievo ancora maggiore la decisione di convocare la riu-nione ufficiale delle Corti generali del regno.

49 Per l'analisi di questa materia G. MELONI, Genova e Aragona cit., II, p. 43; F. C. CA-SULA, Profilo lo storico cit., pp. 26 sgg.; B. ANATRA, Dall'unificazione aragonese cit., pp. 228 sgg.

3.

Il Parlamento del 1355. Note introduttive

Si è discusso se la decisione di convocare l'assemblea maturò nella politica catalana in quei primi giorni del 1355. Certo l'idea è attribuibile in massima parte alla volontà del sovrano e rispondeva principalmente ad una serie di motivi di ordine politico. In particolare, egli auspicava che si consolidasse nei Sardi il concetto di un'autorità regia riaffermata dopo le recenti vicissitudini; era necessario, poi, illustrare le esigenze di governo e conoscere le opinioni dei sudditi, dei quali si desiderava raf-forzare il vincolo di fedeltà. Cagliari, con la sua cornice di radicata cata-lanità, con gli «splendori della reggia e il luccichio delle armi», offriva questa irripetibile opportunità 1.

È difficile, però, che il progetto sia stato frutto di una decisione im-provvisa, di quella che veniva definita un'«operazione sostanzialmente a freddo» 2. È più probabile che esso sia maturato progressivamente nelle linee politiche della corte catalana, e che solo allora, consolidata la situa-zione interna — almeno momentaneamente —, e alla presenza del so-vrano, si sia deciso di pubblicizzare un disegno il quale, per la difficoltà di attuazione che presentava, aveva bisogno di una lunga preparazione 3.

Questo soprattutto perché una novità di tal genere stentava a determina-re un'attiva collaborazione dei ceti pdetermina-reminenti, soprattutto quello eccle-siastico e quello feudale, nell'ambito della politica governativa, alla quale si intendeva dare nuovo impulso e compattezza.

D'altra parte, il disegno di introdurre l'istituto parlamentare in Sar-degna non era nuovo. Un'ipotesi del genere si era manifestata già quin-dici anni prima, in un periodo nel quale la situazione politica locale era caratterizzata da momenti di relativa collaborazione tra l'elemento locale e quello esterno; la realtà economica rispondeva ancora ai criteri di sfruttamento delle risorse che i governanti catalani intendevano afferma-

i A. SoLmt, Le Costituzioni cit., p. 215, propone la tesi dell'idea balenata all'improvviso al sovrano in quei giorni. Da un successivo documento, databile 26 aprile, si intuisce che la decisione fu presa dopo che la corte arrivò a Cagliari, nei primi giorni di gennaio del 1355:

ACA, Cane., reg. 1293, c. 9 (2°); vi sono contenuti i capitoli di un'ambasciata svolta da Bona-nat Dezcoll, viceammiraglio, a Barcellona presso l'infante Pietro e il Consiglio reale, da Be-renguer de Ripoll, viceammiraglio, diretto a Valenza, e da Bonanat de Mganet, a Maiorca.

2 B. ANATRA, Dall'unificazione aragonese cit., p. 260.

Vedi le considerazioni presenti nel capitolo precedente.

re, e gli unici interventi amministrativi provenienti dal governo centrale si limitavano a rafforzare l'apparato feudale e, al massimo, a prevedere momenti marginali di riforma 4.

Il primo settembre del 1340, Pietro IV affidava a Bernat de Boxa-dors il mandato di governatore generale di Sardegna e Corsica 5; con-temporaneamente, con un'altra carta veniva conferito allo stesso gover-natore «quod pro nobis ac vice et nomine nostro possitis in dicto regno Sardinie facere et ordinare, tenere ac celebrare parlamentum generale, et in ipsum parla-mentum convocare, [..] ac citare prelatos, barones, nobiles et milites ac alios he-reditarios et huniversitates civitatum, villarum et aliorum locorum, et alias qua-scumque personal cuiuqua-scumque dignitatis, status ac conditionis existat regni pre-dictt; eisque locum ac loca et certam diem prefigere et assi gnare pro celebrando ac tenendo parlamento predicto».

Durante l'ipotizzato Parlamento sarebbe stato possibile ordinare, correggere, mutare, riemanare norme previste dal breve e dalla Carta de Logu «necnon alias quascumque generales ac speciales ordinationes, constitu-ti ones et statuta facere et statuere», che fossero tornate uconstitu-tili «ad bonum et tranquillum ac pacificum et prosperum statum ac regimen ipsius regni et incola-rum eiusdem» 6.

Sono tutti canoni che verranno rispettati nelle Cortí di Cagliari del 1355: le convocazioni dei tre bracci, con l'aggiunta della partecipazione di un autentico ed originale quarto braccio, composto da privati cittadi-ni, che tanto meravigliò alcuni studiosi del primo Parlamento; l'accenno alla Carta de Logu, ai brevi e, in genere, alla legislazione locale prece-dente.

Notiamo, però, che questa adunanza doveva avere, nei progetti mai realizzati dei governanti catalani, il carattere proprio del Parlamento, e non quello delle Corti generali; riunione di tipo straordinario, quindi, e non inserita nei canoni giuridici delle Cortes, adunanze periodiche, co-me dobbiamo ritenere sia valido per l'assemblea del 1355, nonostante alla stessa istituzione sia sempre stato attribuito il nome di Parlamento.

4 Vasta è la bibliografia sul feudalesimo e sulle sue forme di attuazione nell'isola. Per un inquadramento generale è ancora basilare A. BoscoLo, Il feudalesimo in Sardegna, Caglia-ri, 1967. Aspetti particolari sono esaminati in G. MELONI, Su alcuni feudatari maggiori e mino-ri in Sardegna all'epoca di Pietro il Cemino-rimonioso, in «Studi Sardi», XX, 1966-1967, Sassamino-ri, 1968, pp. 285 sgg. e in M. TANGHERONI, Su un contrasto tra feudatari in Sardegna nei primissimi tempi della dominazione aragonese, in Medioevo. Età moderna cit., pp. 85 sgg. Circa alcuni aspetti ri-formistici ancora M. TANGHERONI, Su un memoriale di Pietro il Cerimonioso relativo alla rifor-ma della Sardegna, in «Studi Sardi», XX cit., pp. 299 sgg.

5 AcA, Canc., reg. 1010, c. 206v.

6 Ibidem, c. 208, segnalatami da Sandro Petrucci.

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Se, quindi, si può dibattere sul momento nel quale maturò la deci-sione di celebrare le Corti del Regno delle quali parliamo, meno discuti-bile appare un altro principio. La decisione di convocare la riunione fu presa dal sovrano in persona. La nobiltà locale, soprattutto quella di ori-gine iberica, era sempre più numerosa, a causa delle crescenti esigenze militari e finanziarie della Corona. La latitanza del potere centrale dal punto di vista riformistico, inoltre, non contribuiva a mitigare le libertà e gli arbitri di quel ceto, sempre più evidenti. Un'assemblea popolare non poteva che sancire qualche principio che regolasse una presenza feudale sempre più invadente, come in effetti si verificò, a proposito delle Costi-tuzioni promulgate nelle stesse Corti'.

La borghesia cittadina, d'altra parte, ridotta di numero, non aveva un peso tale da imporre le proprie linee politiche, e questo nonostante alcune forme di avanzata autonomia, maturate nel corso dei secoli pre-cedenti 8.

Anche la tradizione non prevedeva che le componenti della società giudicale creassero spontanei presupposti per la realizzazione di assem-blee plenarie di tal genere. È vero che riunioni straordinarie e collettive erano possibili, ma il principio della rappresentanza, caratteristico di una forma parlamentare quale quella che ci interessa, non era in uso. Si trat-tava di riunioni convocate per la discussione di gravi problemi relativi alla vita stessa degli stati, alle quali partecipavano i principali ceti sociali;

tra questi, un posto di rilievo spettava agli alti ecclesiastici e ai maiorales, generalmente entrambi assai vicini alla casata regnante. A questi incontri spettava anche il compito di sancire la legittimazione del diritto succes-sorio giudicale.

È anche difficile stabilire un parallelo tra questa esperienza istituzio-nale e le autonomie comunali dei secoli XII e, soprattutto, XIII; parla-menti strettamente cittadini, in questo caso, modellati sui canoni pisani o genovesi, mai estesi al territorio esterno, né a dimensione circoscrizio-nale né, tanto meno, generale 9.

Il modello da tener presente nell'analisi di questa prima esperienza assembleare parlamentare in Sardegna è quello derivante dal mondo iberico, in particolare da quello catalano-aragonese.

7 A. SOLMI, Le Costituzioni cit., p. 215 e n. 2; vedi anche R. CONDE y DELGADO DE MO-LINA, La Sardegna aragonese, in Storia dei Sardi e della Sardegna, II, Il Medioevo dai giudicati agli Aragonesi, Milano, 1988, pp. 273 sgg.

8 J. HEERS, Pisani e Genovesi nella Sardegna medioevale: vita politica e sociale; in Storia dei Sardi e della Sardegna cit., pp. 243 sgg.

9 A. SOLMI, Le Costituzioni cit., p. 216 e J. HEERS, Pisani e Genovesi cít., pp. 245 sgg.

Le riunioni di carattere politico presiedute dal sovrano, con la par-tecipazione delle diverse componenti sociali dello stato, si chiamarono, fin dal XIII secolo, Corts in Catalogna e Cortes in Castiglia. In un primo tempo, unicamente i rappresentanti del ceto nobiliare, cavalieri, feudata-ri, grandi proprietari terriefeudata-ri, affiancavano il sovrano nella trattazione delle diverse questioni relative alla conduzione politica del regno. Già agli inizi del secondo millennio, le feudalità dell'Aragona e della Catalo-gna avevano acquisito un potere tale che quello centrale, fosse esso co-mitale o reale, veniva rigidamente controllato e mitigato nelle prime for-me assembleari, dette Concilios. Diversa cosa erano, invece, le assemblee plenarie germaniche, nelle quali l'elemento militare si affiancava al so-vrano per operare scelte politiche di un certo rilievo, come presso Fran-chi e Visigoti.

Dopo una prima fase di assestamento, sul finire del secolo XII, an-che i principali ecclesiastici, prelati, abati, furono ammessi a partecipare alle assemblee. Solo in seguito, invece, la presenza alle stesse fu consenti-ta anche ai rappresenconsenti-tanti di estrazione citconsenti-tadina; questo per la difesa degli interessi della borghesia mercantile ed artigianale, che andava rita-gliandosi spazi più importanti di presenza e di potere economico e poli-tico.

Era un momento che per l'Occidente costituiva un periodo di forte evoluzione sociale, politica, economica, culturale; ciò doveva causare cambiamenti anche in campo istituzionale. Con l'aumento dei livelli di produzione si riscontrava un contemporaneo incremento della circola-zione dei prodotti; miglioravano le condizioni di vita che portavano ad un costante aumento demografico; rinasceva la città e tutto quel fermen-to che ne derivava alimentava l'aggregazione deí cittadini in gruppi so-ciali sempre più coscienti delle proprie esigenze politiche. Proprio nel XIII secolo questa forza economica e sociale veniva ammessa a pieno di-ritto a completare la struttura di quelle riunioni rappresentative che ora, ormai esaurita la fase evolutiva di costituzione, si chiamavano Corti ge-nerali 1°.

Questo fenomeno di partecipazione alla vita politica di quegli strati sociali, non rappresentati dalla nobiltà né dal clero, ebbe, nella penisola iberica, una manifestazione precoce rispetto al resto degli stati europei;

il completamento del suo stato di maturazione si ebbe già sul finire del XII secolo ". Solo alla fine di quello successivo, però, le assemblee dove

'° L. G. DE VALDEAVELLANO, CUrSO de bistoria de las instituciones espatiolas. De los ortgines al final de la Edad Media, Madrid, 1970, p. 463.

" Ibidem p. 465.

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si realizzava la rappresentanza dei tre stamenti sociali costituirono un ve-ro e pve-roprio organo politico, guidato direttamente dal sovrano e garante del ruolo delle varie componenti sociali nel governo dello Stato 12.

In particolare, nei vari territori della Corona d'Aragona, l'istituto parlamentare presenta aspetti in parte differenti. In Aragona si nota la suddivisione dei vari ordini in quattro bracci, poiché quello feudale si differenziava in due, diversi: nobili e cavalieri. Questo si spiega tenendo presente la grande importanza che la cavalleria aveva in un regno conti-nentale, dotato di estese frontiere, che doveva basare la sua potenzialità espansiva e difensiva, appunto, su questo strumento di applicazione bel-lica. La cavalleria, d'altra parte, godeva rispetto alla nobiltà vera e pro-pria soltanto di benefici di minore importanza, con l'esclusione dei gran-di possegran-dimenti feudali. L'integrità gran-di questi ultimi, infine, era salvaguar-data, poiché non erano previsti principi di successione paritaria fra gli eredi 13

In Catalogna, invece, dove era maggiormente sentita l'autorità cen-trale, i parlamenti si attuarono con la presenza, accanto al sovrano, con-siderato come il "capo" di un ideale corpo, dei tre bracci, rappresentanti i principali strati sociali. Analogo principio fu osservato nella Valenza 14.

Teoricamente queste assemblee erano in grado di esercitare un ruo-lo di controlruo-lo sull'operato e sulle linee politiche del potere centrale.

Questo, però, non si verificava praticamente, considerato l'atteggiamento di sottomissione, fedeltà, riverenza, che le varie componenti sociali mo-stravano solitamente nei confronti dell'autorità 15

La distinzione nazionale dei corpi rappresentativi aragonese, catala-no, valenzacatala-no, fu una costante generale fino alla parte terminale dell'Età media, quando si registrarono assemblee plenarie con la partecipazione degli stamenti dei tre diversi organismi nazionali costitutivi della Corona d'Aragona; ciascuno di essi conservò sempre, però, proprie caratteristi-che dovute a differenti esigenze, pur nell'unione della manifestazione parlamentare 16.

Fermandoci, comunque, al periodo nel quale le Corti delle diverse entità statuali della Corona agirono separatamente, notiamo che le stesse

12 Ibidem, p. 466.

13 A. SOLMI, Le Costituzioni cit, p. 221 e L. G. DE VALDEAVELLANO, Curso de historia cit., p. 478.

14 In Catalogna la sottodivisione del braccio militare si verificò solo nell'ultimo ven-tennio del secolo XIV, dal 1388 al 1405; in un periodo, quindi, che in questa sede ci inte-ressa meno: L. G. DE VALDEAVELLANO, Curso de historia cit., p. 478.

15 Ibidem, p. 469.

16 Ibidem, p. 472.

erano assai simili nella loro struttura organizzativa. Una delle poche note distintive, pur nella comune periodicità, era relativa ad una diversa ca-denza: biennale per quelle aragonesi, triennale per quelle catalane o va-lenzane ". Numerosi erano, invece, gli elementi comuni.

Le convocazioni venivano fatte, generalmente, dallo stesso sovrano, il quale emanava le relative carte reali. Venivano invitati a presentarsi al-la riunione gli esponenti del ceto nobiliare che avessero già raggiunto al-la maggiore età di venti anni; ancora, i grandi ecclesiastici, prelati, abati, priori, rappresentanti dei Capitoli delle Cattedrali; infine i prescelti delle assemblee cittadine, delle Universitates.

Mentre i bracci feudale ed ecclesiastico prevedevano un'adesione plenaria alla riunione delle Corti, per il braccio reale, o cittadino, era sancito il principio della rappresentatività: i delegati delle principali città erano chiamati sindaci; il loro numero era variabile, in un primo tempo;

in seguito essi furono in genere due per città. Solo i tre centri principali della Corona, Barcellona, Saragozza e Valenza, potevano eleggere cinque sindaci per esercitare con maggior peso e facilità il ruolo trainante che spettava loro nel complesso panorama della borghesia cittadina.

Essi viaggiavano coperti da salvacondotto garantito dalla stessa mu-nicipalità, valevole negli spostamenti verso il luogo di riunione delle Corti e nel viaggio di ritorno alle proprie sedi. Le rispettive città copriva-no le spese di missione ed affidavacopriva-no ai sindaci dettagliati fascicoli di istruzioni, per essi vincolanti; conferivano loro, ancora, adeguate creden-ziali che individuassero nei prescelti l'espressione della volontà del com-plesso della cittadinanza; questa volontà maturava, generalmente, nel corso di assemblee plenarie riunite nei luoghi più rappresentativi delle singole località 18. Solo in un secondo tempo la scelta dei sindaci sarebbe stata fatta nelle sedi degli organismi amministrativi, come quella del Consiglio maggiore 19.

La prima riunione plenaria veniva aperta dallo stesso sovrano, alla presenza di tutti i bracci. Nella proposició — il discorso di apertura — si tracciavano le linee essenziali degli intendimenti connessi con la convo-cazione dell'assemblea. Rispondevano a questo intervento i rappresen-tanti dei diversi bracci; generalmente apriva questa prima serie di discor-si il principale esponente del braccio ecclediscor-siastico; seguiva l'intervento del rappresentante prescelto dal braccio nobiliare ed infine si pronun-

17 Ibidem, p. 477, spiega come si arrivò alla cadenza pluriennale.

18 Ibidem, p. 478. In certi periodi la scelta dei sindaci scaturiva da un complesso di operazioni di elezione ed estrazione a sorte.

19 A. SOLMI, Le Costituzioni cit., p. 222.

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ciava uno dei sindaci delle città regie. In Catalogna questi tre personag-gi erano, generalmente, l'arcivescovo di Tarragona, il conte di Cardona e un sindaco di Barcellona 20.

Un supplemento di indagine era previsto per verificare la validità