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Acqua minerale, un affare da non perdere

Nel documento Acqua: da risorsa naturale a merce (pagine 128-131)

7. CAPITOLO VII: ACQUA IN BOTTIGLIA, UN BUSINESS DA CAPOGIRO

7.2 LO SCENARIO ITALIANO DELL’ACQUA IN BOTTIGLIA

7.2.1 Acqua minerale, un affare da non perdere

Il business dell’acqua minerale è un business a forte concentrazione industriale e finanziaria. Nestlé (multinazionale svizzera) e Danone (francese) sono rispettivamente la numero uno e la numero due delle imprese mondiali d’acqua imbottigliata. Da sole rappresentano più del 30% del mercato mondiale. Nestlé possiede più di 260 marche d’acqua minerale in tutto il mondo, fra cui Vittel, Contrex, Terrier, la più importante del mondo, e le italiane San Pellegrino, Levissima, Panna. Fanno parte invece della Danone: Ferrarelle, San Benedetto (Guizza). Il grande business delle minerali in Italia è, dunque, fonte di benefici soprattutto per gli azionisti della Nestlé e della Danone.

La Nestlé domina in Italia così come nel mondo. Detiene il 17% del mercato globale e nel 2002 aveva raggiunto un giro d’affari di 60,6 miliardi di euro, un quarto del quale proveniente dalle bevande, tra cui l’acqua. È presente in 130 nazioni con 77 marchi, in Italia possiede 10 stabilimenti e diversi marchi famosi,

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tra cui San Pellegrino. Solo in Italia, realizza un fatturato di 870 milioni di euro, di cui 60,2 spesi in pubblicità.

La multinazionale francese Danone, oltre a raggiungere il 13% nel mercato globale, possiede diversi marchi in Italia. Questi sono stati ceduti poco tempo fa all’armatore napoletano Carlo Pontecorvo, divenuto proprietario della Ferrarelle. Alla Holding Ricciardi di Pontecorvo, nel gennaio 2006, è passata anche la numero tre del mercato italiano dell’acqua minerale, la romana Italaquae, con una quota di circa l’8%. Pontecorvo controlla al momento oltre a Ferrarelle e Boario, i marchi Santagata e Natia e ha ottenuto la licenza per quindici anni di Vitasnella oltre alla distribuzione esclusiva in Italia di Evian.

Un altro gruppo potente nel settore dell’acqua minerale e secondo in Italia con il 19% del mercato è il veneto San Benedetto, che possiede quattro stabilimenti e nove marche. Oltre all’omonima San Benedetto, commercializza Acqua di Nepi e Guizza. È tra i primi quattro produttori del mercato spagnolo e si prepara a conquistare il mercato dell’est europeo. La storia di questa azienda inizia nel 1856 a Scorzè, in provincia di Venezia, nella località Guizza. Ha un giro di affari di 580 milioni di euro (511 solo il settore acqua) e dà lavoro a 2.000 dipendenti. Imbottiglia inoltre per Pepsi-Cola e Ferrero, ha alleanze con Cadbury Schweppes e Danone per l’allestimento di stabilimenti comuni in Europa e possiede anche i marchi Caudana, Oasis, Orangina, Powerade. Nel 2003 ha speso 25 milioni di euro in pubblicità, di cui 24 in spot tv, l’8% in più dell’anno prima (Altamore G., 2006).

Attirate dagli alti livelli di profitto e dalla allettanti promesse future del business acqua, potenti imprese come la Coca Cola sono

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entrate anch’esse nel settore introducendo un nuovo tipo di “acqua da bere”, l’acqua “purificata”. L’acqua purificata non è altro che

acqua d’acquedotto sottoposta ad alcune operazioni di

demineralizzazione e di declorizzazione. Pian piano, in pratica, il legislatore ha autorizzato anche in Italia la vendita in bottiglia dell’acqua di rubinetto.

A chi non è ancora convinto della grandezza dell’interesse economico che spinge le multinazionali ad occuparsi dell’acqua minerale, è possibile proporre alcuni calcoli pratici e far loro considerare come la stessa acqua che sgorga pura da anfratti calcarei o da profondità sabbiose possa costare meno di un euro al m3 (1.000 litri) se proveniente dai rubinetti pubblici, fino ai 300 euro al m3 se posta dentro una bottiglia di PET in un qualunque supermercato.

Qualche caso: per la concessione Ulmeta, accordata alla San Bernardo, e durata vent’anni, estesa su un’area di 67 ettari, la Nestlè versa nelle casse della provincia di Cuneo meno del canone d’affitto di un box nel centro di Alba: 2528,28 euro all’anno. Ancora meno si paga per la concessione Rocca degli Uccelli: 304,28 euro. E prezzi in offerta anche per i permessi di ricerca, nel 1998 è stato accordato un permesso alla San Pellegrino (Nestlè) su un’area di 142 ettari nella zona di Mindino (Cn) a soli 110 euro l’anno (Altamore G., 2006).

Considerando che la sola attività di vigilanza su tre concessioni e due permessi di ricerca è costata all’amministrazione provinciale un totale di 17.642 euro all’anno, contro gli 8.625 euro di introiti derivati dai canoni di concessione e ricerca, diventa chiaro quanto sia un affare accaparrarsi queste concessioni (ibidem).

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Alle multinazionali viene richiesto una quota ridicola per un diritto di ricerca: 2,32 euro a ettaro. Per la concessione vera e propria si pagano 20,65 euro a ettaro, ma se si tratta di acque termali si applica il forfait: 774,68 a ettaro. Nel 2001, la regione Piemonte ha approvato addirittura una graduatoria per la concessione di contributi alle “povere” aziende di acque minerali e termali per un impegno di spesa di lire 9.407.216.776 da rimborsare in cinque anni e senza interessi; contributi dovuti agli interventi per lo sviluppo dell’offerta turistica (Altamore G., 2006). Ma qualcosa sembra poter cambiare, infatti la Lombardia nel 2002 ha introdotto un pagamento per ogni litro imbottigliato a carico delle aziende di acque minerali, dopo una lunga battaglia legale giunta fino in Corte costituzionale. In Lombardia, si pagano 51 centesimi di euro al metro cubo, in Veneto 65, in Umbria 50, in Basilicata 30, in Liguria e in tante altre regioni nulla. La regione Piemonte incasserà adesso circa 5 milioni di euro invece dei 122.000 circa percepiti fino al 2005. Siamo comunque solo all’inizio di questa battaglia, considerato che i produttori pagano ancora l’acqua meno di un centesimo di euro al litro, mentre la Lombardia, per esempio, per il solo smaltimento di bottiglie di plastica spende 20-25 milioni di euro all’anno (ibidem).

Nel documento Acqua: da risorsa naturale a merce (pagine 128-131)