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Acquisto a non domino e beni cultural

II. a il bene deve presentare un chiaro legame con lo Stato (modello

3. Acquisto a non domino e beni cultural

In presenza di beni culturali, la tutela dell’acquirente in buona fede rischia di favorire il carattere grigio del mercato, agevolando – se non addirittura incentivando – il traffico illecito di beni culturali. Ciò risulta vero, innanzitutto, in considerazione della circostanza che le autorità giudiziarie nazionali tendono ad assimilare i beni culturali mobili ai generici beni mobili, applicando la relativa disciplina senza tenere conto della peculiarità di siffatti beni in sé e della loro circolazione. Come già osservato, infatti, tali beni non sono soliti rimanere nel territorio dello Stato di origine, ma vengono trasportati nei c.d. art market States432 o, comunque, in mercati le cui regole facilitano la circolazione dei relativi diritti. Si

430 Libro VII, Capitolo IV, Sezione I, VIII. – 4: 101:

“(1) An owner-possessor acquires ownership by continuous possession of goods:

(a) for a period of ten years, provided that the possessor, throughout the whole period, possesses in good faith; or

(b) for a period of thirty years.

(2) For the purposes of paragraph (1)(a):

(a) a person possesses in good faith if, and only if, the person pos- sesses in the belief of being the owner and is reasonably justified in that belief; and

(b) good faith of the possessor is presumed.

(3) Acquisition of ownership by continuous possession is excluded for a person who obtained possession by stealing the goods”.

431 Su tale qualificazione vd. supra Cap. I, § 6. 432 Vd. supra Cap. II, § 1.

comprendono facilmente, quindi, le criticità derivanti dall’applicazione ai beni culturali delle normali regole di circolazione433.

Nell’ambito della circolazione internazionale, la questione coinvolge anche l’ulteriore tematica della legge applicabile al trasferimento. Le norme di diritto internazionale privato statali, infatti, tendono ad applicare la legge del luogo in cui il bene si trova (c.d. lex rei sitae)434. Nel caso in cui un bene venga trasferito dal

territorio di uno Stato a quello di un altro, si determina un mutamento nel tempo della legge che regola il diritto sul bene: il c.d. conflitto mobile. In conseguenza del mutamento, il contenuto del diritto si adatta all’estensione riconosciutagli dalla legge dell’ordinamento di nuova ubicazione.

Particolarmente delicata è, inoltre, la questione sulla possibilità o meno che l’adattamento interessi anche l’attribuzione del diritto reale nell’ipotesi in cui la lex

rei sitae dello Stato di provenienza impedisca la sua costituzione, mentre si possa

produrre ai sensi della legge dell’ordinamento dove il bene è stato trasferito. Si pensi, ad esempio, all’applicabilità della regola “possesso vale titolo” di cui all’art. 1153 c.c. in caso di acquisto a non domino di un bene rubato e alienato in Spagna (nazione che esclude l’usucapibilità dei beni oggetto di furto), e in seguito trasferito in Italia.

433 In questo senso, ex plurimis, F. FIORENTINI, ‘Good Faith Purchase of Movables in the Art Market. Comparative observations’, in Pravni život, 11/2014, pagg. 249 ss.; S.F. GROVER, ‘The Need for Civil-Law Nations to Adopt Discovery Rules in Art Replevin Actions: A Comparative Study’, in Texas Law Review, 1992, vol. 70, pagg. 1431 ss.; A. KURJATKO, ‘Are Finders Keepers? The Need for a Uniform Law Governing the Rights of Original Owners and Good Faith Purchasers of Stolen Art’, in University of California Davis Journal of International Law and Policy, 1999, vol. 5, pagg. 59 ss.; J.A. MCCORD, ‘The Strategic Targeting of Diligence: A New Perspective on Stemming the Illicit Trade in Art’, in Indiana Law Journal, 1995, vol. 70, pagg. 985 ss.; J.H. MERRYMAN, ‘The Good Faith Acquisition of Stolen Art’, in Stanford Law School Research Paper, n. 1025515; A.A. MONTAGU, ‘Recent Cases on the Recovery of Stolen Art – The Tug of War Between Owners and Good Faith Purchasers Continues’, in Columbia-VLA Journal of Law & the Arts, 1993-4, vol. 18, pagg. 75 ss; S.G. ROSS, ‘Res Extra Commercium and the Barriers Faced When Seeking the Repatriation and Return of Potent Cultural Objects’, in American Indian Law Journal, 2016, vol. 4, pagg. 297 ss.; A. SCHWARTZ/R.E.SCOTT, ‘Rethinking the Laws of Good Faith Purchase’, in Columbia Law Review, 2011, vol. 111, pagg. 1332 ss.

434 Su origini ed evoluzione di tale regola vd. Z. CRESPI REGHIZZI, ‘Lex rei sitae e disciplina delle garanzie finanziarie nel diritto internazionale privato’, Giuffrè/Milano, 2007.

In siffatti casi, l’attribuzione si ritiene sottoposta alla legge di ubicazione del bene al momento dell’acquisto, mentre resta ferma la possibilità che nell’attuale Paese di situazione del bene sopravvengano nuovi fatti giuridici modificativi. Specularmente sarà da risolversi il caso opposto: costituzione di un diritto reale nell’ordinamento A e successivo trasferimento del bene all’ordinamento B dove, in base alla normativa dello Stato, il diritto non sarebbe potuto sorgere. In questa circostanza sarà salvo il diritto già sorto prima del trasferimento.

Il problema era emerso, ad esempio, nel caso Winkworth vs Christie, Manson

& Woods Ltd435 avente a oggetto alcune sculture tradizionali giapponesi rubate al

legittimo proprietario in Inghilterra e vendute, in seguito, a un acquirente di buona fede in Italia. Quest’ultimo, a distanza di anni, si rivolse alla sede londinese di Christie’s per vendere i beni all’asta. L’originario proprietario – riconosciute le statuette nel catalogo della casa d’aste – adì la corte inglese al fine di ottenere la restituzione dei beni. Dall’applicabilità del diritto inglese o italiano dipendeva la risoluzione in un senso o nell’altro della controversia. Infatti, mentre ai sensi del diritto inglese la proprietà dei beni rubati non poteva sorgere in capo all’acquirente, pur di buona fede, in base al noto principio del nemo plus iuris436, ai sensi del diritto

italiano il principio possesso vale titolo di cui al citato art. 1153 c.c. costituiva il diritto di proprietà dell’acquirente.

La corte inglese escluse la derogabilità della regola della lex rei siate sebbene sussistessero numerosi fattori di collegamento con il diritto inglese (luogo di residenza del proprietario originario, luogo di situazione dei beni al momento del furto, luogo di situazione dei beni al momento dell’instaurazione della causa),

435 Winkworth vs Christie, Manson & Woods Ltd [1980] Ch. 496, [1980] 1 All E.R. 1121. Per un commento della sentenza vd. L.NICOLAZZI/A.CHECHI/M.-A. RENOLD, ‘Affaire Collection japonaise de Netsuke – Winkworth c. Christie’s’, Plateforme ArThemis (http://unige.ch/art-adr), Centre du droit de l’art, Université de Genève; . D.W.ROWE,‘Stolen Property in the Conflict of Laws’, in Canterbury Law Review, 1980, vol. 1 pagg. 71 ss.

436 Il convenuto non aveva, infatti, opposto l’eccezione market overt all’epoca ancora in vigore nell’ordinamento inglese.

affermando che una tale deroga sarebbe risultata contraria alla certezza del diritto437.

Applicò pertanto la legge del luogo in cui bene si trovava al momento dell’acquisto e quindi – avendo il compratore acquistato il bene in Italia – il diritto italiano. Per l’effetto, venne rigettata la domanda di restituzione dell’originario proprietario nei confronti del compratore di buona fede, ritenuto il nuovo legittimo proprietario ai sensi dell’art. 1153 c.c.

La necessità di trovare un punto d’incontro in campo internazionale – nel tentativo di armonizzare le varie discipline nazionali tenendo conto delle specifiche esigenze dei beni culturali – è emersa in uno Studio preliminare del 1968 commissionato dall’UNESCO per valutare l’opportunità di creare una convenzione sulle misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà di beni culturali438. Tale studio ha in

seguito dato vita alla Convenzione UNESCO del 1970, la quale ha affrontato il tema dell’acquisto a non domino proprio in considerazione della sua stretta connessione con il prosperare del mercato illecito. Così – a fianco delle già ricordate innovative affermazioni del principio di restituzione dei beni illecitamente usciti dal territorio di uno Stato e dell’obbligo in capo agli Stati di attivarsi per facilitare la restituzione dei beni al legittimo proprietario – la Convenzione ha optato per una

437 “Intolerable uncertainty in the law would result if the court were to permit the introduction of a wholly fictional English situs, when applying the principle to any particular case, merely because the case happened to have a number of other English connecting factors”.

438 UNESCO, ‘Desirability of Drafting an International Convention Concerning the Means of Prohibiting and Preventing the Illicit Import, Export and Transfer of Ownership of Cultural Property’, Parigi, 22 agosto 1968, UNESCO Doc. 15 C/15, pag. 6.

In questo senso, UNIDROIT(a cura di), ‘The protection of Cultural Property. Study requested by UNESCO from UNIDROIT concerning the international protection of cultural property in the light in particular of the UNIDROIT draft Convention providing a Uniform Law on the Acquisition in Good Faith of Corporeal Movables of 1974 and of the UNESCO Convention of 1970 on the Means of Prohibiting and Preventing the Illicit Import, Export and Transfer of Ownership of Cultural Property (prepared by G.REICHELT)’, Roma, 1986, mette in risalto come sia necessario “cover the different aspects, with their contradictions, of cultural property which is, on the one hand, the protection of such property and of its original owner (including, in the broad sense, a people or a nation as its spiritual creator), and on the other the need to permit the maintenance of the necessity security and flexibility of the international art trade by recognizing the legal mechanism which are its guarantors”.

soluzione di compromesso sull’acquisto a non domino, garantendo la restituzione del bene, ma prendendo in considerazione al contempo l’esigenza di non lasciare l’acquirente sprovvisto di qualsivoglia tutela. Nello specifico l’articolo 7(b)(ii)439, da un lato, assicura il diritto alla restituzione del bene e, dall’altro, prevede la corresponsione di un indennizzo a favore dell’acquirente. Si rammenta che – nei termini già ricordati nel precedente paragrafo primo del presente capitolo – la portata della disposizione è, in ogni caso, limitata ai beni rubati da un museo, un monumento pubblico civile o religioso, o una istituzione similare, purché ne sia documentata la presenza negli inventari della specifica istituzione [cfr. art. 7(b)(i)].

La necessità di mediare fra istanze provenienti da ordinamenti giuridici differenti emerge dalle modifiche apportate in sede di stesura440.

La bozza della Convenzione, innanzitutto, non limitava la disciplina dell’acquisto alle sole limitate ipotesi di cui all’articolo 7(b)(ii) ma prevedeva una regolamentazione di carattere generale.

In principio, la versione iniziale presupponeva la buona fede dell’acquirente imponendo un gravoso onere della prova in capo all’attore al quale, in sede di azione di restituzione, era richiesto di provare la disonestà del possessore (dishonesty of the possessor) intesa come piena consapevolezza che il bene fosse stato perso, rubato (o illecitamente esportato)441. Non solo tale profilo è stato

439 “The States Parties to this Convention undertake […] at the request of the State Party of origin, to take appropriate steps to recover and return any such cultural property imported after the entry into force of this Convention in both States concerned, provided, however, that the requesting State shall pay just compensation to an innocent purchaser or to a person who has valid title to that property. Requests for recovery and return shall be made through diplomatic offices. The requesting Party shall furnish, at its expense, the documentation and other evidence necessary to establish its claim for recovery and return. The Parties shall impose no customs duties or other charges upon cultural property returned pursuant to this Article. All expenses incident to the return and delivery of the cultural property shall be borne by the requesting Party”.

440 Nel Report viene dato atto dell’importanza dello spirito conciliatorio (vd. § 25).

Sull’argomento vd. K.F.JOWERS, ‘International and National Legal Efforts to Protect Cultural Property: The 1970 UNESCO Convention, the United States, and Mexico’, cit.

441 Cfr. art. 10 del Preliminary Draft Convention Concerning the Means of Prohibiting and Preventing the Illicit Import, Export and Transfer of Ownership of Cultural Property (in: UNESCO, ‘Preliminary report prepared in compliance with Article 10.1 of the Rules of Procedure concerning Recommendations to Member States and International Conventions covered by the terms of Article IV, paragraph 4, of the Constitution’, Parigi 8 agosto 1969, UNESCO Doc. SHC/MD/J.).

completamente eliminato e difetta – come già accennato – qualsiasi indicazione in merito alla ripartizione dell’onere probatorio ma è stata modificata anche la scelta terminologica con riferimento al concetto di “buona fede”. Alla locuzione “bona

fide” si è preferito infatti il più neutro aggettivo “innocent”, peraltro non

accompagnato da alcuna precisazione in merito alle circostanze in presenza della quali l’acquirente possa definirsi tale. L’art. 7(b)(ii) si riferisce infatti a “an

innocent purchaser or […] a person who has valid title to that property”. In

dottrina, sono stati ritenuti tali, rispettivamente, colui che agisce in violazione di legge senza rendersi conto dell’esistenza di un vizio giuridico (acquirente di buona fede) e colui la cui titolarità sul bene risulta in base alle norme dello Stato dove il bene si trova in quanto, ad esempio, non più contestabile poiché l’azione nei suoi confronti si è prescritta442.

Sono state apportate modifiche anche rispetto alla quantificazione dell’indennizzo. Infatti, mentre la bozza lo faceva corrispondere al corrispettivo dell’acquisto (“fair compensation corresponding to the purchase price”), nella formulazione attuale l’unico riferimento è l’aggettivo “just” anteposto al termine “compensation”, che demanda così alle legislazioni nazionali di attuazione della Convenzione e alle singole corti l’onere di stabilire i criteri per la liquidazione della somma. In concreto ciò ha determinato naturalmente il proliferare di soluzioni non armonizzate. Così, ad esempio, è stato fatto notare443 che mentre il Canada ha chiarito che spetterà al tribunale stabilire l’equità del corrispettivo tenendo conto delle circostanze ma con la precisazione che esso non corrisponde al prezzo della vendita o al valore di mercato, la legge australiana non ha fornito alcun criterio guida. Diversamente, la legge federale svizzera444 ha invece stabilito la

442 R.FRAOUA, ‘Convention concernant les mesures à prendre pour interdire et empêcher l’importation, l’exportation et le transfert de propriété illicites des biens culturels (Paris, 1970) - Commentaire et aperçu de quelques mesures nationales d’exécution’, 1986, UNESCO Doc. CC- 86/WS/40, pag. 75

443 P.J.O’KEEFE, ‘Commentaire relatif à la Convention de l’Unesco de 1970 sur le trafic illicite des biens culturels’, cit., pag. 99.

444 Si tratta della legge federale svizzera sul trasferimento internazionale dei beni culturali del 20 giugno 2003 (c.d. LTBC) approvata in attuazione della Convenzione contestualmente alla legge di ratifica.

commisurazione rispetto “al prezzo d’acquisto e alle spese necessarie e utili alla

salvaguardia e al mantenimento”445.

È evidente che tali scelte compromissorie sminuiscono l’efficacia concreta della Convenzione in quanto lasciano spazio a particolarismi legislativi in contrasto con le finalità perseguite. Si pensi, in questo senso, all’ordinamento italiano che ammette l’acquisto a non domino di beni anche rubati e presume l’esistenza della buona fede (salvo prova contraria)446.

Peraltro è interessante notare che la prassi447, in conseguenza della natura diplomatica della procedura di restituzione ex art. 7(b)(ii), riflette una particolare sensibilità connessa alle relazioni politico-internazionali così che spesso gli Stati d’importazione prescindono dalla corresponsione dell’indennizzo nel restituire il bene illecitamente esportato allo Stato di origine. Alcuni Membri hanno fatto espressa riserva in tale senso. Gli Stati Uniti, ad esempio, ammettono la restituzione pur in assenza di indennizzo purché ciò avvenga in condizioni di reciprocità448.

445 Per un commento dell’articolo, vd. P. GABUS/M.-A. RENOLD, ‘Commentaire LTBC’, Zurigo, 2006, sub art. 9, pagg. 109 ss.

446 F.SQUILLANTE, ‘La tutela dell’acquirente a non domino di beni culturali rubati secondo la Convenzione UNIDROIT ed il disegno di legge per l’esecuzione della Convenzione’, in Rivista di diritto internazionale, 1999, pagg. 121 ss. A tal fine, infatti, bisognerebbe dissuadere gli acquirenti dal comprare beni dei quali non si abbia la certezza della liceità della provenienza. Per fare ciò, bisognerebbe accogliere “il principio per cui l’acquisto di beni culturali rubati, ancorché compiuto in buona fede, comporti il serio rischio di doverli restituire senza ricevere alcun indennizzo (a meno che il possessore dei beni non riesca a provare di aver realmente prestato ogni cautela al momento dell’acquisto)”.

447 UNESCO, ‘Operational Guidelines for the Implementation of the Convention on the Means of Prohibiting and Preventing the Illicit Import, Export and Transfer of Ownership of Cultural Property (UNESCO, Paris, 1970)’, cit., § 93.

448 “The United States is further prepared to take the additional steps contemplated by Article 7(b) (ii) for the return of covered stolen cultural property without payment of compensation, except to the extent required by the Constitution of the United States, for those states parties that agree to do the same for the United States institutions”.

Al contempo ci sono però anche casi di ritardi prolungati nella restituzione addirittura quando non è sorta alcuna questione proprietaria come accade quando i beni vengono ritrovati prima che i ladri riescano a rivenderli. Si pensi alla recente disavventura delle 17 tele rubate dal Museo di Castelvecchio di Verona il 19 novembre 2015, ritrovate in Ucraina il 6 maggio 2016 e restituite 7 mesi dopo. A. PASQUALETTO, ‘L’intrigo internazionale dei quadri rubati a Verona’, in Corriere della Sera, 20 novembre 2016, reperibile alla pagina web: <http://www.corriere.it/cronache /16_novembre_21/intrigo-internazionale-verona-quadri-rubati-kiev-ucraina-castelvecchio-bcf911b

I limiti della Convenzione sono emersi chiaramente nello storico caso Governo

di Francia vs Pilone e Ministero dei beni culturali449 riguardante due arazzi appartenenti al patrimonio dello Stato francese, donati da Luigi XIV al Tribunale di Avergna e trafugati nel 1975 dal Palazzo di Giustizia di Riom (Francia). Gli arazzi erano stati acquistati da un antiquario italiano in Italia e in seguito da questi rivenduti a terzi, sempre in Italia. Accanto al procedimento penale a carico dell’antiquario per incauto acquisto (conclusosi con il proscioglimento), lo Stato francese, nel 1983, si rivolse al giudice civile italiano per ottenere la restituzione degli arazzi.

Il Tribunale di Roma ritenne che il tenore della Convenzione del 1970 fosse tale da far considerare le sue disposizioni di natura meramente programmatica, insuscettibili quindi di immediata applicazione. Di conseguenza – tramite le norme italiane di diritto internazionale privato (ovvero l’art. 22 delle Preleggi, all’epoca in vigore) – applicò in via esclusiva la lex rei sitae e, in particolare, la regola del possesso vale titolo di cui all’articolo 1153 c.c., prescindendo totalmente dalla circostanza che i beni in questione fossero qualificati come demaniali ai sensi della legge francese. Infatti non vennero riconosciute le norme di diritto pubblico francesi né vennero considerati applicabili i vincoli di indisponibilità previsti dalla normativa italiana (artt. 826 e 828 c.c. nonché art. 23, l. n. 1039/1939) sul presupposto che “le disposizioni qualificative e percettive di una norma interna ineriscono essenzialmente a categorie giuridiche riconosciute come proprie da quello stesso ordinamento, non necessariamente a quelle tipiche di un ordinamento straniero”450. Conseguentemente il Tribunale affermò che il riferimento contenuto nella normativa interna al patrimonio indisponibile dello Stato, delle Province e dei Comuni doveva intendersi con esclusivo riferimento all’ordinamento italiano. Ciò anche in considerazione dell’utilizzo di qualificazioni di enti pubblici territoriali

6-af5d-11e6-8815-37f3520714e8.shtml>; A. CORAZZA, ‘I quadri di Castelvecchio. Il caso del milione all’Ucraina’, in Corriere del Veneto, 27 dicembre 2016, reperibile alla pagina web: <http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2016/27-dicembre-2016/quadri- castelvecchio-caso-milione-all-ucraina-2401157249760.shtml>.

449 Tribunale di Roma 27 giugno 1987; Corte d’Appello di Roma sent. 2107/1992; Cass. Civ. Sez. I, sent.12166/1995, in Foro Italiano, 1996, vol. 119, fasc. 3, pagg. 907 ss. (con nota di S. BENINI).

interni e dell’assenza di norme che prendessero in considerazione beni culturali provenienti da Stati terzi; tale assenza già di per sé dimostrava che la citata normativa interna era finalizzata esclusivamente alla salvaguardia del patrimonio artistico nazionale italiano.

La Corte d’Appello confermò la sostanza della decisione del giudice di prima istanza, sulla base tuttavia di una diversa motivazione. Nello specifico, dopo aver affermato la necessità di integrare la normativa italiana con gli obblighi assunti dall’Italia con la Convenzione del 1970, la corte individuò due distinti profili: da un lato, l’illiceità della compravendita per contrasto con l’articolo 3 (che considera “illeciti l’importazione, l’esportazione e il trasferimento di proprietà di beni

culturali effettuati in contrasto con le disposizioni adottate dagli Stati Membri”) e

con l’articolo 7(a) (che contempla i “beni esportati illecitamente dopo l’entrata in

vigore della Convenzione”); dall’altro, l’obbligo restitutorio ex articolo 7(b).