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La restituzione dei beni culturali e i suoi limit

II. a il bene deve presentare un chiaro legame con lo Stato (modello

1. La restituzione dei beni culturali e i suoi limit

La restituzione dei beni culturali è vicenda complessa che si pone al crocevia di un articolato fascio di interessi. Essa si riconnette a differenti questioni giuridiche che attengono a molteplici campi del diritto (quali, ad esempio, il già esaminato riconoscimento del diritto straniero da parte delle corti chiamate a giudicare una determinata controversia; il rapporto con il diritto internazionale umanitario311; l’emergere del diritto dell’eredità culturale quale diritto autonomo ed indipendente312) coinvolgendo, al contempo, anche profili socio-culturali, oltre che aspetti legati alla diplomazia internazionale.

Con il termine “restituzione” si fa riferimento a una serie eterogenea di situazioni che vedono quale meta finale il trasferimento materiale di un bene culturale accompagnato generalmente – ma non necessariamente – dall’attribuzione (rectius dal riconoscimento) del diritto di proprietà sullo stesso.

Mentre il vocabolo utilizzato nella lingua italiana è, appunto, pressoché esclusivamente quello di “restituzione”, nella lingua inglese si utilizzano termini diversi, ciascuno caratterizzato da distinte sfumature di significato. Ci si riferisce, così, a seconda dei casi a restitution, recovery, return, repatriation, retrieval,

recuperation313.

Il termine restitution è strettamente connesso all’accertamento di responsabilità. Pertanto viene utilizzato per riferirsi alla richiesta di ricostituzione dello status quo ante, che si rende necessaria per porre rimedio a una perdita di

311 Definito dalla Commissione Internazionale della Croce Rossa come “a set of rules which seek, for humanitarian reasons, to limit the effects of armed conflict. It protects persons who are not or are no longer participating in the hostilities and restricts the means and methods of warfare. International humanitarian law is also known as the law of war or the law of armed conflict”. Documento reperibile al sito web: ‹http://www.icrc.org/eng/assets/files/other/what_is_ihl.pdf›.

312 Su tali aspetti vd. A.F.VRDOLJAK, ‘History and Evolution of International Cultural Heritage Law: through the question of the removal and return of cultural objects’, in: Proceedings of the Expert Meeting and First Extraordinary Session of the Intergovernmental Committee for Promoting the Return of Cultural Property to Its Countries of Origin or Its Restitution in Case of Illicit Appropriation, Seoul, 25 to 28 November 2008, reperibile alla pagina web: <https://ssrn.com/abstract=1336359>, pagg. 4 e ss.

313 Vd. I.A. STAMATOUDI, ‘Cultural Property Law and Restitution – A Commentary to International Conventions and European Union Law’, cit., pagg. 14 ss.

possesso di un bene determinatasi in conseguenza di un atto illecito314. In questo senso, è impiegato anche nell’ambito delle azioni volte alla restituzione di beni sottratti in seguito a conflitti armati.

In tale ambito, si distingue dal diverso concetto di repatriation. Si noti che tale concetto, in un’accezione generale, si differenzia nettamente dal concetto di

restitution, poiché non comporta la riconsegna materiale di un bene ma costituisce

invece una mera forma risarcitoria, destinata a operare laddove sia impossibile la riconsegna materiale315. Invece, con riferimento specifico ai beni culturali,

repatriation – così come gli analoghi recovery, retrieval e recuperation – viene

usato per riferirsi all’intero processo di restituzione materiale del bene, comprensivo delle fasi precedenti di identificazione e localizzazione dello stesso. Esso prescinde, inoltre, dal verificarsi di un fatto illecito, e non costituisce dunque una forma di tutela a vantaggio della vittima dell’illecito, ma piuttosto un rimedio di carattere oggettivo che opera sul presupposto del riconoscimento di un legame fra il bene culturale e il suo Stato d’origine o il gruppo etnico della cui cultura costituisce espressione316.

Infine, l’espressione return si ritiene generalmente corrispondere a un concetto neutro che affronta il tema restitutorio da una differente angolazione. La sua operatività si connette, infatti, non solo al riconoscimento di presupposti giuridici ma anche al riscontro della sussistenza di ragioni prettamente etiche317.

La distinzione netta tra restitution e return si deve alla XX Assemblea Generale dell’UNESCO del 1978, che l’ha codificata nello statuto della

Intergovernmental Committee for Promoting the Return of Cultural Property to its Countries of Origin or its Restitution in case of Illicit Appropriation (c.d. ICPRCP),

da cui poi è stata trasfusa nelle stesse Guidelines for the Use of the “Standard Form

314 Per un’analisi approfondita del concetto a partire dalla rei vendicatio romana fino all’epoca contemporanea, vd. W.W. KOWALSKI, ‘Restitution of Works of Art Pursuant to Private and Public International Law’, Brill/Leiden, 2001, pagg. 24 ss.

315 Vd. I.A. STAMATOUDI, ‘Cultural Property Law and Restitution – A Commentary to International Conventions and European Union Law’, cit., pag. 15.

316 In questo senso, vd. W.W. KOWALSKI, ‘Restitution of Works of Art Pursuant to Private and Public International Law’, cit., pagg. 75 ss.

317 W.W. KOWALSKI, ‘Restitution of Works of Art Pursuant to Private and Public International Law’, cit., pagg. 92 ss.

concerning Request for Return or Restitution”. In tale sede, in particolare, si

distingue tra i due concetti a seconda che l’appropriazione del bene sia stata di per sé illecita (e in tal caso la riconsegna viene qualificata come restitution) ovvero l’uscita dal territorio dello Stato d’origine sia avvenuta prima della cristallizzazione di uno specifico divieto a opera di regole nazionali o internazionali e, quindi, in un momento in cui essa risultava non contrastante con la legge regolatrice del trasferimento (in tal caso la riconsegna viene qualificata come return)318. In questo senso, si pensi alla delicata questione dei beni culturali esportati/trafugati in epoca coloniale.

L’operatività di rimedi distinti – che operano sulla base di presupposti diversi – mostra con chiarezza come le richieste restitutorie possano seguire percorsi differenti. Tra di essi, la domanda giudiziale rappresenta solo una delle alternative possibili319.

Limitandosi ai principali strumenti attraverso cui la comunità internazionale ha disciplinato la materia, un ruolo primario è svolto dalla Convenzione UNESCO del 1970 e dalla Convenzione UNIDROIT del 1995. Il loro esame consente di comprendere appieno alcuni dei profili di maggior problematicità che coinvolgono la circolazione dei beni culturali nella sua fase patologica.

318 INTERGOVERNMENTAL COMMITTEE FOR PROMOTING THE RETURN OF CULTURAL PROPERTY TO ITS COUNTRIES OF ORIGIN OR ITS RESTITUTION IN CASE OF ILLICIT APPROPRIATION, ‘Guidelines for the Use of the «Standard Form concerning Request for Return or Restitution»’, 30 aprile 1986, CC-86/WS/3, pag. 11 (sub A.9).

319 Un ruolo di primaria importanza nell’ambito delle dispute in materia è rivestito dai metodi alternativi di risoluzione delle controversie. Sull’argomento vd., ex plurimis, M.CORNU/M.-A. RENOLD, ‘New Developments in the Restitution of Cultural Property: Alternative Means of Dispute Settlement’, in International Journal of Cultural Property, 2010, vol. 17, fasc. 1, pagg. 1 ss.; M.-A. RENOLD,‘Arbitration and Mediation as Alternative Resolution Mechanisms in Disputes Relating to the Restitution of Cultural Property’, in: J. Anderson (a cura di), Crossing cultures: conflict, migration and convergence. The proceedings of the 32. International Congress in the History of Art, Melbourne University Press/Melbourne, 2009, pagg. 1104 ss.; M. SHEHADE/K. FOUSEKI/K.W. TUBB, ‘Alternative Dispute Resolution in Cultural Property Disputes: Merging Theory and Practice’, in International Journal of Cultural Property, 2016, vol. 23, fasc. 4, pagg. 343 ss. S. THEURICH, ‘Alternative Dispute Resolution in Art and Cultural Heritage – Explored in the Contest of the World Intellectual Property Organization’s Work’, in: K.ODENDAHL/P.J.WEBER (a cura di), Kulturgüterschutz - Kunstrecht - Kulturrecht: Festschrift für Kurt Siehr zum 75. Geburtstag aus dem Kreise des Doktoranden- und Habilitandenseminars "Kunst und Recht", Nomos/Baden-Baden, 2010, vol. 8, pagg. 569 ss.

È stato proprio in sede di stesura della Convenzione UNESCO del 1970 che si è scelto, per la prima volta in ambito internazionale, di enunciare espressamente il principio di restituzione dei beni illecitamente usciti dal territorio di uno Stato.

Due sono gli articoli che si occupano specificamente dell’argomento: l’articolo 7 e l’articolo 13.

In particolare, l’articolo 7 – di cui si è parlerà nuovamente in seguito con riferimento alla disciplina dell’acquisto a non domino320 – regola la restituzione dei

beni culturali rubati inclusi negli inventari di musei, monumenti pubblici civili o religiosi, o istituzioni similari; l’articolo 13, invece, contiene previsioni relative sia alla restituzione dei beni illecitamente esportati (lettera b) che di quelli rubati o smarriti (lettera c).

Più analiticamente – iniziando dalla seconda disposizione indicata – si osserva che l’articolo 13 sembrerebbe imporre un obbligo di carattere generale in capo agli Stati affinché: a. prendano le misure appropriate per prevenire il trasferimento di proprietà di beni culturali che potrebbero favorire il traffico illecito degli stessi; b. si attivino per facilitare e velocizzare la restituzione del bene illecitamente esportato; c. ammettano l’azione di restituzione per beni perduti o rubati da parte del legittimo proprietario o in nome di questi; d. riconoscano la dichiarazione di inalienabilità fatta dallo Stato d’origine, facilitando il recupero di bene esportati in violazione321.

Si è detto sembrerebbe, in quanto la portata della disposizione risulta grandemente svuotata di significato per effetto della precisazione in essa contenuta secondo cui gli Stati assumono gli impegni indicati nel quadro delle rispettive legislazioni nazionali (consistent with the laws of each State). Sulla base di tale inciso si è ritenuto che non vi sia un vero obbligo in capo agli Stati di modificare la

320 Vd. infra, § 3.

321 Quest’ultima lettera risulta raramente invocata nella prassi. In tal senso, M.-A.RENOLD, ‘The International Protection of Archaeological Heritage: Questions of Private International Law and of Legal Harmonization’, reperibile al sito web: ‹http://biblio.juridicas.unam.mx/libros/7/ 3457/18.pdf›, pag. 301.

propria legislazione interna e che, quindi, la Convenzione non svolga in realtà – sotto questo profilo – alcuna funzione uniformante322.

A partire da tale interpretazione – si è affermato – sarebbero quindi da leggersi quindi tutte le previsioni dell’articolo 13.

Per quanto riguarda la lettera b, essa impone allo Stato dove si trova il bene illecitamente esportato di collaborare per agevolare la restituzione dello stesso nel più breve tempo possibile in conformità con l’ordinamento dello Stato richiesto. Non si fa riferimento ad azioni giudiziarie ma l’agevolazione appare da intendersi in senso ampio come collaborazione per il raggiungimento dello scopo “restituzione”.

La versione inglese e quella francese sembrano differire sul soggetto cui il bene andrebbe consegnato. La prima afferma che la restituzione deve avvenire to its

rightful owner (stesso termine usato al punto c in rapporto all’azione giudiziaria),

la seconda, à qui de droit senza riferimento diretto al proprietario (a differenza, in questo caso, della scelta linguistica operata nella lettera c in cui si parla di

propriétaire légitime).

Si ritiene che la precisazione sia da collegarsi a quanto stabilito nella successiva lettera d, relativa al riconoscimento (operato prevalentemente dai sistemi giuridici di civil law) dell’inalienabilità dei beni culturali di proprietà pubblica323. Si tratta delle ipotesi in cui si sia verificata una fattispecie astrattamente costitutiva di un diritto di proprietà sul bene successivamente alla sua esportazione ma tale diritto debba cedere di fronte al riconoscimento di un diritto imprescrittibile di proprietà statale preesistente, che comporta l’incommerciabilità del bene324.

322 Sul punto, vd. P.M. BATOR, ‘An Essay on the International Trade in Art’, cit., pag. 378; P.J.O’KEEFE, ‘Commentary on the 1970 Unesco Convention’, cit., sub art. 13, pag. 85.

323 Vd. P.J.O’KEEFE, ‘Commentary on the 1970 Unesco Convention’, cit., sub art. 13, pagg. 86 ss. Sul punto, P.J.O’KEEFE, ‘Commentaire relatif à la Convention de l’Unesco de 1970 sur le trafic illicite des biens culturels’, cit., sub art. 13, pag. 130, sottolinea come questo sistema “n’est pas immédiatement compréhensible pour les juristes d’un pays comme les États-Unis, où très peu de biens culturels appartiennent à l’État”.

324 A. LANCIOTTI, ‘La circolazione dei beni culturali nel diritto internazionale privato e comunitario’, cit., pag. 72, ritiene che l’impegno a facilitare la restituzione si riferirebbe quindi esclusivamente ai soli beni culturali illecitamente esportati dichiarati inalienabili dallo Stato d’origine qualora sia stata esperita un’azione di rivendica. Rispetto agli altri beni culturali, sugli Stati Membri graverebbe il solo obbligo di consentire l’esercizio dell’azione di rivendica.

Tuttavia, se tale era effettivamente l’intento non si comprende perché inserire siffatto profilo nella lettera b dell’articolo 13 (che riguarda, appunto, la violazione delle regole sull’esportazione) e non, invece, tra quelle relative specificamente al furto o alla perdita del bene. Sembra infatti difficile immaginare che un bene, oggetto di un diritto inalienabile di proprietà statale, possa essere esportato illecitamente senza che lo Stato (proprietario dell’oggetto) abbia subito un furto o abbia comunque perso il bene.

Una conferma in tal senso pare trovarsi nei lavori preparatori della Convenzione dai quali si evince come le misure restitutorie cui si riferisce la lettera

d non siano tanto quelle della lettera b ma, invece, le azioni giudiziarie di cui alla

lettera c325.

Esaminando la versione francese del testo, si potrebbe ritenere che la decisione di non riferirsi espressamente al proprietario derivi proprio dalla circostanza che la lettera b attiene non necessariamente a ipotesi di esportazione illecita avvenuta a seguito di furto o appropriazione illecita ma a casi di mera esportazione illecita (ovverosia quando il bene è stato illecitamente esportato per volontà dello stesso proprietario). Ne risulta, dunque, che mentre la lettera c è volta a tutelare in primo luogo il proprietario spogliato del bene, la lettera b, invece, è destinata a operare a favore dello Stato d’origine, privato di un bene appartenente al proprio patrimonio nazionale, ma al di fuori di un rapporto dominicale dello Stato con il bene medesimo.

Tale interpretazione sembrerebbe a tutta prima mal conciliarsi con il testo di lingua inglese ma – come già notato in precedenza326 – in caso di esportazione illecita con il consenso del proprietario, vi sono ordinamenti che prescrivono come sanzione la confisca del bene e, quindi, la costituzione ex lege di un diritto di

325 Nel ‘Report of the Special Committee of Governmental Experts to Examine the Draft Convention on the Means of Prohibiting and Preventing the Illicit Import, Export and Transfer of Ownership of Cultural Property – Unesco House, 13-24 April 1970’, in: UNESCO, Draft Convention on the Means of Prohibiting and Preventing the Illicit Import, Export and Trasfer of Ownership of Cultural Property, allegato II, 16 C/17,13 luglio 1970, pag. 6, si riferisce che una delegazione ha ritirato un emendamento presentato al testo oggi è stato trasfuso nella lettera d “on the understanding stated by the Chairman that the means of recovery of cultural property under sub- paragraph (e) [i.e. l’attuale lettera d] are the judicial actions referred to in sub-paragraph (c)”.

proprietà pubblica su di esso. Così, il francese “à qui de droit” indicherebbe in maniera più precisa ciò che potrebbe comunque rientrare anche nell’inglese “rightful owner”, e dunque che il bene possa dover essere consegnato non già al proprietario (privato) originario, ma all’autorità pubblica che ha acquisito la proprietà in conseguenza della violazione delle norme in materia di esportazione.

Quanto alla lettera c dell’art. 13, si è affermato che da essa non deriverebbe alcun obbligo in capo agli Stati Membri di istituire nel proprio ordinamento un’azione di restituzione ad hoc dei beni culturali rubati o perduti, poiché – come anticipato – l’inciso “consistent with the laws of each State” la priverebbe di valore precettivo327.

Tuttavia, per comprendere esattamente la portata di tale disposizione è necessario confrontare il testo definitivamente approvato con quello originariamente ipotizzato.

L’articolo 10 della bozza di Convenzione recitava:

“The States Parties to this Convention also undertake: […]

(c) to admit actions for recovery of property against those possessing a lost, stolen or illicitly imported item of cultural property, on the understanding that the action may be

brought by the owner of the cultural property in question, his authorized agent or the State of which he is a national; 


(i) the claimant for the recovery of such cultural property must prove the dishonesty of the possessor i.e. must establish that the latter has acquired the property in the full knowledge that it was lost, stolen or illicitly imported;

(ii) such action shall be barred by prescription 30 years from the date on which the cultural property was stolen, lost or illicitly imported; […]” 


L’odierno articolo 13, dispone invece:

“The States Parties to this Convention also undertake, consistent with the laws of each State: […]

(c) to admit actions for recovery of lost or stolen items of cultural property brought by or on behalf of the rightful owners; […]”

327 P.J.O’KEEFE, ‘Commentaire relatif à la Convention de l’Unesco de 1970 sur le trafic illicite des biens culturels’, cit., sub art. 13, pag. 128.

Dalla lettura degli Atti che hanno portato all’adozione del testo odierno si legge come, fra i numerosi emendamenti di cui è stato oggetto l’articolo, la suddetta modifica abbia introdotto una versione “more condensed” del testo328.

Dal confronto, emerge chiaramente che la versione attuale ha un perimetro applicativo più ristretto. La bozza di Convenzione, infatti, appariva di per sé in grado di fondare il diritto a un’azione giudiziale restitutoria in capo al proprietario, al suo rappresentante autorizzato o allo Stato d’origine. Nella versione approvata, invece, è escluso un analogo effetto uniformante sul piano probatorio o su quello della prescrizione. Al loro posto, è apparso il riferimento al quadro delle legislazioni nazionali.

Il rimando alle legislazioni nazionali verrebbe così a colmare le lacune di disciplina, sicuramente con riguardo a onere della prova e prescrizione, ma è da ritenersi anche con riferimento a ogni altro profilo non direttamente disciplinato dalla Convenzione.

Nel contesto esposto, l’inciso “consistent with the laws of each State” non andrebbe dunque a sovrapporsi – limitandolo – con l’obbligo previsto a carico degli Stato, ma concorrerebbe a definire il quadro delle condizioni sulla base delle quali ciascuno Stato potrebbe legittimamente conformare l’azione di restituzione. Sotto tale profilo, l’articolo andrebbe inteso nel senso che – a condizione che sia garantita l’esperibilità dell’azione – gli Stati possono disciplinare le modalità di esercizio in conformità alle previsioni dei rispettivi ordinamenti e, dunque, declinandolo nel rispetto degli istituti – sostanziali e processuali – e dei principi che informano ciascun sistema giuridico nazionale.

Il residuo significato garantito all’articolo, nonostante il riferimento certamente limitante alla legislazione nazionale è, dunque, quello che l’azione di restituzione che gli Stati Membri s’impegnano comunque a garantire ex art. 13, lett.

c debba effettuarsi conformemente alla legge nazionale. Pertanto nel caso (peraltro

remoto) in cui non fosse prevista nessun tipo d’azione a favore del proprietario, lo

328 Vd. ‘Report of the Special Committee of Governmental Experts to Examine the Draft Convention on the Means of Prohibiting and Preventing the Illicit Import, Export and Trasfer of Ownership of Cultural Property – Unesco House, 13-24 April 1970’, pag. 6

Stato sarebbe tenuto a inserirla ex novo nel proprio ordinamento, dove esistente – invece – essa sarà regolata dalla lex fori.

Tale opzione interpretativa appare rispettosa dell’art. 31 del Trattato di Vienna sul diritto dei trattati in quanto, non solo è conforme allo scopo originario portato avanti dall’UNESCO329 – ponendosi comunque sempre nell’ottica di limitare gli obblighi previsti dagli Stati al fine di favorire la maggior diffusione possibile della Convenzione – ma soprattutto risulta conforme alla pratica successiva e, in particolare, alle Linee Guida Operative della Convenzione330.

Tuttavia si noti che così facendo – atteso che appare difficile immaginare l’esistenza di un ordinamento che non preveda in astratto la tutela delle posizioni proprietarie – il dettato sembra in definitiva affermare solamente che gli Stati Membri dovrebbero impegnarsi per garantire al legittimo proprietario il diritto di adire in giudizio il possessore del bene laddove tale diritto gli sia già riconosciuto ai sensi dell’ordinamento nazionale del foro. Il rischio è pertanto quello di una vera e propria interpretatio abrogans della norma.

Salvo voler rinunciare all’attribuire significato alcuno alla disposizione, si potrebbe cercare un significato in due possibili direzioni.

L’una (estrema) è quella di considerarla come norma di valore processuale in grado di fondare un’azione alla quale non potranno essere opposte eccezioni di rito ma solo di merito. Si tratta di una soluzione difficilmente sostenibile. Un’azione così fondata risulterebbe non “consistent with the laws of the State”.

L’altra (maggiormente condivisibile), consisterebbe nell’attribuire al riferimento al “quadro delle legislazioni nazionali” un valore positivo: quello di

329 In questo senso, nella Recommandation concernant les mesures à prendre pour interdire

et empêcher l’exportation, l’importation et le transfert de propriété illicites de biens culturels (in: UNESCO, Ates de la Conférence Générale – Treizième session. Résolutions’, Parigi, 1964,