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L’individuazione degli interessi protetti che informano la normativa di settore

La rete in cui si realizza lo scambio di beni culturali coinvolge una pluralità di soggetti pubblici o privati, alcuni dei quali intervengono in veste istituzionale, altri operano a livello professionale qualificato mentre, altri ancora, risultano portatori a vario titolo di meri interessi privati.

Tralasciando le figure propriamente criminali (primi fra tutti, i c.d. tombaroli), il panorama include artisti, collezionisti, mercanti e case d’asta, curatori di mostre, istituzioni culturali e museali private e pubbliche, autorità nazionali dei singoli Stati, organismi internazionali nonché studiosi dei beni in quanto tali (archeologi, etnologi, storici dell’arte, paleontologi, e simili) o in quanto oggetti da autenticare e a cui attribuire un valore di mercato (stimatori).

Si tratta, come è evidente, di una pluralità estremamente differenziata di protagonisti, ai quali fa capo un’altrettanta disparata pluralità di interessi, ciascuno dei quali cerca di ottenere il proprio riconoscimento e tutela all’interno dei singoli ordinamenti, influenzando così a vario titolo e con diverse fortune le normative di

152 In merito alla cultura del “don’t ask, don’t tell”, vd. ad esempio S. MACKENZIE,‘The Market as Criminal and Criminals in the Market: Reducing Opportunities for Organised Crime in the International Antiquities Market’, in: S. Manacorda/D. Chappell (a cura di), Crime in the Art and Antiquities World – Illegal Trafficking in Cultural Property, cit., pag. 74.

settore.

Da un punto di vista sistematico, tali interessi possono essere per semplicità suddivisi – tenendo conto della loro portata – in globali, nazionali e particolari.

Sono interessi globali quelli che non fanno capo a una specifica categoria di persone aventi un legame particolare con il bene (perché vantano dei diritti sullo stesso o perché l’oggetto risulta essere legato alla loro specifica identità culturale), ma che sono invece ascrivibili alla popolazione mondiale nel suo complesso. L’idea del nesso tra beni culturali e intera umanità ha portato alla nascita del concetto di

patrimonio comune dell’umanità, alla base della c.d. World Heritage Convention.

In questa categoria possiamo quindi far rientrare la fruizione del bene da parte dei singoli, intesa come fine pubblico alla conoscenza della sua esistenza e al godimento del suo valore culturale.

La nascita in senso moderno di tale interesse sarebbe riconducibile alla già tratteggiata sensibilità, nata nel Rinascimento e sviluppatasi nell’Illuminismo, che ha portato allo sviluppo di nuovi progetti di riforma culturale, ivi inclusa la nascita del museo moderno153. In questo senso è da leggere il solenne impegno assunto da Antonio Canova – in qualità di inviato papale in Francia nel 1815 al fine di ottenere la restituzione delle opere d’arte saccheggiate da Napoleone allo Stato Pontificio – di garantire la pubblica esposizione dei dipinti “perché rimaner debbano esposti allo studio e comodo della gioventù d’ogni nazione che recasi a Roma ad apprendere le arti del disegno e distribuiti parte nel Museo Vaticano, e parte in quello del Campidoglio”.154

La fruizione collettiva della cultura, in generale, e dei beni culturali, in particolare, si connette inoltre alla possibilità che siffatti beni possano circolare a beneficio delle istituzioni culturali mondiali. In questo ambito si pongono, ad esempio, le discusse norme emanate all’espresso proposito di evitare che – mentre

153 Cfr. supra Cap. I, § 2.

154 Lettera di Canova al Cardinal Ercole Consalvi, 2 ottobre 1815. Sull’argomento, vd. I. SGARBOZZA, ‘Alle origini della Pinacoteca Vaticana – Il dibattito sulla musealizzazione dei dipinti restituiti allo Stato Pontificio dal Musée Napoléon’, in Bollettino dei monumenti musei e gallerie pontificie, 2006, vol. 25, pagg. 291 ss.; M. POMPONI, ‘Nuove evidenze sulla missione di Canova a Parigi’, in Rendiconti della Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche – Accademia dei Lincei, 1994, serie IX, vol. 5, pagg. 739 ss.; E. JAYME, ‘Globalization in Art Law: Clash of Interests and International Tendencies’, in Vanderbilt Journal of Transnational Law, 2005, vol. 38, pagg. 929 ss.

si trovano in prestito all’estero per una esposizione – le opere possano essere sottoposte a sequestro o a un similare provvedimento cautelare che ne limiti la materiale disponibilità e ne comprometta la restituzione (c.d. anti-seizure

statutes)155. Proprio nel timore di perdere tasselli della propria collezione uno dei più importanti musei al mondo – l’Hermitage – ha minacciato di interrompere il prestito internazionale di opere verso nazioni che non ne garantissero l’immunità da qualsiasi forma di sequestro156.

Un interesse che ispira in linea generale la legislazione in materia di circolazione di beni è ravvisabile anche nella stabilità e certezza delle situazioni giuridiche, la cui assenza, come noto, compromette la libera circolazione dei beni. Con riguardo ai beni culturali, tale questione si pone sia a livello interstatale (si pensi al noto contrasto tra Grecia e Gran Bretagna sulla restituzione dei fregi del Partenone) che a livello di rapporti tra privati. È con riferimento a tale ambito che si pongono le norme sui limiti temporali posti all’esperibilità delle azioni di restituzione.

155 Vd. M. WELLER, ‘The Safeguarding of Foreign Cultural Objects on Loan in Germany’, in

Aedon, 2009, fasc. 2, reperibile alla pagina web: <http://www.aedon.mulino.it/archivio/2009/2/weller.htm>; A. O’CONNELL, ‘The United Kingdom’s Immunity from Seizure Legislation’, in LSE Law, Society and Economy Working Papers, 2008, vol. 20, reperibile alla pagina web: <http://www.lse.ac.uk/law/working-paper- series/2007-08/WPS2008-20-OConnell.pdf>; C.A. GOLDSTEIN, ‘Protection of Cultural Objects on Loan – The Israeli Perspective’, reperibile alla pagina web: <http://www.commartrecovery.org/docs/THE_ISRAELI_PERSPECTIVE_AUGUST_2008.pdf>; A. FLYNN, ‘Lending Loot: The Cost of Cultural Exchange Under the Immunity From Seizure Act’, in Hofstra Law Review, 2016, vol. 44, fasc. 4, pagg. 1287 ss.; L.M. KAYE, ‘Art Loans and Immunity from Seizure in the United States and the United Kingdom’, in International Journal of Cultural Property, 2010, vol. 17, fasc. 2, pagg. 335 ss.; T. TAMPIERI, ‘La vendita di opera d’arte – Fra tutela e mercato’, CLUEB/Bologna, 2006, pagg. 22 ss.; N. VAN WOUDENBERG, ‘Immunity form seizure: a legal exploration’, in: S. Pattersson/M. Hagedorn-Saupe/T. Jyrkkiö/A. Weij, Encouraging Collections Mobility – A Way Forward for Museums in Europe, Finnish National Gallery/Helsinki, 2000, pagg. 184 ss.; N. VAN WOUDENBERG, ‘State Immunity and Cultural Objects on Loan’, Martinus Nijhoff/Leiden, 2012; R.M. ZERBE, ‘Immunity from Seizure for Artworks on Loan to United States Museums’, in Northwestern Journal of International Law & Business, 1985, vol. 6, fasc. 4, pagg. 1121 ss.

156 M. HONIGSBAUM, ‘One man’s multimillion-dollar legal battle threatens chaos in art world – Hermitage museum may be forced to halt loans of treasures’, in The Guardian, 29 novembre 2005, reperibile alla pagina web: <https://www.theguardian.com/uk/2005/nov/29/arts.artsnews>.

Gli interessi nazionali, invece, sono legati in maniera preponderante al controllo della circolazione e alla connessa possibilità di limitarla.

La volontà politica e sociale di prevedere controlli sulle esportazioni è solitamente collegata alla rivendicazione di un legame speciale tra singolo Stato e specifico bene culturale, basato su diversi fattori che non sono necessariamente solo quelli di realizzazione o rinvenimento del bene nel territorio di detto Paese. È possibile infatti riscontrare istanze diverse, fondate sull’appartenenza del bene a una collezione storica presente all’interno dei confini statali, sulla nazionalità della spedizione archeologica che ha fatto la scoperta, sull’influenza che quel bene (o la corrente a cui esso appartiene) ha avuto sulla evoluzione storico-artistica del paese. A tali esigenze cerca di rispondere, ad esempio, l’Unione Europea prevedendo all’art. 36 TFUE la protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale come eccezione alle regole generali di funzionamento del mercato interno157.

L’elemento comune alla base delle rivendicazioni statali sembra potersi identificare nel valore di idea di identità culturale cui il bene risulta poi legato. Si noti che il concetto di identità culturale è naturalmente disgiunto da quello di identità statuale. Si pensi all’esempio che nell’antichità ci ha offerto la civiltà Greca costruita su una parcellizzazione delle unità politiche identificate come città-stato e, quindi, priva di un’identità politica unitaria. Tuttavia, alla frammentazione politico istituzionale si affiancava una “coscienza panellenica”.158

157 Sull’articolo 36 TFUE vd. infra § 3.

158 Ciò appare, tra le altre, nella risposta degli Ateniesi ad Alessandro Magno che tentava di persuaderli ad allearsi con i Persiani. Essi affermano di essere disposti a morire per la grecità (τò 'Ellhnikóv), “ossia l’uguaglianza di sangue e di lingua, e i santuari degli dei comuni, i sacrifici e i costumi affini” [ERODOTO, ‘Storie’, VIII, 144].

Sull’argomento vd. J.ASSMANN, ‘La memoria culturale – Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche’, Einaudi/Torino, 1997; P.L. KOHL/C.FAWCETT, ‘Archaeology in the service of the state: theoretical considerations’, in: P.L. Kohl/C. Fawcett (a cura di), Nationalism, politics, and the practice of archaeology, Cambridge University Press/ Cambridge, 1995, pagg. 3 ss. Inoltre sul rapporto tra romani e greci ed il concetto di nazione v. M.I.FINLEY, ‘Uso e abuso della storia – Il significato, lo studio e la comprensione del passato’, Einaudi/Torino, 1981, pagg. 177 ss. e F.W.WALBANK, ‘Nationality as a Factor in Roman History’, in Harvard Studies in Classical

Nondimeno, il ruolo statuale si ritrova nelle funzioni esercitate in occasione dell’importazione dei beni e in relazione al tema del riconoscimento delle disposizioni straniere che vietano l’esportazione di determinati beni nonché di quelle previsioni normative che prevedono il diritto di proprietà statale per astratte categorie di beni culturali (c.d. umbrella laws).

Gli interessi particolari, infine, possono essere ricondotti, innanzitutto, a soggetti privati. Ogni protagonista del mercato esprime infatti interessi peculiari e differenziati.

Il proprietario del bene aspira chiaramente a disporre del bene il più liberamente possibile e, al contempo, ad avere a disposizione dei mezzi di tutela a garanzia del suo diritto. In questo senso si pone l’esperibilità dell’azione di restituzione con i connessi problemi di foro competente e legge applicabile in caso di controversie che presentano elementi d’internazionalità. Al medesimo interesse è riconducibile anche la disciplina del tradizionalmente discusso, ma sempre attuale, istituto dell’acquisto a non domino.

Per quando riguarda l’arte contemporanea, vi sono poi le istanze degli artisti e gli eventuali diritti che essi possono vantare sull’opera sia sotto forma di corrispettivo in percentuale sulle successive vendite (c.d. droit de suite) sia come diritto all’attribuzione della creazione, con connesso interesse al rispetto dell’integrità della stessa.

Gli studiosi del settore, per parte loro, rappresentano l’interesse alla preservazione delle informazioni che i beni culturali possono loro fornire nonché ad averne accesso per ragioni di ricerca.159

J.H.MERRYMAN, The Retention of Cultural Property, cit., pagg. 489 ss., arriva a criticare l’idea stessa di identità nazionale ritenendo il nazionalismo una ragione inconsistente per limitare la circolazione dei beni culturali ed affermando che “European in origin, nationalism is a modern addition to the history of ideas emerging clearly only at the time of the French Revolution as nations became the primary actors in world affairs with nationalism as the supporting ideology”.

159 Sull’argomento vd. supra Cap. I, § 3.

C.C. COGGINS, ‘Archaeology and the Art Market’, in: K. Fitz Gibbon (a cura di), Who Owns

the Past? – Cultural Policy, Cultural Property and the Law, cit. pag. 221, spiega come “[o]nce a site has been worked over by looters in order to remove a few saleable objects, the fragile fabric of its history is largely destroyed. Changes in soil color, the traces of ancient floors and fires, the imprint of vanished textiles and foodstuffs, the relation between one object and another, and the

Vi sono inoltre interessi riconducibili allo stesso bene culturale in sé. In particolare, il mantenimento della propria integrità nonché il rispetto di contesto e funzione. In questo senso si pone la possibilità di riconoscere valore di entità giuridica a un bene culturale con il conseguente potere di stare in giudizio.

Il riconoscimento di tale status è solitamente collegato a un ruolo svolto dal bene all’interno di una specifica comunità locale e, quindi, al previo riconoscimento da parte della comunità stessa del bene come vera e propria entità autonoma, in grado di essere centro di interessi. Tale ad esempio è il caso del riconoscimento nel 2017 in Nuova Zelanda del fiume Whanganui quale entità vivente dotata di personalità giuridica, considerato dalla locale tribù Māori come proprio antenato.160

In questo senso le stesse comunità indigene nonché i singoli gruppi etnici hanno interesse al rispetto dei beni rappresentativi della propria cultura. Tale rispetto, però, si può diversamente esplicare in considerazione di quanto stabilito dalle regole interne alla comunità. Si pensi alla devozione per i resti degli antenati che debbono rimanere sepolti, o al riguardo per il ciclo vitale di oggetti che le

position of a skeleton – all these sources of fugitive information are ignored and obliterated by archaeological looters”.

Interessante notare che il ruolo chiave degli stessi scavi al fine della piena comprensione dei beni culturali trovati e delle relative civiltà di appartenenza fa sì che alcuni siti vengano volontariamente non scavati in modo da lasciarli intatti per le tecnologie di domani che potrebbero garantire dei risultati migliori e meno invasivi dei metodi attuali. Sul punto vd. D. FRANKEL, ‘The Excavator: Creator or Destroyer?’, in: S. Sullivan/R. Mackay (a cura di), Archaeological Site: Conservation and Management, Getty Publications/Los Angeles, 2012, pag. 259.

160 Il riconoscimento è avvenuto con un accordo tra la Corona e un rappresentante del ‘Whanganui River Maori Trust’ in nome e per conto del fiume.

Lo stesso è avvenuto, qualche giorno dopo, in India per i fiumi Ganga e Yamuna ma, in questa circostanza, a opera della giurisprudenza la quale ha dichiarato che “while exercising the parens patrie jurisdiction, the Rivers Ganga and Yamuna, all their tributaries, streams, every natural water flowing with flow continuously or intermittently of these rivers, are declared as juristic/legal persons/living entities having the status of a legal person with all corresponding rights, duties and liabilities of a living person in order to preserve and conserve river Ganga and Yamuna. The Director NAMAMI Gange, the Chief Secretary of the State of Uttarakhand and the Advocate General of the State of Uttarakhand are hereby declared persons in loco parentis as the human face to protect, conserve and preserve Rivers Ganga and Yamuna and their tributaries. These Officers are bound to uphold the status of Rivers Ganges and Yamuna and also to promote the health and wellbeing of these rivers” [Uttarakhand High Court, 20 marzo 2017, writ petition (PIL) n. 126/2014, reperibile alla pagina web: <https://www.livelaw.in/first-india-uttarakhand-hc-declares-ganga-yamuna- rivers-living-legal-entities/>].

pratiche cultuali del gruppo richiedono vengano distrutti una volta esaurita la loro funzione cerimoniale.161

Un ultimo gruppo di interessi è riconducibile al mercato in quanto tale, i cui protagonisti aspirano alla libera circolazione internazionale dei beni. In questo frangente si pongono le stesse norme antitrust che tutelano il reale accesso al mercato garantendo, ad esempio, la libertà di partecipare alle fiere d’arte e antiquariato per ottenere la necessaria visibilità.162

161 Si pensi ad esempio al caso Bonnichsen vs United States avente a oggetto i diritti su uno scheletro ritrovato sulle sponde del fiume Columbia e datato tra 8.340 e i 9.200 anni fa, noto come c.d. uomo di Kennewick. Data l’importanza della scoperta, lo Smithsonian Institute aveva interesse a svolgere approfonditi studi per ricavarne informazioni sull’origine della popolazione americana. Al contrario, alcune tribù del territorio richiedevano che fosse ri-sepolto sulla base del Native American Graves Protection and Repatriation Act (c.d. NAGPRA). La questione giuridica riguardava l’interpretazione del NAGPRA e la possibilità di considerare o meno tali resti come appartenenti a un nativo americano. Mentre il governo spingeva in senso affermativo, la corte criticò tale opinione basata sul dato prettamente geografico (secondo il quale qualsiasi resto umano rinvenuto nel territorio americano dovesse essere considerato come appartenente alle tribù indiane). Inoltre, pur dando conto dell’ambiguità del riferimento legislativo – che essendo in materia di protezione dei nativi americani, avrebbe dovuto risolversi prediligendo l’interpretazione più favorevole agli stessi secondo il c.d. “Indian canon of construction’ [così, in South Carolina vs Catawba Indian Tribe, Inc., 476 U.S. 498, 506, 106 S.Ct. 2039, 90 L.Ed.2d 490 (1986)] – sostenne che un’interpretazione della normativa che vi faccia rientrare qualsiasi resto a prescindere da un’effettiva riconducibilità ai nativi sarebbe stato impropria. Pertanto, sulla base delle dichiarazioni degli esperti che sostenevano la discontinuità culturale fra l’uomo di Kennewick e le tribù odierne, autorizzò le analisi [Bonnichsen vs United States, 357 F.3d 962, emendata da 367 F.3d 864 (9th Cir. 2004)].

Le analisi del DNA dimostrarono quello che i nativi avevano sostenuto sulla base delle loro tradizioni orali: che i resti erano effettivamente di un loro antenato.

Nel 2015 fu approvato il Bring the Ancient One Home Act in attuazione del quale lo scheletro venne restituito alle tribù indiane e, da queste, seppellito nel 2017.

Sulla vicenda, vd. J. MUSSELMAN, ‘Ninth Circuit Limits NAGPRA to Remains Linked with Presently Existing Tribes’, in Ecology Law Quarterly, 2005, vol. 32, fasc. 3, pagg. 707 ss.; A.L. BANDLE/A.WALLACE/M.A. RENOLD, ‘Case Kennewick Man – Bonnichsen v. United States’, Plateforme ArThemis (http://unige.ch/art-adr), Centre du droit de l’art, Université de Genève; E.M. KOEHLER, ‘Repatriation of Cultural Objects to Indigenous Peoples: A Comparative Analysis of U.S. and Canadian Law’, in The International Lawyer, 2007, vol. 41, fasc. 1, pagg. 118 ss. 103; A. CARY, ‘Tribes return ancient Kennewick Man to the ground’, in Tri-City Herald, 19 febbraio 2017, reperibile alla pagina internet: <https://www.tri-cityherald.com/news/local/article133780309.ht ml>.

162 E. JAYME, ‘Globalization in Art Law: Clash of Interests and International Tendencies’, cit., pag. 940-941.

L’eterogeneità di interessi porta immancabilmente all’emergere di punti di frizione e contrasto fra gli stessi, sia al momento della produzione normativa (alla quale ovviamente è affidato in prima battuta il tentativo – più o meno riuscito – di contemperare gli interessi, bilanciando le varie componenti) sia, a valle, in occasione di applicazione pratica delle regole.

La considerazione dell’insieme composito di spinte che influenzano il settore consente una migliore comprensione delle implicazioni connesse ai diversi profili giuridici che verranno esaminati nel proseguo.

3. La regolamentazione del mercato a livello internazionale e la protezione dei