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4. EFFETTI DELL’INDIRIZZO DI STUDIO SULLE CREDENZE EPISTEMOLOGICHE

5.1. ADOLESCENZA E CREDENZE EPISTEMOLOGICHE

Abbiamo visto come per molti studiosi, in particolare per quelli che seguono l’approccio evolutivo, la formazione di una epistemologia personale è legata, in modo più o meno stretto, alla formazione delle strutture cognitive. Un esempio di tale connessione è rappresentato dal possesso di una teoria della mente, che costituisce un presupposto indispensabile delle teorie della conoscenza. Poiché, come sostiene Chandler (1987), solo in età adolescenziale, si arriva al culmine della teoria della mente con la consapevolezza esplicita del ruolo di quest’ultima come agente di interpretazione della realtà, si sarebbe portati ad ritenere che le conoscenze epistemologiche si sviluppino solo successivamente. In realtà, come sottolinea Mason (2001), alcuni studi hanno dimostrato che già a 7-8 anni il comportamento del bambino implica la consapevolezza del fatto che la conoscenza dipende dai processi di costruzione della propria mente (Carpendale & Chandler,1996; Pillow & Henrichon, 1996). Questi risultati confermano il ruolo propedeutico delle teorie della mente, ma fanno anche pensare che lo sviluppo delle credenze epistemologiche avvenga in modo abbastanza graduale e in età precoce. A questo proposito Carey e Smith (1993) sostengono che nella prima adolescenza i ragazzi sono consapevoli dello scarto tra esperienze percettive e conoscenza, e dimostrano di possedere i prodromi di epistemologie specifiche, nei dominî disciplinari con cui vengono a contatto attraverso l’esperienza scolastica. In questa fase sarebbero presenti sia una visione non problematica della scienza, che corrisponderebbe pienamente con la realtà obbiettiva, sia una visione problematica, secondo la quale ogni asserzione deve essere sottoposta a verifica e vagliata in termini di utilità rispetto al contesto di riferimento.

Altri autori hanno cercato di trovare un raccordo tra sviluppo del pensiero, così come descritto da Piaget, e credenze epistemologiche, ipotizzando l’esistenza di uno stadio post-formale, nel quale il soggetto è in grado di fare fronte a problemi complessi e non del tutto definiti in modo adattivo. Tale forma di pensiero implica una certa dose di relativismo, l’accettazione dell’esistenza di dati contrastanti e la capacità di raggiungere una sintesi funzionale rispetto al problema considerato (Kramer, 1989). Le ricerche svolte sulla base di questo punto di vista hanno dimostrato che esiste una notevole variabilità nel raggiungimento del pensiero post- formale nella tarda adolescenza, e che il pensiero formale costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente per tale sviluppo.

Resta comunque evidente che in età adolescenziale esistono le potenzialità per cambiamenti radicali delle rappresentazioni della conoscenza.

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Mason (2001) offre una panoramica dei contributi teorici ed empirici di diversi autori nella ricostruzione dei termini di tale transizione. L’emergere della consapevolezza della molteplicità dei punti di vista all’inizio dell’adolescenza porta all’”effetto Otello” (Chandler, 1987), cioè favorisce l’insorgere di un dubbio generalizzato sulle possibilità di una conoscenza valida della realtà. In questo quadro l’adolescente tende a mettere in discussione qualsiasi punto di vista e considerarlo come pura espressione di una soggettività priva di ancoraggi oggettivi. L’ansietà derivante da tale incertezza può sollecitare, secondo i casi, due soluzioni ugualmente estreme ed irrazionali. Alcuni adolescenti adottano, in modo permanente o solo in alcune fasi, posizioni di tipo dogmatico, accettando visioni del mondo estremamente rigide che permettano di rispondere a qualsiasi interrogativo. Altri ragazzi propendono per uno scetticismo radicale, secondo il quale non è possibile trovare alcun fondamento di verità per qualsiasi posizione assunta nei confronti del mondo. Altri ancora oscillano in modo sorprendente ed imprevedibile tra queste due polarità. In una fase successiva, corrispondente alla tarda adolescenza, diventa invece possibile far fronte all’ansietà derivante dallo scetticismo diffuso con l’accettazione dell’incertezza e la ricerca di un senso condiviso delle cose.

Un’altra caratteristica del pensiero adolescenziale strettamente connessa alla posizione scettica è costituita dalla formazione del pensiero dialettico, che consiste nella consapevolezza del legame logico esistente tra un’affermazione ed il suo contrario. Mentre in precedenza i termini delle antinomie erano visti come realtà e rappresentazioni alternative, gli adolescenti si rendono conto dell’esigenza di affermare il proprio punto di vista contrastando le posizioni alle quali necessariamente si contrappone. La ricerca di Benack e Basseches (1989) ha messo in luce come tale struttura di pensiero sia incompatibile con una visione epistemologica di tipo dualistico. Tuttavia il pensiero dialettico non costituisce una conquista generalizzata neppure tra gli studenti universitari, e, di per sé, non è sufficiente ad adottare una posizione relativista nei termini definiti da Perry. In altre parole il pensiero dialettico e l’istruzione facilitano l’assunzione di una prospettiva in grado di confrontare e valutare sulla base di criteri condivisi le diverse asserzioni derivanti dalla conoscenza scientifica, ma il processo di costruzione delle credenze epistemologiche risulta in una certa misura indipendente dai cambiamenti che si verificano in età adolescenziale.

Una posizione ancor più pessimistica sulle capacità degli adolescenti è espressa da King e Kitchener (1994), secondo i quali gli adolescenti si collocano generalmente nello stadio pre- riflessivo. Questo significa che per questi ragazzi le conoscenze si identificano immediatamente con la realtà, in modo non molto dissimile da ciò che accadeva nell’infanzia, e che l’unica fonte di giustificazione possibile è rappresentata dall’autorità (adulto, genitore, od esperto). La capacità di affrontare problemi complessi non è ancora presente e si sviluppa solo

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successivamente soprattutto nei soggetti che prolungano il proprio percorso formativo oltre la laurea. Altri autori, come Carey e Smith (1993) hanno evidenziato il fatto che le conclusioni di King e Kitchener, così in contrasto con la maggior parte dei modelli che fanno risalire all’età adolescenziale la crisi della concezione ingenua e “realista” della conoscenza, sono state ricavate attraverso procedure di ricerca che richiedevano ai soggetti di fornire argomentazioni formalizzate ed articolate, mentre osservando le procedure attraverso le quali i soggetti apprendono e valutano le conoscenze sarebbero rinvenibili capacità implicite di ordine superiore, quali la flessibilità di pensiero ed euristiche che pongono in relazione il momento oggettivo con quello soggettivo. La possibile esistenza di uno scarto tra le possibilità interpretative del soggetto e quelle dichiarate nell’ambito dell’intervista possono essere anche ricondotte al fatto che l’individuo utilizza le proprie capacità ottimali solo all’interno di contesti che le sollecitano in modo particolare. Al di là di questi rilievi di carattere teorico e metodologico, anche lo studio di King e Kitchener (1994) mette in luce il ruolo strategico giocato dall’educazione nella formazione delle capacità mentali e delle credenze epistemologiche corrispondenti.

Come abbiamo visto, non esiste una concordanza assoluta né sullo sviluppo cognitivo, né sulle caratteristiche delle rappresentazioni epistemologiche durante l’età adolescenziale. Tali divergenze dipendono in larga misura dalla diversità delle metodologie e delle prospettive di ricerca, ma la spiegazione più semplice e sensata va ricercata nel fatto che questa fase di sviluppo presenta una notevole variabilità in relazione ai diversi contesti in cui è situata, soprattutto se ci riferiamo, come nel nostro caso, a variabili soggettive particolarmente sensibili alle influenze culturali e all’apprendimento. Resta tuttavia difficilmente negabile, come sottolineano da Mansfield e Clinchy (2002), che nella transizione tra prima e piena adolescenza si verifichi, in modo differenziato e peculiare a seconda dei soggetti e delle situazioni, un passaggio da una concezione unitaria, ingenua e realistica della conoscenza, ad una più complessa, problematica e plurale in cui non si può prescindere dalla consapevolezza del ruolo fornito dal soggetto nella sua costruzione.