L’APPLICAZIONE DELLE NUOVE NORME
3.3 AGCM e IAP: raccordi o separatezza?
Veniamo quindi, all’ultimo punto che qui interessa riguardante i rapporti tra sistema autodisciplinare e sistema amministrativo in relazione all’applicazione delle norme sostanziali sulle pratiche commerciali scorrette.
Abbiamo visto come nella configurazione comunitaria dei rapporti fra controllo privato241 e controllo statale, la Direttiva attribuiva grande spazio applicativo ai codici di condotta e prevedeva, altresì, una funzione deflattiva rispetto alla macchina statale – giudiziaria o amministrativa che fosse - in capo agli organi dell’autodisciplina (considerando n. 20 e artt. 10 e 11).
Va subito detto che, al momento dell’attuazione in sede nazionale del dettato comunitario, il legislatore italiano ha scelto, innanzitutto, di affidare la competenza ad applicare la disciplina sulle pratiche commerciali sleali (scorrette), in via principale, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato
240 Al riguardo, si rinvia all’articolo “Condizioni generali di contratto: al via il sindacato dell’AGCM
sulle clausole vessatorie”, NewsLator, Luglio 2012, pag. 8.
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“Il sistema autodisciplinare è espressione di un legittimo esercizio di autonomia privata. […] Nel sistema dell’autodisciplina vi è nient’altro che un legislatore autodisciplinare” vedi Floridia G. op. cit. p. 176.
(art. 27 cod. cons.)242, mentre ha riconosciuto ai codici di condotta e all’autodisciplina un ruolo apparentemente importante (dedicando ad essi previsioni ad hoc – rispettivamente l’art. 27bis e l’art. 27ter), ma, in pratica, certamente minore rispetto a quello avuto in mente dal legislatore del 2005. Per comprendere come il ruolo dei codici di condotta sia stato sminuito in sede nostrana basta focalizzarsi sulle norme di coordinamento tra controllo amministrativo e controllo autodisciplinare.
L’art. 27ter del Codice del consumo, rubricato “Autodisciplina”, al comma 1 stabilisce che i consumatori, i concorrenti, anche tramite le loro organizzazioni, possono, prima di avviare la procedura davanti all’Autorità Garante, convenire con il professionista di adire preventivamente il soggetto responsabile o l’organismo incaricato del controllo del codice di condotta relativo ad uno specifico settore per la risoluzione concordata della controversia volta a vietare o far cessare la continuazione della pratica commerciale scorretta. In ogni caso, prosegue il secondo comma, tale ricorso, qualunque sia l’esito della procedura,
non pregiudica il diritto del consumatore di adire l’Autorità garante della
concorrenza e del mercato ai sensi del precedente articolo 27 ovvero il giudice competente. Infine, al terzo comma, stabilisce che, una volta iniziata la procedura dinnanzi all’organismo di autodisciplina, le parti possono astenersi dall’adire l’Autorità fino alla pronuncia definitiva ovvero possono chiedere all’Autorità la sospensione del procedimento eventualmente radicato dinanzi ad essa, anche da altro soggetto legittimato, fino alla pronuncia definitiva del giudizio privato e in ogni caso per un periodo non superiore ai trenta giorni. Su tale richiesta, l’Autorità decide in via del tutto discrezionale, valutate le circostanze. Vi è innanzitutto un dato da evidenziare, vale a dire: il legislatore italiano ha demandato la possibilità di ricorso preliminare davanti agli organi autodisciplinari all’accordo fra le parti (consumatore e concorrenti, da un lato, e professionista, dall’altro, o loro rispettive organizzazioni), tralasciando così
242 L’ultimo comma dell’art. 27 del codice del consumo, peraltro, fa salva la competenza del
giudice ordinario in determinate materie (concorrenza sleale, pubblicità comparativa, marchi, diritto d’autore, denominazioni d’origine, e altri segni distintivi di imprese, beni o servizi concorrenti.
anche solo di prendere in considerazione la possibilità offerta dalla Direttiva a ciascuno stato membro, di rendere obbligatorio il preliminare giudizio autodisciplinare e di configurarlo dunque quale condizione di procedibilità del successivo giudizio (art. 11 comma 1)243.
Con riferimento al secondo comma, la norma prende in considerazione l’ipotesi in cui entrambi i procedimenti, autodisciplinare e amministrativo, siano radicati, il chè può tranquillamente avvenire, in tutte le ipotesi in cui nessun patto sia intervenuto fra le parti del giudizio autodisciplinare e poiché non vi è pregiudizialità necessaria244. Ebbene, in tale caso ciascuna parte del procedimento amministrativo, può chiedere la sospensione dello stesso in attesa della pronuncia dell’organo autodisciplinare. Ad una simile richiesta di parte l’Autorità non è in alcun modo vincolata, poiché come si è visto, essa decide in maniera discrezionale se accettarla o meno, evitando di interrompere in tale seconda ipotesi, il giudizio in corso. D’altra parte, è stato acutamente rilevato in proposito, che tale sospensione, qualora concessa, appare, in ogni caso, pressoché inutile, sia dal punto di vista giuridico (alla sospensione della causa normalmente si lega la pregiudizialità delle questioni), sia e soprattutto dal punto di vista pratico poiché la pronuncia emessa in sede autodisciplinare non ha alcun tipo di rilievo poi nel riassunto procedimento amministrativo245. Ciò è vero sulla “carta” e nei fatti dato che si rinvengono pochissimi casi in cui sia stata fatta richiesta dalle parti di sospensione.
La Direttiva inoltre, nel sottolineare il valore deflattivo potenzialmente svolto dall’autodisciplina, configurava i due procedimenti verosimilmente come
243 Sul primo comma ci sarebbe peraltro da dire che l’art. 27 ter parla di “risoluzione
concordata” della controversia il chè potrebbe fare pensare che la norma consente solo il ricorso ad organi autodisciplinari con funzione conciliativa e non giudicante. La dottrina ha messo in rilievo come una tale lettura contraddica nuovamente la ratio della Direttiva oltre a privare di rilievo importanti organi autodiciplinari ad oggi operanti (ad esempio lo IAP, Istituto di autodisciplina pubblicitaria) e come tale quindi vada scartata. Ubertazzi-Marchetti (a cura di), op. cit. p. 119.
244 In argomento, sulle ipotesi di raccordo previste, vedi, anche se con riferimento all’art. 8 del
d.lgs. 74/92 identico tuttavia a quello in commento, Fusi M. – Testa P., La pubblicità ingannevole, 1993, Torino.
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Riferimenti. Alcuni sostengono che in realtà la pronuncia autodisciplinare dovrebbe essere quanto meno tenuta in considerazione sotto il profilo di ciò che essa dispone (così in particolare Floridia, op. cit., p.180). Ma ciò è stato ampiamente smentito in sede applicativa dall’Autorità.
alternativi, sicchè l’espletamento del giudizio dinnanzi agli organi disciplinari avrebbe ben potuto rappresentare la conclusione del procedimento, laddove si fossero raggiunti gli effetti desiderati: eliminazione della pratica sleale con neutralizzazione dei suoi effetti dannosi. Sul punto, non vi è modo di pensarla altrimenti proprio alla luce dell’evidenziata ratio defatigante del sistema (considerate poi le condizioni del nostro sistema giudiziario, la disposizione se correttamente recepita sarebbe risultata particolarmente utile…). A pensarla diversamente, infatti, tale ratio viene pesantemente frustrata poiché l’effetto che si ottiene non è lo snellimento della macchina statale, bensi la duplicazione dei procedimenti, con evidente buona pace di qualsiasi sforzo deflattivo.
In conclusione, non si può negare, che la materia dell’attività commerciale delle imprese rivolta ai consumatori avrebbe potuto costituire terreno fertile per l’emergere di prassi professionali volontarie e migliorative rispetto agli obblighi di legge. Ciò resta vero anche oggi, a seguito dell’introduzione di una normativa europea, quella introdotta proprio dalla Direttiva, di armonizzazione massima, che non consente pertanto ai legislatori nazionali di discostarsi dalle previsioni della Direttiva, neppure al fine di introdurre standard di comportamento e di tutela più elevati, ma che al tempo stesso non impedisce, ed anzi incentiva, i professionisti ad incrementare la base di tutele attraverso la previsione di codici di condotta e di norme private di autodisciplina. E ciò, sia dal lato del consumatore, il quale, laddove il codice fosse adeguatamente usato, potrebbe contare su una serie di vantaggi, tra cui la possibilità di avere a disposizione uno strumento di contatto con l’impresa e di tutela certamente più rapida, tanto a livello individuale quanto collettivo, sia dal lato dell’impresa che avrebbe la possibilità di rafforzare realmente relazioni di lungo termine con i consumatori e di aumentarne così la fiducia.
La Direttiva avrebbe quindi potuto offrire un terreno di implementazione efficace. Il Codice del consumo di fatto raccoglie l’imput comunitario, ma si poi arresta. Dall’esame delle norme e dall’analisi svolta risulta che ancora c’è da lavorare: a fronte di una pratica commerciale scorretta, il riconoscimento pratico dato all’autodisciplina è estremamente blando, tanto da ridursi ad una mera
chimera o rimanere lettera morta. Sul punto la migliore dottrina ha denunciato come le norme recentemente entrate in vigore rischino di marginalizzare e spegnere definitivamente il ruolo svolto dai sistemi autodisciplinari nel nostro paese246.
Si sarebbe potuto “osare di più”, insomma, in occasione del recepimento della Direttiva, nella valorizzazione dei codici di condotta e ciò senz’altro avrebbe dato al nostro paese la possibilità non solo, di offrire una maggiore tutela nei confronti dei consumatori, ma anche di porre un tassello importante in un’ottica di responsabilità sociale dell’impresa.
Vi è da pensare che i tempi non sono ancora maturi. Ma c’è un po’ da sorridere se si considera che, tanto per citarne uno, il Codice di autodisciplina pubblicitaria (oggi comunicazione commerciale), esempio nel nostro paese, ma anche in Europa, di sistema autodisciplinare assolutamente autorevole, ha da poco festeggiato il suo..45° anno di onorata ed efficiente attività.
Vale la pena da ultimo sottolineare un punto: della recente relazione annuale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato ciò che colpisce sono da un lato il calo naturale nel numero dei provvedimenti adottati; dall’altro la crescita del numero degli impegni e lo sviluppo (4%) della c.d moral suasion. Si tratta di quella volontaria collaborazione che le imprese, finite sotto esame dell’Autorità, ricercano al fine di evitare l’avvio di un procedimento, spesso lungo e costoso. Una sorta di “pratica positivamente chiusa in via breve” si direbbe in ambito autodisciplinare. Questi segnali confermano l’inizio di una nuova stagione nella giustizia pubblicitaria? Oppure, data la crisi economica e dei consumi, i cui effetti ricadono anche sulla pubblicità e conseguentemente sull’attività degli organismi deputati alla tutela del mercato e dei consumatori (Agcm e Iap), danno corpo alla ricerca di un nuovo settore di attività da parte dell’Autorità? È forse presto per dare una riposta. Quel che è certo è che forse sarebbe utile in questa fase, non facile per tutti, imprese e giudici della pubblicità, approfittarne per immaginare una nuova rete di collaborazione che permetta a ciascuno di dare il meglio di sé.
246 UBERTAZZI L.C., Le PCS ed il futuro dell'autodisciplina, Il dir. Ind. 2010, 4 p. 374;