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Il divieto di pratiche commerciali scorrette nel Codice del Consumo La scorrettezza della pratica.

LE PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE NEL CODICE DEL CONSUMO LE PRINCIPALI NOVITA’ INTRODOTTE.

2.1 Il divieto di pratiche commerciali scorrette nel Codice del Consumo La scorrettezza della pratica.

Come la Direttiva, anche la disciplina italiana di recepimento si astiene, almeno in apparenza (…), dal porre a carico dei professionisti obblighi di contenuto positivo e, per contro, si limita ad imporre loro un generale divieto avente ad oggetto, per l’appunto, la realizzazione di pratiche commerciali scorrette.

Secondo l’art. 20 comma 1 Cod. cons., cosi come modificato dal decreto legislativo n. 146 del 2007, le pratiche commerciali scorrette sono vietate.

Va innanzitutto rilevato come, sul piano lessicale, il legislatore nazionale si sia discostato dalla terminologia utilizzata a livello comunitario nella qualificazione delle pratiche vietate, optando per l’aggettivo “scorrette” anziché “sleali”. Sul motivo di tale scelta, alcuna dottrina59 ha ritenuto di vedere l’espressa volontà di tenere separate le nuove disposizioni attuative della Direttiva dalla disciplina generale della concorrenza sleale di cui agli artt. 2598 ss c.c.60, ciò sulla base della oggettiva diversità delle due discipline. Circa la relazione intercorrente fra la scorrettezza della pratica commerciale (ai sensi dell’ art. 20 ss. cod. cons.) e la “slealtà” di un atto di concorrenza (ai sensi degli artt. 2598 c.c. ss.) la stessa dottrina ha ritenuto di dover tenere le due qualificazioni autonome e distinte in virtù, in primis, della diversa ratio che ispirerebbe le due discipline, da una lato

59 DE CRISTOFARO G. Le pratiche commerciali scorrette nei rapporti tra professionisti e

consumatori, in Studium iuris, 11, 2007, pp. 1081 ss.

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Vale la pensa riportare il testo degli articoli rilevanti in materia di concorrenza sleale, ed in particolare il testo dell’art. 2598 c.c. (Atti di concorrenza sleale): Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale chiunque: 1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie, con qualsiasi altro mezzo, atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente; 2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinare il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente; 3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo con conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda. Nonché quello dell’art. 2599 c.c. e 2600 c.c.: La sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti. Risarcimento del danno. Se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con dolo o con colpa, l’autore è tenuto al risarcimento dei danni (2056).In tale ipotesi può essere ordinata la pubblicazione della sentenza. Accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume.

quella sulle pratiche commerciali sleali e, dall’altro, quella della concorrenza sleale, oltre che del diverso ambito di operatività delle stesse.

Certamente si deve riconoscere, come già rilevato sopra, che sotto tale ultimo profilo (ambito di operatività) le due norme sono solo parzialmente coincidenti: ed infatti, mentre il divieto di cui all’art. 20 cod. cons. ha ad oggetto tutti e soltanto quei comportamenti posti in essere dal professionista “prima dopo e durante” l’instaurazione di un rapporto contrattuale con il consumatore (art. 19 comma 1 cod. cons.), le norme sulla concorrenza sleale non comprenderebbero mai le seconde due species di condotte (condotte tenute dal professionista nei confronti del consumatore dopo e durante l’instaurazione di un rapporto commerciale). Per altro verso, il comportamento tenuto dal professionista o imprenditore esclusivamente allo scopo di instaurare rapporti economici con altri professionisti, integra gli estremi dell’art. 2598 c.c. ma non potrebbe certo integrare quelli dell’art. 18 Cod. cons. per le ragioni sopraddette. Inoltre, al fine di tracciare una linea di demarcazione netta fra la scorrettezza della pratica commerciale di cui al codice del consumo novellato e la slealtà di cui agli artt. 2598 c.c. ss., tale dottrina fa perno sulla diversità degli interessi tutelati dalle normative in questione, ribadendo che nel nostro ordinamento le norme sulla concorrenza sleale sono ancora oggi esclusivamente funzionali alla tutela dei concorrenti, e non anche a quella dei consumatori e/o del mercato61, come, invece, sono le nuove norme sulle PCS. Ciò premesso, pare potersi, tuttavia, ritenere, concordando con altra dottrina di avviso contrario62, che la violazione delle norme che pongono limiti all’attività

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Così in giurisprudenza SS.UU. Cass, 2207, 4 febbraio 2005.

62 In tale senso AUTERI P., 2007, op. cit. p. 21; VANZETTI A. DI CATALDO V., Manuale di

diritto industriale, Giuffrè, 2006, p. 110; FLORIDIA in AA.VV. Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, Giappichelli, 2005, p. 308 ss. In particolare, AUTERI richiamandosi alla ratio ispiratrice del provvedimento, ritiene che: a) la Direttiva di fatto armonizzi “una parte non trascurabile di atti di concorrenza sleale, e segnatamente di quelli che pregiudicano in modo diretto gli interessi dei consumatori, ma in modo indiretto anche quello dei concorrenti”; b) a livello nazionale, sebbene di fatto il legislatore abbia optato per una “netta distinzione” fra atti di concorrenza sleale che pregiudicano in modo diretto i consumatori e atti di concorrenza sleale che pregiudicano in modo diretto i concorrenti, creando il cd. doppio binario di tutele (i decreti legislativi 145 e 146 del 2007), la suddetta distinzione non sia netta nè concretamente attuabile. Tale tesi viene sostenuta sulla base delle norme applicative, ed in particolare, dell’art. 27 cod. cons. che nell’attribuire la facoltà di sollecitare l’intervento di AGCM ai soggetti che hanno un “interesse legittimo a far cessare la pratica commerciale scorretta”, farebbe riferimento anche i concorrenti pregiudicati dalla suddetta pratica, e dell’art. 27 comma 15, che fa salva la

delle imprese sul mercato nell’interesse dei consumatori (e certamente tali sono le norme introdotte nel codice del consumo a seguito del recepimento della Direttiva) costituisce un atto non conforme ai principi di correttezza professionale e come tale idoneo ad essere inteso come atto di concorrenza sleale nei confronti dei concorrenti pregiudicati63.

In conclusione, si deve quindi riconoscere che, ferma la diversità del giudizio di scorrettezza di una condotta alla luce della disciplina sulla concorrenza sleale da quello svolto alla stregua degli art. 18 ss. cod. cons., assai difficilmente un comportamento imprenditoriale che integri gli estremi di una pratica commerciale scorretta ai sensi dell’art. 20 cod. cons. ss. potrebbe non rilevare affatto come atto di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. ss.. Laddove, per contro è possibile che un atto di concorrenza sleale fra professionisti non si presti affatto ad essere considerato come pratica commerciale scorretta (ad es. perché lesivo dei soli interessi economici dei concorrenti ma non anche di quelli dei consumatori.).

2.2. Il giudizio di scorrettezza di una pratica commerciale fra clausola generale