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Akbar e i modelli persian

Capitolo 2 L’arte mughal

2.4 Fonti e modelli nella formazione della miniatura mughal

2.4.1 Akbar e i modelli persian

La miniatura Mughal muove stilisticamente dalla miniatura persiana.100 Durante il regno di Akbar (r. 1556-1605) i pittori mughal erano influenzati dagli artisti persiani innanzitutto nella resa dei paesaggi,101 con la linea dell’orizzonte molto alta e la presenza di una ricca vegetazione peculiare: cipressi, mandorli, alberi di dalla stilizzata forma triangolare disseminati su sfondi collinari, fiori, ciuffi d’erba ed arbusti modellati dal vento. Nella raffigurazione delle colline, ad esempio, i Mughal guardarono soprattutto alle opere del famoso maestro Behzad,102 il quale era solito utilizzare diversi colori per ogni altura in modo da differenziarle conferendo spazio e profondità alla raffigurazione che, a questo stadio, era ancora bidimensionale.

Anche la rappresentazione dell’acqua in questa fase riflette lo stile persiano. Come voleva la tradizione safavide, sia durante il dominio di Akbar che quello di Jahangir, gli artisti mughal dipingevano torrenti o stagni con pesci o anatre sullo sfondo. La tecnica adottata per suddividere gli eventi raffigurati era quella di usare elementi naturali, quali colline e montagne, come fossero quinte sceniche, richiamando così lo stile e la tradizione della scuola pittorica persiana di Herat (Figg. 11, 12).103

100 Il cuore dell’impero persiano coincide con l’odierno Iran; alla sua guida si avvicendarono diverse dinastie

che resero grande il regno nel corso dei secoli. Grandezza e splendore furono tali che i suoi sovrani furono riconosiuti quali sovrani per eccellenza, a cui tutti avrebbero dovuto fare riferimento. Al trono si

avvicendarono dinastie preislamiche quali Achemenidi (559 a. C.-336 a.C.), Seleucidi (323 a.C.-247 a.C.), Parti (247 a.C.-224 d.C.), Sasanidi (224 d.C.-651 d.C.), e islamiche di Omayyadi (661 d.C.-750 d.C.) ed Abbassidi (750 d.C-820 d.C.), fino ai più recenti regni di Ilkhanidi (1256 d.C.-1353 d.C.), Timuridi (1389 d.C.-1501 d.C.) e Safavidi (1501 d.C.-1722 d.C). Come menzionato il fondatore della dinastia Mughal, Babur, si considerava diretto discendente di Timur; per questo i Mughal guardarono costantemente alla produzione timuride e a quella safavide, cronologicamente coeva, talvolta con un vero e proprio spirito di competizione.

101 SRIVASTAVA, A. K., 2000. Mughal painting: an interplay of indigenous forcing tradition, New Delhi,

Munshiram Manoharlal Publishers, p. 38.

102 Ibid. 103 Ivi, p. 39.

Anche per quanto riguarda la rappresentazione delle architetture la scuola persiana ebbe, ancora una volta, un approccio bidimensionale che solo la maturazione dello stile Mughal, arricchito soprattutto da influenze europee, seppe talvolta superare creando profondità tramite l’uso della terza dimensione (Figg. 13, 14, 15). In generale, riguardo l’allestimento spaziale ed architettonico notiamo come in molte miniature Mughal la raffigurazione venga suddivisa in due o più parti utilizzando elementi architettonici quando la scena si svolge all’interno, o elementi vegetali e naturali nel caso in cui gli eventi si svolgano all’esterno. Questo principio, portato direttamente dalla scuola persiana, soprattutto dal lavoro del celeberrimo e già menzionato Behzad, risulta molto evidente nelle raffigurazioni delle scene di corte in cui l’imperatore appare seduto in un ambiente interno, mentre il suo seguito lo attende all’esterno. In questo modo l’osservatore era in grado di avere la visione completa della scena potendo osservare sia l’interno che l’esterno di un edificio.104 Per quanto riguarda le scene di corte è necessario fare un accenno alla forte caratterizzazione visiva dei personaggi e all’organizzazione gerarchica con cui veniva gestito lo spazio. Agli astanti, infatti, veniva conferita importanza non solo in quanto riconoscibili grazie alla somiglianza del ritratto, ma anche per la loro posizione e dimensione: disuguaglianze erano riconoscibili tra un personaggio seduto ed uno in piedi, e anche la dimensione di ciascun personaggio era un indicatore del suo status sociale e dell’importanza conferitagli. Questa particolare prassi di connotazione visiva verrà in genere adottata durante tutto il periodo di patrocinio Mughal. Per quel che concerne la resa della figura umana in questa fase, la pittura Mughal rispecchia nuovamente le convenzioni persiane, ad esempio, nella trattazione del viso il cui contorno veniva sottolineato dalla forte resa di naso, labbra ed orecchie105 e nell’uso del tre quarti. Questo approccio rimase comunque solo temporaneo mentre si affacciavano i portati indigeni indiani, come ad esempio l’uso del profilo per i ritratti singoli. Durante il periodo

104 Ivi, p. 40. 105 Ivi, p. 41.

degli atelier di Akbar e Jahangir l’uso della posa a tre quarti di derivazione persiana era generalmente preferita al profilo completo nelle raffigurazioni di gruppo, quali battaglie e scene di corte. Nel periodo più maturo della pittura Mughal, coincidente con il regno di Shah Jahan, l’impiego del tre quarti venne completamente abbandonato in favore del profilo completo.106

Rimanendo sempre nella sfera della resa della figura umana la scuola persiana, e di riflesso quella mughal almeno in questa fase, si esprimeva tramite una mancanza di espressività nei volti, subordinati alla composizione ed agli elementi decorativi. Per sopperire a questa mancanza gli artisti persiani avevano adottato alcuni escamotage in modo da far trasparire l’emotività dei personaggi raffigurati, come ad esempio il rosicchiarsi il dorso della mano, lo scuotimento delle braccia o la loro distensione per assumere un atteggiamento di preghiera o, addirittura, la lacerazione degli abiti al fine di dimostrare dispiacere.107 Questi atteggiamenti appaiono sia in opere persiane che in ambito mughal (Fig. 16).

Infine anche la presenza nelle miniature di figure tagliate in modo da conferire l’illusione che la scena prosegua oltre i bordi dell’immagine risulta dovuto sempre alla stretta vicinanza culturale ed artistica tra Mughal e centro Asia.108

Oltre che per la composizione, le pose, la bidimensionalità e la poca espressività, il portato persiano è evidente anche nei soggetti che gli artisti mughal andavano rappresentando: battaglie, scene di caccia e imprese che mettevano in risalto l’abilità del sovrano nel combattere e sconfigge bestie feroci e dragoni (Fig. 17). Il tema della lotta contro il dragone da parte del sovrano venne adottata dagli artisti mughal al fine di simboleggiare la lotta tra le forze divine - di cui l’imperatore null’altro era che la personificazione - contro quelle del male; al dragone si univano bestie altrettanto feroci come leoni e tigri.109 Il soggetto della

106 Ibid. 107 Ivi, p. 44. 108 Ibid. 109 Ivi, p. 42.

caccia e della lotta contro animali selvaggi sembra aver affascinato i pittori persiani come quelli mughal:110 simbolicamente, il catturare un animale feroce, sconfiggerlo ed ucciderlo celava l’intenzione di dimostrare come solo il prode sovrano ed il suo seguito potessero sconfiggere le maligne forze della natura (Figg. 18, 19).

A rafforzare le similitudini con l’arte persiana, oltre all’utilizzo della figura del dragone, nelle miniature mughal troviamo impiegati anche mostri marini ed animali mitici come unicorni e fenici. Anche per quanto riguarda la rappresentazione degli animali le maestranze mughal, almeno in questa fase, guardarono con attenzione alla lezione persiana, ad esempio nella resa dei cavalli ritratti con potenti zampe e musi longilinei. Non fanno eccezione nemmeno le lotte tra belve come ad esempio la scena in cui il leone aggredisce un cervo conficcandogli i denti nella spalla,111 (Fig. 20) oppure del leone alle prese con un possente

toro.

Ad eccellere nella raffigurazione degli animali all’interno dell’atelier di Akbar fu l’artista Miskin112 in grado di inserire anche figure semiumane all’interno dei suoi lavori, come creature ibride a metà tra leoni ed esseri umani, oppure illustrazioni come l’Arca di Noè e Il

corvo indice un’assemblea degli animali (Figg. 21, 22). Abu’l Fazl riferisce che l’artista

fosse uno dei principali pittori operanti alla corte di Akbar fin dal 1580, anno in cui sembra si sia unito all’atelier imperiale.113 Miskin mostrò da subito un forte interesse per le tecniche

europee soprattutto per la resa prospettica ed il chiaroscuro nonché per le figure portate dall’iconografia occidentale.114

110 Ibid.

111 Questo motivo viene più volte impiegato anche a margine dei dipinti durante il regno di Jahangir.

SRIVASTAVA, A. K., 2000, op. cit., nota 50 p. 56.

112 Ivi, p. 44.

113 SOM PRAKASH, V., 1994, op. cit., p. 281. 114 Ivi, p. 282.

L’eco persiano non si limitò solo alla sfera animale, ma anche a quella più strettamente grafica: motivi geometrici, forme curvilinee e disegni concentrici.115

Soprattutto nell’ultima decade del XVI secolo, dunque quasi alla fine del regno di Akbar, gli artisti mughal, in particolar modo quelli di origine indiana, cercarono di liberarsi dal manierismo e dall’impostazione persiana puntando ad “indianizzare” il loro operato.116

Questa tendenza diventò evidente specialmente nei gesti, nei movimenti, nelle espressioni, nell’abbigliamento, nella composizione del paesaggio e nell’allestimento architettonico.117

Ciò che aveva caratterizzato la prima fase dell’arte pittorica mughal infatti, la resa del paesaggio con i tratti tipicamente persiani, andrà via via scomparendo a favore di un approccio più naturalistico adottato durante il regno di Jahangir.