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L'arte a servizio del potere

Capitolo 2 L’arte mughal

2.1 L'arte a servizio del potere

I sovrani Mughal diventarono non solo promotori di una politica di espansione e rinnovamento, ma anche straordinari patrocinatori di opere d’arte divenute la carta vincente di una propaganda politica senza precedenti, affinché tanto la popolazione, benché così eterogenea, quanto gli interlocutori dell’impero, potessero riconoscere e ammirare la forza del regnante in carica.

Di vitale importanza per i regnanti Mughal era porre l’accento sulla loro discendenza con lo scopo ultimo di legittimare la loro ascesa al governo. Uno dei modi che la stirpe Mughal più utilizzò per perorare la propria causa e giustificare la propria presenza sul trono, fu l’intensa produzione di miniature, e nello specifico fu la ritrattistica ad assumere un ruolo di primo piano. Basti pensare, ad esempio, alla larga produzione di ritratti dinastici nei quali il sovrano uscente passava la corona, con l’annesso potere associatole, ai suoi eredi. La stessa immagine di ‘passaggio’ e trasmissione del potere venne utilizzata anche per immortalare l’investitura da parte dell’antenato Timur che legittimava così i suoi eredi Mughal (Figg. 6, 7).

La pratica del ritratto in India viene considerata, ancora oggi, oggetto di indagine ‘problematico’. E’ possibile infatti identificare due differenti scuole di pensiero che attribuirebbero al ritratto, rispettivamente, una provenienza straniera e una provenienza indigena. La prima ebbe come esponente principale lo storico dell’arte Ananda Coomararaswamy (1877-1947), il quale negava l’esistenza in India di una pratica legata al ritratto fino all’arrivo dei Mughal e, per tanto, considerava il ritratto un portato delle ‘invasioni’ nel corso dei domini stranieri subiti dal subcontinente indiano. La seconda

invece, forte di indagini accurate più recenti, sostiene che già in alcune delle produzioni indiane più antiche esisterebbe una pratica del ritratto patrocinata dalle dinastie indiane antecedenti all’arrivo della dinastia musulmana dei Mughal, considerando dunque tale pratica come ‘indigena’.

Gli esponenti della prima corrente negano che il ritratto sia un portato indiano perché, in termini di concezione artistica, l’esaltazione dell’ego, implicita nel ritratto, non sarebbe concepita dalla cultura indiana. Essi tentano di dimostrare, muovendo dalle più antiche produzioni artistiche indiane ed assegnando un ruolo chiave alla verosimiglianza del ritratto, che figure umane e divine non sarebbero distinguibili, e ciò renderebbe impossibile identificare una produzione di ritratti.56

Non è facile, nell’immediato, schierarsi a favore dell’una o dell’altra fazione, e la linea di pensiero sostenuta da Coomaraswamy, non appare, almeno a prima vista, lontana dalla verità. Siamo infatti generalmente abituati a considerare la somiglianza quale criterio principe per la definizione di un ritratto, di conseguenza è considerato un buon ritrattista solo colui che riesce a rendere in modo eccellente le fattezze del soggetto ritratto.

La somiglianza, tuttavia, come rilevato più volte da diversi storici dell’arte,57 non costituisce

una conditio sine qua non per l’identificazione di un ritratto, al contrario ne è una possibilità; diversamente si correrebbe il rischio di considerare il ritratto - in modo alquanto riduttivo - un’operazione di pura mimesi. Basti pensare ad esempio alle miniature mughal raffiguranti scene di corte in cui il sovrano uscente consegna la corona al suo discendente ed è circondato da tutti i suoi avi più illustri: i ritratti sono accompagnati da un cartiglio con il nome dei

56 Per quanto concerne la problematica del ritratto in ambito indiano si veda LEFÈVRE, V., 2011,

Portraiture in Early India: between transience and eternity, Leiden, Brill, in particolare i capitoli

“Portraiture, a problematic issue”, pp. 1-23 e “The royal portrait, portait par excellence?”, pp. 149-186.

57 Si veda ad esempio BRUNEAU, P., 1982, Le Portraiti, in Revue d’Archeologie moderne et d’archeologie

soggetti in modo da renderli più facilmente ed inequivocabilmente identificabili.58 In questo

senso la somiglianza smette di essere un criterio imprescindibile mentre acquisiscono importanza, e si rivelano altrettanto descrittivi ed evocativi, attributi ed oggetti che accompagnano il soggetto ritratto, in una caratterizzazione capace di generare la distinzione tra personaggio generico e soggetto.

Nella fattispecie, con il termine ritratto si intende dunque una rappresentazione dell’individuo verosimigliante e che sia capace di rivelarne la personalità o quanto meno i tratti salienti: il committente intende fornire al fruitore la propria percezione di sé. E’ uno strumento che i sovrani utilizzarono per promuovere se stessi e la loro idea di sovranità. Comprendere la coscienza storica dei patrocinatori risulta dunque imprescindibile al fine di capirne a fondo la concezione di ritratto che, in quest’ottica, tendeva ad annullare il flusso del tempo donando una sorta di eternità alla raffigurazione, e al contempo contribuiva a mantenere più saldamente sul trono la dinastia. In Sud-Asia - come altrove - esistono dunque immagini che possono essere considerate ritratti seppur non verosimiglianti, con funzioni simili a quella della ritrattistica occidentale, ed è possibile tracciare una storia del fenomeno ben prima dell’arrivo dei Mughal.

Nonostante le severe restrizioni dottrinali imposte dall’Islam al culto delle immagini, nell’India Mughal le arti visuali vissero uno sviluppo straordinario, prive di connotazioni negative.59 Con grande lungimiranza, i Mughal nella creazione della propria arte seppero

attingere da modelli diversi: dalla Persia preislamica, culla di quella sovranità per eccellenza, da sempre modello da imitare, ma anche dall’Europa. Non solo, i sovrani mughal, sebbene

58 L’etichetta di corte era moto rigida e prevedeva che nessuno si potesse sedere in presenza dell’imperatore

oppure lasciare la stanza senza il suo permesso. Esistono numerose miniature nelle quali viene mostrato l’ordine esatto col sedevano i nobili e i dignitari che, molto spesso, sono identificabili grazie ad un cartiglio riportante il nome. SCHIMMEL, A., op. cit., p. 66.

in misura minore, seppero guardare anche alla cultura indiana autoctona, sia indù che jaina60

segno di una forte consapevolezza nella scelta dei propri modelli che consolidò ulteriormente la forza della produzione autocelebrativa.

La gestione dell’arte a servizio dell’impero e dei modelli a cui i Mughal si ispirarono, maturarono di pari passo con la crescita e l’egemonia esercitata dai sovrani. Per questo è possibile identificare diverse fasi nella formazione di uno stile che possa definirsi ‘mughal’ e queste stesse fasi artistiche sono indissolubilmente legate agli imperatori che ne controllano direzioni di sviluppo, modelli di riferimento e simbologia.