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L’INDIA NELLA LETTERATURA ITALIANA: AUTORI A CONFRONTO

III. 2 3 La policromia dell’India gozzaniana

III. 3 Alberto Moravia: Un’idea dell’India

Moravia nasce a Roma il 28 novembre del 1907, trascorre l’infanzia in un ambiente familiare sereno ma poco sensibile nei confronti della sua fantasia poiché attento alle abitudini della borghesia benestante. La giovane età è contrassegnata dalla malattia che lo costringe a letto per lunghi periodi interrompendo ripetutamente gli studi; si dedica alla lettura quasi morbosa di numerosi libri e di diversi autori tra cui Dostoevskij, Joyce, Shakespeare, Goldoni, Leopardi, Manzoni. Matura così la volontà di diventare scrittore: «dapprima una ricerca di identità psicologica, una continua e martellante autoanalisi, dovuta in massima parte alla degenza; poi l’evasione e la ricerca dell’azione, di una forma di vita, cioè, immediata, piena, autentica, impossibile a realizzarsi per l’infermità che lo aveva costretto a letto negli anni in cui si è più portati a una pienezza di vita anche sensoriale».55 Il suo primo racconto, Cortigiana stanca, risale

al 1925 dopo l’uscita dal sanatorio; la maturità culturale dell’autore è tale che qualche tempo dopo

54 Ivi, p. 155.

pubblicherà un’opera molto più complessa, il romanzo dal titolo Gli Indifferenti. Nel corso degli anni si susseguono Le ambizioni sbagliate (1935), L’imbroglio (1937), La romana (1947). Nel 1941 sposa Elsa Morante e inizia un periodo molto movimentato della sua vita all’insegna dello sbandamento e dei viaggi; collabora inoltre con diversi giornali quali «Il mondo» e il «Corriere della Sera». Seguono decine di testi e pubblicazioni i cui temi centrali riguardano l’ipocrisia dell’individuo nella società, l’incapacità di essere felici e l’indifferenza morale. Muore a Roma, nel settembre 1990, all’età di 83 anni.

Il volume Un’idea dell’India, qui analizzato, viene pubblicato da Bompiani nel 1962 e costituisce l’insieme delle corrispondenze giornalistiche redatte da Moravia per i quotidiani in veste di inviato. Il primo contatto con l’India avviene nel 1936 quando, durante un viaggio verso la Cina, l’autore visita la città di Bombay. Tale occasione viene ricordata nell’intervista rilasciata ad Alain Elkann in cui racconta l’avventura con un giovane svizzero che amava i bordelli aggiungendo però un dettaglio importante: «la mia vera iniziazione all’Asia e all’Oriente l’avevo avuta, un po’ come avviene al protagonista di Youth di Conrad, proprio il giorno dell’arrivo a Bombay, vedendo la folla indiana tutta vestita di bianco e avvertendo per aria l’odore nuovo per me di polvere, di spezie e di decomposizione».56 Il secondo incontro con l’India risale al dicembre

del 1960: Moravia parte insieme a Pier Paolo Pasolini per un’occasione particolare, l’invito alla commemorazione del poeta Tagore e successivamente li raggiungerà anche Elsa Morante. Il viaggio si protrae per circa un mese e copre l’intero subcontinente indiano toccando le principali città tra le quali Bombay, Agra, Delhi, Calcutta, Cochin. Il testo è composto da tredici capitoli privi di ordine cronologico, ognuno con una differente tematica. Lo scrittore predilige un taglio saggistico, un tono deciso, non dà spazio a particolari descrizioni soggettive, non si fa coinvolgere emotivamente come invece capitò a Gozzano. Egli incarna la figura dell’“investigatore perfetto”,

colui che nei suoi articoli fornisce una fotografia reale, sintetica, obiettiva dell’India. Non cerca conforto, un ritorno alle origini: l’intento di questo viaggio è il contatto con l’Altro, con la diversità e il confronto di quest’ultima con l’Europa; come ricorda nel titolo della sua opera è alla ricerca di un’idea, di una visione oggettiva, distaccata del subcontinente: «Moravia autorizza i propri reportages conservando e confermando in India l’immagine di sé che ha in Europa, quella di un intellettuale che è ormai un Maestro, una guida, che dispensa verità e le cui osservazioni hanno un alto grado di affidabilità perché fondate su documentazione e competenza».57 Pasolini lo definisce

affettuosamente un “viaggiatore all’inglese” poiché molto documentato e obiettivo; nell’intervista rilasciata a Renzo Paris a tal proposito lo scrittore rispose:

non ho mai saputo che cosa che cosa pensasse veramente Pasolini di me. Credo che apprezzasse soprattutto la mia vitalità, parola generica che forse comprendeva anche la mia letteratura. Nella vitalità era inclusa anche «la distanza». Insomma, per lui ero un tipo di viaggiatore, […], all’inglese, cioè in sostanza non terzomondista e sentimentale. Per conto mio, vorrei aggiungere che i miei modelli erano e sono Stendhal e Sterne, il primo per il suo invaghimento per i Paesi e la loro cultura, il secondo per l’attenzione al particolare anche minimo. Pasolini era invece portato a sottolineare l’esperienza personale, privata, intima, non necessariamente culturale.58

Moravia non si lascia influenzare da ciò che lo circonda e le circostanze che provocano in lui traumi personali vengono presto ridotte a una generale situazione di confronto tra un europeo e il mondo orientale; rappresenta la figura di un cosmopolita moderno, di un viaggiatore che raccoglie informazioni politiche, storiche, culturali e sociali e le rende note al proprio pubblico in modo chiaro e rassicurante. I resoconti trattati nel testo sono preceduti da un’Introduzione, una sorta di dialogo immaginario nel quale si cerca di descrivere cos’è l’India. Rivolgendosi a un

57 G.BENVENUTI, Il viaggiatore come autore: l’India nella letteratura italiana del Novecento, cit., p. 154.

58 RENZO PARIS, L’esperienza dell’India, intervista ad Alberto Moravia in Un’idea dell’India, Bompiani, 2015, pp.

ipotetico interlocutore esordisce così:

Allora sei stato in India? Ti sei divertito? No. Ti sei annoiato? Neppure. Che ti è accaduto in India? Ho fatto un’esperienza. Quale esperienza? L’esperienza dell’India. E in che cosa consiste l’esperienza dell’India? Consiste nel fare l’esperienza di ciò che l’India. […] L’India è l’India. […] Voglio dire che dovresti sentire l’India come si sente, al buio, la presenza di qualcuno che non si vede, che tace, eppure c’è. […] Dovresti sentirla, laggiù, a oriente, al di là del Mediterraneo, dell’Asia minore, dell’Arabia, della Persia, dell’Afghanistan, laggiù, tra il Mare Arabico e l’Oceano Indiano, che c’è e ti aspetta.59

La conversazione prosegue indicando altre definizioni dell’India: essa infatti è il contrario dell’Europa, è il paese della religione, il luogo in cui «l’odore dolciastro, penetrante, disfatto e nauseabondo, come di sanie, di fiori putrefatti, di frutta marce che si sente nei vicoli di Benares, mentre ci si fa largo tra la folla dei pellegrini».60 E si conclude affermando che l’esperienza si

concretizza nel «vedere perché gli europei sono europei e gli indiani sono indiani».61