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L’INDIA NELLA LETTERATURA ITALIANA: AUTORI A CONFRONTO

III. 3 3 La povertà tra caste, superstizioni e colonialismo

Uno degli aspetti dell’India che colpisce il viaggiatore europeo degli anni Sessanta è la povertà che non rappresenta un evento momentaneo e risolvibile «bensì addirittura un tratto costituzionale così che modificarla o cercare di annullarla vorrebbe dire cambiare addirittura il carattere del popolo indiano».86 Questa misera situazione ha come protagonisti i mendicanti: essi

sono presenti nei paesi in un numero elevatissimo, dove stazionano nei pressi dei templi avvolti nei loro stracci, spesso sono lebbrosi, altre volte deformi, coprono l’intera fascia di vita dalla giovane infanzia fino alla vecchiaia; uomini e donne che aspettano fuori dagli alberghi, all’ingresso dei bazar o accanto ai taxi la presenza di europei che garantiscano loro qualche moneta; l’accattonaggio è elemento basilare nella povertà indiana. Quest’ultima è presente ovunque ma ha maggior rilievo in città come Bombay, Madras o Calcutta, plasmate dalla dominazione inglese sul modello occidentale, incontro di oscurità delle industrie, malinconia e condizioni disumane. L’autore richiama l’attenzione proprio sulla volontà britannica di cambiare un paese senza valutarne le condizioni e le derivanti conseguenze:

Il richiamo all’Inghilterra non basta; bisogna immaginare che cosa possano diventare certe stradacce commerciali o certi agglomerati operai inglesi nel clima fermentante, afoso, fantasticamente umido dei tropici. Ecco per esempio una grande strada di Calcutta che da lontano appare quasi maestosa benché bruttissima […]. Ma andate a guardare quegli edifici più davvicino e vedrete che ogni cosa, mattone, stucco, legno, pietra, cemento, intonaco, metallo, è ammuffito, lebbroso, corrotto e decrepito. […] vi sembrerà non già di guardare a delle facciate, bensì a delle facce, nelle quali una psicologia di specie sociale ed economica è stata espressa involontariamente coi mezzi dell’architettura.87

E aggiunge nel dettaglio che

86 A.MORAVIA, Un’idea dell’India, cit., p. 75. 87 Ivi, pp. 77-78.

Sono proprio facce devastate dall’età, dalle malattie e dalle privazioni, queste facciate: le pareti scalcinate e tinte di tutte le infinite sfumature dell’umidità e della decomposizione, le balconate traforate e crollanti, cariche di masserizie e brulicanti di umanità, le stanze sordide e affollate che si intravedono attraverso le finestre aperte, raccontano tutte la stessa storia di una degradazione tanto antica da essere diventata ormai normalità.88

Moravia cerca di indagare, di capire quali siano stati i fattori scatenanti tale povertà sottolineando come questi ultimi risalgano a un’epoca antica, precedente al dominio inglese. Prima causa della misera condizione indiana è il sistema delle caste: ordinamento fermo nei suoi principi razzisti, che ha dato vita al mantenimento di una vera e propria gerarchia sociale, condannando così qualsiasi tipo di evoluzione non solo universale ma anche personale. La seconda causa va individuata nella «degenerazione superstiziosa di concezioni religiose altrimenti profondissime quali il brahmanesimo, il buddismo e il jainismo»89 che infondono nel popolo credenze irrazionali,

talvolta oscure che paralizzano l’intero sviluppo economico e culturale. Terza causa, condivisa da gran parte degli indiani, è l’avvento del colonialismo inglese che ha favorito la miseria del subcontinente distruggendo le piccole attività artigianali, di coltura e pastorizia. Nell’imputare tale situazione al dominio britannico l’autore precisa come «questo terzo motivo in realtà non è distinguibile da quello che fa capo al sistema delle caste; e verrebbe quasi fatto di esclamare: chi di casta ferisce, di casta perisce. Chi erano infatti gli inglesi se non una supercasta a cui riuscì facile assoggettare trecento milioni di indiani […] perché questi, a loro volta, erano stati in precedenza ipnotizzati dai bramini con la fissazione delle caste?».90 Egli ritiene che il popolo

indiano fosse in un certo senso in attesa di essere dominato; la distanza tra colonizzatori e colonizzati ha contribuito inizialmente alla formazione di dissidi, di comportamenti non civili e a volte inumani, ma nel corso dei secoli ha poi portato innumerevoli vantaggi e innovazioni quali

88 Ivi, p. 78. 89 Ivi, p. 80. 90 Ivi, pp. 80-81.

un ordinamento giudiziario, la polizia, la burocrazia, sistemi stradali e ferroviari. Tale visione mostra quindi una certa approvazione nei confronti dell’intraprendenza inglese: l’India era caratterizzata dall’immobilità, dalla staticità, dall’involuzione e aveva bisogno in un certo senso di essere liberata da tali costrizioni. Moravia dedica a questo tema un intero capitolo intitolato Colonialismo e simbiosi nel quale evidenzia le differenze tra il dominio inglese e quello francese, portoghese, olandese. Questi hanno prediletto un’azione prettamente mercantile, volta allo sfruttamento dei territori e della popolazione; la colonizzazione inglese aveva altri obiettivi ben più profondi: l’occupazione del subcontinente indiano, la fondazione di città importanti quali Bombay e Calcutta, l’introduzione di elementi architettonici tipici, della lingua inglese, dello stile gotico, della cucina, degli usi e costumi tipici. Nonostante le mire espansionistiche, a volte fuori misura, il rapporto che si viene a instaurare tra inglesi e indiani non è rappresentato dal tipico binomio dominatore-dominato, piuttosto si rivela una sorta di simbiosi:

Che cos’è, infatti, la simbiosi? È un’associazione tra due animali molto diversi i quali vivono insieme in stretta comunione e (non sempre) con reciproco vantaggio. Le simbiosi, […], si distinguono, secondo la natura dell’associazione, in “mutualismo”, “commensalismo”, “inquilinismo”, “parassitismo” e via dicendo. Sono tutti termini molto espressivi e tutti, […], si attagliano molto bene al dominio inglese in India, il quale, infatti, fu piuttosto un processo biologico che un fenomeno politico.91

La trasformazione è stata quindi reciproca: l’Inghilterra ha cambiato l’India e allo stesso tempo l’India ha cambiato l’Inghilterra contribuendo a delinearne il carattere di paese moderno. Il colonialismo inglese non fu comunque la prima forma di simbiosi del subcontinente indiano, basti pensare agli otto secoli di invasione islamica o all’emigrazione ariana, che dopo periodi difficili all’insegna delle ingiustizie ha lasciato spazio al progresso della civiltà; in ottica postcoloniale si

definisce quindi «l’immagine di una eterna India aborigena che, indenne dalle contaminazioni che pure le simbiosi plurisecolari dovrebbero avere prodotte, finisce per riemergere a tratti scalzando i dominatori».92 Le considerazioni riguardanti la natura simbiotica dei rapporti anglo-indiani

vengono testimoniate da un episodio vissuto dall’autore:

mi desto da queste riflessioni al rumore che fa un motoscafo urtando contro il pontile. È un motoscafo da escursioni, ne scendono due americane, madre e figlia. La madre è una matrona occhialuta e podagrosa; la figlia che avrà vent’anni è rossa di capelli, con una faccia delicata, bianchissima, svaporata, dagli occhi violacei e dalle guance tempestate di lentiggini. È vestita di seta svolazzante e colorata, ha le braccia e le spalle nude arrossate dal sole tropicale. Il giovane marinaio quasi nero, dal corpo perfetto completamente ignudo salvo che per un piccolissimo perizoma, aiuta le due donne a scendere dal motoscafo. Ma la figlia mette un piede in fallo, quasi cade in mare e per un solo momento il suo braccio nudo, bianco, lentigginoso, arrossato si avvinghia e quasi si direbbe che si attorcigli al braccio anch’esso nudo, quasi nero del marinaio. Ho l’impressione di due piante o due animali attorti l’uno intorno all’altro, diversissimi e purtuttavia inseparabili: la simbiosi. Poi, invece, la stretta si scioglie quasi subito e la ragazza, ridendo e commentando il fatto con voce nasale, salta sul pontile.93

Tale racconto, come rileva Ricciarda Ricorda in Una tessera gozzaniana nell’India di Alberto Moravia, riprende un passaggio di Verso la cuna del mondo. Lettere dall’India: «si tratta di un caso molto interessante di intertestualità, che conferma la tendenza, diffusissima presso gli scrittori di viaggio, a guardare a modelli precedenti, a rifarsi alle pagine di altri autori».94 Anche

in questo caso la scena è permeata da una sorta di erotismo allusivo che trova però spiegazione nella figura del contatto tra le braccia che, come nel caso della dominazione inglese, non è stato subìto ma in un certo senso cercato: «non fosse che, nel gioco di colori evocato dal candore della

92 G.BENVENUTI, Il viaggiatore come autore: l’India nella letteratura italiana del Novecento, cit., p. 166. 93 A.MORAVIA, Un’idea dell’India, cit., p. 111.

94 RICCIARDA RICORDA, Una tessera gozzaniana nell’India di Alberto Moravia, in «Quaderni Veneti», num. 3, 2014,

pelle della giovane turista in contrasto eroticamente connotato con la scurezza della pelle del marinaio ignudo, la simbiosi non è duratura, è un’illusione di breve durata, la stretta si scioglie e la ragazza, dopo essersi avvinghiata per un fugace attimo, si invola. Non è l’India a svincolarsi dalla stretta, ma l’Inghilterra che, elegantemente, si scioglie da essa».95