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Alcune conclusioni sui verbi a comportamento variabile: predicati di attività/ risultat

Capitolo 5. Verbi a comportamento variabile: predicati di attività/ risultat

5.6. Alcune conclusioni sui verbi a comportamento variabile: predicati di attività/ risultat

Dai verbi che abbiamo analizzato fino a questo punto sembra che, da un punto di vista aspettuale, aoristi ed imperfetti siano sostanzialmente intercambiabili almeno in contesto narrativo. Gli imperfetti sono compatibili sia con letture perfettive che imperfettive, in contesti sia atelici che telici (senza detelicizzare l’evento). D’altro canto gli aoristi ricorrono spesso con eventi altamente telici, e si noterà che se con verbi ad alta transitività le ricorrenze del tema dell’aoristo prevalgono rispetto a quelle del presente, con i verbi di movimento il tema del presente diventa dominante. Riassumiamo i dati che abbiamo raccolto nelle seguenti tabelle, limitandoci alle forme di aoristo indicativo e di imperfetto. In entrambe le tabelle viene preso in considerazione il numero totale di attestazioni degli imperfetti e degli aoristi che abbiamo preso in esame, non solo i casi commentati nei paragrafi precedenti. Si tenga presente che sono state escluse le attestazioni della forma ambigua κτεῖνε/ ἔκετεινε(ν) (imperfetto o aoristo sigmatico) e tutte le forme suffissate con –σκε.

Tabella 1 Frequenza di aoristo indicativo ed imperfetto

Aoristo indicativo Imperfetto

κτείνω 38x (+/-12) 5x (+/-12) Alta transitività καίω (caus.) 11x 8x πίνω 13x 11x ἀείδω 1x 14x Bassa transitività ἄγω 54x 70x

69 Tabella 2 Valore contestuale di imperfetto e aoristo indicativo32

Contesto neutro

Imperfettivo Perfettivo Controfattuale

Imperfetto 27x 49x 40x 2x

Aoristo indicativo

4x 1x 98x 3x

L’imperfetto sembra essere termine non marcato dell’opposizione, potendo assumere in maniera più omogenea tanto valore imperfettivo quanto perfettivo. Anche l’aoristo non è strettamente associato alla perfettività: esso, seppur sporadicamente può comparire in contesti di difficile interpretazione aspettuale o anche imperfettivi. Inoltre tanto l’aoristo quanto l’imperfetto ricorrono con valore modale (controfattuale) in associazione con la particella κεν. Le ricorrenze di aoristo sono però molto più frequenti in contesti chiaramente perfettivi, ed abbiamo mostrato nelle precedenti pagine di commento come si possano riscontrare con una certa frequenza valori particolari, normalmente associati alla perfettività: esperienziale e completivo.

Il valore ‘esperienziale’, cui così spesso abbiamo fatto riferimento, è sostanzialmente sovrapponibile alla categoria che in Bybee, Perkins & Pagliuca (1994: 53-sgg.) viene definita anterior. Essa presuppone un momento referenziale (eventualmente coincidente col momento dell’enunciazione) durante il quale è rilevante che i fatti sono avvenuti almeno una volta, non la loro effettiva collocazione cronologica ed articolazione interna. Il valore ‘completivo’ focalizza (ed enfatizza) l’istante terminale del processo, il completo raggiungimento del telos (cfr. Bybee, Perkins & Pagliuca, 1994: 57).

La possibile associazione dell’aoristo con la telicità, notata ad esempio da Napoli (2006 e 2010), a nostro avviso è una conseguenza del valore completivo, dato che una lettura completiva vera e propria è possibile solo con predicati telici ed implica il completo raggiungimento del telos. Si consideri in proposito quanto si dice del completivo in Bybee, Perkins &Pagliuca:

32 In questa tabella (come nelle tabelle 4 e 6 nei capitoli seguenti) sono state contate una sola volta tutte le ricorrenze all’interno di espressioni formulari, intendendo almeno un intero emistichio ripetuto almeno due volte.

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…] it happens that in our reference material grams signaling an action performed completely and thoroughly are often described as having semantic nuances or other uses of three sorts:

1. The object of the action is totally affected, consumed or destroyed by the action. To repeat, ‘to eat up’ is a good example.

2. The action involves a plural subject of intransitive verbs, especially an exhaustive or universal plural, such as ‘everyone died’ or ‘he took all the stones’.

3. The action is reported with some emphasis or surprise value. (ibid.:57)

Tutti e tre I punti si possono facilmente riscontrare tra i vari esempi di valore completivo che abbiamo citato. Se si prendono in considerazione i punti 1) e 3) è possibile cogliere un nesso tra il valore completivo e l’uso degli imperativi aoristi, che sono sempre altamente telici. È indubbio che vi sia una forte enfasi ad esempio nell’invito che Odisseo rivolge al Ciclope (πίε οἶνον, Od.9,147).

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Capitolo 6. Verbi durativi atelici

Tratteremo qui i lessemi caratterizzati dai tratti [+durativo; -telico]. Ciò che distingue primariamente questi verbi da quelli fin qui trattati è il fatto che essi non ammettono un telos, e non hanno perciò delimitazioni (boundaries) naturali. All’interno di questo macro- gruppo la distinzione fondamentale è stativi (states) e predicati di attività (activities), per cui rimandiamo alla parte introduttiva. Il loro comportamento è assolutamente parallelo. Alla luce di ciò sembra ragionevole supporre che i tratti [+/- dinamico] e [+/- agentivo] non giochino alcun ruolo, o abbiano comunque un peso limitato nell’opposizione presente/imperfetto vs. aoristo che qui interessa.

Molti predicati di attività hanno soltanto il tema del presente. Ne citiamo alcuni, senza alcuna pretesa di esaustività: ἄημι ‘soffiare (del vento)’, ἀνάσσω ‘essere signore, governare’, ἀωτέω ‘dormire’, βασιλεύω ‘regnare’, γοάω ‘gemere’, ἐγρήσσω ‘guardare’, ἐρέσσω ‘remare’, εὕδω ‘dormire’, ἰάχω ‘gridare’, νίφω ‘nevicare’, πολεμίζω ‘combattere’, ὕω ‘piovere’. Alcuni media tantum rientrano in questo gruppo: ἀγάλλομαι ‘esultare’, ἀλάομαι ‘andare errando’, γεύομαι ‘gustare’, γουνάζομαι ‘supplicare (abbracciando le ginocchia)’, μαίνομαι ‘delirare’, μαντεύομαι ‘profetizzare’, μάρναμαι ‘combattere’, ὀδύρομαι ‘lamentarsi’, ὄρομαι ‘sorvegliare’. Una minoranza di verbi presentano un aoristo: γελάω ‘ridere’, κλαίω ‘piangere’ (ἔκλαυσα), μάχομαι ‘combattere’ (inf. μαχέσασθαι).

Similmente molti stativi hanno solo il tema del presente. Ne citiamo alcuni: ἀριστεύω ‘essere il migliore’, ἀφραίνω ‘essere folle’, εἶμι ‘essere’, λάμπω ‘risplendere’, πεινάω ‘essere affamato’; molti sono media tantum: βούλομαι ‘preferire’, ἐέλδομαι ‘desiderare’, ἔλπομαι ‘sperare’, ἐπίσταμαι ‘sapere’, ἧμαι ‘star seduto’, κεῖμαι ‘giacere’, σκύζομαι ‘essere irato’.

Tanto per gli attivi quanto per i medi, se un aoristo compare sarà quasi sempre un aoristo sigmatico: δείδω ‘temere’, ἐθέλω ‘desiderare’, ἐχθαίρω ‘odiare’, , στυγέω ‘odiare’, φιλέω ‘amare, avere a cuore’, ἔραμαι ‘amare’, μήδομαι ‘meditare’, μητίομαι ‘id.’, χώομαι ‘esser adirato’. Esistono peraltro alcune notevoli eccezioni: χανδάνω (χάδον) ‘contenere’, ἁνδάνω (ἕ(ϝ)αδον) ‘piacere’.

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La frequenza dei temi di presente isolati (privi di aoristo) è di per sé significativa: dei 44 stativi intransitivi elencati in Napoli (2006: 226), 28 (64%) non presentano alcun tema di aoristo. Fra i 30 stativi transitivi (ibid.), 10 (33%) non hanno alcun tema di aoristo: in questo caso la percentuale dei presenti difettivi è minore, ma comunque significativa. Anche in italiano esistono alcuni verbi difettivi –stativi-, come splendere (che non può creare un perfetto semplice, né forme composte), ma nel greco epico la loro frequenza è altissima, e non è certo un caso che nella prosa attica alcuni di questi lessemi scompariranno (ἔλπομαι), oppure svilupperanno un paradigma completo (βούλομαι)33.

Per questa classe prenderemo in esame:

a) Predicati di attività: κλαίω ‘piangere’, γελάω ‘ridere’; b) Stativi: μένω ‘rimanere’.

6.1. κλαίω

Il verbo κλαίω ‘piangere’ conosce oltre al tema del presente un aoristo sigmatico κλαῦσε ed un futuro κλαύσω (anche medio). In un certo senso rappresenta il comportamento tipico dei verbi di attività intrinsecamente atelici. Il tema di presente è assolutamente dominante, mentre l’aoristo sigmatico (quando esiste) è di uso molto raro.

Il tema di presente ricorre 5 volte al presente indicativo, all’imperfetto 28 volte, 4 volte al congiuntivo, una volta all’ottativo ed una all’imperativo, cui si aggiungono 34 attestazioni di forme non finite. Per contro l’aoristo sigmatico ricorre solo 2 volte all’indicativo ed una al participio.

Si prendano in considerazione alcuni esempi di utilizzo dell’imperfetto: τὴν δὲ τότ᾽ ἐν μεγάροισι πατὴρ καὶ πότνια μήτηρ

Ἀλκυόνην καλέεσκον ἐπώνυμον, οὕνεκ᾽ ἄρ᾽ αὐτῆς μήτηρ ἀλκυόνος πολυπενθέος οἶτον ἔχουσα

κλαῖεν ὅ μιν ἑκάεργος ἀνήρπασε Φοῖβος Ἀπόλλων: (Il.9.561-64). “Nella casa il padre e la nobile madre le davano il nome

33 Per la precisione il presente ἔλπομαι ed il funzionalmente equivalente perfetto ἔολπα verranno sostituiti dal denominale ἐλπίζω (cfr. Chantraine, 1977: 342-43).

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di Alcione, e giustamente, perché sua madre aveva il destino del triste alcione, e piangeva perché Febo Apollo,

il dio arciere, l’aveva rapita [… (Paduano)

Siamo all’interno del racconto fatto da Fenice del mito di Meleagro. Questa complessa digressione spiega il soprannome dato a Cleopatra moglie di Meleagro: Alcione. La comprensione del senso è impossibile senza una conoscenza del mito, che citiamo dunque brevemente: la madre di Cleopatra, Marpesse piange per essere stata sottratta al padre (Ida e Apollo, infatti, l’hanno rapita anziché sfidare il padre a duello per averla in sposa). Secondo il mito la femmina dell’alcione piange per aver perso i propri cari, come fa Marpesse, per questo motivo viene dato il soprannome di Alcione alla figlia. Qui il contesto in cui ricorre κλαίω è chiaramente imperfettivo, essendo l’interpretazione più probabile quella abituale.

Si consideri un altro caso:

τὼ δὲ μνησαμένω ὃ μὲν (scil. Πρίαμος) Ἕκτορος ἀνδροφόνοιο κλαῖ᾽ ἁδινὰ προπάροιθε ποδῶν Ἀχιλῆος ἐλυσθείς,

αὐτὰρ Ἀχιλλεὺς κλαῖεν ἑὸν πατέρ᾽, ἄλλοτε δ᾽ αὖτε Πάτροκλον [… (Il.24,509-12)

“Entrambi ricordavano, l’uno Ettore sterminatore, e pioangeva fitto rannicchiato a i piedi di Achille;

Achille piangeva quando suo padre e quando Patroclo.” (Paduano)

È chiaro dal contesto -e sottolineato dalla participiale τὼ δὲ μνησαμένω ‘e quei due ricordando’ (v.509)- che Priamo ed Achille piangono insieme, quantunque per ragioni diverse. I due eventi vengono dunque descritti come simultanei, e la lettura imperfettiva (interna all’evento) è in questi casi quella più probabile (anche se non obbligatoria, come nel caso di un evento che faccia da cornice ad un altro).

Il contesto è simile anche nel caso seguente. ὣς φάτο, τοῖσι δὲ πᾶσιν ὑφ᾽ ἵμερον ὦρσε γόοιο. κλαῖε μὲν Ἀργείη Ἑλένη, Διὸς ἐκγεγαυῖα,

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piangeva Telemaco e anche l’Atride Menelao,” (Di Benedetto)

In altri casi il contesto sembra essere perfettivo. Si prenda ad esempio la seguente coppia di versi formulare, che ricorre identica due volte:

κλαῖεν ἔπειτ᾽ Ὀδυσῆα φίλον πόσιν, ὄφρα οἱ ὕπνον

ἡδὺν ἐπὶ βλεφάροισι βάλε γλαυκῶπις Ἀθήνη. (Od.1,363-4; = 21,357-8) “(scil. Penelope) piangeva Ulisse, il caro suo sposo, finché dolce sonno Sulle palpebre le pose Atena dagli occhi lucenti.” (Di Benedetto)

Qui Penelope, ritiratasi nelle proprie stanze insieme alle ancelle, piange lo sposo. L’avverbiale ὄφρα definisce il termine dell’evento, rendendo l’aspetto perfettivo (visione dell’evento nel suo complesso). L’uso dell’imperfetto in italiano, se non agrammaticale, implicherebbe una lettura abituale.

Ma come ricordavamo anche nel caso dei risultativi, in Omero con avverbiali di durata temporale sembra più frequente l’uso dell’imperfetto. Un avverbiale di durata temporale compare nel caso seguente:

ἑπτὰ δὲ καὶ δέκα μέν σε ὁμῶς νύκτας τε καὶ ἦμαρ

κλαίομεν ἀθάνατοί τε θεοὶ θνητοί τ᾽ ἄνθρωποι· (Od.24,64) “Per sette e dieci notti e anche di giorno

ti piangemmo, dei immortali e uomini mortali.” (Di Benedetto)

A parlare è l’ombra di Agamennone, che ricorda il pianto funebre per Achille, attuato al contempo da dèi ed uomini. La presenza dell’avverbiale che definisce la durata dell’evento rende più neutra la lettura perfettiva. L’uso dell’imperfetto in una lingua come l’italiano (come accade nella traduzione) avrà un particolare valore di messa in rilievo dell’evento, di sospensione della narrazione che nell’originale greco è probabilmente assente.

Nel seguente caso il contesto è neutro dal punto di vista aspettuale: οἱ δ᾽ ἐπεὶ ἀλλήλους εἶδον φράσσαντό τ᾽ ἐσάντα,

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κλαῖον ὀδυρόμενοι, περὶ δὲ στεναχίζετο δῶμα. (Od.10,453-4) “Quando gli uni a fronte degli altri si videro e si riconobbero

Dolorosamente piangevano, e intorno ne echeggiava la casa.” (Di Benedetto)

Nel caso di una lettura imperfettiva, l’evento descritto nel suo svolgimento farebbe da preludio alla descrizione della sua conseguenza contingente, la casa che riecheggia del pianto. Ma se si focalizza l’attenzione invece sulla premessa (οἱ δ᾽ ἐπεὶ…) che definisce l’istante iniziale del pianto, sarà possibile allora una lettura ingressiva. Siamo in uno di quei casi in cui la scelta di un punto di vista perfettivo o imperfettivo da parte del parlante è totalmente libera e porta ad una particolare sfumatura stilistica – ma, naturalmente, solo in una lingua che ha un’opposizione aspettuale pienamente grammaticalizzata. Passiamo ora ad analizzare le attestazioni dell’aoristo. Troviamo due volte l’indicativo, entrambe nell’Odissea.

τῶ κέ οἱ οὐδὲ θανόντι (scil. Αἰγίσθῳ) χυτὴν ἐπὶ γαῖαν ἔχευαν, ἀλλ᾽ ἄρα τόν γε κύνες τε καὶ οἰωνοὶ κατέδαψαν,

κείμενον ἐν πεδίῳ ἑκὰς ἄστεος, οὐδέ κέ τίς μιν κλαῦσεν Ἀχαιιάδων: [… (Od.3,258-261)

“Allora su di lui (scil. Egisto) nemmeno morto nessuno la terra del tumulo Avrebbe versato. Cani e uccelli lo avrebbero ridotto a brandelli,

lui stesso nella pianura, distante dalla città, né alcuna delle Achee lo avrebbe pianto […” (Di Benedetto)

Siamo all’interno di un lungo periodo controfattuale. Menelao se fosse tornato in Grecia in tempo per trovare vivo Egisto, l’assassino del fratello, si sarebbe vendicato, e questi avrebbe avuto una morte infausta, senza sepoltura e senza il lamento funebre delle donne. Siamo quindi di fronte al tipico uso dell’aoristo in unione con la particella modale κεν, con valore controfattuale34.

Si consideri l’altra attestazione:

…] ὅν που τῆλε φίλων καὶ πάτριδος αἴης

34 Gli aoristi precedenti ἔχευαν e κατέδαψαν andranno intesi allo stesso modo, ma sono ancora più sorprendenti perché il contesto sospende la telicità dei risultativi.

76 ὅν που τῆλε φίλων καὶ πάτριδος αἴης

ἠέ που ἐν πόντῳ φάγον ἰχθύες, ἢ ἐπὶ χέρσου θηρσὶ καὶ οἰωνοῖσιν ἕλωρ γένετ'· οὐδέ ἑ μήτηρ

κλαῦσε περιστείλασα πατήρ θ᾽, οἵ μιν τεκόμεσθα: (Od.24,290-3)

“…] lui che lontano dai suoi e dalla sua terra patria, là nel mare lo divorano i pesci o sulla terra ferma fu preda di fiere e di uccelli: né sua madre lo pianse

dopo averlo vestito né suo padre, noi che lo generammo.” (Di Benedetto)

Laerte, rivolgendosi peraltro allo stesso Ulisse, che ancora non gli si è rivelato, piange la mala sorte del figlio che non ha avuto neppure gli onori funebri da parte dei genitori. Rilevante per il parlante è che al momento dell’enunciazione i fatti non sono avvenuti. Si tratta sostanzialmente di un uso esperienziale dell’aoristo.

Riassumendo i dati raccolti per questo verbo, si nota ancora una volta che l’imperfetto, con valore di preterito, ricorre tanto in contesti chiaramente imperfettivi (e.g. Il. 9,564) quanto perfettivi (e.g. Od. 24,64), oltre che in contesti difficilmente interpretabili da un punto di vista aspettuale (e.g. Od. 4,185; Od. 10,454). Le due sole attestazioni dell’aoristo indicativo ricorrono l’una con valore perfettivo (Od. 24,293), l’altra con valore modale in associazione con la particella κέ(ν) (Od. 3,261).

6.2. γελάω

Il verbo γελάω è complessivamente poco frequente nell’epos. Riguardo al tema del presente esso ricorre una volta sola al presente indicativo, una volta all’imperfetto e 4 volte al participio. Il tema dell’aoristo ricorre 13 volte all’indicativo, 5 volte al participio ed una sola volta all’infinito. Va notato peraltro che tutte le poche attestazioni del tema del presente si trovano nell’Odissea. Con questo verbo l’aoristo prevale nettamente sull’imperfetto.

L’unica attestazione del presente si trova in un discorso diretto: μήτηρ μέν μοί φησι φίλη, πινυτή περ ἐοῦσα,

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αὐτὰρ ἐγὼ γελόω καὶ τέρπομαι ἄφρονι θυμῷ. (Od.21,103-5) “La madre mia cara dice, pur saggia com’è,

che è pronta a seguire un altro, lasciando la casa:

ed io son qui a ridere a godermela con animo stolto.” (Di Benedetto)

Telemaco si riferisce chiaramente qui alla situazione presente ed i due presenti (γελόω e τέρπομαι) hanno chiaramente valore progressivo, cosa che conferma il carattere durativo del lessema.

Si consideri la sola attestazione dell’imperfetto: …] μνηστῆρσι δὲ Παλλὰς Ἀθήνη

ἄσβεστον γέλω ὦρσε, παρέπλαγξεν δὲ νόημα.

οἱ δ᾽ ἤδη γναθμοῖσι γελώων ἀλλοτρίοισιν, (Od.20,345-7) “…] e nei pretendenti Pallade Atena

Suscitò riso inestinguibile e ne dislocò la mente.

Quelli ormai ridevano con mascelle fuori dal loro controllo” (Di Benedetto)

La dea Atena suscita il riso fra i pretendenti, come si dice al verso precedente. L’azione di ridere è quindi descritta nel suo svolgimento al verso successivo, γελώων sembra dunque avere valore imperfettivo.

Passiamo alle attestazioni dell’aoristo indicativo. Si consideri ad esempio: οἳ δὲ καὶ ἀχνύμενοί περ ἐπ᾽ αὐτῷ ἡδὺ γέλασσαν:

ὧδε δέ τις εἴπεσκεν ἰδὼν ἐς πλησίον ἄλλον (Il.2,270-71) “A ciò gli altri sorrisero, per quanto afflitti;

e qualcuno, guardando, diceva al vicino.” (Paduano)

Tersite, uomo brutto, pavido e odioso ha incitato l’esercito alla ribellione contro il superbo Agamennone, invitandoli a salire sulle navi ed abbandonarlo a Troia, Odisseo allora rimprovera Tersite e lo mette in ridicolo di fronte a tutto l’esercito che ride di lui. L’aoristo potrebbe avere valore ingressivo, come suggerisce l’uso della particella δὲ che marca il passaggio fra un evento ed un altro nella narrazione. Sarebbe peraltro perfettamente plausibile una lettura imperfettiva. Si potrebbe descrivere l’evento nel suo

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svolgimento, come contemporaneo ai commenti che sorgono fra i commilitoni (τις εἴπεσκεν).

Si prenda in esame un altro caso: …] ἄϊε δὲ Ζεὺς

ἥμενος Οὐλύμπῳ: ἐγέλασσε δέ οἱ φίλον ἦτορ

γηθοσύνῃ, ὅθ᾽ ὁρᾶτο θεοὺς ἔριδι ξυνιόντας. (Il.21,389) “L’udi Zeus seduto sopra l’Olimpo, e il cuore gli rise, di gioia, come vide gli dei scontrarsi.” (Paduano)

In questo caso il contesto sembra perfettivo: Zeus ride nell’udire il frastuono e nel vedere la mischia degli dèi che scendono in battaglia, gli uni a fianco degli Achei gli altri a fianco dei Troiani. ἐγέλασσε (come anche il verbo precedente ἄϊε ‘udire’) si trova qui all’inizio del sintagma, ed è dunque immediatamente seguito dalla particella δέ. Valori egualmente puntuali (o ingressivi) sempre in stretta associazione con la particella δέ si trovano in un numero relativamente alto di casi: Il.21,408, 23,840, Od.9,413, 17,542, 18,163 18,320.

6.3. μένω

Il verbo μένω ‘rimanere, aspettare ecc.’ è di uso molto frequente e presenta un alto numero di forme prefissate (ἀνα- δια- ἐπι- περι-, ecc.). Nell’epica troviamo due forme di presente concorrenti μένω e μίμνω. Quest’ultimo, secondo Chantraine, “souligne l’aboutissement du procès et l’idée d’attendre” (1977:686; ma si veda oltre). Accanto ai temi di presente troviamo un aoristo sigmatico ἔμεινα ed un futuro μενέω.

Limitandoci alle forme non prefissate, è necessario distinguere almeno tre usi differenti. Il valore di base è quello di ‘rimanere’, ‘restare’ (stativo più o meno agentivo). È possibile specificare un punto terminale (“aboutissement du procès”), tramite un accusativo (e.g. χρόνον), una infinitiva o semplicemente un avverbiale delimitativo (εἰς ὅ, ὄφρα); in tal caso il verbo può essere tradotto come ‘attendere, aspettare’. Entrambi questi valori sono ampiamente attestati con le due forme di presente. Infine, con un oggetto diretto spesso animato, il verbo può assumere il significato specifico di ‘resistere (ad un assalto)’. In quest’ultimo caso la forma di presente μίμνω prevale su μένω; tuttavia, tutti e tre i valori

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sono attestati con entrambi i temi di presente e con l’aoristo (cfr. anche Liddel Scott, 1940: 1103).

Il tema di presente μένω è attestato 16 volte al presente indicativo, 37 volte all’imperfetto, 12 volte in forme modali, 10 volte all’imperativo e 61 volte in forme indefinite. Le ricorrenze del tema di presente μίμνω sono molto meno frequenti: 6 volte al presente, 19 volte all’imperfetto, 4 volte in forme modali, 11 volte all’imperativo; le forme non finite (10x) sono particolarmente rare rispetto all’altro presente μένω. L’aoristo sigmatico ἔμεινα ha una frequenza minore di entrambi i temi di presente: 17 volte all’indicativo, una sola volta al congiuntivo, all’ottativo e all’imperativo e 15 volte in forme indefinite.

Partiamo dalle attestazioni del tema del presente μένω. Il significato di ‘rimanere’ lo troviamo, ad esempio, nel caso seguente:

καί ῥ᾽ ὃ μὲν ἐν δήμῳ μένει αὐτοῦ πόλλ᾽ ἀποτείσας (Il.9,634) “e così chi ha pagato rimane nella sua patria” (Paduano)

Fenice sta qui descrivendo un caso ipotetico in cui un colpevole di omicidio, pagato un riscatto adeguato ai parenti della vittima, può restare nel luogo.

Il significato di ‘attendere’ è bene esemplificato dal seguente caso, in un arringa che Agamennone rivolge ai soldati.

ἦ μένετε Τρῶας σχεδὸν ἐλθέμεν ἔνθά τε νῆες

εἰρύατ᾽ εὔπρυμνοι πολιῆς ἐπὶ θινὶ θαλάσσης, (Il.4,247-8) “Aspettate forse che i Troiani ci arrivino adosso

dove le navi stanno, tirate a secco, sulla riva del bianco/ mare.” (Paduano)

L’imperfetto ricorre in contesti indubbiamente imperfettivi, tanto nel senso di ‘rimanere’, quanto in quello di ‘aspettare’. Si consideri il caso seguente:

…] οἳ δὲ καὶ αὐτοὶ

οὔτε βίας Τρώων ὑπεδείδισαν οὔτε ἰωκάς,

80 “…] ma quelli già da se stessi

non tmevano la forza dei Troiani, i loro assalti ma restavano fermi come la nebbia […” (Paduano)

Ci si riferisce qui ai due Aiaci, Ulisse e Diomede che stanno rimbrottando l’esercito. La frase introdotta da οἳ δὲ descrive il loro comportamento.

Pochi versi dopo, leggiamo:

ὣς Δαναοὶ Τρῶας μένον ἔμπεδον οὐδὲ φέβοντο. (Il.5,527)

“Così gli Achei aspettavano a piè fermo i Troiani e non fuggivano.” (Paduano)

In molte altre circostanze l’aspetto è indeterminabile dal contesto. Si consideri il caso seguente:

Δευκαλίωνα δ᾽ ἔπειθ᾽, ἵνα τε ξυνέχουσι τένοντες

ἀγκῶνος, τῇ τόν γε φίλης διὰ χειρὸς ἔπειρεν (scil. Αχιλλεύς) αἰχμῇ χαλκείῃ: ὃ δέ μιν μένε χεῖρα βαρυνθεὶς

πρόσθ᾽ ὁρόων θάνατον: [… (Il.20,478-81)

“(scil. Achille) colpì Deucalione nel punto dove si uniscono i tendini del gomito e gli trafisse il braccio con la punta di bronzo.

Sì fermò con il braccio appesantito, vedendo vicino la morte. […” (Paduano).

La lancia di Achille trafigge il braccio di Deucalione e questi si arresta, attendendo che la lanci lo trafigga. Il contesto sembra essere perfettivo.

Si prendano ora in considerazione gli usi del tema dell’aoristo. Nell’Iliade esso compare spesso nel senso di ‘resistere, sostenere un assalto’, come nell’esempio seguente:

Αἰνείας δ᾽ οὐ μεῖνε θοός περ ἐὼν πολεμιστὴς

ὡς εἶδεν δύο φῶτε παρ᾽ ἀλλήλοισι μένοντε. (Il.5,571-2) “Enea si ritirò, pur essendo prode guerriero,

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Enea ha qui appena ucciso i due fratelli Orsiloco e Cretone. Antiloco e Menelao bloccano la furia del guerriero troiano, riuscendo così a portare i due cadaveri fuor dalla mischia. Si consideri ancora l’esempio seguente, dove Diomede si rivolge a Glauco, stupendosi del suo coraggio:

…] ἀτὰρ μὲν νῦν γε πολὺ προβέβηκας ἁπάντων

σῷ θάρσει, ὅ τ᾽ ἐμὸν δολιχόσκιον ἔγχος ἔμεινας: (Il.6,125-26) “…] E adesso superi tutti in coraggio,

tu che hai aspettato la mia lunghissima lancia.” (Paduano)

È col significato specifico di ‘resistere, sostenere un assalto’ che troviamo le pochissime forme modali. Si consideri il caso seguente, dove Ettore rimprovera Paride:

οὐκ ἂν δὴ μείνειας ἀρηΐφιλον Μενέλαον;

γνοίης χ᾽ οἵου φωτὸς ἔχεις θαλερὴν παράκοιτιν· (Il.3,52-53) “Non vuoi dunque affrontare il valoroso Menelao?

Sapresti così a quale uomo hai tolto la sposa!” (Paduano)

Con il semplice valore stativo di ‘rimanere’ l’aoristo indicativo può assumere valore ingressivo, ma si ricorderà che l’imperfetto stesso non è del tutto estraneo a questo significato (cfr. Il.20,480, citato sopra). Riportiamo un paio di esempi:

καὶ τὸ μὲν αὐτοῦ μεῖν᾽ ὥς τε σκῶλος πυρίκαυστος

ἐν σάκει Ἀντιλόχοιο, τὸ δ᾽ ἥμισυ κεῖτ᾽ ἐπὶ γαίης (Il.13,564-5) “La lancia rimase là, come un palo arso dal fuoco,

nello scudo d’Antiloco, e l’altra metà cadde a terra.” (Paduano) καὶ τὸ μὲν αὐτόθι μεῖνε, τὸ δὲ τρύφος ἔμπεσε πόντῳ,

τῷ ῥ᾽ Αἴας τὸ πρῶτον ἐφεζόμενος μέγ᾽ ἀάσθη: (Od.4,508-9) “una parte rimase lì, l’altro pezzo rimase nel mare,

quello su cui Aiace prima, seduto, fu preso da cecità nella mente” (Di Benedetto)

L’aoristo ricorre in associazione con espressioni che sottolineano l’estensione temporale dell’evento. Si prenda in considerazione il caso seguente:

82 ἔστι δέ τις ποταμὸς Μινυήϊος εἰς ἅλα βάλλων

ἐγγύθεν Ἀρήνης, ὅθι μείναμεν Ἠῶ δῖαν (Il.11,722-23) “C’è un fiume, il Minieo, che si getta nel mare

vicino ad Atena, e qui aspettammo l’aurora divina” (Paduano)

Nestore sta qui narrando atti di guerriglia tra Epei e Pilii a cui egli stesso partecipò da giovane. L’aoristo compare nel sintagma μείναμεν Ἠῶ δῖαν ‘attendemmo l’aurora divina’. Lo stesso sintagma, sempre col verbo alla prima persona plurale, ricorre in Od. 9,151, 306, 406 e 12,7, sempre come secondo emistichio. Queste ricorrenze esauriscono le attestazioni dell’aoristo indicativo in associazione con una espressione di delimitazione cronologica, e questo contrasta con la grande varietà di sintagmi in cui ricorrono gli imperfetti (ed in genere l’intero tema del presente): oggetti diretti, infinitive e subordinate introdotte da εἰς ὅ e ὄφρα.

Questo aoristo ricorre anche con veri e propri avverbiale di durata temporale, come è attestato due sole volte, entrambe nell’Odissea35.

μῆνα γὰρ οἶον ἔμεινα τεταρπόμενος τεκέεσσιν κουριδίῃ τ᾽ ἀλόχῳ καὶ κτήμασιν· [… (Od.14,244) “Un mese soltanto rimasi, godendo dei figli

E della moglie legittima e dei beni; […” (Di Benedetto)

ἔνθα παρ᾽ αὐτῷ μεῖνα τελεσφόρον εἰς ἐνιαυτόν. (Od.14,292) “Lì, presso di lui, rimasi fino a un anno intero.” (Di Benedetto)

Siamo ancora all’interno di un discorso diretto, per la precisione all’interno del lungo racconto delle peripezie fittizie che Ulisse narra ad Eumeo. Nel primo caso dichiara di esser rimasto nella propria terra (Creta nella realtà immaginaria) solo un mese (μῆνα

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