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Aspetto e azionalità nella lingua omerica: analisi del valore oppositivo di presente/imperfetto vs. aoristo.

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Aspetto e azionalità nella lingua omerica

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Analisi del valore oppositivo di presente/imperfetto vs. aoristo

Andrea Sesoldi

Ringraziamenti:

Ringrazio tutti coloro che mi sono stati vicini in questi mesi, i miei familiari che mi hanno sempre sostenuto, gli amici che mi hanno sopportato. Ringrazio la relatrice che mi ha dato la possibilità di trattare questo argomento delicato.

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Indice

0. Abstract 1. Introduzione e stato dell’arte

1.1. Lo sviluppo del concetto di aspetto nel pensiero linguistico 2. Azionalità 2.1. Stativi 2.2. Predicati di attività 2.3. Risultativi 2.4. Trasformativi 2.5. Semelfattivi 3. Aspetto

3.1. Tempo, aspetto e modalità

3.2. Aspetto e azione

4. Tema del presente e tema dell’aoristo 4.1. Temi di presente e temi di aoristo

4.2. Ipotesi sull’origine dell’opposizione presente-aoristo 5. Verbi a comportamento variabile: predicati di attività/ risultativi

5.1. κτείνω

5.2. καίω

5.3. πίνω

5.4. ἀείδω

5.5. ἄγω

5.6. Alcune conclusioni parziali sui risultativi 6. Verbi durativi atelici

6.1. κλαίω

6.2. γελάω

6.3. μένω

6.4. Alcune conclusioni parziali su predicati di attività e stativi 7. Trasformativi

7.1. πίπτω

7.2. θνῄσκω

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7.4. ἐγείρω

7.5. Alcune conclusioni sui trasformativi 8. Conclusioni

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Abstract

Nel presente lavoro ci proponiamo di analizzare il valore dei temi del presente e dell’aoristo, con particolare riguardo all’opposizione tra l’imperfetto e l’aoristo indicativo. Nel greco successivo (quantomeno in greco moderno) il sistema è fondato su un’opposizione aspettuale tra un imperfettivo (presente) ed un perfettivo (aoristo). Scopo della ricerca è deetrminare se questo tipo di opposizione possa essere attribuito già alla lingua omerica. Dopo una breve introduzione sullo stato della ricerca (cap.1), proseguiremo definendo le categorie di ‘azionalità’ (cap.2) e ‘aspetto verbale’ (cap.3), tenendo conto dei più recenti sviluppi teorici; ci concentreremo, quindi, (cap.4) sulla struttura verbale del greco antico e sulle principali ipotesi ricostruttive indoeuropee. Nella parte centrale della nostra ricerca forniremo un’analisi dettagliata di un numero limitato di verbi, suddividendoli tra risultativi (cap.5), verbi durativi atelici (cap.6) e trasformativi (cap.7). Di ogni verbo trattato sono state esaminate tutte le attestazioni e sono stati riportati e commentati i passi più significativi. Il capitolo 8 sarà dedicato alle conclusioni raggiunte.

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Capitolo 1. Introduzione e stato dell’arte

Nel corso degli studi dedicati al sistema verbale della lingua greca, se da un lato sono state prodotte alcune opere specificamente dedicate alla categoria del perfetto (si consideri Chantraine, 1926 e 1967; Di Giovine, 1990 -questo dedicato all’indoeuropeo ed in particolare al vedico-; Romagno, 2005), sembra essere passato in secondo piano lo sviluppo diacronico dell’opposizione tra tema del presente e tema dell’aoristo. La ragione di ciò sta probabilmente nella seguente ipotesi: l’opposizione tra tema del presente e tema dell’aoristo esprime l’aspetto ed è rimasta funzionalmente immutata durante la storia della lingua greca. Di recente Willi (2018), trattando della formazione del sistema verbale greco, non accenna neppure alla possibilità che l’opposizione presente-imperfetto vs. aoristo possa essere mutata durante l’evoluzione storica della lingua greca, se non funzionalmente almeno da un punto di vista di restrizioni lessicali1. Questo

assunto, tuttavia, è stato recentemente criticato:

It is, moreover, almost universally accepted that diachronically the Greek verbal system has been extremely conservative, remaining practically unchanged down to the present day. […] It is argued here that, while there has been little change morphologically, the system has altered in a fundamental way. More specifically, it takes up the analysis […] according to which the history of the Greek verb indicates that the system of three (and later two) stems moves from the expression of Aktionsart (actionality/lexical aspect) to the expression of (grammatical) aspect [… (Moser, 2017:131)

Sfortunatamente l’autrice basa la sua obiezione non su uno studio funzionale, ma su una analisi statistica della frequenza di quelli che chiama ‘imperfetti anomali’ nei vari autori e nelle varie epoche. Gli ‘imperfetti anomali’ sono imperfetti utilizzati in contesti dove il

1 [AMPLIARE BIBLIO] Per questo motivo, ad esempio, passa in secondo piano il fatto che presenti difettivi (privi di aoristo) e aoristi difettivi (privi di presente), frequentissimi nell’epica (cfr. Napoli,2006), tendono a ridursi drasticamente nei dialetti dell’età classica, vuoi tramite la formazione di nuovi aoristi (o presenti, rispettivamente), vuoi tramite la scomparsa del lessema originario. Inoltre i paradigmi suppletivi sono considerati solo come relitti di una fase preistorica (proto-indoeuropeo), come se fossero già costituiti in proto-greco; ma se ciò può anche essere vero nel caso di αἱρέω/ἑλεῖν, molto diverso è il caso dell’aoristo φαγεῖν, cui si associano, a seconda del dialetto e dell’epoca storica, i presenti ἐσθίω, βιβρώσκω e τρώγω, quadro che si complica ulteriormente se si aggiungono le forme di perfetto e del paradigma medio-passivo.

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greco moderno utilizzerebbe piuttosto un aoristo, cosa che lega questa analisi alla soggettiva sensibilità linguistica del parlante moderno, più che a criteri oggettivi.

Nel presente lavoro ci proponiamo di analizzare a livello sincronico l’opposizione del tema del presente (presente-imperfetto) e di quello dell’aoristo nel greco omerico, da un punto di vista funzionale, che tenga conto dei più recenti sviluppi dei concetti di aspetto e di azionalità. In ragione di ciò dovremo anzitutto definire queste due categorie, tornando in seguito sul sistema verbale greco.

1.1. Lo sviluppo del concetto di aspetto nel pensiero linguistico

Il concetto di aspetto si fa strada nel pensiero linguistico ottocentesco primariamente in riferimento a due particolari sistemi verbali: quello slavo e quello greco antico2. Già

Curtius (1846) distingue una categoria di Zeitarten ‘tipologie temporali’ da una di Zeitstufen ‘piani temporali’, sostanzialmente equivalenti ai concetti di aspetto e tempo verbale, rispettivamente. Egli nota esplicitamente l’analogia del sistema verbale greco e di quello slavo, basati primariamente su un’opposizione di Zeitarten. Agrell (1908) va un passo oltre, distinguendo un aspetto (Aspekt), legato alla morfologia flessiva di un determinato paradigma verbale (e.g. in italiano andavo vs. andai), da una categoria che chiama Aktionsart, legata al lessico e alla morfologia derivativa. Purtroppo le due categorie non sono chiaramente definite da un punto di vista contenutistico e funzionale: semplicemente l’Aktionsart è parte del lessico di ogni lingua, ed ha dunque natura semantica. L’opposizione aspettuale fra sedeva e (si) sedette in italiano può avere la stessa funzione di quella lessicale tra sitzen ‘stare seduto’ e sich setzen ‘mettersi a sedere’ in tedesco. La distinzione tra aspetto e Aktionsart ebbe una certa fortuna nella prima metà del Novecento, ed è presente, fra gli altri, in un autore di spicco come Jakobson3.

Per lungo tempo il concetto di aspetto è stato strettamente legato alla descrizione di un determinato sistema verbale, prima quello greco e slavo (Curtius,1846; Brugmann,1885), quindi quello del proto-indoeuropeo o di altre lingue antiche o moderne (Brugmann,

2 Il termine stesso aspect (entrato in francese da una traduzione dal russo di Reiff, 1829) è un calco del termine usato dai grammatici slavi: ceco vyd, russo vid, calchi a loro volta del greco εἶδος. Cfr. Piva (1979:482); Bertinetto (1986:81).

3 Per una trattazione più dettagliata del problema rimandiamo a Bache (1982:64-sg., in partiolare) e autori ivi citati.

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1902; Meillet, 1908 ecc.). Sotto una categoria generica di ‘aspetto’ o di Aktionsart -distinte o meno fra di loro e comunque prive di una definizione soddisfacente- si sono andati accumulando concetti di natura molto diversa (compiuto vs. incompiuto, puntuale vs. durativo, iterativo, ingressivo, intensivo ecc.)4. Ancora nel 1979, Piva poteva a buon

diritto descrivere l’aspetto come una categoria fantasma, inconsistente:

Si ha l’impressione quando si affronta il problema dell’aspetto, di avere a che fare con uno di questi fantasmi. Categoria estremamente composita nella sua genesi storica, l’aspetto merita pienamente la qualificazione di controverso, non fosse altro che per la molteplicità e diversità di definizioni che ne caratterizzano la letteratura. (1979:479)

Negli ultimi decenni del Novecento, tuttavia, molteplici studi (Comrie, 1976; Bertinetto, 1986; Smith, 1991; Bybee, Perkins & Pagliuca, 1994 solo per citarne alcuni) hanno contribuito a rendere molto più chiaro il quadro generale. I seguenti punti accomunano tutti gli studi più recenti:

• L’aspetto è trattato come una categoria linguistica universale, indipendentemente dai sistemi verbali delle singole lingue.

• L’aspetto viene definitivamente distinto dall’azionalità (v. infra), che pure viene a volte indicata con una differente terminologia (inheraent meaning in Comrie, situation type in Smith).

• Tanto l’aspetto quanto l’azionalità non sono più categorie aperte –una sorta di termine ombrello sotto il quale si fanno rientrare tutta una serie di opposizioni non direttamente riconducibili al tempo-. Esse presentano, al contrario, un numero di manifestazioni finito e ben determinato.

L’aspetto e l’azionalità possono essere considerate oggi due categorie universalmente accettate. Le rispettive definizioni possono variare leggermente tra uno studioso ed un altro, fra un indirizzo teorico e l’altro, ma vi è un accordo sostanziale sul loro contenuto e sulle rispettive sotto-articolazioni. Nei capitoli seguenti andremo dunque ad esporre nel

4 Secondo Bertinetto (1986:81-82), fu questa confusione di concetti diversi a spingere Weinrich (1964) a rigettare la categoria di aspetto, sostituendola col concetto di ‘messa in rilievo’. Questo rifiuto della nozione di aspetto in sé costituisce un caso isolato.

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dettaglio queste due categorie, tenendo sempre presenti i punti che sono stati sopra indicati.

Un altro punto su cui la ricerca ha gettato luce è quello riguardante la grammaticalizzazione dell’aspetto, il suo emergere all’interno di un sistema verbale. A tale proposito faremo spesso riferimento alla già citata opera di Bybee, Perkins & Pagliuca (1994), che fornisce dati comparativi e tipologici su un numero elevatissimo di lingue.

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Capitolo 2. Azionalità

Con il termine ‘azione’ o ‘azionalità’ (ingl. actionality) si fa riferimento alle caratteristiche oggettive di un evento (ad esempio durativo, iterativo ecc.), alla sua strutturazione interna, determinate sia dalla semantica di un determinato lessema verbale sia dal contesto frasale in cui esso ricorre. Vendler (1957; 1967) sviluppa un modello di categorizzazione dei verbi, suddividendoli in quattro classi azionali: verbi stativi (states), predicati di attività (activities), risultativi (accomplishments) e trasformativi (achievements)5. Non bisogna tuttavia dimenticare che un gran numero di lessemi verbali

presentano un’accezione ambigua dal punto di vista azionale, che il contesto determinato in cui ricorrono permetterà di volta in volta di disambiguare6.

Per definire le classi azionali possiamo utilizzare i seguenti tratti:

• Dinamicità: ciò permette di distinguere un verbo stativo (stare, sedere) da un verbo non stativo [+ dinamico] (camminare, correre ecc.);

• Agentività: essa fa riferimento al controllo che il soggetto ha sull’evento. Non è agentivo un verbo come stare, mentre è agentivo rimanere;

• Duratività: un evento può essere durativo (camminare) o non-durativo (colpire); • Telicità: un evento può essere telico o atelico. Un predicato è telico quando

presenta una delimitazione, il raggiungimento di un telos, oltre il quale l’azione è conclusa, totalmente compiuta (andare a Roma); al contrario un evento che non ha una tale delimitazione naturale è atelico (dormire).

Sulla base di questi tratti potremo allora definire le seguenti classi verbali, che saranno riportate in italiano per lo più con la terminologia adottata da Bertinetto (1986), indicando di volta in volta il termine inglese corrispondente. Ci discosteremo dalla

5 In quanto segue gli esempi verranno forniti quasi sempre in lingua italiana, più raramente in inglese o in spagnolo. In ogni caso l’azionalità del verbo, così come la nozione di aspetto, sono categorie universali e dunque riscontrabili in una certa misura in tutte le lingue del mondo, indipendentemente dal fatto che una singola lingua presenti o meno una specifica marca morfologica che le segnali (cfr. Bertinetto, 1986:81-3). 6 Uno dei casi più noti, già esposto in Vendler (1957:57) è quello dei verbi di percezione. Solo per citare qualche esempio, si pensi alla diversa accezione di vedere e.g. in ‘I cani vedono in bianco e nero’ e ‘A un tratto vidi una persona che veniva verso di me’, o sentire in ‘Mio nonno ci sente poco’, ‘Ho sentito suonare al campanello’ o ancora ‘Stammi bene a sentire’.

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terminologia di Bertinetto nel caso dei predicati di attività, che l’autore chiama ‘continuativi’ (ibid: 96-98).

2.1. Stativi

Uno stativo (state) è caratterizzato dal tratto [- dinamico] ed è inoltre durativo e atelico, tratti che sono condivisi con i predicati di attività (activities, v. infra). Benché il concetto di stativo sia abbastanza intuitivo, risulta spesso difficile porre dei confini netti. Tendenzialmente, il soggetto di un predicato stativo non ha il controllo volontario dell’azione (presenta un basso grado di agentività), come è chiaro nel caso degli esempi (1) e (2):

1) Gianni è alto.

2) L’Italia confina con la Francia.

Ciò comporta anche la tendenziale incompatibilità dei predicati stativi con il modo imperativo, che presenta però, almeno in apparenza, delle eccezioni. Si consideri, ad esempio:

3) Sii uomo

In questo caso l’interpretazione della frase sarà ‘comportati da uomo’, il soggetto ha il controllo dell’evento [+agentivo], connotazione particolare che scompare se all’imperativo sostituiamo l’indicativo (‘Gianni è uomo’ ≠ ‘Gianni si comporta da uomo’). È importante anche distinguere tra stativi permanenti e non permanenti, che indicano cioè una condizione temporanea nel corso del tempo, come, ad esempio, essere malato. Gli stativi permanenti possono riferirsi all’intero arco della vita di una persona, come essere alto, oppure possono non avere in assoluto alcuna delimitazione cronologica, come nel caso seguente:

4) L’oro pesa più dell’argento.

Si consideri invece il caso di uno stativo non permanente: 5) Luigi era malato, ma oggi sta meglio.

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2.2. Predicati di attività

I predicati di attività (ingl. activities) sono dinamici, durativi e atelici. È primariamente il tratto [+dinamico] a distinguerli dagli stativi7; un altro tratto che ha una certa importanza

è quello dell’agentività. Per chiarire il concetto di dinamicità è utile riportare l’osservazione dello stesso Vendler (che per altro non usa il termine dynamic):

…] running, writing, and the like are processes going on in time, i.e., roughly, that they consist of successive phases following one another in time. Indeed, the man who is running lifts up his right leg one moment, drops it the next, then lifts his other leg, drops it, and so on. (1957:144)

Sono predicati di attività, ad esempio, camminare, parlare, ma può essere considerato un predicato di attività anche l’enunciato in (6):

6) Gianni fa lo stupido,

in contrapposizione ad uno stativo: 7) Gianni è stupido.

L’agentività non caratterizza necessariamente questi predicati, che possono essere anche inagentivi (8):

8) La palla rotola.

Non è l’agentività, ma la dinamicità (come è stata sopra definita) che permette primariamente di distinguere stativi e predicati di attività (cfr. n. 8).

In certi casi i confini tra le due classi appaiono sfumati. Un verbo come dormire sembrerebbe a prima vista stativo, tuttavia, almeno in italiano, presenta comportamenti tipici di un verbo continuativo: ricorre nella perifrasi progressiva:

9) Gianni sta dormendo

fatto che non è in genere condiviso da altri stativi non permanenti; si trova all’imperativo:

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12 10) Dormi bene!

Esso è inoltre coniugato esclusivamente con l’ausiliare avere: 11) Gianni ha/ *è dormito.

In italiano, infatti, fra i verbi mono-argomentali (intransitivi) la selezione dell’ausiliare avere è tipica dei cosiddetti verbi inergativi, quelli cioè in cui l’unico argomento non è direttamente coinvolto dall’evento e tende in genere ad avere un certo controllo su di esso (come nel caso dei predicati di attività: camminare, saltare, nuotare, ecc.); al contrario selezionano l’ausiliare essere i cosiddetti verbi inaccusativi, quelli cioè il cui unico argomento è altamente coinvolto e non ha normalmente controllo sull’evento (e fra questi rientrano appunto i predicati stativi: essere/ stare, sedere, rimanere, ecc.)8.

2.3. Risultativi

Come terza categoria indichiamo quella dei risultativi (ingl. accomplishments), che sono continuativi e dinamici come i precedenti, ma a differenza di questi sono telici, presentando una delimitazione naturale dell’evento. Il telos è il momento limite oltre il quale l’evento non continua e senza il quale l’evento non sussiste.

Sono risultativi e.g. mangiare una mela, leggere un libro, i quali descrivono eventi che si concludono (raggiungono il telos) quando la mela è stata completamente mangiata, il libro è stato completamente letto. In questi casi –che non esauriscono affatto la classe dei risultativi- è la presenza di un oggetto definito a rendere telico l’evento: in mancanza di un oggetto, o in presenza di un oggetto indefinito (mangiare, mangiare mele) gli stessi lessemi verbali sono atelici (predicati di attività). Si considerino i seguenti esempi:

12) Gli eschimesi uccidono renne. (atelico)

8 La questione dell’intransitività scissa è troppo complessa per essere qui trattata nel dettaglio, per cui rimandiamo a Van Valin (1987), Levin & Rappaport Hovav (1995); in particolare per la selezione egli ausiliari in italiano cfr. Van Valin (1990:231-40) e Sorace (2000:859-890). Qui sarà sufficiente ricordare che la teoria dei proto-ruoli (proto-roles) originariamente proposta in Dowty (1979) attribuisce ad ogni argomento un determinato ruolo semantico: Agent, Effector, Experiencer, Locative, Theme e Patient; questi si dispongono in una gerarchia dal massimo grado di agentività e controllo dell’evento (agente) da un lato al massimo grado di coinvolgimento dall’altro (paziente). L’unico argomento di un verbo inergativo tenderà ad avere un alto grado di agentività ed un basso grado di coinvolgimento (agent, effector), mentre l’argomento di un verbo inaccusativo avrà tendenzialmente caratteristiche opposte (patient, theme ecc.).

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13 13) Luigi ha ucciso una renna. (telico) 14) Luigi mangia spesso gelati. (atelico)

15) Luigi ha mangiato tre gelati in un giorno, e ora sta male. (telico) 16) Luigi canta bene. (atelico)

17) Luigi ha cantato La guerra di Piero a squarcia gola. (telico)

Tutti questi lessemi possono creare predicati di attività o risultativi, ma tendenzialmente un verbo come uccidere formerà un risultativo più frequentemente di mangiare. Cantare è più spesso mono-argomentale e forma un predicato di attività, ma può divenire anch’esso un risultativo (col significato di cantare un determinato brano musicale dall’inizio alla fine, come nell’esempio)9.

Non è però vero il contrario: verbi intrinsecamente atelici non possono essere resi risultativi a piacimento tramite l’aggiunta di un oggetto definito (passeggiare, camminare, volare che sono intransitivi, ma anche un transitivo come trattenere). Ciò giustifica la distinzione delle due classi.

Possono essere telici anche verbi che non implicano un mutamento di stato, ma di luogo. A rendere telico un verbo di movimento (transitivo o intransitivo) è la presenza di un punto di arrivo.

Si consideri ad esempio la differente accezione del verbo correre nelle due frasi seguenti: 18) Ho corso nel parco per un’ora / *in un’ora.

19) Sono corso a casa in dieci minuti.

Nel primo caso il verbo correre indica un’attività priva di una delimitazione spazio-temporale intrinseca (telos): in teoria posso continuare a correre per il periodo di tempo che voglio (o meglio finché il mio allenamento fisico lo permette). Nel secondo caso invece si intende un movimento verso un punto di arrivo (‘a casa’): l’azione si conclude solo e soltanto nel momento in cui raggiungo la meta, indipendentemente dal tempo che vi ho impiegato a raggiungerla (‘dieci minuti’ nell’esempio).

9 Per la questione della transitività scissa cfr. Hopper e Thompson (1980). La transitività è concepita come una categoria scalare basata su dieci parametri: (A) participants, (B) kinesis, (c) aspect, (D) punctuality, (E)

volitionality, (F) affirmation, (G) mode, (H) agency, (I) O-affectedness, (J) O-individuation. Un verbo come uccidere tenderà ad avere un oggetto con un alto grado di coinvolgimento e di individuazione, e si può

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Va sottolineato che nei risultativi il carattere durativo appare chiaramente dal fatto che si può avere un parziale avvicinamento al telos, senza che esso venga necessariamente raggiunto. La compatibilità con l’avverbiale del tutto/ totalmente rende chiaro questo concetto:

20) La foresta è bruciata totalmente,

21) Ho letto il libro del tutto (= Ho letto tutto il libro), ma non:

22) *Ho camminato del tutto (atelico),

23) *Sono giunto a Roma del tutto (telico, non durativo).

Un caso particolare è costituito dai cosiddetti incrementativi10. In questi verbi un vero e

proprio telos può non essere mai raggiunto, ma si ha piuttosto un graduale avvicinamento ad esso. Si consideri il caso di invecchiare. Sono agrammaticali gli enunciati (24) e (25):

24) *Mario è invecchiato del tutto. 25) *Mario ha finito di invecchiare.

Questo accade perché il concetto espresso non è assoluto ma relativo. Questi verbi sono in un certo senso atipici: sono durativi, indicano un mutamento di stato (per cui non possono essere predicati di attività) e tuttavia presentano un telos non definito. Il concetto può essere però quantificato, con espressioni del tipo di poco, di parecchio:

26) Mario è invecchiato di parecchio. 27) La situazione è cambiata di poco.

2.4. Trasformativi

I predicati trasformativi (ingl. achievements) sono, come i precedenti, telici, ma, diversamente da questi, sono non durativi. Il tratto di non duratività non va inteso nel senso che gli eventi cui si fa riferimento non abbiano in assoluto una estensione temporale (il che, ovviamente, è impossibile); neppure si deve intendere che a distinguerli

10 Questo sottogruppo di verbi, cui si fa un breve accenno in Bertinetto (1986:297-300), è stato ampiamente trattato in Bertinetto e Squartini (1995), rimandiamo a quest’ultimo lavoro per una trattazione dettagliata.

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dai verbi durativi sia solo una durata talmente breve da poter essere considerata nulla (questo porterebbe al problema di porre un limite tra una durata significativa ed una non significativa). Il concetto di durata riguarda in realtà il mutamento di stato, che costituisce il nucleo di un lessema trasformativo: esso è istantaneo e totale, non quantificabile, come dimostra l’incompatibilità con avverbiali del tipo del tutto, di poco, di parecchio. Sono trasformativi: nascere, morire, svegliarsi, sedersi, ma lo sono anche le varianti causative di questi ultimi: svegliare (trans.), far sedere. Il tratto di durata, infatti, non è legato alla valenza del verbo, e non va confuso con l’alternanza causativa, quantunque molti verbi trasformativi rientrino in quest’ultima.

In certi casi un evento trasformativo richiede indubbiamente una fase preparatoria prima che si compia. Si ha un predicato trasformativo in (28):

28) Mario è arrivato a Roma

Il lessema verbale probabilmente mette in risalto il solo nucleo, ma è evidente che Mario per arrivare a Roma deve esservi andato con un qualche mezzo e che questo ha richiesto certamente un certo periodo di tempo.

Un verbo come andare andrà, però, inteso diversamente. Si consideri l’esempio in 29): 29) Mario è andato a Roma.

Si noterà che si può dire ‘è andato’ solo nel momento in cui a Roma Mario è effettivamente arrivato, mentre è agrammaticale l’enunciato in (30):

30) *Mario è andato a Roma del tutto.

Molti verbi di movimento risultano ambivalenti in molte lingue. Verbi di questo tipo possono comprendere o meno un punto di arrivo (telos), a volte senza che alcuna marca morfologica lo segnali esplicitamente. In lingua inglese ciò può accadere con ogni verbo di movimento:

31) John ran in the park. (atelico) 32) John ran to the park. (telico) 33) Mary danced in the room. (atelico) 34) Mary danced to the room. (telico)

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In italiano appartiene a questa categoria correre (che è coniugato nei tempi composti con l’ausiliare avere se predicato attività, ma con essere se risultativo); andare, al contrario, comprende più di frequente nella sua semantica il punto di arrivo (telos) così come l’evento durativo che lo precede, ma non è affatto detto che un lessema apparentemente equivalente in una qualsiasi altra lingua presenti le stesse caratteristiche. È assolutamente contradditoria una frase quale:

35) *Sono andato a Roma, ma non vi sono mai arrivato

L’enunciato (35) diventa accettabile se si sostituisce il perfettivo ‘sono andato’ con un imperfettivo come ‘andavo’ ‘stavo andando’, ma di ciò parleremo quando ci occuperemo dell’spetto grammaticale.

A quale classe azionale andranno attribuiti i verbi di movimento come andare? Questi nella loro struttura semantica comprendono necessariamente un’attività, alla quale può essere aggiunto un limite, un punto di arrivo (endpoint). Andranno pertanto intesi come risultativi. Beninteso, essi non presentano un mutamento di stato, ma un mutamento di luogo ed il telos è determinato dal punto di arrivo che delimita questo mutamento (ing. path object).

Diverso è il caso di verbi trasformativi che possono comprendere una fase di preparazione che precede il nucleo trasformativo. È a questa sottoclasse che si possono attribuire (in italiano) verbi come giungere (citato sopra), ma anche trovare, morire11. Si consideri

infatti:

36) Ho pensato al problema per tutto il giorno, ma alla fine forse sto trovando la soluzione.

Il verbo coniugato qui nella perifrasi progressiva sottolinea una fase che precede immediatamente (o può precedere) l’evento vero e proprio, istantaneo. Così anche nell’esempio (37):

37) Molte persone colpite da peste nera morivano in tre giorni.

11 Il verbo morire può presentare caratteristiche azionali anche molto differenziate a seconda della lingua. Cfr. Botne (2003); v. anche infra (§7.2, n.38).

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L’avverbiale in tre giorni non si riferisce al nucleo trasformativo dell’evento (‘passare dalla vita alla morte’), ma al periodo che intercorre tra il contagio e la morte. Sostituire in tre giorni con dopo tre giorni lascerebbe la semantica della frase totalmente inalterata (in quanto il verbo morire non deve necessariamente far riferimento ad un periodo che precede la morte), mentre nel caso di ‘andare a Roma’ sostituire l’avverbiale in X tempo (38) con dopo X tempo (39) cambierebbe totalmente il senso:

38) Mario è andato a Roma in tre giorni. (= Ha impiegato tre giorni per andare a Roma) 39) Mario è andato a Roma dopo tre giorni. (= Sono trascorsi tre giorni tra un

precedente evento è l’inizio del viaggio di Mario).

Recentemente, in un’opera miscellanea dedicata proprio alla linguistica greca, Allan (2017) fa riferimento alla particolare sottoclasse di trasformativi che (possono) comprendere una ‘fase preparatoria’ (ing. preface):

There is a subclass of achievements which have a preparatory phase (a ‘preface’) preceding the event. These are sometimes called climaxes (see e.g., Fanning 1990, who refers to the un-prefaced achievements as punctuals). Climaxes are momentaneous events taking place as the culmination, of a separate preparatory phase. For example, arriving implies a preceding phase of going towards, approaching. The event of finding is often preceded by a searching process. (Allan,2017:114)

2.5. Semelfattivi

Quest’ultima categoria, che è non durativa, come i trasformativi, ma a differenza di questi non presenta alcun mutamento di stato né di luogo, non rientra nelle quattro classi originariamente proposte da Vendler e la sua validità non è accettata da alcuni studiosi, per i quali un evento non durativo è intrinsecamente telico, il che rende unitaria la classe dei non-durativi. Si consideri ad esempio Napoli, che scrive: “Punctual verbs are telic by definition, denoting an event that culminates in a change of state” (2006:40).

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Il termine ‘semelfattivi’ (ing. semelfactives), coniato da Comrie (1976)12, venne usato per

la prima volta in Smith (1991:55) per riferirsi a questa particolare sottoclasse di verbi non-durativi, definendoli come “instantaneous atelic events such as [knock], [cough].”

Già Bertinetto distingueva questa classe di predicati, definendoli però ‘puntuali’:

Per distinguere l’insieme complemento, entro la categoria dei verbi ‘non-durativi non-trasformativi’, useremo in questo scritto […] l’etichetta di puntuali. […] i puntuali ed i trasformativi condividono tutta una serie di comportamenti, ma differiscono anche su alcuni punti fondamentali. In particolare, ciò che caratterizza la classe dei trasformativi è il fatto che essi mostrano grande affinità con un’altra importante classe di verbi […] che chiameremo risultativi. Per designare congiuntamente queste due classi si può ricorrere al termine telici [… (1986:90) Anche in questo caso risulta chiaro che per l’autore non tutti i verbi non-durativi, ma solo i trasformativi, condividono con i risultativi la proprietà della telicità13.

Su questa base, si può considerare semelfattivo un evento che non ha una profondità temporale apprezzabile, pur senza implicare alcun mutamento di stato, come nel caso di colpire, urtare, rintoccare (detto di una campana), bussare alla porta (una volta), fare un salto,. Tutti gli eventi sopra indicati hanno infatti una durata temporale brevissima se avvengono una volta soltanto, ma possono essere iterati (cioè ripetuti per un certo numero di volte, caratteristica che può essere condivisa anche dai normali trasformativi) nel qual caso l’evento complessivo assume un carattere continuativo, come nel caso di: ‘Luigi ha bussato alla porta per cinque minuti’, dove Luigi deve aver ripetuto l’atto di bussare alla porta per un certo numero di volte (con insistenza, data la durata temporale esplicitata).

Avremo un evento puntuale in (40):

12 Cfr. Comrie,1971:41-sg. L’autore però definisce ‘semelfactive’ il caso particolare in cui lessemi non-durativi (‘punctuals’ per l’autore) si riferiscono ad un singolo accadimento (e sono dunque istantanei), in contrapposizione al caso in cui vengono ripetuti in una stessa occasione per un certo periodo di tempo (‘iterative’).

13 Molto più di recente, questa classe è presa in considerazione in Aubrey (2014:13-14), che la definisce come segue: “Semelfactives are related to achievements in being instantaneous. Unlike achievements, they do not involve a change of state”, per poi inserirla in una tabella riassuntiva con i seguenti tratti: “Semelfactive [−static], [±dynamic], [−telic], [+punctual]”.

(19)

19 40) Laura ha saltato il fosso.

dove si intenderà in genere che Laura abbia fatto un solo salto (il quale, beninteso, avrà una durata non istantanea, ma limitata da ragioni fisiche, dunque non prolungabile), ma lo stesso evento sarà necessariamente iterativo appena si aggiunga un’avverbiale di durata temporale (41):

41) Laura ha saltato il fosso a lungo / più volte / per mezz’ora.

Non deve sfuggire il fatto che ciò non è dovuto in alcun modo alla semantica del verbo saltare (che può formare un normale predicato di attività, come correre e volare), ma solo alla nostra esperienza e conoscenza del mondo.

42) Laura ha saltato la corda.

L’esempio in (42) sarà intesa in assenza di ulteriori specificazioni come indicante un evento reiterato (e dunque un predicato di attività), perché è del tutto inusuale saltare la corda una sola volta.

Anche lessemi che sono di norma predicati di attività, come urlare, possono riferirsi ad un evento talmente breve da potersi considerare (nel caso limite) semelfattivo. Si consideri:

43) All’improvviso, Mario urlò forte, che sarà inteso come ‘emettere un urlo’.

Concludendo possiamo schematizzare i prototipi delle classi azionali cui faremo riferimento secondo i tre tratti fondamentali di [dinamicità], [duratività] e [telicità] nella seguente tabella. Per completezza indichiamo (ponendola tra parentesi) anche la classe controversa dei semelfattivi, che non sarà in genere presa in considerazione in quanto segue.

Dinamico Durativo Telico

- + - Stativi

+ + - Predicati di attività

+ + + Risultativi

+ - + Trasformativi

(20)

20

Capitolo 3. Aspetto

Con il termine aspetto si fa riferimento al punto di vista del parlante sull’evento. Questa categoria non va confusa con l’azione e, almeno in teoria, ogni verbo può ricorrere in tutti gli aspetti14. Per distinguere le due categorie è utile la definizione che da Bache (1982:70):

Aktionsart [= actionality] concerns the procedural characteristics (i.e. the 'phasal structure', 'time extension' and 'manner of development') ascribed to any given situation referred to by a verb phrase whereas aspect reflects the situational focus with which a situation is represented [corsivo mio].

All’interno dell’aspetto verbale la distinzione fondamentale è tra perfettivo vs. imperfettivo. Nel primo caso l’azione può presentare una delimitazione cronologica (implicita o esplicita):

1) Mario passeggiò nel parco (per un’ora).

nel secondo caso il punto di vista del parlante esclude i confini cronologici dell’evento: 2) Mentre Mario passeggiava nel parco, all’improvviso scoppiò un temporale.

In altri termini il punto di vista dell’aspetto perfettivo è esterno all’evento, mentre nel caso dell’imperfettivo il punto di vista del parlante è interno all’evento. L’aspetto perfettivo descrive dunque un evento nel suo complesso, come scrive Comrie: “the perfective reduces the situation to a blob, rather than to a point” (1976:18).

È utile porre almeno un’altra distinzione all’interno dell’aspetto imperfettivo: quella tra progressivo e abituale. L’aspetto progressivo coglie un’azione nel suo svolgimento (come nell’esempio precedente). Ciò implica l’esistenza di un istante di focalizzazione (in

14 Per una trattazione sistematica dell’argomento v. in particolare Comrie (1976), Bertinetto (1986:119-244), Smith (1991). È utile ricordare che il concetto di aspetto (come il tempo cui è strettamente legato) esiste in quanto tale indipendentemente dal fatto che una lingua abbia una specifica marca morfologica; si veda ad esempio il comportamento di tedesco, inglese e italiano: ‘Johann aß, wenn ich den Raum betrat’, ‘John was eating, when I entered into the room’, ‘Gianni mangiava, quando entrai nella stanza’. Il verbo

essen/ eat/ mangiare ricorre sempre nel medesimo contesto imperfettivo progressivo, ma il tedesco usa il

(21)

21

Bertinetto, 1986:120 chiamato tempo di focalizzazione, indicato col simbolo tf) prima del

quale l’azione è cominciata, durante il quale l’azione sta avvenendo ed oltre il quale l’azione si può protrarre indeterminatamente. Con aspetto abituale si fa invece riferimento ad una azione che si ripete un numero indeterminato di volte in occasioni diverse e per un certo periodo di tempo. L’aspetto abituale può essere parafrasato nella sua accezione più tipica, con espressioni del tipo ‘essere solito’, ‘avere l’abitudine di’ ecc. L’aspetto abituale costituisce dunque un macro-evento composto da una serie di sub-eventi. Si consideri ad esempio:

3) Quell’anno, andavo spesso al cinema.

dove ogni volta in cui mi sono effettivamente recato al cinema costituisce un singolo sub-evento. Nel caso in cui gli eventi siano accaduti un numero determinato di volte, l’aspetto sarà invece perfettivo (esempio in 4):

4) Quel mese, andai (*andavo) al cinema tre volte.

Si tratta dunque di un particolare aspetto perfettivo in cui all’interno del periodo temporale definito sono avvenuti un certo numero di eventi distinti tra loro, e non va confuso con gli eventi reiterati, di cui abbiamo parlato a proposito dei verbi semelfattivi (v. sopra). In quest’ultimo caso, infatti, vi è un unico macro-evento senza soluzione di continuità, all’interno del quale si possono distinguere una serie di micro-eventi.

3.1. Tempo, aspetto e modalità

L’aspetto è distinto dal tempo, ma ha con esso un rapporto strettissimo. Esistono lingue che marcano morfologicamente solo il tempo, altre che presentano marche al contempo temporali ed aspettuali (il tedesco ad esempio marca morfologicamente il solo tempo, mentre le lingue romanze presentano un sincretismo tempo-aspetto, in cui due (o più) tempi passati sono distinti fra loro per l’essere perfettivi o imperfettivi).

Data la descrizione dell’aspetto che abbiamo sopra fornito, appare evidente che una distinzione netta è possibile soltanto nel caso di eventi reali, modalità fattuale (e dunque primariamente al modo indicativo), mentre nel caso di una particolare modalità

(22)

22

dell’evento (imperativo, desiderativo, eventi non fattuali e controfattuali ecc.) l’aspetto è spesso indeterminato.

Nel caso che una lingua conosca forme strettamente marcate come perfettive o imperfettive, l’uso dell’una o dell’altra forma veicola spesso una particolare interpretazione modale. Il greco moderno può costituire un buon esempio di questo fenomeno.

Nelle frasi condizionali l’uso di un tempo perfettivo ha valore eventuale o fattuale:

In factual conditions the verb may be in the present tense, or the perfective past [corsivo mio] or the future. The apodosis either uses the same tense as the protasis or is expressed by the [scil. perfective] subjunctive or imperative (Holton et al., 1997:207)

5) Αν (θα) πάω [PRF-non pass] στην Ελλάδα θα προσπαθήσω [PRF-non pass] να τον δω.

‘Se andrò in Grecia cercherò di vederlo.’

6) Αν βρήκε [PRF-pass] το γράμμα θα το διάβασε [PRF-pass] σίγουρα. ‘Se ha trovato la lettere, sicuramente l’ha/ avrà letta.’

Per contro l’uso del passato imperfettivo (imperfetto) assume valore controfattuale: Controfactual conditions are introduced by αν […] followed again by a verb in the indicative mood but in the imperfective past [corsivo mio] or the pluperfect. The apodosis is also in the imperfective past or the pluperfect, preceded by the particle θα (conditional or perfect conditional) (ibid.)

7) Αν διάβαζες (IMPRF-pass) το γράμμα του θα καταλάβαινες (IMPRF-pass). ‘Se tu leggessi la sua lettera capiresti.’

8) ἂν ἤμουν ἐγὼ βασιλεὺς θὰ διάλεγα (IMPRF-pass) δεύτερη γυναίκα καὶ θ' ἀποκτοῦσα (IMPRF-pass) διάδοχο!

‘Se fossi io re sceglierei una seconda moglie e mi procurerei un erede!’15

15 Gli esempi (5), (6) e (7) sono tratti sempre da Holton et al. (cit: 207-208), l’esempio (8) è tratto da Maspero (1976: 206). Accanto alle forme flesse degli esempi abbiamo usato le abbreviazioni [PRF] = ‘perfettivo’, [IMPRF] = ‘imperfettivo’, [pass] = ‘passto’, [non pass] = ‘non passato’. Per l’uso modale

(23)

23

Che l’imperfettivo sia associato alla modalità controfattuale non sembrerà strano, se si pensa che l’imperfetto indicativo può assumere valore controfattuale anche in italiano sub-standard (e.g. ‘se mi davi (=avessi dato) ascolto’, ‘se vincevamo (=avessimo vinto) i mondiali’ ecc.).

Un altro punto fondamentale: un presente contingente sarà necessariamente progressivo (con istante di focalizzazione coincidente col momento dell’enunciazione), per cui non ricorrono di norma nelle lingue del mondo presenti perfettivi: “tipically the tense distinction is only relevant in the imperfective.” (Bybee, Perkins & Pagliuca, 1994:83), o ancora:

in some sense it is accurate to say that a ‘present tense’ expresses the meaning of a present imperfective. Since imperfective, as we have defined it, expresses both ongoing progressive action and habitual occurrence (at some reference time) and may also be used for state and gnomic situations, an imperfective that is restricted to the present would be indistinguishable from a present tense. (ibid:141).

Non sembrerà strano dunque che spesso le forme marcate aspettualmente siano limitate ai tempi passati e al modo indicativo (fattuale). Le lingue romanze, ad esempio, conoscono all’indicativo l’opposizione tra tempi passati perfettivi (feci, ho fatto) ed un tempo prettamente imperfettivo (detto appunto imperfetto: facevo). La particolarità delle lingue romanze non è quella di limitare la distinzione aspettuale al passato (dato che solo al passato può esistere un vero e proprio perfettivo), ma quella di avere un sincretismo morfologico tra tempo e aspetto: non esistono infatti marche temporali che non abbiano anche preciso valore aspettuale. Al contrario in greco moderno il tema verbale marca l’aspetto, mentre il tempo è marcato da due differenti serie di desinenze. Ciò crea un sistema di opposizioni binarie che può essere schematizzato come segue16:

γραφ- imperfettivo γραψ- perfettivo

dell’imperfetto cfr. anche Thumb (1895: 128, § 195): “The Imperfect has modal force in expressions like ἔπρεπε " it must (have)," " was fitting," ἤθελα (νὰ ξέρω) " I should like to (know),"[… ] ἔλεγες "you might have said," νόμιζες "you would think, have thought" (but λές "you might say, mean")”.

16 Si confronti Holton et al. (1997: 108-sgg.). La forma di perfettivo non passato è solitamente detta ‘dipendente’ dato che non ricorre in isolamento. Nelle grammatiche precedenti alla riforma ortografica è meno agevole individuare questo sistema binario, perché le desinenze del congiuntivo (γράφ-ης/ γράψ-ης, γράφ-η/ γράψ-η) sono ancora distinte graficamente da quelle dell’indicativo (γράφ-εις, γράφ-ει), cfr. Thumb (1895: 115-sgg.).

(24)

24

Non passato γράφ-ω (presente + valore

modale)

γράψ-ω (valore modale)

Passato έ-γραφ-α (imperfetto) έ-γραψ-α (aoristo)

Dove la restrizione dell’uso di γραψω, che non può ricorrere in isolamento, è data semplicemente dalla congiunzione dei tratti [+perfettivo], [-passato], per l’incompatibilità del perfettivo col tempo presente.

3.2. Aspetto e azione

Benché l’aspetto e l’azione siano due nozioni da tenere distinte, sono in stretta interazione e spesso l’una influisce sull’altra. Anzitutto bisogna notare che verbi stativi mostrano una netta preferenza per l’aspetto imperfettivo. Ciò è abbastanza ovvio in caso di stativi permanenti, in cui una delimitazione può essere imposta solo da limiti biologici. Si consideri ad esempio:

9) Gianni è/ era alto, 10) *Gianni fu alto

questo indipendentemente dal fatto che Gianni sia vivo o morto al momento dell’enunciazione. Similmente (almeno in italiano moderno) un verbo come chiamarsi (= ‘avere nome’) ricorre solitamente in tempi imperfettivi:

11) Sua nonna si chiamava Maria.

In italiano nel caso di stativi non permanenti si ha ancora una certa preferenza per l’aspetto imperfettivo:

12) Ieri, Gianni era malato,

ma ogni qual volta il contesto imponga una lettura perfettiva, il verbo sarà obbligatoriamente coniugato in tempi perfettivi:

13) Gianni è stato /*era malato per molti giorni (ma ora finalmente è guarito).

In certi casi la distinzione aspettuale risulta particolarmente sottile. Si considerino gli enunciati apparentemente equivalenti in (12) e (13):

(25)

25 14) Enrico VIII aveva sei mogli,

15) Enrico VIII ebbe sei mogli

Le due frasi sono perfettamente grammaticali e a prima vista equivalenti. È inoltre indubbio che ‘avere moglie’ sia un predicato stativo non (necessariamente) permanente. Tuttavia, la nostra conoscenza della storia ci induce a preferire la seconda. L’imperfetto in (12), infatti, implicando un punto di focalizzazione (tf) durante il quale l’evento è vero,

induce (ma non obbliga) a intendere che Enrico VIII abbia avuto in un determinato momento sei mogli contemporaneamente (il che è falso); il perfetto semplice in (13), per contro, implica un periodo di tempo (in questo caso, la vita stessa di Enrico VIII) all’interno del quale l’evento è interamente compreso: non vi sarà alcun problema ad intendere la frase nel senso che Enrico VIII ha avuto sei matrimoni diversi in successione, e non sei mogli contemporaneamente (il che è vero). Risulterà dunque perfettamente normale l’enunciato (14):

16) Il re di Troia Priamo aveva molte mogli e concubine,

dalla mitologia greca si deduce infatti che il re Priamo era poligamo e che dunque aveva effettivamente più mogli e concubine nello stesso momento (un qualsiasi tf).

Questo esempio mostra chiaramente che -in una lingua come l’italiano- i diversi tempi verbali possono mantenere le loro caratteristiche aspettuali intrinseche anche nel caso di predicati stativi.

Un altro punto importante è la correlazione tra aspetto e telicità17. Se un verbo telico

viene coniugato in un tempo imperfettivo (progressivo, esempio (16)) non si può trarre nessuna informazione sulla reale conclusione del processo: il verbo risulta in pratica ‘detelicizzato’.

17) Il pittore dipinse il quadro implica che il dipinto è stato concluso;

18) Il pittore dipingeva il quadro

Qui, questa implicazione non è presente. La seguente frase è agrammaticale:

(26)

26

19) *Quel mattino andai al mercato, ma non ci sono mai arrivato, ma diventa accettabile sostituendo il perfetto con un imperfetto:

20) Quel mattino andavo al mercato, ma non ci sono mai arrivato.

Una lingua come lo spagnolo può ottenere implicazioni ancora più sottili. Si consideri: 21) El escultor estuvo esculpiendo la estatua (durante tres horas).

In (21) il preterito estuvo veicola una lettura perfettiva dell’evento (che infatti può essere delimitato e.g. dall’avverbiale durante tres horas), ma la perifrasi progressiva sospende la valenza telica dell’enunciato, implicando che nel periodo indicato la statua non è stata portata a termine. Una simile sfumatura può essere veicolata in italiano solo in presenza dell’avverbiale per X tempo vs. in X tempo:

22) Lo scultore scolpì/ scolpiva la statua per tre ore.

L’esempio (22) implica che il lavoro sia stato interrotto per qualche motivo dopo le tre ore (beninteso in seguito può essere stato ripreso ed eventualmente concluso); al contrario:

23) Lo scultore scolpì la statua in tre ore.

L’esempio (23) implica che il processo sia stato portato a termine (abbia raggiunto il telos) nel periodo di tempo indicato. Se si sostituisse il tempo con un imperfetto la frase rimarrebbe accettabile, ma implicherebbe una lettura abituale:

24) Lo scultore scolpiva la statua in tre ore. (=impiegava solitamente tre ore per portare a termine le sue opere).

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Capitolo 4. Tema del presente e tema dell’aoristo

Il sistema verbale del greco è basato su quattro temi: presente, aoristo, perfetto e futuro. Dal tema del presente si ricavano i tempi presente ed imperfetto, dal tema del perfetto il perfetto ed il piucchepperfetto. Lasciando da parte il perfetto, che ha desinenze proprie, il presente ed il futuro sono caratterizzati da desinenze cosiddette primarie (e.g. ω, εις, -ει, ecc., per le desinenze attive della cosiddetta serie tematica), i tempi passati sono caratterizzate da desinenze secondarie (e.g. -ον -ες -ε ecc., per la stessa serie) e dall’aumento (opzionale in Omero e dunque nell’epica, obbligatorio nelle fasi successive della lingua)18.

4.1. Temi di presente e temi di aoristo

L’imperfetto e l’aoristo tematico hanno le stesse desinenze e le formazioni tematiche o radicali possono ricorrere tanto come temi di presente quanto come temi di aoristo. Esistono degli affissi caratteristici del solo presente (*-i̯e/o, in nasale, con raddoppiamento in *-i-, ecc.), ma nel caso di forma tematiche o atematiche radicali nessuna caratteristica formale ci permette di distinguere un presente-imperfetto da un aoristo (neppure il grado apofonico della radice: è infatti un imperfetto ἔφευγον, ma è un aoristo ἐγενόμην). Semplicemente, è un tema di presente quello che all’indicativo ammette una coniugazione con desinenze primarie, sarà invece un aoristo quello che non ammette questa coniugazione.

Da ciò risulterà chiaro perché ἔφην sia considerato un imperfetto (pres. φημὶ), mentre ἔβην è un aoristo (**βημὶ). Questo principio rimane valido anche se non è attestato alcun tema di presente, così ἔπορον sarà un aoristo isolato (**πόρω). Alcune forme atematiche attestate solo nell’epica, come δέκτο e λέκτο saranno correttamente da intendersi come aoristi radicali con desinenze medie non perché siano correlati a presenti di tipo diverso (δέχομαι), ma perché non esistono forme del tipo **δέγμαι (cfr. Lazzeroni, 1997:171-sgg.).

18 Cfr. Schwyzer-Debrunner (1950: 246-301), in particolare sul rapporto fra imperfetto e aoristo pp. 258-sgg. Sulle desinenze personali cfr. Meillet (1908), Lazzeroni (1965: 81-88), Watkins (1969: 23-68 e 121-123). Su una trattazione recentissima e dettagliata delle desinenze personali del greco cfr. Willi (2018: 7-12).

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Forniamo ora una breve rassegna dei principali tipi di formazione per presenti e aoristi derivati. Oltre ai tipi tematici ed atematici radicali, il presente conosce i seguenti tipi di formazioni19:

- Con raddoppiamento in *-i-, nei due sottotipi atematico (ἵστημι) e tematico (τίκτω);

- Con ampliamento in nasale, di cui il greco ha ancora tipi atematici (δείκνυμι) e tematici (tipi πίνω e λαγχάνω);

- Con suffisso *-i ̯ (e.g. ἐγείρω); - Con suffisso in *-sḱ- (εὑρίσκω).

L’aoristo conosce, oltre alle citate forme tematiche e radicali, i due seguenti tipi: - Con raddoppiamento (ἤγαγον);

- Formazione sigmatica, nei due sottotipi ἔγραψα ed ἤγειρα (<*ἤγερσα).

4.2. Ipotesi sull’origine dell’opposizione presente -aoristo

Fin dal Meillet (1908) la formazione di un presente ovvero di un aoristo radicali è stata associata al carattere ‘puntuale’ o ‘durativo’ della radice (cioè a quella che oggi viene definita azionalità). Le radici ‘durative’ (imperfettive per natura) darebbero presenti radicali e aoristi secondariamente derivati (dunque marcati come perfettivi), nelle radici ‘non durative’ accadrebbe il contrario:

Die meisten Verbalwurzeln, die […] als Präsensstimme dienen, haben lexikalische Bedeutung mit eindeutig durativer Aktionsart, wie z.B. *ei “gehen”, *es “sein”, *ed “essen”. Da der imperfektive Aspekt, die Verlaufsschau, eine nicht limitierte Verbalhandlung ist das Zusammengehen von durativer Aktionsart und imperfektivem Aspekt […]. Entsprechend hat die lexikalische Bedeutung von einigen Verbalwurzeln, die beim Wurzelaorist als Tempusstämme dienen, wie z.B. *dō “geben”, *dhē “setzen”, mit Sicherheit keine durative, sonders punktuelle oder momentative Aktionsart. (Hoffmann, 1970: 30)

19 Sui vari tipi di formazione cfr. ancora Meillet (1908), Watkins (1969); sul problema del raddoppiamento cfr. Kulikov (2011:434-sgg.) e bibliografia ivi citata; sull’aoristo sigmatico cfr. Watkins (1962); Drinka (1995).

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Questa ipotesi (oltre ai già citati Meillet e Hoffmann, cfr. Meid, 1975:213sgg.) è stata peraltro ampliamente criticata (già Kuryłowicz, 1964; Lazzeroni, 1980): “chi sostiene che la radice sanscrita dā- «dare» si è realizzata come aoristo (a-dām) perché il suo significato momentaneo esigeva che il presente fosse raddoppiato (dadāti) deve, poi, rinunciare a spiegare perché verbi lessicalmente durativi come kr̥ «fare» abbiamo l’aoristo radicale e perché han «colpire, uccidere» abbia, invece, il presente radicale” (ibid:20).

Secondo l’opinione oggi più diffusa, il tempo, basato sull’aggiunta dell’ampliamento *-i ‘hic et nunc’ alle desinenze originarie (e a livello dialettale dall’aumento nei tempi passati), è un’acquisizione recente nel sistema verbale (cfr. Kuryłowicz, 1964:156; Watkins, 1969:46; Lazzeroni, 1980 e 1997; Di Giovine, 1997:309)20. Questo carattere

recente del tempo grammaticale è presente in tutte le teorie di evoluzione diacronica del sistema (pre-) protoindoeuropeo che esponiamo di seguito.

Kuryłowicz (1964: 100-105), che considera l’aspetto verbale come fondamento del sistema protoindeuropeo, sviluppa un modello di evoluzione aspettuale, in analogia a quanto documentato nelle lingue slave: gli imperfettivi di verbi telici possono divenire perfettivi (aoristi) a causa del loro uso prevalente, come accaduto con lo slavo *pri-pekǫ ‘cucinare X’ (telico > perfettivo) ripsetto a *pekǫ ‘cucinare’ (atelico); ciò comporta la necessità di creare un nuovo imperfettivo (tramite un suffisso derivativo), come in slavo *pri-pekajǫ da *pri-pekǫ. Dunque forme come a.i. akar ‘feci’, adāt ‘detti’ avevano in origine i loro presenti: “they had been used in the present but owing to the secondary rise of a punctual [= perfective] function they had to be replaced by new present types, their imperfect being henceforth used as an aorist” (ibid: 104). Naturalmente I vari tipi di ‘nuovi presenti’ appartengono a diverse epoche storiche: inizialmente forme atematiche saranno state sostituite da forme tematiche (tipo tudáti che “seems to hesitate between the present and the aorist” ibid: 116); divenute anche queste ultime aoristi si renderebbero necessarie ulteriori nuove formazioni. Le forme più recenti sono quelle produttive nelle lingue storiche: i presenti denominali in *-ei̯e/o- e *-āi̯e/o- (ibid: 105). La teoria evolutiva di Kuryłowicz è interessante, ma non è del tutto chiaro se l’autore ritenga che un presente telico possa diventare perfettivo senza che questa categoria sia già

20 Esistono peraltro voci discordanti. Secondo Szemerényi (1987) il sistema sarebbe fondato sull’opposizione tra temi di presente e preterito (aoristo). Solo la creazione, a livello dialettale di tempi imperfetti porta allo sviluppo di un sistema aspettuale.

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grammaticalizzata nella lingua, o al contrario se il presupposto sia in ogni caso l’esistenza di un precedente perfettivo, che viene per così dire ‘rimpiazzato’ da antichi imperfettivi che subiscono lo ‘slittamento aspettuale’. In quest’ultimo caso la teoria difetta nel non presentare alcuna forma come perfettivo originario.

Secondo Lazzeroni, nel sistema originario la distinzione fondamentale sarebbe quella tra processo e stato: “il sistema verbale era strutturata su due unità: l’ingiuntivo (che propriamente dovrebbe chiamarsi indicativo atemporale) segno del processo e il perfetto segno dello stato conseguente al processo” (Lazzeroni, 1997:173). Non vi è nessuna distinzione formale tra un tema di presente ed un tema di aoristo. Solo in seguito alla grammaticalizzazione del tempo un aoristo si distingue da un tema di presente essendo privo di una flessione con desinenze primarie (hic et nunc). Solo in conseguenza di ciò si grammaticalizza l’aspetto. Mostriamo di seguito le fasi evolutive proposte in Lazzeroni (1980 e 1997):

1) Nella fase più antica i vari tipi i formazione (di tipo derivativo) costituiscono marche di azionalità. Il tempo e l’aspetto non sono marcati.

2) In una fase successiva il presente comincia ad essere marcato dal suffisso *-i (hic et nunc), dal quale si formano le desinenze primarie. Alcuni tipi di formazione (per la rarità della forma e non produttività del tipo di formazione) rimangono privi del nuovo presente. Riportando un esempio sanscrito si avrà un’opposizione temporale in dadāti vs. dadāt, mentre dāt (*dāti) rimane isolato. In greco ad esempio si avrà una distinzione temporale in λείπει vs. λεῖπε, mentre λίπε rimane isolato (*λίπει).

3) Completamente grammaticalizzato il tempo (con la creazione anche di un preterito marcato tramite l’aumento, e.g. adadāt, adāt), si crea una asimmetria tra i temi di presente (che hanno un preterito, un ingiuntivo ed un presente indicativo) ed i temi di aoristo (che sono privi del presente indicativo).

Strunk (1994), prendendo le mosse in ultima analisi dalla teoria di Hoffmann e Meid citata sopra, sviluppa un tipo di evoluzione diacronica, ancora basata sul riconoscimento della recente acquisizione tanto del tempo quanto dell’aspetto all’interno del sistema verbale. La teoria può essere schematizzata come segue:

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1) Nella fase più antica i vari tipi di formazione marcano diverse Aktionsarten. Così “The punctuative ‘verbal character’ of the just mentioned PIE root *gweh

2 “(to)

step” e.g., became durative by means of an added reduplication denoting iteration in the present-form *gwigweh

2-ti (Ved. jígāti, Hom. Gr. participle βιβάς)” (ibid:

419).

2) In questa prima fase le forme di ingiuntivo come *weghe-t (ved. vahat) possono

avere valore abituale ‘(solitamente) trasporta’, di presente generico o anche di passato (in quest’ultimo caso si svilupperà in alcuni dialetti l’aumento *e-, come marca opzionale di passato). Le forme di indicativo presente marcate dalle (nuove) desinenze primarie hanno valore di presente attuale, per cui *weghe-ti (ved.

vahati) significa ‘sta trasportando’. Ma nel caso di eventi puntuali il presenta attuale non si sarebbe mai sviluppato: “Present forms such as +gweh

2-ti “is taking a

step”, however, were impossible and never coined, because their punctuative root-meaning (‘verbal character’) and the function of the present tense exclued each other” (ibid: 420).

3) Completamente grammaticalizzato il tempo, si sarebbe creata una asimmetria tra i temi di presente (che hanno un preterito ed un presente indicativo) ed i temi di aoristo (che sono privi del presente indicativo). Molte radici ‘puntuali’ avrebbero avuto solo un aoristo, mentre i presenti secondari si sarebbero sviluppati successivamente. Per contro molti lessemi ‘durativi’ non avrebbero avuto in origine alcuna formazione aoristica, sviluppandola solo in seguito nelle singole lingue.

4) Per l’autore (ibid:426-sgg.) la riclassificazione di alcune forme come perfettive (aoristo) e di altre come imperfettive (presente-imperfetto) costituirebbe uno

sviluppo del tardo indoeuropeo. Forme che si sottraggono alla

grammaticalizzazione dell’aspetto potendo dare presenti in certe lingue ed aoristi in altre (av. (ni)jaɣnənte (pres.) vs. gr. ἔπεφνε (aor.) entrambe da IE *gwhe-gwh

n-e/o-) sono residuali. Un certo numero di suffissi possono andare a formare solo presenti e non aoristi (presenti in *–n-, *-ye/o-, *-sḱe/o-, *-eye/o-), mentre dall’altro lato il suffisso atematico *-s- diviene un morfema marcato di aoristo. Le lingue anatoliche si sarebbero separate dall’indoeuropeo comune prima che ciò avvenisse.

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A prima vista non si capisce affatto cosa impedisca ad un parlante indoeuropeo di produrre una frase come ‘sto muovendo un passo’ (cfr. Willi, 2018:33-sgg.). Se si considera il fatto che l’autore usa ‘puntuale’ intendendo un predicato non durativo (dunque ‘trasformativi’ ed eventualmente ‘semelfatttivi’) e che esistono lingue che non ammettono il prgressivo di lessemi trasformativi (Smith, 1991:114; v. infra cap. 7), la teoria dello Strunk non è affatto insostenibile.

Le teorie di Strunk e di Lazzeroni hanno alcuni punti in comune: anzitutto riconoscono il carattere recente del tempo (la coniugazione originaria è quella di ingiuntivo); anche l’acquisizione dell’aspetto è recente e si origina in seguito alla differenziazione fra i temi di presente e i temi di aoristo. L’imperfetto si potrà caratterizzare come imperfettivo essendo correlato al presente, imperfettivo per natura, mentre l’aoristo diventa perfettivo in quanto si oppone all’imperfetto. Ma bisogna sottolineare che questa grammaticalizzazione dell’aspetto può costituire un fenomeno dialettale o seriore. L’aoristo, privo di presente, può diventare semplicemente tema di preterito, determinando eventualmente la scomparsa delle forme concorrenti21.

4.3. L’interpretazione aspettuale del verbo greco

Per quanto riguardda la lingua greca, l’opposizione tra i temi del presente-imperfetto e dell’aoristo, cui talvolta si aggiunge anche il perfetto, è generalmente considerata di natura aspettuale, come in Meillet (1908:216-219) ed in Chantraine (1953:183-196), solo per citare due dei più famosi linguisti della prima metà del XX secolo. Per entrambi il presente (pres.-impf.) rappresenta l’azione nel suo svolgimento e nella sua durata, l’aoristo l’azione pura e semplice senza riferimento alla sua articolazione interna.

Un lavoro importante in proposito è quello di Sánchez Ruipérez (1954:89-sgg.) che definisce l’aoristo simultaneamente come non durativo e neutro, mentre il presente-imperfetto è marcato come durativo. L’opposizione avrebbe dunque un termine neutro (l’aoristo) ed uno marcato (presente-imperfetto).

21 In armeno e in slavo l’aoristo dà luogo ad un tema di preterito, mentre non vi è traccia dell’imperfetto (o ingiuntivo) originario. In latino forme probabilmente di aoristi originari (dīxī) concorrono con forme di perfetto (pepulī) per formare il preterito (denominato perfetto). La successiva formazione di nuovi imperfetti (derivati dal tema di preterito in slavo, ma dal tema di presente in latino: dīcēbam) potranno (ri)caratterizzare i preteriti come perfettivi.

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Anche Friedrich (1974) considera la duratività come la distinzione fondamentale del verbo omerico e protoindoeuropeo. L’articolazione da lui supposta è però più complessa, e comprende anche il perfetto. Da un lato il presente-imperfetto, caratterizzato come [+durativo], si opporrebbe al perfetto e all’aoristo, entrambi caratterizzati come [-durativo]. Ciò che distingue il perfetto dall’aoristo sarebbe un ulteriore tratto [+/- realized]: il perfetto sarebbe allora [-durativo; +realized], l’aoristo [-durativo; -realized]. Questa caratterizzazione appare artificiosa e difficilmente sostenibile. Il perfetto (v. Chantraine, 1953: 197-201; Romagno, 2005), ha originariamente valore stativo (ed in quanto tale non può che essere durativo), ed il greco è la lingua che meglio conserva le sue funzioni originarie. Fermo restando che il perfetto va tenuto separato dalla dicotomia presente-imperfetto vs. aoristo, e che la particolare lettura di Friedrich dovrà essere rigettata, rimane ancora la duratività il tratto distintivo fondamentale.

Come già notato da Napoli (2006: 57-sg.), nella definizione dell’aspetto greco (e indoeuropeo) si parla in genere di duratività vs. puntualità e non di perfettività. Un’opposizione perfettivo vs. imperfettivo è stata utilizzata da Kuryłowicz (1964: 94), mentre i termini concettualmente equivalenti di infektiv e konfektiv sono stati impiegati da Schwyzer e Debrunner (1950: 252). Potrebbe sembrare che ciò sia dovuto ad una tarda acquisizione del concetto di perfettività nella linguistica greca ed indoeuropea, ma è da notare che recentemente Dosuna (2017: 56-59), giustifica la sua preferenza per la terminologia tradizionale: “Punctuality must be understood as lack of duration, real or conceived. […] the aorist telescopes the events into a compact whole intentionally disregarding its internal time structure.” (ibid: 59).

Nel corso degli studi greci ed indoeuropei, sembra essere un tacito e diffuso presupposto che l’opposizione tra presente-imperfetto ed aoristo sia rimasta funzionalmente inalterata nel corso della millenaria storia della lingua greca (fino ai giorni nostri), ma questo assunto può essere erroneo, come recentemente sostenuto da Moser (2017: 131-157). Lo scopo del presente lavoro è precisamente quello di verificare (o smentire) il carattere aspettuale dell’opposiozione presente-imperfetto vs. aoristo nell’epica omerica. L’analisi sistematica dell’opposizione presente-imperfetto vs. aoristo nella lingua omerica è fondamentale, oltre che per la conoscenza della lingua omerica in quanto tale, anche per metter luce sullo stadio più antico del greco di cui disponiamo (che la lingua omerica

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riflette)22. La conoscenza dello stadio più antico della lingua greca è, d’altro canto,

imprescindibile per cogliere le linee generali dell’evoluzione diacronica, e ciò potrà permette di porre maggior chiarezza sulla fase più tarda del sistema verbale protoindoeuropeo che il greco e l’indoiranico ereditano.

22 Il miceneo dovrà ovviamente essere escluso, data la scarsità e la peculiarità della sua documentazione non letteraria, ma non bisogna dimenticare il fatto che le parti più antiche dell’epos possono esser state tramandate oralmente per secoli prima di entrare a far parte dei poemi nella forma in cui li conosciamo e, in ultima analisi, risalire ad un periodo contemporaneo, o non di molto successivo, alle tavolette micenee stesse.

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