la responsabilità dell’insuccesso.
A salutare quasi con euforia il libro fu piuttosto, poco dopo, nel 1961, la Francia. La traduzione a cura di Philippe Jaccottet suscitò vari articoli entusiastici, tali da rendere subito celebre il
romanziere Cassola, grazie anche alla premessa di Franco Fortini (Cassola ou la fidélité) che
presentava il libro con apprezzamento critico appassionato e convinto, diverso dal giudizio espresso nel 1952 per la prima edizione. Toccò così alla traduzione francese241 dare il via alla felice stagione della fortuna all’estero di Cassola, duratura e ricca sia per il grande numero di opere tradotte, sia per quello dei paesi coinvolti.
ALCUNE CONSIDERAZONI SUL PAESAGGIO DEI RACCONTI E DEL
ROMANZO
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Oltre al tema della Resistenza, centrale in tutti i testi analizzati, un altro elemento ricorre nelle opere di Cassola. Rappresenta una presenza silenziosa ma costante, quasi impercettibile ad una prima lettura, ma pur rimanendo spesso sullo sfondo delle vicende, perché in realtà costituisce appunto lo sfondo, ricopre un ruolo di primo piano nei singoli testi e nella narrativa caratteristica dell’autore. Questo elemento è il paesaggio: in particolare il territorio della Val di Cecina, fino alla costa tirrenica; le zone collinari intorno a Volterra e la città stessa, fino a comprendere l’entroterra dell’ampia provincia di Grosseto.
Il paesaggio non è liberamente scelto dallo scrittore tra una gamma di possibilità espressive ma emerge spontaneamente dal profondo delle sue esperienze infantili.
Nel descrivere il paesaggio e nell’inserirlo nella sua opera, Cassola si serve di immagini che ritornano, quasi veri e propri simboli, emblematici della sua scrittura e del panorama che egli ha interiorizzato e che poi ripropone filtrato dalla sua sensibilità.
Il modello di paesaggio che spesso s’impone è intriso di presenze diffuse di morte, di
autodistruzione. Un elemento-simbolo che evoca questa idea è rappresentato dalle Balze, immense voragini caratteristiche del territorio che circonda Volterra; lo stato mentale associato a questo tipico paesaggio sembra connesso a una sorta di sentimento di perdita, ad esempio nel caso
dell’allontanamento di Anna, personaggio femminile del romanzo del 1970 Paura e tristezza. Prima che nel più ampio romanzo, Anna era stata inserita nell’omonimo racconto del 1942: la ragazza è la prima di una serie di personaggi femminili con questo nome e il cui modello biografico è stato indicato da Cassola stesso in una ragazza del popolo che lo aveva allevato. Le Balze volterrane si collegano idealmente quindi, attraverso il vivo ricordo autobiografico della giovane Anna,
all’infanzia dell’autore e di queste Cassola non riuscirà mai ad avere una visione oggettiva scollegata dal suo personale ricordo. Le Balze non sono quindi soltanto un luogo geografico
caratteristico, quanto soprattutto la rappresentazione di una condizione autobiografica. Il sottofondo personale e traumatico di quel paesaggio non impedirà inoltre la sua piena oggettivazione narrativa nel primo capitolo dei Vecchi compagni, dove è descritta la tragica fine, per suicidio, di un
antifascista povero, incarcerato, «picchiato e pestato senza pietà»242, e poi ridotto alla disperazione dalla durezza ostile dell’unico parente che gli era rimasto. Come nota Giuseppe Nava, questo è un passo «tra i più scarni e tesi di Cassola»243; l’episodio del “compagno” perseguitato Arnaldo ispirerà inoltre a Franco Fortini un’associazione tra lo scrittore e «le sue zitte Balze volterrane, dove
242 Carlo Cassola, I vecchi compagni in Carlo Cassola, Racconti e romanzi, cit. p. 533. 243 Giuseppe Nava, Il paesaggio in Carlo Cassola: Atti del Convegno, cit. p. 65.
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scendono in piedi i vivi e i morti»244. Arnaldo è rappresentato davanti alle Balze, mentre monta in lui il «disdegnoso gusto» che lo trarrà al suicidio: «E odiava la casa, il viottolo, le magre ombre degli olivi, l’erba rada che cresceva sotto il muro, le pareti delle Balze; il paesaggio brullo e la luce fievole del sole declinante. Si alzò e andò a mettersi proprio sul ciglio dell’abisso»245.
Un’altra presenza ricorrente nel paesaggio di Cassola è rappresentata da un monte di forma
piramidale, che in Fausto e Anna e in altre opere è chiamato con lo pseudonimo di Monte Voltrajo, quasi che una sorta di censura vietasse di pronunciarne il nome vero. Cassola tuttavia in
un’intervista ha dichiarato che si tratta del Monte Berignone: un monte «interamente coperto dal bosco», che «si adagia nel bel mezzo di una zona di collinette chiare, brulle o coltivate a grano»246. Il monte domina i luoghi dell’infanzia volterrana e dell’esperienza partigiana dell’autore: la città in primo luogo, e poi Pomarance, San Dalmazio, Monteguidi, Casole d’Elsa, la cerchia di centri abitati dove è ambientato il ciclo di Baba, Fausto e Anna, I vecchi compagni, Un matrimonio del
dopoguerra, ma dove si svolgono anche Il taglio del bosco e, in parte, La ragazza di Bube. Anche in Fogli di diario, un’opera particolare e originale pubblicata nel 1974, il Monte Berignone ricorre spesso e occupa un posto privilegiato nelle immagini di luoghi, che lo scrittore si porterà sempre con sé. Cassola lo osserva nel suo aspetto geografico del profilo e della complessità reale del rilievo e della vegetazione; il suo è più lo sguardo affascinato della mente che quello degli occhi. A volte il monte gli suggerisce immagini inquietanti e vagamente minacciose: in un passo tratto da Fogli di diario il ricordo del monte gli genera un sogno che per alcuni tratti assomiglia ad un incubo:
C’è un monte boscoso, vicino a Volterra, la cui vista m’è familiare da tutte le parti. Mi basta chiudere gli occhi per rivederlo: come si presenta da Volterra, come da Pomarance, come dalla strada di Firenze, come da Càsole. Nel sogno, non so da quale parte lo guardassi: il fatto è che era diventato irriconoscibile, a causa di un’immensa cava che c’era stata aperta. Una cava che arrivava fino alla sommità. Le pendici boscose che si protendono in avanti come le radici sporgenti di un grosso albero, erano state amputate. Né si scorgeva più traccia del vello boscoso che copre uniformemente l’intera superficie del monte. C’era solo quella parete o quella cavità, offuscata da un velo di polvere sollevata dai lavori di scavo.247
244
Franco Fortini, Tre come noi in Saggi italiani, Garzanti, Milano 1987, I, p. 216.
245 Carlo Cassola, I vecchi compagni in Carlo Cassola, Racconti e romanzi, cit. p. 535. 246 Carlo Cassola, Fogli di diario, cit., p. 40.
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Si legga ora il passo di Fausto e Anna in cui il protagonista si avventura per la prima volta con Giulio nel bosco del Monte Voltrajo per unirsi ai partigiani: l’immagine inquietante del monte, quale ci è presentata dal narratore, va ben oltre i sentimenti di incertezza e di ansia del protagonista:
Per Fausto le groppe tondeggianti avevano qualcosa di riposante e di familiare, le cime aguzze erano invece inquietanti e minacciose. Monte Voltrajo aveva appunto la forma di una piramide. Fausto scrutava nel buio, ma non riusciva a distinguere nulla. E intanto non guardava dove metteva i piedi, e più volte inciampò, e una cadde. A un certo punto il monte si profilò: si svelava adagio, pareva ora che si espandesse, ora che si affilasse. Fausto taceva. La macchia nera era come una enorme bocca spalancata. Poi, continuando loro ad avanzare, il monte scivolò lontano, appiattendosi, e la punta si smussò.248
Nel confrontare questi due passi, tratti da opere distinte per argomento e nel tempo, Nava riconosce una stretta analogia tra «l’enorme bocca spalancata» che la macchia evoca, e l’ «immensa cava» che nel sogno si apre nel monte. Il critico individua così un «simbolismo profondo»249 cassoliano del paesaggio:
anche in testi dalla critica e da lui stesso considerati propri del suo periodo “sociale”, come Fausto e Anna, [Cassola] porta alla luce inaspettatamente nelle descrizioni paesistiche tracce inconfondibili di emozioni psichiche, che
trascendono situazioni e caratteri del personaggio e non si esauriscono nella funzione narrativa del passo250.
Non direttamente motivata da ragioni psicologiche e narrative in senso tradizionale, appare anche l’oscillazione di Fausto tra la tendenza quasi ossessiva a vivere appartato e chiuso in se stesso e la claustrofobia vera e propria manifestata durante la permanenza nell’accampamento partigiano nascosto nella macchia: quell’oscillazione rimanda a un’ambivalenza di fondo, che è riconducibile all’autore e non al personaggio, ed è favorita dal sottofondo autobiografico di Fausto. Da un lato il protagonista si sente talvolta intrappolato nella boscaglia e finisce con l’odiare il campo di Monte Voltrajo, «coi suoi cupi capanni, la nera carbonaia, il labirinto di viottoli e, intorno, l’uniforme
248 Carlo Cassola, Fausto e Anna in Racconti e romanzi, cit., p. 367.
249 Giuseppe Nava, Il paesaggio in Carlo Cassola: Atti del Convegno, cit. p. 66. 250 Ivi, p. 67.
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distesa plumbea della macchia»251. Dall’altro l’«ampia vista», che gli si apre per caso in un momento di vagabondaggio solitario, gli ispira un terrore ancora più profondo:
Poi sentì il bisogno di allontanarsi un poco. Sedette su un macigno, da cui si dominava un’ampia vista. Era l’ora di mezzogiorno. Da ogni parte il bosco si stendeva a perdita d’occhio. Improvvisamente Fausto ebbe paura, una paura pazza (la troppa luce è a volte più spaventevole del buio).252
Fausto si sente a suo agio solo nel buio, che gli consente l’illusione di «essere vicinissimo a casa»: un sintomo evidente di un desiderio nostalgico del passato.
Sono la macchia e il bosco, luoghi privilegiati della narrativa di Cassola dal dopoguerra alla fine degli anni Cinquanta, ad essere i portatori del ritorno del rimosso, anche se mimetizzato da un’apparente consuetudine di descrizione naturalistica. In questo processo non agisce la trascorsa esperienza partigiana o il dolce ricordo della propria giovinezza: fin dai testi giovanili contenuti nel volume Alla periferia (1942), infatti, Giovanni Nava osserva che la descrizione della macchia assumeva la funzione e la forma dell’utero materno253. Già con la decisione di diventare stabilmente toscano per residenza, Cassola predilige la terra di origine della madre alla propria città di nascita e formazione, Roma, legata al mondo paterno. E nel rifarsi alla Toscana come sfondo geografico della fantasia, fa sua tutta la carica simbolica del legame naturale con la madre.
Nelle descrizioni dell’autore, afferma ancora Nava:
trova compiuta espressione la pulsione verso un ritorno a uno stato di felicità prenatale, incarnato in un paesaggio, che sarebbe divenuto, anni dopo, tipico dell’opera di Cassola. Sembra quasi che per una qualche forma di astuzia della storia l’autore sia stato scelto dai suoi luoghi, anziché scegliere lui stesso di rappresentarli mimeticamente254
Macchia e bosco costituiscono quindi per Cassola forme a priori della sua esperienza paesistica, e non già meri prodotti d’una ricezione a posteriori. La guerra partigiana e il lutto familiare del 1949 hanno solo attivato un meccanismo rappresentativo, che ha tradotto sulla pagina predisposizioni latenti nel profondo dell’autore.
251
Carlo Cassola, Fausto e Anna in Racconti e romanzi, cit., p.
252 Ivi, p.
253 Giuseppe Nava, Il paesaggio in Carlo Cassola: Atti del Convegno, cit. p. 68. 254 Ibid.
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Il critico, nella visione di un mondo idilliaco prenatale, intravede inoltre una «pulsione utopica positiva verso una comunità ideale»255. Proprio questa è attiva in Fausto e Anna dove la brigata partigiana in cui milita il protagonista, a tratti assume la fisionomia di una comunità pacifica: tuttavia l’inevitabile confronto con la realtà la contaminerà con la violenza, il conflitto di ideologie e di sentimenti.
Anche all’interno del Taglio del bosco si può riconoscere una comunità ideale nel gruppo di boscaioli, in fuga non più da una società ingiusta ma dall’esperienza esistenziale del dolore e della morte. Anche qui troviamo la macchia, i capanni, la carbonaia, mentre le occupazioni e i riti dei boscaioli hanno preso il posto di quelli dei partigiani. Il racconto si chiude su un cielo deserto di stelle, con un processo di simbolizzazione, questa volta consapevole, del paesaggio, che richiama l’epilogo di Fausto e Anna: «pensava che Rosa avrebbe dovuto aiutarlo. Non era possibile
continuare così. Lassù dal cielo doveva dargli la forza di vivere. E guardò in alto. Ma era tutto buio, non c’era una stella»256. In Fausto e Anna si legge: «”Su, moglie, a letto” disse Miro alzandosi. Anche Anna si alzò. Miro spinse la porta ed entrò in cucina. Prima di seguirlo, Anna diede
un’ultima occhiata fuori. Era tutto buio. Non c’era nessuno»257. Entrambi i testi si concludono con un’assenza: umana in Fausto e Anna, dove la protagonista ha perduto irrimediabilmente l’uomo che amava, cosmica ne Il taglio del bosco, dove nessuna risposta è data alle invocazioni di aiuto di Guglielmo.
Possiamo notare che nei testi cassoliani sono frequenti sia le rappresentazioni del calare della sera e della notte, che quelle dell’alba, di quel momento cioè in cui ancora la luce non c’è ma è
imminente. Interessante è inoltre notare come queste descrizioni coincidono soprattutto con l’inizio o la fine di un testo o di una porzione di questo. In aggiunta ai brani già citati, se consideriamo il racconto I vecchi compagni, questo inizia nel momento in cui il compagno Arnaldo si presenta alla porta dell’amico Piero di notte: «Era mezzanotte quando Arnaldo bussò alla porta di Piero. Piero stesso andò ad aprire in camicia da notte258». Lo stesso racconto si chiude con Baba che, all’interno della sua bottega di alabastraio ormai in disuso, ripensa agli anni passati nell’attività clandestina, ai compagni incontrati e persi. In questo momento va via la luce:
Tirò un’altra volta fuori l’orologio, ma prima che avesse tempo di guardare l’ora, andò via la luce. Rimase con l’orologio in mano aspettando che tornasse, poi sfregò un fiammifero contro la parete. Erano le sette. […] “Quanto dura
255 Giuseppe Nava, Il paesaggio in Carlo Cassola: Atti del Convegno, cit. p. 70. 256
Carlo Cassola, Il taglio del bosco in Carlo Cassola, Racconti e romanzi, cit. p. 169.
257 Carlo Cassola, Fausto e Anna in Carlo Cassola, Racconti e romanzi, cit. p. 528.
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quest’interruzione” borbottò. Certo, per starsene lì senza far nulla, era la stessa cosa che ci fosse la luce o non ci fosse…
Al buio, però, non gli riusciva nemmeno più di pensare259
È sera, ma il buio che si viene a creare e che investe il personaggio è di tipo artificiale e non naturale come quello nella chiusa del Taglio del bosco. Cassola conclude un altro testo con un’immagine in cui si ha assenza di luce anche se il buio ha un’origine diversa.
La stessa incapacità di Baba di pensare al buio la troviamo nel finale della terza parte di Fausto e Anna: Fausto «ricapitolava i propri pensieri», seduto sul crinale, davanti al panorama della vallata: «La sera era calata. Fausto non pensava più a nulla. Guardava i lumi di San Ginesio, tremolanti nell’oscurità; ricordò i baci di Anna, e sentì rinascere la speranza»260.
Spesso Cassola, per conferire una carica simbolica al paesaggio, utilizza il modello pascoliano: un poeta che egli dichiara a più riprese nelle sue interviste261 di aver molto amato e studiato e la cui influenza si avverte continuamente nella prosa di racconti e romanzi, soprattutto nelle descrizioni paesaggistiche. Le frequenti descrizioni di albe, che punteggiano la narrativa di Cassola, richiamano L’alba, uno dei primi poemetti pascoliani: basti pensare all’esordio di Fausto e Anna:
Il sole cominciava a scaldare. I campi fumavano. Una leggera nebbia offuscava l’aria. Anna sedette su un muricciolo […] Il suo sguardo errava a caso sul terreno, fermandosi sui frammenti di coccio, sugli schizzi di calce, sulle pagliuzze seminate qua e là, sui segni lasciati dalle ruote del carro262.
I romanzieri che Cassola ama di più, Joyce e Tozzi, Hardy e Pasternak concedono tutti larga parte al paesaggio. In questi autori, e anche in Cassola, le strutture dell’ambiente e del paesaggio non si limitano più alla cornice esterna del paesaggio, ma contribuiscono esse stesse, con mezzi propri, a raccontarla. Il folto bosco della macchia, il Monte Voltrajo e il Monte Capanne, il panorama della campagna grossetana, il particolare scenario delle Balze, non fanno da semplice sfondo, da cornice ambientale alla vicenda, ma si evidenziano e durano come componenti fondamentali della
narrazione, in qualità di presenze anch’esse intatte e umanamente rivelate delle cose.
259 Carlo Cassola, I vecchi compagni in Carlo Cassola, Racconti e romanzi, cit. p. 622 260 Carlo Cassola, Fausto e Anna in Carlo Cassola, Racconti e romanzi, cit. p. 261
Cassola lo afferma nell’intervista concessa a Domenico Tarizzo che la pubblicherà poi nel testo già citato
Letteratura e disarmo. Nell’occasione Cassola dichiarerà: «lessi soltanto quattro o cinque autori: tra gli altri, Pascoli, che amavo appassionatamente», pp. 43-4.
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L’imponente presenza paesaggistica nell’opera di Cassola è interpretata in modo diverso dal critico Giorgio Barberi Squarotti: egli pur ammettendo la non trascurabile rilevanza che l’autore riserva ai luoghi, nega il forte significato simbolico riconosciuto loro da Nava, e ritiene che si tratti
esclusivamente di:
non decorazioni descrittive, né commento lirico, né contemplazione o
partecipazione alla vicenda, secondo il consueto modo della narrativa analitica, quanto piuttosto una puntuale precisazione di luoghi, perché non manchi nessun necessario complemento o documento alla definizione delle situazioni263
I dati sono esatti fino all’indicazione topografica, paesi citati con il loro nome, indicati nelle loro vie e piazze e case con scrupolo di esattezza: tutto ciò, afferma sempre Barberi Squarotti, è «in funzione di definitivo chiarimento di tutte quelle circostanze che possono riuscire utili alla comprensione delle situazioni e altresì a dar loro maggiore incidenza, più certa durata, più verità ed
esemplarità»264.
Cassola in realtà si è voluto distinguere dai suoi predecessori dell’anteguerra che erano riluttanti a nominare i luoghi e perfino i personaggi.
Leggendo le novelle e i romanzi di quel tempo, è facilissimo imbattersi in
espressioni come: “la città di B”, “il paese di C”, e simili; quanto ai personaggi , se hanno un nome, difficilmente hanno anche un cognome. […] Io mi proposi invece, fin dai miei primi racconti, di dare un nome ai luoghi e un nome e cognome ai personaggi265.
Se i nomi sono precisi, l’ambientazione è spesso approssimativa: i paesi dove sono ambientati i racconti e i romanzi spesso non sono connotati che da una sola strada, da un solo particolare che da solo non riesce a distinguerli dagli altri nella zona e a caratterizzarli. Spesso infatti Cassola non conosce personalmente questi luoghi, non vi è mai stato e li immagina e li disegna secondo le sue esigenze narrative:
Narrando, mi sembra che non ci si debba preoccupare di attenersi con precisione alla conformazione di un paese, di una città di una campagna: bisogna cercare
263 Giorgio Barberi Squarotti, Cassola o i fondamenti del romanzo futuro, cit. p. 208. 264 Ibid.
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invece di dare il senso di quegli ambienti, di renderne l’aria, l’atmosfera, la bellezza266.
Di tutt’altra idea rispetto a Barberi Squarotti è Alba Andreini che riconosce nelle descrizioni del paesaggio, con i loro timbri e colori, il valore poetico della scrittura. Il paesaggio diventa così il legame che la poesia ha con la narrativa di Cassola, nonostante sia quest’ultima a prevalere.
Io ho nel mio studio la riproduzione di un paesaggio di Corot intitolato “Veduta presso Volterra”. È una veduta verso il Monte Pisano, che si scorge appunto nello sfondo con la sua inconfondibile sagoma. Orbene, io mi sono scervellato per capire da quale delle pendici che guardano in quella direzione Corot avesse dipinto il suo paesaggio. ma non sono approdato a una conclusione sicura. Corot, molto
probabilmente, non è stato troppo fedele al vero. Ma – ed è quello che conta – egli ha reso in modo impareggiabile la poesia del paesaggio volterrano267.
BIBLIOGRAFIA
1.
OPERE DI CARLO CASSOLA
266 Carlo Cassola, Il paesaggio ne La ragazza di Bube in «La provincia pisana», 3-4, 1960, p. 41. 267 Ibid.
107 Le amiche
Rosa Gagliardi