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Da "Baba" a "Fausto e Anna": aspetti della Resistenza in Carlo Cassola

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INDICE

CAPITOLO I

CARLO CASSOLA: VITA E OPERE

Dagli esordi al Taglio del bosco……….. 1

L’impegno politico tra vita e letteratura……… 7

La riflessione sul passato e la conferma pacifista………. 13

CAPITOLO II TRA RESISTENZA E NEOREALISMO Il partigiano “Giacomo” ……… 19

Cassola neorealista?………. 26

CAPITOLO III DAI RACCONTI AL ROMANZO Baba……… ………... 34

I vecchi compagni………... 40

Fausto e Anna……… 47

La genesi del romanzo……… 47

La vicenda……… 50

Intertestualità……… 54

Anna……….. 62

Fausto alter ego di Carlo?...69

Un’inaspettata accoglienza……….87

Verso un nuovo romanzo………93

La redazione del 1958……….94

CAPITOLO IV ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL PAESAGGIO DEI RACCONTI E DEL ROMANZO………98

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CARLO CASSOLA: VITA E OPERE

Dagli esordi al Taglio del bosco

Mirò non pretendeva di raggiungere alte mete. Al principio della sua vocazione aveva avuto il desiderio di esprimere il sub-limine, aveva pensato al giorno in cui sarebbe entrato nel numero degli scrittori. Quest'ultima vanità era stata soddisfatta; in quanto a quel desiderio... nel sub-limine Mirò ci viveva fino al collo.

L'ambizione dell'arte mancava a Mirò; in realtà gli era sempre mancata. Lo scrivere per Mirò era un modo insufficiente di commentare l'esistenza delle cose che gli stavano a cuore: la vita della moglie, di certe persone conosciute o appena intraviste, sullo sfondo di paesaggi familiari. Non il modo in cui erano dette gli importava, ma l'esistenza stessa di certe cose. La funzione delle pagine scritte era di farle conoscere, o meglio intravedere al lettore. Questa era la poetica di Mirò.1

Così appare il giovane Mirò-Cassola agli occhi dell'amico Azorin, coprotagonista nel racconto Azorin e Mirò2 e alter ego dello scrittore Manlio Cancogni. I due si erano conosciuti tra i banchi del liceo-ginnasio “Torquato Tasso” di Roma, città nella quale Carlo Cassola era nato il 17 marzo 1917 da madre toscana e padre lombardo3. La loro amicizia divenne presto un sodalizio artistico: ne è testimone il racconto del Cancogni che immortala il legame tra i due giovani aspiranti scrittori raffigurandolo in quello tra due intellettuali spagnoli, Azorin e Mirò appunto.

Insieme i due amici scrittori aderiscono nel 1933 al “Movimento Novista Italiano”4 che univa

1 Manlio Cancogni, Azorin e Mirò, in Cos’è l’amicizia, Feltrinelli Editore, Milano, 1958, pp. 79-80. 2

Il racconto autobiografico di Cancogni, pubblicato dapprima sulla rivista «Botteghe Oscure» nel 1948, quindi da Feltrinelli nel volume Cos’è l’amicizia del ‘58, non solo racconta il legame tra i due giovani scrittori romani ma descrive anche la loro comunanza di ideali politici e letterari, andando a costituirsi come vero e proprio manifesto della poetica del sub-limine di quel periodo.

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La madre, Maria Camilla Bianchi, era originaria di Volterra mentre il padre, Garzia Cassola, era nato a Pavia ma da molti anni risiedeva a Volterra.

4 Il movimento, che era guidato da Ruggero Zangrandi e a cui prese parte anche il figlio del duce Vittorio Mussolini,

prende avvio da una polemica contro il Futurismo sorta agli inizi del 1933 sulla rivista «La penna dei ragazzi». Il rispetto per la libertà individuale e per le idee di ognuno, la condanna della violenza come mezzo per affermarsi sono alcuni dei punti fondamentali che emergono dal decalogo ufficiale del Movimento Novista Italiano, pubblicato il 25 settembre 1933. Il documento contribuisce a fornirci un’idea meno approssimativa degli orientamenti ideali del gruppo, ma allo stesso tempo evidenzia una generale confusione ideologica e una forte influenza di una certa mentalità fascista.

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giovani antifuturisti non animati da un vero antifascismo, piuttosto da un semplice moto di malcontento. Il movimento, come spiega il fondatore Zangrandi, metteva insieme «giovani il cui istintivo e sia pure confuso fermento “rivoluzionario” non trovava appagamento negli schemi che la dottrina e la propaganda ufficiali (fasciste) avevano appositamente elaborato»5. Il gruppo nasce intorno alla rivista studentesca «La penna dei ragazzi» che a partire dal 1934 assume il nome di «Anno XII» (secondo la datazione del calendario fascista6). Fu proprio nel numero del 10 gennaio 1935 di «Anno XIII», la rivista infatti assumeva il nome dell’anno corrente, che vennero pubblicati alcuni dei primi esercizi poetici del giovane Carlo Cassola.

Il graduale ingresso nel mondo letterario è incoraggiato per lui da un altro scrittore e lontano cugino, Piero Santi, con cui Cassola intrattiene una fitta corrispondenza e con cui condivide lunghe villeggiature nella Toscana, che poi sceglierà come terra d'elezione. Cassola stesso riconosce Santi come primo maestro e importante interlocutore a cui invia le sue prime prove poetiche e narrative: «È stato il mio primo maestro. Risiedeva a Firenze, ma non frequentava i letterati che si riunivano alle Giubbe Rosse. Aveva costituito un piccolo gruppo a sé stante, comprendente Paolo Cavallina, Franco Fortini, Franco Calamandrei, Alessandro Parronchi. Poiché coltivava molti interessi

insieme, Piero Santi m’inculcò l’amore per la letteratura e per le arti figurative»7. Grazie alla guida di Piero Santi si consolida in questo periodo la vocazione letteraria e si apre per Cassola un periodo di intense letture di poeti e romanzieri contemporanei: «Le nostre conversazioni s’erano svolte in luglio, al mare; in agosto, in campagna, decisi di diventare uno scrittore. Fu un periodo di letture frenetiche, perché Piero mi aveva detto che bisognava leggere almeno Huxley, Lawrence, Doeblin e Dos Passos»8.

Intanto nel 1935 Cassola si era avvicinato a gruppi più apertamente antifascisti e lui stesso ne aveva fondato uno insieme a Cancogni. Alla fine dello stesso annopartecipa al congresso tenuto da gruppi

minoritari antifascisti organizzato a Roma; ben presto però la polizia si mette sulle tracce di questi

piccoli nuclei sempre più chiaramente avversi al regime. Questa pressione, unita ai dissidi interni che in seguito si vennero a creare, furono tra le cause dello scioglimento del gruppo.

Abbandonati almeno per il momento, siamo nel ’36, gli interessi politici, per Cassola si apre un periodo completamente dedicato al perfezionamento della sua vocazione letteraria, coronato dalla

Queste incertezze di intenti e le posizioni contraddittorie degli affiliati portarono il gruppo allo scioglimento nel dicembre del ’33.

5 Ruggero Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Feltrinelli Editore, Milano, 1963, p. 24.

6 Il calendario fascista prende avvio dal giorno della marcia su Roma (28 ottobre 1922) e procede con una numerazione

degli anni parallela a quella tradizionale contando come “Anno I dell’Era Fascista” il periodo tra il 28 ottobre 1922 e il 27 ottobre 1923, e gli altri a seguire.

7 Carlo Cassola, Mio padre, Rizzoli, Milano 1983, p. 41. 8 Ivi, p. 43.

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lettura, fondamentale per la nascita e la formazione dello scrittore, del Dedalus di Joyce9. L'incontro con questa opera, avvenuto nel novembre del 1936, matura nel giovane Cassola l'aspirazione

concreta a diventare scrittore: da questo momento nasce la prima formulazione della propria

poetica. Questa è per gran parte condivisa dall'amico Cancogni, che addirittura la battezza col nome di "subliminarismo" e ne fornisce un'ampia trattazione nel suo già citato racconto10.

Secondo la nuova poetica di questi esordienti scrittori la vita non è fatta di grandi passioni, di gesti clamorosi come invece veniva interpretata dall’arte e dalla letteratura fascista che esaltavano l'anti individualismo e il nazionalismo, celebrando i valori etici e razziali. Cassola e Cancogni invece sono convinti che i gravi problemi, l'ideologia e la politica, i conflitti della coscienza, i clamorosi drammi sentimentali e le angosce della fede perduta abbiano meno importanza. Resta la vita, la sostanza quotidiana della vita, ciò che è vero, immutabile, essenziale della condizione umana. Come spiega Renato Bertacchini, «Il subliminare appartiene più al sentire che al comprendere; capire lo possono tutti, trattandosi di un'operazione mentale, ma sentire, avere delle emozioni dalla vita è una cosa diversa, impagabile, coinvolge la parte più profonda e individuale della natura dell'uomo»11.

Il sublimine era lungo le strade ferrate, ai passaggi a livello, sui visi della gente in bicicletta che aspetta, con un piede a terra che vengano sollevate le sbarre. Era negli anditi scuri, pieni di ombra dove sta sospeso il fiato di vite sconosciute; nei bordelli dove le ragazze vendono senza rancore il loro corpo, e il fumo delle sigarette si attorciglia azzurrino sotto il lampadario nei salottini profumati; nelle fotografie di altri tempi, dove i visi hanno assunto un'espressione immobile, non si sa se provvisoria o eterna; nei titoli dei vecchi giornali annuncianti grandi

catastrofi, terremoti, guerre, rivoluzioni; nelle date, nei baffi, nel colletto, nei polsini di uomini dal fare equivoco, bari, frequentatori di biliardi e di salecorse, in un pezzo di discorso preso a volo fra due persone sconosciute; negli elmetti piatti dei soldati che aspettano sotto i sacchetti e i reticolati di una trincea; sulle banchine di un ponte dominate dai fianchi poderosi delle navi che si apprestano a salpare...12

Queste atmosfere le ritroviamo nelle prime prove narrative del giovane Cassola. È nella primavera

9 Cassola legge l’opera Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane nella traduzione di Cesare Pavese per l’edizione

Frassinelli del 1933.

10 Manlio Cancogni, Azorin e Mirò in Cos’è l’amicizia, cit.

11 Renato Bertacchini, Carlo Cassola, Le Monnier, Firenze, 1979, p. 6. 12 Manlio Cancogni, Azorin e Mirò, cit., p. 33.

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del '37 infatti che scrive il suo primo racconto Paura e tristezza, pubblicato per interessamento di Alberto Spaini su «Il Meridiano di Roma». Una volta terminati gli studi di Giurisprudenza nel 1939, collabora alla neonata rivista «Letteratura» di Alessandro Bonsanti con Tre racconti. La visita. Il soldato. Il cacciatore, testi che successivamente confluiranno in gran parte nelle raccolte del 1942. Nel momento in cui Cassola approda ad un risultato concreto della sua attività, si assiste ad una crescente crisi della sua poetica giovanile: così egli inizia a abbreviare ulteriormente la già ristretta misura dei suoi componimenti e li riduce da poche pagine a poche righe. L'autore infine decide di rinunciare del tutto, per il momento, all'attività letteraria.

Nell'estate del 1941 viene richiamato alle armi, prima a Pisa poi a La Spezia. Ha l'ordine superiore di far saltare il paese di Manarola nelle Cinque Terre, ma disobbedisce e sfugge alla corte marziale grazie alla perdita della documentazione accusatoria. Poco dopo aderisce ai gruppi liberalsocialisti su cui dopo scriverà:

Non sapevo niente dei partiti e dei movimenti clandestini […] il mio fu un difetto d’informazione. Fu solo anni dopo che venni a sapere di Giustizia e Libertà, del liberalsocialismo […]. Dal 1941 al 1946 feci esplicitamente parte di quella corrente politica: prima come liberalsocialista, poi come membro del Partito d’azione. Tuttavia ho sempre pensato, anche, che finché c'era da combattere il fascismo, finché questa era la principale finalità dell'azione politica, chiunque lo combattesse andava bene, qualunque fosse il motivo per cui lo combatteva13

Nel 1942 pubblica La visita per la collana di «Letteratura» e Alla periferia per quella di «Rivoluzione». In questi primissimi esperimenti narrativi, soprattutto ne La visita, è possibile ritrovare alcuni degli elementi più caratteristici e duraturi della sua poetica; persino i titoli degli scritti di questo periodo ricorrono con frequenza nell'opera successiva dello scrittore. I motivi più diffusi nei racconti riguardano il mondo semplice dei sentimenti modesti ma profondi. Il tema della periferia è presente nel paesaggio romano e i luoghi, come le persone sono rapidamente abbozzati con pochi tratti ma sufficienti a delineare, oltre l'aspetto fisico, anche quello più intimo e vero. Motivi e tratti stilistici che ritroveremo come elementi portanti della poetica più matura. Già peculiare di Cassola è in questo periodo l'utilizzo di un linguaggio scarno, familiare, organizzato in un periodare breve e paratattico, con una leggera patina toscana.

13 Carlo Cassola, Conversazione su una cultura compromessa, a cura di Antonio Cardella, Editrice de il Vespro,

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Negli anni seguenti egli interrompe nuovamente l'attività letteraria, prende contatti con i gruppi comunisti più attivi nel Volterrano e con essi, pur non condividendone a pieno l’ideologia e la politica, partecipa alla Resistenza nelle zone dell’Alta Val di Cecina, con il nome di battaglia Giacomo, nella 23sima brigata garibaldina Guido Boscaglia, come capo della squadra Esplosivisti. Durante i mesi di azione partigiana conosce da vicino la gente del popolo, gli operai, gli artigiani, i contadini, i taglialegna; l’esperienza umana diventa ben presto esperienza letteraria: gli stessi personaggi infatti, con la loro umanità popolare, con le loro esistenze semplici e immobili saranno i protagonisti delle opere scritte nell’immediato dopoguerra.

Dopo la Liberazione si iscrive al Partito d’Azione e si apre per lui un periodo interamente occupato dalla politica. Viene nominato segretario di partito nella sezione di Volterra e collabora attivamente con «Volterra Libera», di cui tra il novembre del 1944 e l’agosto del 1945 ricoprirà il ruolo di vicedirettore prima e poi di direttore.

Tra il 1945 e il 1946 si stabilisce a Firenze dove svolge attività giornalistica: collabora con articoli e racconti a molti giornali e riviste tra cui «Il Giornale del Mattino», «La Nazione del Popolo», «L’Italia socialista», «Il Mondo» e, dopo l’invito di Bilenchi, inizia la sua collaborazione con la rivista «Società».

Tuttavia nel 1946 con grande delusione esce dal Partito d’Azione: «Già nell’estate del ’45 la passione per la politica cominciava a venir meno. Già al tempo della Resistenza […] avevo capito che i giochi erano ormai fatti, e fatti molto male. Quello che accadde dopo mi deluse ma non mi sorprese: il fallimento della Resistenza lo avevo previsto già da tempo»14.

Nello stesso anno riprende l’attività letteraria e pubblica i racconti lunghi Baba, che registra la prima influenza dei contenuti resistenziali, e Rosa Gagliardi che sviluppa ancora con assoluta fedeltà la poetica esistenziale. Significativo è però che Rosa Gagliardi, più affine alla poetica cassoliana di quel periodo, rimase per allora inedito mentre Baba venne pubblicato in quattro puntate su «Il Mondo», un quindicinale di Firenze diretto da Mario Pannunzio.

Cassola si trasferisce nel 1947 a Grosseto, dove continua la professione di insegnante iniziata nel 194015 e compone il racconto Le amiche. Il racconto, pubblicato su «Botteghe Oscure», può essere considerato, insieme con Rosa Gagliardi, il punto di arrivo di questa prima fase narrativa. Come nella precedente opera anche qui la trama è quasi nulla e il senso poetico del testo è tutto nei semplici giochi dei sentimenti e nei dialoghi domestici e quotidiani. L’obiettivo dello scrittore è

14 Carlo Cassola, Antonio Cardella (a cura di), Conversazione su una cultura compromessa, cit., p. 62.

15 Dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza nel 1939, Carlo Cassola inizia subito la professione di insegnante

prima a Volterra nel biennio 1940-41, poi nel 1942 vince il concorso per l’insegnamento di storia, filosofia e pedagogia e si trasferisce a Foligno. Al termine del conflitto è impiegato a Volterra fino al settembre del ’45 e nel ’46 vince la cattedra a Grosseto dove si trasferisce nel ’47. Dopo la morte della moglie, nel 1949, chiede e ottiene il trasferimento a Cecina e vi resterà fino al 1951, anno in cui si trasferisce nuovamente a Grosseto dove rimarrà fino a fine carriera.

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quello di delineare la psicologia dei personaggi fino a comprenderla nel profondo: diversamente da Joyce, da Virginia Woolf e da tutti i romanzieri del primo ‘900 che aveva appassionatamente studiato da autodidatta, egli però non scava all’interno del personaggio, ma lascia che sia esso a svelarsi poco a poco attraverso una situazione particolare o un dialogo.

La primavera del 1949 segna un'altra e più profonda crisi umana e letteraria nella vita dello scrittore: muore la giovane moglie Rosa, che Cassola aveva sposato nove anni prima a Volterra. Il lutto provoca nello scrittore una profonda crisi esistenziale e letteraria che lo porta a rimettere in discussione tutto se stesso. Il taglio del bosco, un racconto iniziato nel 1948 e terminato nell'estate del '49, nasce dal tentativo di migliorare la sua tecnica narrativa e diventa l'espressione più forte del dolore dell'autore. Cassola e per lui il suo personaggio, anch'egli vedovo, di fronte ad una perdita irreparabile, sente che è mutato il suo modo di stare al mondo, crede di poter trovare un sollievo nel lavoro, ma proprio lì trova la sua pena. Il lavoro è la ripetizione dei gesti consueti, è,

apparentemente, il ritorno del "prima", ma dietro quell'apparenza tutto è diverso dal ritorno alla normalità. Il taglio del bosco con la sua riduzione del dramma dell'uomo all'unica misura individuale da una parte ma con la sua ricchezza sentimentale dall'altra, si colloca come una cerniera tra l'esaurimento del primo periodo letterario cassoliano e l'avvio del suo secondo. Esso è quasi da tutti riconosciuto come uno dei testi più validi di Cassola; eppure ebbe non poche difficoltà per trovare un editore. Non accettato da «Botteghe oscure», rifiutato da Einaudi per intervento di Pavese a cui il racconto non era piaciuto, uscì solo alla fine del 1950 su «Paragone» e poi in volume nel 1954. Con questo racconto si chiude idealmente la prima fase narrativa di Carlo Cassola, un periodo caratterizzato dal rifiuto della narrazione di tipo realistico e dalla scelta del racconto lungo come forma di espressione migliore.

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Io potrei dire di esser nato il 23 marzo del ’49, quando morì mia moglie […] Allora tutto il passato mi sembrò disgustoso, e decisi di diventare un altro uomo. Anche un altro scrittore, quindi. Non volevo più avere niente a che fare con l’adolescente che ero stato fino ad allora. Odiai tutto ciò che avevo amato di più, compresi

Dublinesi e Dedalus, La visita e Rosa Gagliardi, il subliminare e Manlio Cancogni

[…] Mi sembrò che avesse ragione mia moglie che non credeva in me come scrittore perché, diceva, mi mancava il cuore16.

Il tragico evento privato dà vita ad una nuova fase artistica dello scrittore: un principio di

cambiamento era già stato notato con la pubblicazione del racconto Il taglio del bosco, ma con le nuove pubblicazioni, alcune frutto di lavori molto precedenti, l’autore consolida il proprio sentimento dell’esistenza, corregge e aggiorna la poetica del subliminare per applicarla alle situazioni storiche ormai evolute. Cassola si era sempre sentito attratto dai ceti popolari, da un’umanità più semplice e più elementare, tanto da farne oggetto dei primi racconti composti del 1937. Negli anni di militanza nella Resistenza volterrana poi aveva avuto l’occasione di vivere a stretto contatto con contadini, operai, gente del popolo, piccola borghesia provinciale, protagonisti come lui e insieme a lui della lotta partigiana. I nuovi scritti quindi, che ora vantano una più approfondita conoscenza della gente del popolo, insistono ancora sulla linea esistenziale,

viaggiando sempre sul terreno, ora rivisto e adeguato, del subliminare ma in più sono arricchiti dai nuovi temi antifascisti e resistenziali. Il tema della Resistenza infatti diventerà il fulcro di questa sua nuova fase narrativa, da alcuni riconosciuta, e Cassola stesso lo conferma, il suo «decennio

impegnato».

Dal 1950 Cassola aveva iniziato la sua collaborazione come corsivista a «Il Mondo» di Mario Pannunzio: questa rivista fu centrale nella vita morale e politica dell’Italia del dopoguerra, portando avanti battaglie per la libertà e la ragione, per la dignità intellettuale17.

Intanto Cassola tra il 1949 e il 1950 aveva composto il romanzo Fausto e Anna, con cui partecipa nel ‘51 al premio Rizzoli a Venezia per la pubblicazione di testi inediti. Non vince il concorso ma

16 Carlo Cassola, Lettera a Franco Fortini del 28 novembre 1961, cit. in Carlo Cassola, Racconti e romanzi, a cura di

Alba Andreini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2007, p. LXXXVIII.

17 Particolarmente importanti furono le battaglie sostenute dalla rivista e dai suoi amici contro l’invadenza clericale,

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Leone Piccioni, membro della giuria e sostenitore di Cassola, ne elogia il romanzo che tuttavia viene rifiutato da vari editori tra i quali Mondadori e Bompiani.

Nel frattempo nel ’51 si trasferisce a Grosseto, dove riprende l’attività di insegnante, e a novembre dello stesso anno sposa Giuseppina Rabagli, a cui dedicherà La ragazza di Bube. Nello stesso periodo ha inizio la collaborazione politico-letteraria con Luciano Bianciardi, narratore e saggista grossetano allora bibliotecario alla Biblioteca Comunale di Grosseto. Dall’amicizia tra i due nascono molti progetti come quello, ideato da Bianciardi, del bibliobus18; ma il frutto più

importante della loro collaborazione sarà l’inchiesta giornalistica I minatori della Maremma, di cui una prima stesura fu pubblicata in origine sulla rivista «Nuovi Argomenti» nel 1954 e che

successivamente, con delle aggiunte effettuate da Cassola dopo la partenza di Bianciardi per Milano, uscì in volume nella collana «Libri del tempo» di Laterza nel 1956. Il testo consiste in un’indagine sulle condizioni di lavoro, sulle malattie professionali, sugli infortuni, sull’inefficace assistenza, sulle precarie ed estenuanti condizioni di lavoro degli operai nelle miniere della Maremma. Il saggio si sviluppa in due macro sezioni: nella prima vengono offerti i dati tecnici e statistici, la storia del territorio e di come sia cambiato nel tempo, l’evolversi dell’attività mineraria nella Maremma e le conseguenze che ha portato sul piano sociale ed economico; la seconda parte riporta diciassette biografie di singoli minatori, si concentra sul fatto umano e si traduce quindi in una aperta presa di posizione polemica nei confronti della Società “Montecatini” che regolava il lavoro nelle miniere.

Nel 1952 Cassola pubblica finalmente Fausto e Anna nei «Gettoni»19 di Einaudi, la collana narrativa diretta da Elio Vittorini. Con questa opera l’autore si cimenta per la prima volta in un impegno narrativo di vaste proporzioni. Il romanzo ha carattere fondamentalmente autobiografico: l’autore, attraverso il protagonista Fausto che rappresenta la sua controfigura romanzesca, dà voce al travaglio di tutta una generazione, e precisamente di quella cresciuta sotto il fascismo,

generazione che ha vissuto alle soglie dell’adolescenza la tragicità degli avvenimenti della guerra e

18 Bianciardi, agli inizi degli anni ’50, dà vita al progetto del bibliobus sul modello anglosassone di public library. La

sua intenzione è quella di creare una biblioteca itinerante in grado di raggiungere anche le zone e le frazioni più rurali e meno popolose. Allestisce quindi «un autofurgone Lancia 900 […] con manuali Hoepli di divulgazione tecnica, un’enciclopedia, La Bibbia, Il Corano, i Classici della Letteratura nei tascabili della Mondadori e della Bur» (Elisabetta Francioni, Luciano Bianciardi bibliotecario a Grosseto (1949-1954), Associazione italiana biblioteche, Roma, 2006)

19 La collana einaudiana dei «Gettoni» (dal 1951 al 1958) nasce da un’idea di Elio Vittorini che intendeva continuare la

linea neorealistica. I collaboratori stessi erano reclutati tra scrittori non professionali o occasionali ai quali però

venivano affiancati altri già affermati tutti comunque sollecitati e stimolati dalla provocazione vittoriniana enunciata sul risvolto di copertina della prima edizione. Come spiega Giuliano Manacorda nella sua Storia della letteratura italiana contemporanea (Editori Riuniti, Roma, 1970), «il senso generale di questa vasta sperimentazione va cercato proprio nel clima che a metà degli anni ’50 si definiva da un generale sforzo di critica e autocritica. Al di là delle opere importanti – non molte ovviamente – era questo fitto tessuto di proposte, questo lavorio per preparare gli scrittori del domani non esente dal rischio della cantonata, questo impegno più culturale che artistico, questo puntare più sulla preparazione degli strumenti che sulla resa immediata, a caratterizzare l’intera stagione, entro la quale i “Gettoni” operano non solo come suo riflesso ma piuttosto concorrendo a determinarne la fisionomia».

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della Resistenza. Il romanzo viene accolto da giudizi discordanti e attacchi politici che danno vita ad una breve polemica sulle colonne di «Rinascita»20.

L’opera ha stretti rapporti con altri scritti dell’autore, e in particolare con il racconto Baba che viene utilizzato pressoché integralmente: in questo testo infatti Cassola traccia il ritratto di un artigiano comunista che dirige la lotta clandestina a Volterra alla quale parteciperà anche Fausto.

Nel frattempo progetta subito una continuazione del romanzo dal titolo I trent’anni: «Sto scrivendo, invece, un romanzo che potrebbe dirsi parallelo a Fausto e Anna, perché si svolge nello stesso periodo ed ha tra i protagonisti alcuni personaggi minori di Fausto e Anna»21, afferma nel diario inedito Appunti 1952-58.

Il 1952 segna anche il ritorno di Cassola alla politica, vedendolo tra i fondatori del Movimento di Unità popolare; per le elezioni del 7 giugno 1953 Cassola insieme a Bianciardi si attiva molto tenendo comizi in tutta la Toscana. All’indomani delle elezioni si schiera contro chi vuol far

confluire il Movimento nel Partito socialista: «Io pensavo che […] dovesse essere mantenuto in vita un centro non comunista com’era appunto Unità popolare […] credevo che Unità popolare avesse ancora una missione da assolvere»22.

Risale al 1953 anche la pubblicazione de I vecchi compagni nei «Gettoni»; subito dopo egli si dedica alla scrittura di altri racconti, seppur in modo discontinuo.

I vecchi compagni rappresenta uno dei più bei racconti antifascisti della letteratura contemporanea: sullo sfondo di una dura vita di lavoro e di sacrificio, Cassola ritrae i «vecchi compagni», militanti comunisti, colti nel dramma silenzioso delle umiliazioni fisiche e morali inferte loro dai fascisti e li segue fin nel dopoguerra che li vede impegnati, non senza contrasti con le nuove generazioni, nella riorganizzazione del Partito. Il racconto si conclude con il rimpianto di Baba, ancora una volta personaggio di un racconto, per il periodo clandestino e con la constatazione che i “vecchi compagni” non esistono più.

Dopo la pubblicazione, nel 1954, dell’inchiesta sui minatori della Maremma, termina la collaborazione con il coautore Bianciardi che si trasferisce a Milano suscitando disappunto in Cassola: «Non ho condiviso le sue scelte private. Mi sono arrabbiato quando lui lasciò la moglie a quel modo, senza chiarire nulla, come un ladro che scappa via. Così c’è stato un lungo periodo in cui non ci si parlava più»23. Nello stesso anno chiude la collaborazione con «Il Mondo» e avvia

20 Il romanzo Fausto e Anna, la sua vicenda editoriale, la polemica che ha seguito la prima pubblicazione, saranno

oggetto di una trattazione più specifica all’interno di questa tesi.

21 Carlo Cassola, Appunti 1952-58, cit. in Carlo Cassola, Racconti e romanzi, cit. p. XCI.

22 Carlo Cassola, Antonio Cardella (a cura di), Conversazione su una cultura compromessa, cit., p. 67. 23 Carlo Cassola, cit. in Pino Corrias, Vita agra di un anarchico, Baldini & Castoldi, Milano, 1993, pp. 60-1.

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quella con «Il Contemporaneo», settimanale romano d’ispirazione marxista diretto da Antonio Trombadori e Carlo Salinari24. Cassola commenta così le sue scelte:

Avevo rotto con «Il Mondo» e, diciamo di più, con un certo tipo di politica, con quella di terza forza; e ritenevo, forse sbagliando, fosse opportuno in quel momento avvicinarsi ai comunisti perché prevedevo che stesse maturando una crisi in seno al partito, anzi in seno al movimento comunista mondiale (e la crisi ci fu con la morte di Stalin, il disgelo, la destalinizzazione, il ventesimo congresso del 1956, ecc.)25.

Rifiuta poi l’invito a ricoprire ruoli direttivi nel giornale poiché il suo primo intento è riprendere a pieno ritmo l’attività letteraria: a questi anni risalgono infatti le pubblicazioni di raccolte di racconti, alcuni già pubblicati, con il titolo Il taglio del bosco, e più in generale Venticinque racconti.

Nell’autunno del 1955 compie il suo primo viaggio all’estero: si reca in Cina con una delegazione di intellettuali e artisti tra cui Piero Calamandrei, Franco Fortini, Ernesto Treccani e altri. Da questa esperienza nascerà nel 1956 il resoconto Viaggio in Cina dedicato all’amico Franco Fortini che a sua volta gli dedica il suo Asia maggiore.

Deluso dal Partito Comunista mette fine alla collaborazione con «Il Contemporaneo» e, per contrasti ideologici, vorrebbe sospendere ogni attività giornalistica, ma le sue condizioni

economiche lo costringono a continuare. Non abbandona la politica, anzi conferma la sua adesione al Partito socialista per cui si candida in una lista a Grosseto. Nel Partito Socialista era confluito il Movimento di Unità popolare, alla cui fondazione aveva partecipato attivamente nel 1952. In agosto pubblica La casa di Via Valadier da Einaudi: questo è il primo libro ambientato interamente a Roma. In una lettera a Calvino Cassola confessa: «A Roma sono vissuto fino a ventitré anni, ma prima di questo libro non avevo saputo scriverne nulla; ci son potuto tornare solo partendo di qui, dalla Toscana, seguendo le piste come tu dici, di Maggiorelli26 e compagni»27.

24 La rivista settimanale, nata nel 1954, affrontava i molteplici problemi della vita italiana, dall’economia, alla politica,

ai problemi sociali e alla cultura.

25 Carlo Cassola in Ermenegildo Saglio, Intervista con lo scrittore Carlo Cassola su Luciano Bianciardi fatta da me a

Grosseto il 15 dicembre 1972, in Velio Abati (a cura di), La nascita dei «Minatori della Maremma», Giunti, Firenze, 1998, pp. 310-26.

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Maggiorelli è il protagonista dei due racconti, Esiliati e La casa di via Valadier, che poi saranno uniti nel volume La casa di via Valadier, pubblicata da Einaudi nel 1956. Egli, originario della Maremma toscana, dopo molti anni si trasferisce a Roma; Cassola lo ritrae nella città nel periodo dal 1945 fino agli anni successivi alla guerra.

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Nel ’57 la sua vita familiare viene scossa dalla morte di Nora, la sua seconda figlia, di appena sei mesi, colpita da febbre asiatica. Lo stesso anno aveva pubblicato per Einaudi Un matrimonio del dopoguerra che partecipa al premio Marzotto senza tuttavia vincere.

Il 1958 vede la pubblicazione da parte di Einaudi della nuova edizione riveduta di Fausto e Anna28. Per Feltrinelli pubblica Il soldato con cui concorre al premio Strega senza successo; con la stessa opera vince ex-aequo con Giuseppe Cassieri il premio Salento nel 1958. Intanto inizia a comporre La ragazza di Bube e ne informa in una lettera Italo Calvino: «Dopo aver finito gli esami, e dopo aver cambiato casa, mi metterò a scrivere il romanzo La ragazza di Bube. Su di esso […] giocherò il tutto per tutto»29.

La ragazza di Bube viene pubblicato da Einaudi nel 1960; spronato dall’editore, Cassola partecipa controvoglia al premio Strega. L’esito fu un trionfo (151 voti su 365), e segnò il coronamento di un decennio di attività narrativa dedicata quasi esclusivamente al tema della Resistenza. Eppure anche in questa circostanza non mancarono i contrasti: Pasolini, presentatore di Calvino e del suo Il cavaliere inesistente, pronunciò la celebre orazione In morte del realismo30 con cui accusò proprio Cassola di aver favorito il sopraggiungere dei neopuristi, di avere collaborato alla restaurazione dello stile, insomma di aver inferto il colpo più inaspettato al realismo, lui che si era sempre dichiarato suo sostenitore.

Il successo di cui godette il romanzo fu enorme e quasi inaspettato. La popolarità di Cassola crebbe vertiginosamente e molti giornali e riviste richiesero la sua collaborazione ottenendo un deciso rifiuto, vista l’intenzione dell’autore di dedicarsi totalmente alla produzione di romanzi o racconti lunghi.

Intanto giunge ad una nuova svolta poetica di cui aveva già manifestato i sintomi in passato, in una lettera a Calvino: «sono giunto alla conclusione che un ciclo della mia attività si è ormai conchiuso

28 Sulla nuova edizione del romanzo e sulle differenze tra questa e la precedente del 1952, mi soffermerò nel corso della

tesi.

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Carlo Cassola, Lettera a Italo Calvino del 21 settembre 1958, cit. in Carlo Cassola, Racconti e romanzi, cit. p. CIII

30 «E se avete lacrime, spandetele! / Voi conoscete tutti quale fu la forma / di quella grande, sebbene ancora incerta, /

ideologia. Ricordo i primi giorni / del suo uso, ancora nella luce della Resistenza. Il fascismo era vinto, / pareva vinto il Capitale. Ecco, invece, / qui lo strappo, in questa forma, del pugnale / di Tomasi, ecco la rabbiosa sdrucitura / dei neosperimentali, ecco il colpo / tagliente di Cassola – ch’era amico. / Quando egli estrasse la punta sacrilega, / guardate come il sangue la seguì, /quasi per verificare ch’era lui, Cassola, / a colpire così, senza vergogna… / Perché Cassola, lo sapete, è socialista: / ha agito dentro il cuore della idea / realista; e il suo è il colpo più brutale. / A quella ingratitudine, più che alla ferita, il Realismo chinò il capo, arreso».

Pier Paolo Pasolini recitò questa orazione composta con il preciso intento di essere letta pubblicamente. Si tratta di un'orazione che ricalca nei moti metrici e metaforici l'orazione funebre di Antonio sul cadavere di Giulio Cesare, nella tragedia di Shakespeare; nella farsa, Pasolini interpreta Antonio, mentre Bruto è Cassola. Giulio Cesare è ilrealismo italiano, stile «misto, / difficile, volgare», appena assassinato e l'autore si propone di seppellirlo. Il realismo è lo stile nato dalla Resistenza, dal sangue dei partigiani e dalla passione dei marxisti, dall'epoca in cui «il fascismo eravinto, / parevavinto ilCapitale»: tanto più brutale è il suo omicidio se ad infliggere il colpo mortale è Cassola, un socialista. Il componimento si concludeva con un elogio a Calvino, di cui Pasolini mette in luce l’estro, la fantasia, la creatività, la semplicità, la chiarezza non presuntuosa né tediosa.

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definitivamente, e che in avvenire scriverò altre cose in un altro modo»31. Il primo frutto di questa nuova coscienza poetica sarà il romanzo Un cuore arido.

La riflessione sul passato e la riconferma pacifista

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Nel ‘56 la crisi già cominciava, profonda come quella dell’inverno ’36-37, quando scoprii Joyce e mi si aprì la strada della letteratura, come quella del ’49, quando ripudiai il mio passato umano e letterario. […] Seguì un periodo di spaventosa confusione mentale e finii col scrivere La ragazza di Bube. E finalmente la crisi è scoppiata.32

Fu l’enorme successo seguito al premio Strega a suscitare la nuova crisi letteraria di Cassola; lo stesso scrittore ne è cosciente: «ero di nuovo insoddisfatto: mi pareva di aver concesso troppo all’attualità, di essermi lasciato suggestionare troppo dagli altri»33. In preda ad una totale confusione, arriva addirittura a rifiutare il suo romanzo più famoso, che lo aveva portato al successo34.

È a partire da Un cuore arido, pubblicato da Einaudi nel 1961, che si ha la «fase di ritorno di Cassola»35. Significativa di questa svolta è la dedica del romanzo proprio a Manlio Cancogni, testimone e portavoce insieme a Cassola di quella poetica del subliminare che ora torna in primo piano.

Come nel 1936 la lettura di Joyce lo aveva guidato verso l’arte della scrittura, così ora

l’avvicinamento ad altri maestri e nello specifico a Flaubert, Tolstoj, Lawrence, Hardy, costituisce la spinta decisiva per lui ad aprirsi alla nuova fase artistica.

Uscivo da una profonda crisi di insoddisfazione per la produzione del decennio precedente, che era insoddisfazione per il romanzo fabbricato, costruito, per i procedimenti naturalistici a cui avevo ceduto fin dal tempo di Fausto e Anna. Di qui la mia passione per Hardy, uno scrittore che va unicamente dietro

l’immaginazione: un personaggio di Hardy inizialmente è per lo stesso autore una specie di nebulosa che si chiarisce poi a poco a poco. Un cuore arido io lo scrissi

32 Carlo Cassola, Lettera a Franco Fortini del 7 novembre 1961, cit. in Carlo Cassola, Racconti e romanzi, cit. p. CVII. 33 Carlo Cassola, Lettera a Indro Montanelli dell’8 febbraio 1966, cit. in Carlo Cassola, Racconti e romanzi, cit. p. CVII. 34 «Quel romanzo non mi riguarda […] il personaggio di Mara non lo sentivo per niente, quando l’ho scritto, e poi è

tirato avanti con un procedimento naturalistico, che detesto…» (da un’intervista rilasciata a Adolfo Chiesa e pubblicata su «Paese sera» il 4 novembre 1961). Cassola in seguito ritratterà e si scuserà con l’editore Einaudi per la dichiarazione avventata.

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proprio in questo modo, cercando di farmi portare dall’immaginazione e basta: inizialmente non avevo nulla in mente, sono partito da un’immagine […]36.

Un anno dopo la pubblicazione del romanzo, nel 1962, Cassola decide di lasciare definitivamente l’insegnamento per dedicarsi esclusivamente all’attività di scrittore.

Prende così il via un nuovo corso creativo in cui l’autore ripristina la poetica subliminare del passato: in realtà non si tratta di un vero e proprio ritorno alle origini perché la nuova scrittura risente dell’esperienza della produzione degli anni ‘50. Cassola ormai non è più indifferente ai fatti ma si ritrova attratto dai motivi esistenziali caratteristici della prima fase e da come questi si attuano nel mondo raccontato nella seconda fase. I temi dell’impegno sono ora sostituiti, o meglio,

rimeditati all’interno di quelli esistenziali che avevano dominato i racconti delle origini. In questo periodo le prime raccolte pubblicate negli anni ’40 vengono recuperate e ampliate: pur ripristinando i temi esistenziali e dell’intimo, i nuovi testi non ritornano alle scarne misure che avevano in origine ma sono tecnicamente dilatati e sviluppati: alcuni titoli poi ritornano, identici a quelli delle prime pubblicazioni come a voler creare un ponte con il passato più remoto scavalcando quello più recente, ora sentito così lontano.

Cassola quindi intende riprendere uno per volta i racconti della giovinezza, riscriverli e

approfondirli narrativamente. Questo progetto viene mantenuto con la pubblicazione per Einaudi nell’autunno del ’64, de Il cacciatore: questo infatti era titolo di un racconto di appena cinque pagine contenuto nella raccolta La visita del 1937-40, che ora acquista la fisionomia di romanzo raggiungendo le duecento pagine. Lo stesso procedimento viene utilizzato con Tempi memorabili, un altro racconto ugualmente riscritto come romanzo breve e pubblicato, sempre da Einaudi, nel 1966. Ferrovia locale è il terzo dei racconti de La visita dilatato nel 1966-’67 fino a duecento pagine e edito da Einaudi nel 1968. L’operazione di riscrittura raggiunge lo sperimentalismo più avanzato nell’impianto di quest’ultimo scritto: l’autore non dilata soltanto i piani narrativi ma approfondisce gli aspetti più intimi dei personaggi, costruendo un romanzo di «pura immaginazione esistenziale»37. Le sue pagine strutturalmente aperte in molteplici storie e situazioni fanno perno sull’unico motivo, continuo, realistico e simbolico della linea ferroviaria locale. La conferma di rinnovata adesione alla vecchia poetica giovanile avviene nel 1962 con la pubblicazione dell’intera produzione giovanile dal 1937 al 1941 nel volume intitolato La visita edito da Einaudi.

36 Carlo Cassola in Ferdinando Camon, Il mestiere di scrittore, Garzanti, Milano, 1973, pp. 88-9. 37 Renato Bertacchini, Carlo Cassola, cit., p. 104.

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All’apice della carriera Cassola è di nuovo bersaglio di critiche, questa volta insieme a Moravia e Bassani. A scagliarsi contro di loro è la neoavanguardia italiana rappresentata dal Gruppo ‘6338. Considerato diffamatore della Resistenza e dei suoi valori nel 1952, all’epoca di Fausto e Anna, traditore del Realismo secondo Pasolini nel 1960, Cassola per la terza volta è oggetto di feroci critiche.

In particolare, Bassani de Il giardino dei Finzi Contini e Cassola de La ragazza di Bube e di Un cuore arido, al Convegno di Palermo del Gruppo 63 vengono definiti Liale del ’63, con sprezzante allusione a Luciana Peverelli e alla marchesa Amalia Negretti Odescalchi (Liala appunto), popolari scrittrici di romanzi per signore.

A questa squalificante etichetta Cassola reagisce con un’intervista:

Negli ultimi sei mesi […] ciascuno degli esponenti della neoavanguardia ha certo parlato di se stesso e delle sorti della letteratura più di quanto abbia fatto io in tutta la vita […] Per loro, il dibattito è una necessità impellente, categorica. È, in fondo, la sola arma di cui disponga questa schiera di ideologi sfrenati che passano il loro tempo ad arrovellarsi, a distillare formule culturali destinate a sfiorire dopo un mese o due, ad unirsi in gruppi e sottogruppi, lanciando accuse in tutte le direzioni. L’ultimo loro bersaglio, a quanto se ne sa, è la “letteratura di consolazione” e gli scrittori che, secondo loro, la praticano. Oltre tutto, non si sono neppure accorti che in realtà quella che essi credono sia un’accusa, è un altissimo elogio39.

Nonostante gli inviti, Cassola non partecipa ai molti premi letterari e agli eventi mondani; si ritira nella sua nuova casa a Marina di Castagneto dove continua la sua attività letteraria lontano dalle polemiche. Nel 1963 escono le trasposizioni cinematografiche di alcune sue opere, spesso con il contributo diretto dell’autore: il film La ragazza di Bube per la regia di Luigi Comencini, la

riduzione televisiva del Taglio del bosco per la regia di Vittorio Cottafavi e un altro film, La visita, per la regia di Antonio Pietrangeli.

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Il Gruppo 63, definito di neoavanguardia per differenziarlo dalle avanguardie storiche del Novecento alle quali comunque si richiamava, è un movimento letterario che si costituì a Palermo nell'ottobre del 1963 in seguito a un convegno tenutosi a Solunto da alcuni giovani intellettuali fortemente critici nei confronti delle opere letterarie ancora legate a modelli tradizionali tipici degli anni cinquanta. Al gruppo aderivano scrittori, poeti, critici letterari animati dal desiderio di rompere con la tradizione e di sperimentare nuove forme di espressione. Il gruppo, del quale facevano parte anche Umberto Eco e Edoardo Sanguineti, fu perlopiù ignorato dal grande pubblico e suscitò interesse soprattutto per le grandi polemiche mosse a Cassola, Bassani e Pratolini.

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Nel biennio 1965-67 Cassola è impegnato in molte conferenze e dibattiti in tutta Europa: in Scandinavia, in Germania, a Londra, a Parigi.

Nel 1968 inizia una collaborazione stabile col «Corriere della Sera» curando la rubrica Fogli di diario fino al 1978. Come frammenti giornalistici e materiali di utilizzo per una autobiografia esistenziale e letteraria, queste pagine di ricordi, impressioni, riflessioni sulla propria vita, si collocano a metà tra l’opera letteraria e il resoconto della vita di un Cassola-scrittore che si riconosce egli stesso come tale.

Nel 1969 pubblica il romanzo Una relazione, da cui nel 2004 verrà tratto il film L’amore ritrovato per la regia di Carlo Mazzacurati. Nello stesso anno interrompe la militanza nel Partito socialista per cui era stato eletto consigliere comunale a Grosseto nel 1962.

Nel 1970 pubblica per Einaudi Paura e tristezza, con cui vince il premio Napoli: anche quest’opera, che diventerà così la più lunga di Cassola, ha le sue radici in un racconto scritto nel 1937 da cui riprende il titolo.

Sono in un periodo di grave crisi. Accenno soltanto al versante letterario: col mio ultimo romanzo, Paura e tristezza, già finito ma che pubblicherò in autunno, sarà irrevocabilmente finita una lunga applicazione letteraria, cominciata

nell’immediato dopoguerra. Non ci tornerò più sopra. Sento che non potrò più fare la commemorazione del passato e l’elegia della giovinezza. Se riuscirò ancora a scrivere, scriverò del presente. Una letteratura problematica, una letteratura del presente è ormai la sola che m’interessi. […] Io sono pronto a rimettere tutto in discussione. Ed è bene che sia così40.

Con la pubblicazione di Paura e tristezza quindi Cassola chiude un’altra fase e avvia una nuova stagione letteraria. Intanto nel febbraio ’71 è colpito da infarto e viene ricoverato all’ospedale Gemelli di Roma, dove gli viene diagnosticata una malattia degenerativa. Dimesso dopo circa due mesi, lascia Grosseto per stabilirsi definitivamente a Marina di Castagneto. In questo periodo sospende l’attività letteraria e la sua sola preoccupazione è la sistemazione e la revisione testuale della sua produzione. Segnali di ripresa fisica arrivano nella tarda primavera: Rizzoli gli propone di raccogliere in volume i fogli di diario che pubblica sul «Corriere della Sera» ma Cassola è titubante. Con ancora maggior consapevolezza delinea il cambio di rotta della sua attività e afferma che «c’è stata una terza crisi, tra il ’71 e il ’73, che ha provocato una terza svolta nel mio cammino letterario. Di quella crisi è testimone la raccolta Fogli di diario; ma essa è documentata ancora meglio dai

40 Carlo Cassola, Lettera a Franco Fortini del 12 gennaio 1970, cit. in Carlo Cassola, Racconti e romanzi, cit. pp.

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romanzi che ho scritto dal ’71 in poi, e che non mi sembrano assimilabili a quello che ho scritto prima»41.

Dopo anni di malcontento, rotture e ripensamenti nell’estate del ’72 avviene il definitivo divorzio dalla casa editrice Einaudi: scaduto l’ultimo rinnovo dell’accordo, Cassola passa a Rizzoli

stipulando un contratto di dieci anni.

Con Rizzoli Cassola pubblica molti romanzi tra cui Monte Mario nel 1973 che entra nei finalisti del premio Selezione Campiello, Gisella nel ’74, Troppo tardi nel ’75. Inoltre nel 1974, sempre con Rizzoli, pubblica la raccolta degli articoli giornalistici Fogli di diario, frutto della lunga

collaborazione al «Corriere».

Dal 1976 si impegna nella composizione di saggi come L’intelligenza e il potere e Il vecchio e il nuovo che poi confluiranno nel volume Il gigante cieco. Insieme a L’ultima frontiera questi contributi manifestano la nuova posizione politica antimilitarista di Cassola. Questa volta il cambiamento è decisivo. Cassola constata la tendenza suicida dell’umanità nel voler andare incontro all’annientamento, verso la catastrofe atomica ed ecologica; nei suoi saggi, oltre alla accorata denuncia del pericolo imminente, Cassola vuole suggerire un possibile rimedio in grado di scongiurare il destino che sembra già scritto: egli individua nel superamento degli egoismi e delle prepotenze nazionali l’unico modo con cui vincere questo male che annienta l’umanità.

Il suo allarmismo si concretizza con la fondazione, nel 1977, della Lega per il Disarmo di cui assume la presidenza. Si impegna molto cercando di raggruppare in un unico movimento sia gli aderenti a partiti e gruppi politici sia gli indipendenti con l’obiettivo del disarmo unilaterale; organizza convegni e congressi per sensibilizzare l’opinione pubblica e utilizza anche le pagine del «Corriere della Sera» per pubblicizzare i suoi intenti.

Nel 1978 si rompe la storica amicizia con Cancogni a causa del mancato sostegno, da parte di quest’ultimo, alla proposta di disarmo. Nello stesso anno si trasferisce a Montecarlo di Lucca con la nuova compagna, Pola Natali, conosciuta nel ’74. Continua la produzione letteraria con romanzi, collaborazioni a quotidiani e a riviste, sempre più isolato dal contesto culturale, a causa di questa sua scelta, anche narrativa e in appoggio all’idea del disarmo. Intanto peggiorano le sue condizioni di salute. Muore il 29 gennaio 1987 a Montecarlo di Lucca e al suo funerale ci sono poche presenze, tra cui quella del politico Mario Capanna, cui è affidato anche il discorso di commiato:

41 Domenico Tarizzo (a cura di), Carlo Cassola: letteratura e disarmo. Intervista e testi, Mondadori, Milano, 1978 p.

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viveva in solitudine non perché l’avesse scelta, ma perché questa era la costrizione che gli era stata costruita attorno, e questa l’ha vissuta fino all’ultimo. Io non potrò dimenticare quei funerali di quella mattina dove se ne andava in solitudine, […] solitudine di una grande umanità; ha ricevuto il saluto della natura, tirava un vento gelido e gli alberi si inchinavano al passaggio della bara. È stato quello credo l’omaggio più bello, partigiano, che forse uno come lui potesse desiderare avere42.

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TRA RESISTENZA E NEOREALISMO

Il partigiano “Giacomo”

L’esperienza nella Resistenza segnò profondamente la vita e una corposa parte dell’opera letteraria di Carlo Cassola. Al ricordo di questi mesi intensi vissuti da partigiano nelle campagne dell’alta Val di Cecina sono dedicate alcune tra le principali opere che ha composto, quelle che più di tutte gli hanno garantito la fama e la popolarità di cui gode tutt’oggi, ma anche quelle che lo hanno esposto alle più feroci polemiche da parte della critica letteraria del secondo ‘900.

L’esperienza militare di Carlo Cassola inizia nel 1941, anno in cui viene richiamato alle armi: presta servizio come ufficiale del Genio prima a Pisa e poi a La Spezia. L’armistizio lo sorprese mentre era in licenza a casa, nelle campagne volterrane dove la famiglia era sfollata. Fu allora che cominciò a prendere i primi contatti con gli organizzatori della lotta clandestina, coloro che poi saranno «i vecchi compagni» del racconto omonimo. Ben presto, per ragioni di sicurezza, lasciò la vita cittadina e aderì ufficialmente alla 23ª Brigata Garibaldi «Guido Boscaglia».

Questa Brigata ha una storia gloriosa, fu protagonista della Resistenza del grossetano e accolse uomini provenienti da ogni parte della Toscana. La sua storia iniziò ai primi di maggio del 1944 in seguito all’unione di tre distaccamenti attivi in Toscana che vantavano una comune origine nella zona di Massa Marittima. Queste tre formazioni, la “Mario” (poi la “O. Gattoli”), la “Velio” e la “Guido Boscaglia”, erano operative in modo autonomo già dal 1943 ma le loro azioni si erano rivelate spesso scoordinate e controproducenti.

Tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1944 si intensificano quindi i contatti tra queste tre formazioni che ben presto confluiscono in un’unica Brigata. Una volta costituito il nuovo gruppo era necessario stabilire il luogo in cui insediarsi. Una delle tre formazioni, la “O. Gattoli” fino a quel momento era rimasta accampata nella zona del Berignone, una vasta area verde del volterrano oggi riserva naturale. Alla zona del Berignone, dove negli ultimi mesi scarseggiavano viveri e acqua, si preferì quella delle Carline nei pressi di Radicondoli in provincia di Siena. Questo nuovo luogo scelto come sede della Brigata era ricchissimo di acqua e di fattorie da cui era facile ottenere approvvigionamenti. Inoltre da questa posizione era assicurato l’aiuto di vari CLN già molto attivi nella zona. L’intero gruppo neoformato si trasferì dunque nella zona delle Carline da dove inoltre l’avvistamento del nemico era molto facile da ogni lato e il piccolo altopiano situato al centro della

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zona, circondato da alture, costituiva un campo di lancio che non poteva essere individuato dalla pianura sottostante.

Una volta costituita la Brigata, al suo interno rimasero distinti i due gruppi principali da cui ebbe origine: in particolare la “G. Boscaglia” diventava la I compagnia e la “O. Gattoli” la II compagnia; in seguito si aggiunse una III compagnia formata da circa 40 uomini inviati dal CLN di Empoli. Il Tenente Carlo Cassola, nome di battaglia ‘Giacomo’, apparteneva alla seconda compagnia e al momento della definizione dei ruoli fu messo a capo della squadra E (esplosivi) in quanto esperto di materiali esplosivi e abile nell’organizzazione di azioni di sabotaggio. Vice caposquadra fu

nominato il Sottotenente Sandro Contini Bonacossi ‘Vipera’: «Ambedue si distinsero per la perizia con la quale assolsero il compito di istruire gli uomini, di preparare gli esplosivi e montare le armi»43.

La neonata Brigata fu attiva sin dalla fine del maggio del 1944 quando il grosso delle forze tedesche si stava avvicinando in ritirata alle campagne del grossetano. Essa si distinse con interventi sul territorio volti ad ostacolare il passaggio delle truppe tedesche: fu quindi decisiva l’azione di minare i ponti su alcune strade importanti, come la statale Siena–Grosseto, la Massa–Castelnuovo Val di Cecina, la Siena–Massa. Queste azioni di sabotaggio venivano compiute anche in luoghi lontani dalla zona delle Carline dove la Brigata era stanziata e avevano lo scopo di obbligare le truppe tedesche a defluire sulle vie secondarie dove potevano essere più facilmente attaccate.

Verso la metà di giugno, la Brigata ebbe a disposizione una notevole quantità di esplosivo e un maggior numero di armi per gli uomini che affluivano sempre più numerosi alla formazione: fu quindi possibile agire su scala più vasta e, come il piano generale prevedeva, far saltare i ponti anche su molte strade secondarie più vicine alle Carline. Queste azioni di sabotaggio, oltre che rendere più difficoltosa la ritirata tedesca, permisero di intensificare gli attacchi alle colonne e ai mezzi isolati, attacchi che trovarono sempre una violenta reazione tale da impedire la cattura di prigionieri. Dalla stessa documentazione tedesca emerge quanto dannosa e preoccupante sia stata per le truppe tedesche in ritirata l’azione dei partigiani della Brigata «Boscaglia»: dalle relazioni dei comandi tedeschi del giugno del ’44, oltre a notizie relative ad alcune delle azioni condotte dalle squadre della Brigata, vi è infatti l’indicazione della consistenza della formazione e della sua dislocazione44.

Durante i mesi di maggio e giugno la Brigata fu molto attiva sul territorio: imboscate, sabotaggi, catture, attacchi a convogli tedeschi erano all’ordine del giorno. Ai fini della mia ricerca mi soffermerò solo su quelle azioni a cui sicuramente ha preso parte il partigiano Cassola e che egli

43 Pier Giuseppe Martufi, La tavola del pane, ANPI, Centrooffset, Siena 1980, p. 39. 44 Pier Giuseppe Martufi, La tavola del pane cit., p. 41.

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stesso ha ricordato nel corso della sua attività letteraria. Infatti molte sono le opere ambientate che si riferiscono al periodo storico della Resistenza. Preziosissima è la testimonianza contenuta nel romanzo Fausto e Anna, dall’autore stesso sentito come l’unico autobiografico, in cui in modo molto accurato e fedele alla realtà Cassola descrive alcuni degli episodi di vita partigiana vissuti durante i mesi di militanza nella Brigata.

Un esempio si trova nella prosa I pericoli peggiori corsi da partigiano contenuta nell’opera dal taglio diaristico Mio padre45. Cassola qui confessa che in molte azioni di lotta partigiana ha rischiato la vita: un episodio in particolare lo ha segnato, quello in cui si trovò coinvolto in uno scontro a fuoco con i tedeschi, e a distanza di molti anni lo rivive nelle pagine del suo racconto.

Era mattina e dovevamo attraversare la strada Castelnuovo–Massa

Marittima, per andare a compiere non so quale attentato. Dal fienile in cui c’eravamo rifugiati durante la notte, io avevo visto la strada continuamente illuminata. Si trattava di macchine tedesche, non c’erano dubbi. Perciò io, che ero il capo della squadra Esplosivisti, incaricata di far saltare non

ricordo più cosa, pregai Franco, il capo della spedizione, d’essere prudente e di risalire fino al punto in cui si doveva attraversare la strada protetti da un po’ di macchia. Ma Franco non ne volle sapere e risalì direttamente, benché i terreni fossero scoperti. Successe che, quando avevamo la strada proprio sopra le nostre teste, passò una macchina tedesca. Io feci un gesto come per dire che proseguisse: loro erano in migliore posizione ma noi eravamo di più. Invece i tedeschi si misero a sparare. Il grosso dei partigiani ripiegò col Brent in modo da essere coperto; io e un altro, invece, ci mettemmo a scappare nel modo più sconsiderato, prendendo per un campicello, dove fummo sotto il tiro dei tedeschi per cinquanta – sessanta metri. Io scappavo a zig – zag, in modo che il nemico non mi potesse inquadrare: e vedevo gli spruzzi di polvere sollevati dal terriccio. Non so come scappasse il mio compagno. Arrivati fuori tiro, ci portammo vicino al Brent. Il

combattimento era già terminato, la macchina tedesca era fuggita, abbandonando un morto46.

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C. Cassola, Mio padre, Rizzoli Editore, Milano 1983. L’opera ha carattere personale e unisce insieme una serie di scritti che ricordano vari momenti e aspetti dell’esistenza dell’autore, soffermandosi soprattutto sulla figura del padre Garzia Cassola.

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Dalle scarse informazioni e dai riferimenti generici presenti nel testo, non siamo in grado di individuare con certezza la vicenda vissuta dal partigiano Cassola. Molto probabilmente si tratta dell’episodio avvenuto l’11 giugno 1944 in cui, secondo la Relazione della 23ª Brigata Garibaldi “Guido Boscaglia”47, due squadre della II Compagnia attaccarono in località “Croce di Bruciano” nei pressi di Castelnuovo Val di Cecina alcune macchine tedesche infliggendo un morto e un ferito ai nazisti.

Ma l’episodio più importante riportato da Cassola nelle sue pagine è quello del violento scontro a fuoco avvenuto nella notte tra il 14 e il 15 giugno sulla strada che da Volterra conduce a Massa Marittima. Nella Relazione della Brigata si legge:

L’8ª Squadra della 2ª Compagnia, elementi della squadra E e della squadra Comando si dirigono verso il ponte di Riotorto (sulla strada Montieri – Massa M.ma) per minarlo. Vicino al ponte vengono investite dal fuoco delle nostre armi automatiche e dal lancio di bombe a mano. La macchina di testa cerca di individuare, manovrando il faro, la posizione dei nostri uomini, uno dei quali viene ucciso (Tamburini Gino) e uno ferito (‘Corvo’ Fardellini Gino). Nello scontro 47 SS rimasero uccisi. Fu presa prigioniera una donna russa dalla Guardia armata di Montieri che fu consegnata insieme a

prigionieri tedeschi agli Alleati.

All’alba i tre camions immobilizzati furono avvistati da aerei Alleati che li bombardarono distruggendoli.48

Questo fatto è stato ripreso fedelmente da Cassola e costituisce l’intero capitolo XXVI della terza parte di Fausto e Anna: l’autore, che lo ha vissuto in prima persona, ne fa la cronaca puntuale con una narrazione concitata ed emozionata. Continua la Relazione: «Purtroppo i tedeschi si

abbandonarono a gravissime rappresaglie prendendo nel paese vicino della Niccioleta 93 ostaggi civili che condotti a Castelnuovo vennero fucilati». Si credette infatti, erroneamente, che la quasi contemporanea cattura (il 13 giugno) di 83 minatori della Niccioleta e il successivo eccidio da parte

47 Corpo Volontari della Libertà aderenti al C.L.N., Relazione sull’attività svolta dalla 23ª Brigata Garibaldi «Guido

Boscaglia», diffusa in Pisa il 24 luglio 1945, in poche copie dattiloscritte, dal Comando della Brigata, p. 28.

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dei tedeschi a Castelnuovo Val di Cecina il 14 giugno fossero stati una rappresaglia conseguente allo scontro sul Ponte di Riotorto. Anche Cassola, nel VII capitolo di Fausto e Anna, collega questa strage di civili alla morte dei 47 tedeschi del giorno prima. Successivamente nel 1956, nella stesura del saggio I minatori della Maremma49, i due autori Cassola e Bianciardi hanno ricostruito nel dettaglio lo svolgersi della strage di minatori della Niccioleta: nell’inchiesta infatti è presente un capitolo interamente dedicato alla cronaca di quella giornata dove vengono chiarite le cause non riconducibili allo scontro a fuoco avvenuto nei pressi del ponte di Riotorto, in cui morirono molti nazisti50.

Ancora grazie alle pagine di Fausto e Anna veniamo a conoscere altri episodi di lotta partigiana a cui Cassola ha preso parte in prima persona. Si legge nel XXXV capitolo della terza parte: «Tre giorni dopo, di buon mattino, una squadra di dodici partigiani con un Brent fu spedita in ricognizione sul versante meridionale del Monte Capanne. La comandava Elio. Fausto, che non ne poteva più dopo tre giorni di inattività, aveva chiesto di farne parte ed era stato accontentato»51. Cassola introduce così il racconto che occuperà poi l’intero capitolo. La vicenda non trova diretto riscontro nelle fonti storiche sulla Resistenza locale: la Relazione riporta un’azione riconducibile al 17 giugno ’44 in cui «l’8ª Squadra della II Compagnia insieme alla Guardia Armata di Travale sostiene uno scontro con pattuglie tedesche […] cagionando feriti fra i tedeschi»52. La fonte storica non menziona il soldato tedesco che invece risulta colpito dai partigiani nel romanzo ma parla solo di feriti. È possibile che Cassola nel suo romanzo, che in più punti è fedele alla realtà storica, abbia fuso particolari di avvenimenti diversi insieme; del resto, come si è detto, nel giugno del ’44 la Brigata fu molto attiva sul territorio tanto che la Relazione registra azioni di sabotaggio quasi ogni giorno. Anche la morte del partigiano Cannone, che nelle pagine del romanzo è minuziosamente descritta così come il suo solenne funerale a cui assistiamo commossi attraverso gli occhi e i sentimenti di Fausto, trova fedele riscontro nella cronaca quotidiana della Relazione. Anche in questa occasione però Cassola stravolge la vicenda, collocando la morte del giovane partigiano in un contesto diverso da quello in cui effettivamente avvenne in data 24 giugno. Nel romanzo infatti Cannone, di cui si sottolinea il vitale entusiasmo dato dalla sua giovane età, viene freddato durante un’azione di cattura di un capitano tedesco: «Gli uomini a cui fu dato l’ordine erano convinti che il

49 Luciano Bianciardi - Carlo Cassola, I minatori della Maremma, ExCogita Editore, Milano 2004. Si tratta di un saggio

scritto a quattro mani e ripartito in due macro sezioni. La prima ha carattere storico – sociologico – statistico e si concentra sulla storia dell’attività, sulle condizioni di lavoro con accenni alle lotte sindacali e politiche. La seconda parte raccoglie una serie di brevi biografie di minatori.

50 I motivi della violenta strage di Niccioleta vanno ricondotti al rifiuto da parte degli abitanti del paese di presentarsi ai

posti di polizia fascisti e tedeschi di Massa Marittima, in seguito ad un manifesto di convocazione affisso in tutti i comuni della provincia di Grosseto.

51 Carlo Cassola, Fausto e Anna in Racconti e romanzi, cit. p. 476.

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capitano tedesco li avrebbe accolti a braccia aperte. Giunti alla casa, non presero quindi precauzioni: si avvicinarono fiduciosi alla porta e la spinsero. Rimbombò una detonazione, e Cannone cadde fulminato»53; nella cronaca storica invece Cannone, ossia Silvano Marchi, viene ucciso durante un vero e proprio scontro a fuoco con il nemico presso il podere della Mammoleta. Il bilancio dello scontro inoltre fu ben più pesante poiché sei tedeschi furono uccisi e tre fatti prigionieri.

Il 29 giugno 1944 gli uomini della Brigata presero contatti con gli alleati giunti a Gerfalco, un borgo vicino a Montieri, in provincia di Grosseto. Qui i partigiani si dichiararono disponibili ad ogni collaborazione con le truppe alleate e a questo proposito una delegazione, tra cui figura anche ‘Giacomo’, ossia Cassola, fu mandata il 3 luglio a Roma per chiedere l’autorizzazione di continuare a combattere a fianco degli alleati. La risposta fu negativa e il 10 luglio venne confermata la necessità di abbandonare la lotta; così dopo aver consegnato le armi ai comandi americani, la Brigata si sciolse.

Della Brigata rimangono precisi resoconti e dettagliate informazioni riguardo all’attività nel territorio volterrano e grossetano. Ma il vero ruolo e significato di quella esperienza ci è consegnato dalle numerose testimonianze dei protagonisti tra cui si distingue quella del partigiano Giacomo.

Desidero parlare di Berignone, cioè del primo monte dove sono stato partigiano, […] nella formazione della ventitreesima brigata «Garibaldi».

Berignone è un massiccio boscoso che, da Volterra, ha l’aspetto di un fortilizio. Io ne ho parlato in varii miei libri col nome di Monte Voltrajo. […] Noi che da partigiani abbiamo percorso in lungo e in largo Berignone, ci saremmo dovuti dire che il nostro primo dovere era conservare ogni ciottolo, ogni filo d’erba, ogni costone di bosco vicino, ogni paese lontano. Invece, avevamo tutti in mente qualche progetto di riforma della società. Purtroppo erano progetti differenti, che ci hanno portato in campi opposti. Quando avremmo dovuto dirci che prima della libertà o della giustizia viene la vita. Noi eravamo lì come amanti della vita, per contrastare il partito della morte. Avremmo dovuto quindi restare sempre insieme.

53Carlo Cassola, Fausto e Anna in Racconti e romanzicit., pp.493-5. Nella cronaca storica invece Cannone, ossia

Silvano Marchi, viene ucciso durante un vero e proprio scontro a fuoco con il nemico presso il podere della

Mammoleta. Il bilancio dello scontro inoltre fu ben più pesante poiché sei tedeschi furono uccisi e tre fatti prigionieri. «24 giugno. Presso il podere della Mammoleta (fattoria di Fosini – Radicondoli) uomini della 2ª Compagnia, sostenuti da elementi russi facenti parte della Brigata, iniziano il combattimento contro forze tedesche. Sei tedeschi vengono uccisi e tre fatti prigionieri fra i quali un maresciallo. Nella nostra squadra un morto “Cannone” Marchi Silvano» da Corpo Volontari della Libertà aderenti al C.L.N., Relazione sull’attività svolta dalla 23ª Brigata Garibaldi «Guido Boscaglia», cit. p. 30.

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Avremmo dovuto fare la traduzione politica del nostro sentimento di solidarietà e allora ci saremmo avvisti che l’impulso a stare insieme, a conservare tutto quello che ci circondava, era più forte di ogni altro. La vita ci appariva il contrario della politica: devono essere invece la stessa cosa.

[…] Eravamo venuti alla macchia prima di tutto per quello, per difendere le ragioni della vita di fronte a chi le negava, per innalzare le nostre gioiose bandiere davanti ai gagliardetti col teschio… Se un fascista spagnolo aveva gridato: «Viva la morte!», noi avremmo potuto gridare: «Viva la vita!».

Il fascismo era la morte: non per niente spronava alla guerra. Noi invece della morte, cioè della guerra, non ne volevamo sapere.

Politica e vita erano per noi la stessa cosa da partigiani. Ci angustiava tutti il pensiero che, finché non fossero arrivati gli alleati, saremmo stati costretti a vivere in quelle macchie. Che ci proteggevano, ma anche ci imprigionavano. Guardavamo con desiderio la campagna che si estendeva al di là della macchia in cui eravamo rinchiusi, e le masse biancastre dei paesi dove non saremmo potuti andare. Ignoravamo che il medesimo sentimento d’impotenza ci avrebbe preso in seguito. In effetti, non c’è bisogno d’essere confinato in un bosco per sentirsi in prigione. Il mondo è una prigione, ha scritto un mio amico, che delle prigioni vere ha fatto esperienza.

[…] Da Berignone, la notte, anche i soffioni boraciferi che si levavano diritti verso il cielo. Per un po’ erano come colonne; poi si dissolvevano nell’aria. Ti ricordavano che, lontano da dov’eri, continuava a fervere la vita paesana. I giovanotti la sera si aggiravano nelle vie principali, tra le luci dei negozi, guardando le ragazze che passavano. ‘Beati loro’ pensavamo. Magari quelli invidiavano noi, che eravamo già alla macchia, perché avevano intenzione di compiere il nostro stesso passo: mettersi fuori della legge.54

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Cassola neorealista?

Intorno agli anni Cinquanta Carlo Cassola ha al suo attivo già numerosi scritti. Se non ancora completamente affermato nel panorama italiano (il successo vero arriverà nel 1960 con il romanzo La ragazza di Bube) è molto attivo nell’ambiente letterario, dove si sta facendo strada con frequenti pubblicazioni. La sua produzione letteraria, che fu inaugurata con la raccolta Alla periferia nel 1942 e che raggiunse il suo più alto livello nel 1949 con il racconto lungo Il taglio del bosco, si

inscriveva nel filone che la critica è solita indicare come esistenzialista e subliminare.

Conclusa la seconda guerra mondiale, a cui Cassola aveva partecipato, come si è visto, inizialmente come soldato nell’esercito e poi dal 1944 come partigiano nella Brigata Garibaldi, si assiste ad un cambiamento radicale nella narrazione dell’autore. I nuovi testi hanno ora un’ambientazione cronologica precisa: si svolgono tutti negli ultimi anni della guerra, nel periodo della Resistenza e nell’immediato dopoguerra. La Storia, quindi, ma anche i fatti e le azioni che fino a quel momento erano rimasti sullo sfondo dei racconti, assumono un ruolo centrale a fianco di personaggi che, pur con qualche modifica, mantengono sempre quell’essenzialità e quella intimità che li aveva

contraddistinti nelle opere fino a questo momento.

Carlo Cassola appartiene, insieme ad altri scrittori attivi nella seconda metà del Novecento, alla generazione di coloro che hanno preso parte attivamente alla lotta partigiana e che ne danno testimonianza nelle loro opere. Nell’articolo comparso su «Galleria»55 del 1957, Angelo Paoluzi individua il fenomeno letterario nato all’indomani del secondo conflitto mondiale e lo indica come “narrativa della Resistenza”. La nuova corrente letteraria non è circoscritta alla sola Italia: negli stessi anni si assiste al fiorire di una letteratura della Resistenza anche in tutte quelle nazioni europee che come l’Italia, hanno subito l’occupazione nazifascista. Queste letterature sono state ispirate dalle stesse forze storiche e si sono esaurite tutte, più o meno, nel giro di un ventennio. Paoluzi inoltre riconosce il limite di questa letteratura «nella brevità del periodo in cui si è consumata, storicamente, l’esperienza stessa della ribellione alla tirannia»56.

Il critico contrappone la nascita e lo sviluppo di questa letteratura alla corrente dell’Ermetismo, nata anch’essa dal rifiuto del fascismo, della sua retorica, della sua ideologia: tuttavia l’Ermetismo rimane una letteratura per élites, aristocratica ed è per questo che la nuova narrativa definita impegnata, sensibile ai valori umani, vi si oppone. Paoluzi spiega come questa letteratura della Resistenza si concretizzi nella descrizione di una povertà non solo materiale, nella denuncia dello

55 Angelo Paoluzi, La narrativa della Resistenza, in «Galleria», anno VII n.6, novembre – dicembre 1957. 56 Angelo Paoluzi, La narrativa della Resistenza, cit. p. 249.

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