Quando mi si aprì la possibilità di scrivere Fausto e Anna? Forse nel 1948, quando pensai appunto a un romanzo basato sul contrasto tra l’amore di Anna per Fausto e quello di Anna per Miro. Mi pare proprio di aver pensato a questo contrasto; ma allora le inibizioni mi impedivano di scrivere un simile romanzo113.
Carlo Cassola inizia la composizione di Fausto e Anna nell’ottobre del 1949, a sei mesi dalla morte della moglie avvenuta il 23 marzo. Questo romanzo, insieme al Taglio del bosco, pubblicato nel 1950, è la prima opera importante scritta dopo questa perdita.
Nel ’49 una sconvolgente vicenda privata precipitò la crisi: ripudiai il passato, compresa la mia poetica, compreso l’insegnamento che avevo tratto da Joyce, compreso tutto o quasi tutto quello che avevo scritto fino ad allora. […] Il processo al passato fu la materia del mio primo romanzo, che è anche il mio solo romanzo autobiografico: Fausto e Anna114.
La morte improvvisa della moglie Rosa Falchi, alla quale sia Il taglio del bosco che questo romanzo saranno dedicati (Alla memoria della mia Rosa), l’aveva sconvolto mettendo in crisi la sua stessa poetica subliminare. Un altro evento tragico sta all’origine della stesura: si tratta dell’esperienza della Resistenza che lo scrittore ha vissuto in prima persona partecipando attivamente alla lotta partigiana nelle campagne intorno a Volterra; un’esperienza che condizionerà la sua vita e la sua opera futura.
Ricordo che Romano [Bilenchi], dopo aver letto Baba, m’invitava a farne un romanzo, con la considerazione che uno scrittore deve sfogare i propri umori, e
113 Estratto dalle note del 12 novembre 1953 riportate nel taccuino inedito di Carlo Cassola Appunti 1952-1953, cit. in
Alba Andreini, Notizie sui testi, in Carlo Cassola, Racconti e romanzi, Mondadori, Milano 2007, p. 1769.
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anche i propri malumori. Io seguii il suo consiglio alcuni anni dopo, quando scrissi il mio primo romanzo, Fausto e Anna. Romano lo lesse manoscritto e anche lì mi fu di grande aiuto coi suoi consigli115.
Fu quindi Romano Bilenchi ad invitare il giovane scrittore ad uscire da una «specie di prigione», quella dei «primissimi raccontini». A partire dal ’49 quindi Cassola si mette alla prova con il genere verso cui si sente attratto ogni narratore nel suo processo di maturazione. Il romanzo è una specie di verifica delle sue doti, soprattutto della sua capacità di costruire ad ampio respiro, d’impegnarsi in strutture dall’architettura complessa, di organizzare in perfetta unità il dinamismo delle vicende con le atmosfere delle situazioni, di dar vita a personaggi che rappresentino la dimensione umana dell’intera vicenda.
La rinascita dal lutto che Cassola vive tramite il romanzo si manifesta nell’abbandono liberatorio al ritmo narrativo fluido, antitetico a quello del passato, con cui si rileva ora la scrittura. Ne è prova la velocità di stesura, quasi un urgente e pressante bisogno di espressione: «Lo scrissi di getto alla fine del ’49, sentendomi improvvisamente libero da tutte le inibizioni che mi avevano impedito una narrazione distesa e fluente»116.
A tale entusiasmo compositivo corrisponde la riuscita letteraria del testo, subito apprezzata da Bassani con toni calorosi: «A Cecina, dove mi son fermato due giorni, ho letto un bellissimo romanzo inedito di Cassola. Una cosa veramente eccezionale. Potremmo stamparne due capitoli, che possono benissimo stare a sé. Cassola me li farà avere al più presto, ed io glieli manderò subito a far vedere»117. Ma il progetto di anticipare in rivista Fausto e Anna decade: questo sarà l’antefatto della sequenza delle pubblicazioni mancate. Infatti anche con l’esordio romanzesco Cassola, non nuovo a disavventure editoriali, incontra vari ostacoli. Come era già accaduto per La visita e Il taglio del bosco, Fausto e Anna riscuote infatti un immediato consenso da parte degli amici consultati ma, nonostante il loro impegno nel promuovere l’opera, il consenso critico non garantisce al libro una pronta pubblicazione.
De romanzo, ancora inedito, parla, senza svelarne il titolo, Leone Piccioni in un articolo uscito sul «Popolo» del 22 aprile 1951:
Dobbiamo tacere il titolo ed i particolari perché parteciperà ad un importante premio di narrativa che nel bando impone l’incognito all’autore. Romanzo che è stato a lungo, troppo a lungo, sul tavolo di un editore che ha finito per non
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Carlo Cassola, Mio padre, cit.
116 Lettera a Indro Montanelli dell’8 febbraio 1966 cit. in Alba Andreini, Introduzione in Carlo Cassola, Racconti e
romanzi, cit. p. XCI.
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pubblicarlo… e crediamo che abbia fatto male perché questo romanzo di Cassola vale…118
Carlo Cassola partecipò nel 1951 con Fausto e Anna al Premio Venezia, un concorso per inediti bandito dalla Rizzoli. Non conquista il primo posto che gli avrebbe garantito la pubblicazione del testo ma si classificò secondo ex aequo con Antonielli, Pia d’Alessandro, Montesanto, Russello. Ingenuamente fiducioso di ottenere la vittoria o almeno un riconoscimento, Cassola soffrirà l’insuccesso; proprio con Carlo Levi, che si era adoperato a sostenerlo, si sfogherà per l’umiliazione del «miserevole» smacco: «Miserevole anche per il fatto che io, quando ricevetti il telegramma della giuria che mi invitava a Venezia, ebbi quasi la sicurezza di aver vinto»119.
Dopo la deludente esperienza a Venezia, Cassola, sotto consiglio dell’amico Carlo Levi, propone il romanzo a più case editrici: oltre alla già citata Rizzoli, che peraltro risulta interessata, il romanzo viene presentato agli editori Casini, Mondadori, Bompiani e Einaudi, da cui sarà poi definitivamente accettato nell’estate 1951.
All’interno della casa editrice tuttavia non mancarono i contrasti: la discussione sull’inserimento di Fausto e Anna nella collana «I gettoni» coinvolge animatamente Calvino, Vittorini e Carlo Muscetta, che titolano il romanzo Anna e i comunisti, quello che aveva dato al libro Carlo Levi sintetizzandone i due poli tematici nel dittico amoroso e politico. La donna che Fausto non riesce ad amare da un lato e i comunisti con cui Fausto non stabilirà mai un’intesa definitiva dal lato opposto. A poche settimane dall’uscita del libro, nel gennaio 1952, e su richiesta di Calvino120, l’autore scelse però il nuovo titolo Fausto e Anna, che mantiene la funzione distintiva e separatrice della congiunzione, ma rafforza, attraverso l’allusione a una relazione di coppia suggerita dall’uso del nomi personali, un’idea già esposta dieci anni prima, quando aveva scritto che compito dello scrittore è rappresentare il senso dell’esistenza, che è la «coesistenza dei sessi121», dove la parola che più assume rilievo è il termine «coesistenza»: Fausto e Anna appartengono infatti a due mondi che coesistono e che solo occasionalmente riescono ad incontrarsi.
Nella casa editrice torinese le obiezioni più aspre al testo sono quelle di Calvino, convinto della superiorità de Il taglio del bosco. Trasmesse a Muscetta, le critiche di Calvino si palesano come decisa bocciatura del testo. Nonostante dubbi e perplessità, Vittorini decide infine di pubblicare il
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Leone Piccioni, «Il popolo» del 22 aprile 1951, cit. in Leone Piccioni, Maestri e amici, Rizzoli Editore, Milano 1969, p. 196.
119 Lettera a Carlo Levi del 20 settembre 1951, cit. in Alba Andreini, Notizie sui testi, in Carlo Cassola, Racconti e
romanzi, cit., p. 1774.
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«[…] Poi vorrei che ci dicesse se il titolo Anna e i comunisti è definitivo: ho paura che sia un titolo estremamente anticommerciale», dalla lettera di Italo Calvino del 9 gennaio 1952, cit. in Alba Andreini, Notizie sui testi, in Carlo Cassola, Racconti e romanzi, cit., p. 1775.
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romanzo che vedrà la luce il 29 febbraio 1952 come ottavo dei «Gettoni» di Einaudi; lo stesso Elio Vittorini, direttore della collana, sul risvolto di copertina, dà il primo giudizio sull’opera e sull’autore in generale:
Vi sono diversi gradi di realtà a cui ci si riferisce, scrivendo. Ve n’è uno massimo che porta gli scrittori a correggere o arricchire quello che si sa di fondamentale sull’uomo. Ve n’è uno minimo che porta soltanto ad afferrare i colori di un’epoca, di un anno, di una stagione. E ve n’è uno non massimo e non minimo che permette di cogliere tutto quanto dell’animo umano nasce e muore ad ogni variazione dei tempi. Rappresentare un tal grado di realtà significa fare la cronaca psicologica di un’epoca. Questo, per l’Italia degli ultimi quindici anni, l’ha fatto Cassola122
La vicenda
Confrontando il progetto del 1948 con l’edizione del romanzo pubblicata nel 1952, si può ipotizzare che il rinnovamento di poetica provocata dalla scomparsa della moglie e dalla relativa crisi abbia impedito lo sviluppo della trama ideata nel 1948: il progetto originario era centrato sul contrasto tra l’amore di Anna per Fausto e quello di Anna per Miro, e poneva dunque il personaggio femminile al centro delle due linee narrative portanti del racconto. La trama di Fausto e Anna del 1952 si sposta invece soprattutto su Fausto, permettendo così una forte messa in discussione del personaggio. L’atteggiamento prevalente di antipathos con cui si narra il protagonista agisce, oltre che sulla caduta degli amori di Anna come epicentro della storia, sulla scelta dell’autore di narrare la Resistenza, modulando sul rapporto tra Fausto e Anna in contrapposizione a Fausto e la Resistenza, il progetto originario di una logica narrativa binaria.
Vi facevo il processo a me stesso, cioè a Fausto: presentandolo in due esperienze fallimentari: l’esperienza amorosa (che fallisce per sua colpa, per la sua incapacità di abbandonarsi al sentimento) e l’esperienza dell’impegno politico durante la Resistenza123.
122 Elio Vittorini, Introduzione in Carlo Cassola, Fausto e Anna, Einaudi, Torino 1952.
123 Lettera a Indro Montanelli dell’8 febbraio 1966 cit. in Alba Andreini, Introduzione in Carlo Cassola, Racconti e
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Il romanzo propone la storia di Fausto Errera e Anna Mannoni, entrambi figli di due professionisti volterrani. Il padre di Fausto, avvocato, con lo studio a Roma, rappresenta quella parte di società di estrazione borghese perfettamente integrata nel regime fascista; la famiglia di Anna, più modesta, appartiene al ceto dei piccoli funzionari soggetti a trasferimento e dispersi nelle cittadine di provincia. Durante due anni di comuni vacanze estive a Volterra tra i due giovani, nonostante la diversità dei temperamenti, nasce una storia d’amore. Fausto, fresco della licenza liceale e ancora incerto sulla facoltà universitaria da scegliere, riversa nell’amore la natura esibizionista del suo carattere: sognante e pieno di complessi, capace di entusiasmi e progetti per l’avvenire, nutre infatti aspirazioni letterarie. A questi momenti si alternano improvvise cadute, sbalzi di umore che tenta di mascherare con atteggiamenti spregiudicati, professando idee incoerenti e violentemente antiborghesi. In lui Cassola rivede se stesso ma non si lascia mai andare all’autocelebrazione, anzi il personaggio viene sottoposto ad una continua analisi critica, ad una sorta di processo dal quale spesso ne esce sconfitto. Anna, interrotti gli studi da maestra, subisce il fascino di Fausto, diverso dagli altri ragazzi che le stanno intorno: “cittadino” più istruito di lei, oltre che di migliore condizione sociale. La ragazza nella sua sana provincialità, nella riservata e pratica coscienza che intimamente le fa desiderare una vita affettiva semplice e lineare, non trova pace, non ha serenità e certezza da quell’amore. I momenti felici e limpidi nei rapporti tra i due giovani sono rari, durano poco, nonostante qualche momento di sincero sfogo da parte di Fausto, quando le dice: «Non ho che te e qualche consolatore: James Joyce (il più grande scrittore che sia mai esistito)»124. Segue un periodo di forzata separazione durante i mesi dell’autunno e dell’inverno, con Fausto a Roma, scontento di sé e prigioniero del proprio confuso individualismo. Ad Anna, ospite in casa di parenti nel paesino di San Ginesio, vicino a Volterra, arrivano le lettere romane di Fausto sempre più deluse, ingiuste nei suoi confronti e offensive per certe infondate insinuazioni suscitate da una cieca e rabbiosa gelosia a distanza. Il risentimento di Anna di fronte alle accuse ingiuste e la convinzione di essere una ragazza perbene, la inducono a rompere la relazione con Fausto. Mentre Anna distrugge l’ultima lettera di Fausto, si chiude la parte prima del romanzo.
Il protagonista invisibile ma onnipresente della parte seconda è il tempo, che scava nella vita e nel destino degli individui, dietro un’apparente immobilità. E così il racconto dei fatti è soprattutto racconto di come i due protagonisti trascorrono il tempo, entrando nella fase della vita adulta. Questo effetto è ottenuto grazie a due procedimenti messi in atto dall’autore. Quello più riconoscibile consiste nella riduzione al minimo dell’intreccio del racconto: dopo la fine dell’amore tra i due ragazzi, la narrazione descrive la separazione di Fausto da Anna raccontando distintamente gli eventi che accadranno ai due giovani, distribuendoli in tre blocchi di testo (paragrafi I – IX
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Anna; paragrafi X – XV Fausto; paragrafi XVI – XIX Anna). L’altro procedimento consiste in una scrittura che procura un effetto di accumulo di giorni, di mesi, di anni che scorrono, attraverso gestione della durata del discorso narrativo, che calibra via via modalità diverse di rapporto tra tempo della storia e tempo del racconto attraverso sommari, ellissi, pause e scene. Così, senza quasi che il lettore se ne accorga, la Parte Seconda di Fausto e Anna narra eventi accaduti in un periodo molto ampio perché trascorrono ben sette anni dalla fine dell’autunno 1936 alla fine della primavera 1943.
Un mese dopo la rottura del fidanzamento, il signor Mannoni, promosso di grado, chiede e ottiene il trasferimento all’ufficio provinciale di Grosseto. Tra le nuove conoscenze dell’ambiente grossetano figura un giovanotto di ventitré anni, Miro, impiegato al Consorzio Agrario, il quale inizia a visitare spesso i Mannoni, e trascorsi alcuni mesi, fa la dichiarazione a Anna e ne ottiene il consenso. Presa dal nuovo amore, Anna conosce una concreta e vera felicità. Forte, robusto, privo dei complessi interiori che affliggevano Fausto, senza ambizioni (la sua unica passione è la caccia), Miro rappresenta nei confronti di Fausto l’uomo semplice, l’antagonista che soddisfa le aspettative di Anna lungo i momenti dolcemente normali e appassionati del fidanzamento (lieti soggiorni a San Ginesio, le camminate in campagna con Miro e la cugina Nora, la salita al Monte Capanne) fino alle nozze. Nel frattempo Fausto vince un concorso per l’insegnamento in un piccolo centro della Liguria, che poi scopriremo essere Sarzana; qui trascorre il suo tempo libero giocando a poker e frequentando la giovane figlia dell’affittacamere, abbandonandosi così a quella vita mediocre da cui cercherà di sottrarsi attraverso la scelta della conversione religiosa.
Nell’aprile del 1943 la guerra arriva anche a Grosseto. La famiglia Mannoni sfolla a San Ginesio con Anna e la figlioletta Lucia. Mentre Miro, richiamato alle armi e divenuto caporalmaggiore, riesce a sistemarsi presso il distretto di Bologna, Anna riflette sulla propria esistenza e, pur ritenendosi fortunata, attraversa momenti di tristezza e sfiducia: «Ormai tutto è stabilito nella mia vita, non può cambiar nulla. […] Domani: devo cancellarla dal vocabolario questa parola»125. Con questi pensieri si chiude la parte seconda del romanzo.
La parte terza è la più corposa (quarantuno capitoli): in un arco di tempo relativamente breve, dai fatti successivi all’8 settembre alla liberazione di Volterra del luglio 1944, si raccontano scene e passaggi che rendono Fausto e Anna uno dei documenti letterari più importanti della Resistenza. A Volterra, dove gli Errera sono sfollati, giunge Fausto che, intenzionato ad agire, cerca di mettersi in contatto con gli antifascisti locali, tra cui Baba che lo convince a far parte di una formazione partigiana operante nella zona di Monte Voltrajo. La scelta di Fausto di unirsi ai partigiani nasce da
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un conflitto di contraddizioni, di dubbi, di paure e di risentimenti. La vita al campo per molti aspetti esaspera questo stato di crisi interiore; nei confronti dei partigiani Fausto matura un atteggiamento difficile e ambivalente, un misto di odio e amore, che all’orgogliosa, partecipe simpatia alterna momenti di invincibile disgusto. L’immagine della «marmaglia indisciplinata» dei partigiani- ragazzi, la presenza del comandante Claudio, un medico comunista sprezzante dell’umanità e fanatico dei metodi violenti, episodi di sommaria violenza contro i prigionieri rendono presto sgradito a Fausto l’accampamento di Monte Voltrajo; egli quindi accetta volentieri il trasferimento sul Monte Capanne dove gli viene assegnato l’incarico di predisporre il nuovo alloggio della formazione in luogo più sicuro e meglio adatto a ricevere i lanci degli alleati. Proprio i lanci, le armi ricevute, i viveri e le sigarette, le notizie della liberazione di Roma e dello sbarco alleato in Francia, le canzoni cantate in coro di notte, l’acqua e l’aria buona, il panorama che si apre dall’alto del monte rendono di ottimo umore Fausto. Ma la sua integrazione e adattamento alla vita partigiana non si completano e vengono interrotti da due fatti che Fausto non riesce ad accettare: il primo episodio riguarda l’esecuzione di un maresciallo dei carabinieri accusato di collaborazionismo, fucilato a sorpresa senza concedergli la benedizione; nel secondo caso si tratta della «farsa sacrilega» con cui l’altro comandante di brigata, Giulio, travestito da sacerdote si mette a benedire i partigiani. La solitudine e il conseguente distacco dall’ala comunista più estremista orientano Fausto verso il Partito d’Azione incoraggiato anche dall’opuscolo La ricostruzione dello Stato del militante del Partito d’Azione Emilio Lussu all’interno del quale Fausto ritrova le proprie idee politiche. Il crescente senso di disagio e di estraneità di Fausto si rafforza in seguito ad un sanguinoso scontro notturno con i tedeschi, durante il quale molti soldati partigiani e nazisti morirono. Si aggiunga l’incontro imprevisto con Anna a San Ginesio, dove Fausto ha portato un compagno ferito. Nei capitoli che seguono il complesso dei sentimenti privati si alterna con la successione incalzante di scelte e azioni da compiere nell’emergenza della situazione. Nel paese Fausto trascorre le sue ultime giornate da partigiano: oggetto di stima premurosa da parte degli esponenti del comitato della Resistenza locale, ammirato da Anna che gli rinnova l’antico sentimento; amico del marito di Anna, Miro, a cui dà l’incarico di rappresentare il Partito d’Azione in seno al comitato, protagonista egli stesso di un’azione contro i tedeschi che gli conferma infine l’onorabilità della guerra. Con la partenza di Fausto da San Ginesio, seguita dalla ripresa attiva della lotta partigiana, si chiude la terza parte. La «gioia fanciullesca» per l’arrivo degli alleati introduce nel primo capitolo dell’Epilogo il tempo brevissimo del vero idillio tra i protagonisti del romanzo. Spedito a San Ginesio per fare da intermediario con gli alleati, Fausto trascorre gli ultimi teneri momenti con Anna mentre la aiuta a preparare la tavola per la cena. L’arrivo degli alleati il mattino dopo segna la fine e l’umiliazione della brigata garibaldina. Un semplice tenente della polizia
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militare americana ne ordina il disarmo e l’immediato scioglimento. La trama non racconta le scene più spettacolari tramandate dalle cronache della Resistenza, ma il controcampo di una storia più sgradevole: la rabbia dei partigiani delusi e umiliati dalla polizia militare americana. Anche la gioia fanciullesca di Fausto per l’arrivo degli americani e il ritrovato amore di Anna si spengono. L’esaurirsi dell’esperienza resistenziale infine coincide con la rinuncia ad Anna. Nel flusso della vita che ritorna normale, uscito di scena Fausto, il romanzo si chiude sulle figura di Anna intenta a contemplare il buio della sera di san Ginesio e sul dato del tempo che non torna: al richiamo del marito («- Su moglie, a letto -»), «prima di seguirlo…», darà «un’ultima occhiata fuori» (ed «era tutto buio…» «non c’era nessuno»)126. In perfetta armonia con l’incipit, il finale del romanzo ripropone l’oscurità come punto centrale della vicenda narrata.
Intertestualità
La struttura del romanzo si articola in tre parti e un epilogo, rispettivamente composti di ventotto, diciannove, quarantuno e sette capitoli. La critica all’unanimità concorda nel riconoscere questa corrispondenza tra l’aspetto visivo e quello contenutistico delle parti del romanzo.
Nei primi capitoli del romanzo prevale la sfera intimistica, il nascere e l’evolversi della storia