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L’accoglienza critica al romanzo è controversa. Una volta pubblicato, il 29 febbraio 1952, Fausto e Anna raccoglie letture sfavorevoli: le critiche si concentrano perlopiù sui risvolti ideologici del romanzo, sui quali già Calvino qualche mese prima aveva espresso il suo disaccordo. Su questo orientamento ebbe sicuramente un peso rilevante lo schieramento di «Rinascita» con la stroncatura di Giuliano Manacorda, che nella sua rubrica La battaglia delle idee del numero di marzo 1952, giudicava così il romanzo:

[…] nel suo grosso romanzo Fausto e Anna [Cassola] ci narra dell’adolescenza e dell’innamoramento di questi due giovani, dalla rottura delle loro relazioni dovuta alla stramberia psicologica di Fausto che ama e insulta la sua ragazza, come più tardi si abbandonerà alle facili voglie della figlia della padrona di casa o alle suadenti parole del collega professore di religione, ed infine militerà tra i partigiani coprendoli di disprezzo. E su questa attività partigiana il libro si dilunga un bel po’ per giungere, attraverso una dialettica subdola […] alla conclusione che i partigiani erano un branco di fifoni e di assassini, che i tedeschi erano poveri figli di mamma, che la unità antifascista non è mai in sostanza esistita dato il gravoso e maltollerato predominio dei comunisti tra le file antifasciste. […] Fra l’altro il libro del Cassola […] tira via per sue più che quattrocento pagine in una maniera piatta e uniforme che non riesce a prender vita e colore nemmeno quando l’argomento offrirebbe lo spunto ad una prosa sottile e serrata215.

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Manacorda rimproverava anche gli esiti e la qualità scadente dello stile e soprattutto contestava la posizione ideologica e politica del romanzo poiché riteneva che la guerra partigiana vi fosse rappresentata in maniera ambigua, come ambiguo era il personaggio di Fausto, che per metà disprezza i suoi compagni di lotta e per metà è orgoglioso di aver combattuto con loro per giungere a conclusioni «di un anticomunismo analogo alla più triviale propaganda neofascista»216.

Cassola, profondamente colpito, replica con una accesa Lettera al direttore, apparsa sul numero successivo di «Rinascita»:

Signor Direttore, nel numero di marzo di Rinascita, e precisamente nella rubrica ‘La battaglia delle idee’, Giuliano Manacorda si occupa del mio romanzo Fausto e

Anna in termini tali che credo mio diritto anzi mio dovere reagire. Il Manacorda

non si limita infatti a delle considerazioni letterarie, ma esprime un diffamatorio giudizio politico sul romanzo e quindi implicitamente, sulla mia persona. Anzi proprio questo giudizio politico costituisce il nocciolo della sua critica; e le considerazioni letterarie sono introdotte solo fino alla fine con un «fra l’altro» che è tutto indicativo di una mentalità. Ma, a scanso di equivoci, dico subito che il Manacorda è padronissimo di restar fermo a un canone di letteratura

propagandistica, con funzioni subalterne nei confronti delle ideologie politiche. Ed è anche padronissimo di assegnare alla “letteratura della Resistenza” un compito apologetico, agiografico e fumettistico. Ma non è per nulla padrone di insultare chi dell’arte ha un diverso concetto. Dato che il mio romanzo abbraccia nell’ultima parte il periodo della lotta partigiana, il Manacorda avrebbe potuto magari rimproverarmi di non aver approfittato dell’occasione per fare della propaganda politica. In tal caso mi sarei limitato a rispondergli che la propaganda antifascista è da farsi in altra sede (e in effetti io la faccio quando scrivo sui giornali: vedi la mia collaborazione al Mondo, da due anni a questa parte). Ma con la più bella faccia tosta del mondo il Manacorda mi accusa di aver denigrato la Resistenza, di aver fatto miei gli argomenti antipartigiani della propaganda neofascista. E allora devo rispondergli che la sua è una bassa e ridicola calunnia: che non sarà presa sul serio da nessuno e varrà solo a tirargli addosso il discredito di tutte le persone oneste217.

All’intervento di Cassola risponde l’allora direttore della rivista Palmiro Togliatti (che firmava con la sigla r corrispondente allo pseudonimo di Roderigo), in conclusione dell’editoriale dedicato allo scrittore sotto accusa. Il direttore rivendica e difende il diritto del critico, Manacorda in questo caso,

216 Giuliano Manacorda, Invito alla lettura di Carlo Cassola, cit. p. 45.

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a giudicare secondo i criteri artistici e culturali da lui ritenuti più adatti e rimprovera

l’atteggiamento di Cassola che, sebbene «criticato e spiacente di esserlo stato», non è autorizzato a «trattare il critico come un malfattore»218:

Sei anni fa, veniva ancora considerato scrittore e artista chi presentava la Resistenza come una grande cosa, quale essa davvero è stata, nell’animo e nell’azione dei suoi combattenti che in essa si trasfiguravano. Oggi il Cassola ci dice che se ci avesse presentato la Resistenza in questo modo, cioè com’essa è davvero stata, avrebbe fatto propaganda politica, invece, quando sui partigiani e antifascisti che passano nel suo libro ha ammucchiato quel poco di spazzatura che ha potuto. Atteggiamento «tutto indicativo di una mentalità»? Non sappiamo. Atteggiamento, però, che il critico ha il dovere di sottolineare e di condannare219.

Le pagine “incriminate”, che hanno suscitato le più accese critiche nei confronti dell’opera sono quelle in cui il protagonista durante una discussione con Baba, dichiara apertamente il suo disprezzo per i partigiani comunisti e per i metodi violenti con cui operano.

«Maledetto il giorno che sono venuto a fare il partigiano» disse Fausto. «Ci sei venuto di tua spontanea volontà» replicò Baba freddamente.

«Sì, è vero… Ma no, aspetta, sono contento di esser venuto; perché ho imparato una cosa…»

«Quale?»

«Che comunista è sinonimo di assassino.»

Baba lo guardò coi suoi occhi buoni e scosse tristemente il capo.

“Perché l’ho offeso?” pensò Fausto. Ed ebbe rimorso, tuttavia non aggiunse nulla, mentre Baba, dal canto suo, si era chiuso in un cupo silenzio.

«Be’… torniamo indietro?» disse finalmente Fausto.

Baba fece un cenno di assenso. Tornarono indietro e per quella sera non scambiarono più una parola220.

Si presenta ancora una volta la sovrapposizione di Fausto con Cassola: le parole del protagonista furono intese come un pronunciamento definitivo di condanna che appartiene più al personaggio

218 Palmiro Togliatti, Postilla a «Lettere al direttore», in «Rinascita», Anno IX n˙ 4, aprile 1952, pp. 249-50. 219 Ibid.

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che alla logica complessiva del racconto. In realtà, come sappiamo dalle esperienze biografiche e come Cassola stesso ha dichiarato più volte, quella che esprime attraverso Fausto vuole essere una descrizione sincera, veritiera ma partecipata, né propagandistica né denigratoria.

Una volta pubblicato il romanzo dunque ha suscitato reazioni negative: la critica quasi all’unanimità, sulla scia della polemica di «Rinascita», si è scagliata contro il romanzo. In particolare non apprezzava il ritratto che lo scrittore aveva fatto del protagonista Fausto, e nello stesso tempo rilevava e contestava la profonda frattura che divide la storia d’amore dei due giovani dall’esperienza partigiana di lui. Anche gli amici operai di Volterra non accolgono benevolmente il romanzo senza tuttavia serbare rancore a Cassola: questo scarso gradimento ferirà l’autore ma allo stesso tempo lo spronerà a dedicarsi totalmente alla scrittura: «è certo che per me ora il loro punto di vista è più importante di quello di qualunque altro. E non soltanto in politica, ma anche in letteratura»221. Una delle recensioni a caldo più spietate e negative ci è fornita da Carlo Bo che, al momento della pubblicazione del romanzo, pur risolvendo la sua analisi su di un piano puramente stilistico, evidenziava quelli che secondo lui erano scompensi e squilibri fondamentali all’interno del romanzo. Vittorini aveva già rilevato sul risvolto di copertina del “Gettone” il fatto che Cassola utilizzasse uno stile medio che «permette di cogliere tutto quanto dell’animo umano nasce e muore ad ogni variazione dei tempi»222. Proprio nella scelta di questo stile, adottato dall’autore per tutte le circa quattrocento pagine del romanzo, consiste, secondo il giudizio di Carlo Bo il valore e il limite dell’opera. Per tutta la durata del racconto lo scrittore è riuscito a controllare la materia del suo libro e ad evitare toni drammatici; d’altra parte, dalla precisa scelta di non voler mettere nessun accento, «si finisce per arrivare ad una massa confusa di notizie e soprattutto a privare il libro di una struttura naturale»223.

Scrive Bo nel suo articolo:

Il libro vive di questa lezione monotona e media ma non ci spiega bene come ogni

cosa possa venire posta sullo stesso piano (…), la preoccupazione della cronaca deve essere apparsa al Cassola come una misura di difesa e di protezione della verità anonima della nostra vita224.

Ma Bo osserva che proprio la cronaca, «in un impiego così largo del tempo» della vicenda, «si oppone alla naturale costruzione del romanzo»; la «volontà di amplificazione» di Cassola per «uscire dal vicolo cieco della cronaca e portarsi nell’equilibrio calcolato del romanzo» conduce ad

221

Lettera a Bilenchi del 18 luglio 1952, cit. in Alba Andreini, Notizie sui testi in Racconti e romanzi, cit., p. 1777.

222 Elio Vittorini, Introduzione a Fausto e Anna in Carlo Cassola, Fausto e Anna, cit. 223 Carlo Bo, Fausto e Anna in «La Fiera Letteraria», cit.

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«un romanzo mal congegnato», poiché comunque non si può «fare a meno di una scelta del tempo, di una forma d’intensità»225. Bo insiste ancora sullo «sforzo che il Cassola fa per restare fedele alla sua scelta anteriore, al bisogno di non intervenire mai sulla scena della realtà», al suo concetto della «impossibilità e inutilità dell’intervento umano nel giuoco delle cose e degli avvenimenti». E aggiunge che questa assenza di vere «scelte», questo «rifiuto della dimostrazione», portano ad una specie di «matematica dei gesti e degli avvenimenti». Ora, si chiede alla fine Bo, «una verità che si ripete per forza meccanica fino a che punto è accettabile o meglio fino a che punto partecipa della vita?226». Bo dice in sostanza che la ricerca cassoliana, che nel romanzo si sviluppa in una lenta analisi degli eventi, restituiti con un nuovo significato, senza il diretto intervento dello scrittore, diventa «lezione monotona» e evidenzia tutta una serie di contraddizioni. Cassola opera una eccessiva «amplificazione» della cronaca a romanzo, cercando di dimostrare la sua tesi della «inutilità dell’intervento umano» nella storia, proprio attraverso una cronaca anonima ed eguale, che abbracci un tempo vasto di vicende, una storia d’amore e una storia di guerra.

Carlo Bo si limita ad una analisi stilistica e, dopo aver notato che le due parti (storia d’amore e storia partigiana) «non riescono ad amalgamarsi», invita sostanzialmente Cassola ad operare una scelta di «tempo» e di «intensità», eliminando la vicenda collettiva.

Ancora: il critico si chiede perché nasca nel romanzo quella frattura tra le due parti, che è separazione tra una vicenda privata e una vicenda collettiva; la frattura stessa si ripropone

continuamente come aperta e polemica contrapposizione tra i valori individuali, privati, istintivi ed i fittizi valori di una vita associata dolorosa e di una lotta collettiva inutilmente crudele.

In realtà Bo coglie la vera essenza di quello sforzo programmatico di Cassola nel suo rifiuto ad intervenire direttamente nel corso degli eventi e nel contrapporre un nucleo sentimentale ricco a una vistosamente falsa realtà.

Di fronte agli squilibri del romanzo evidenziati da Carlo Bo, anche Gian Carlo Ferretti, con la sua analisi più ideologica che stilistica, li considera come fenomeni sociali causati dalla impossibilità obiettiva di affrontare il rapporto tra valori privati e valori collettivi, di eludere certi nodi storici, di passare su un terreno così complesso in realtà senza analizzarlo compiutamente.

Negativo è perciò il giudizio di Ferretti che considera Fausto e Anna superato dai successivi sviluppi interni alla narrativa cassoliana, per esempio il quasi coevo I vecchi compagni e che rappresenterebbe il primo momento di una vera e propria involuzione. Con Fausto e Anna inizia in sostanza quel processo contraddittorio che porterà Cassola, in modo non lineare, ad abbandonare la

225 Carlo Bo, Fausto e Anna in «La Fiera Letteraria», cit. 226 Ibid.

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linea dei Vecchi compagni e «ad emblematizzare sempre più il cuore di Anna e delle sue consorelle»227.

A condannare nuovamente l’opera cassoliana è l’impietoso giudizio fornito da Alberto Asor Rosa, che giudica il romanzo «deludente, frammentario, contraddittorio»228. Secondo il critico, perché il romanzo funzionasse dal punto di vista poetico, era necessaria una profonda revisione dei

presupposti ideologici cassoliani, che però secondo lui non avverrebbe. Il personaggio Fausto è considerato la figura più falsa dell’opera: le sue oscillazioni dallo scetticismo alla fede religiosa, al comunismo, all’indifferenza, alla Resistenza, i suoi tormenti e travagli amorosi sono descritti con una minuzia e un accanimento «che non hanno quasi mai il sapore delle cose vere e poeticamente realizzate»229. Questo accade, secondo il parere del critico, proprio perché alla radice del libro si trova una diretta verità autobiografica e appunto l’autobiografia cassoliana non è in grado di

sostenere il peso di un romanzo di educazione. Fausto, stretto fra le sue interne contraddizioni che il suo creatore non riesce a risolvere, secondo Asor Rosa si muove come un «fantoccio velleitario ed esteriore»; lo stesso critico sottolinea che Cassola appare impotente nei confronti del problema che pone ma non sa risolvere:

Si sfoga in un’orgia di psicologia che (…) si risolve, negli atti e nelle decisioni di Fausto, in un’orgia di irrazionalità; e il peso (documentario, storico) dell’origine sociale e intellettuale diventa in lui una forma vera e propria di inibizione, che può esplodere talvolta in atteggiamenti morbosi e infantili. E tutto ciò avviene senza che lo scrittore ne sia consapevole fino in fondo: Cassola subisce il suo

personaggio anzitutto perché in questo caso subisce se stesso230.

L’altra questione messa in luce da Asor Rosa è il moralismo: «mentre è incapace perfino di

giudicare se stesso, Fausto (lo scrittore) pretende di giudicare gli altri secondo una norma eterna del comportamento»231. Il personaggio di Fausto viene visto da Asor Rosa come impossibilitato a capire gli altri partigiani, gli umili contadini e operai con i quali vive e combatte; è un intellettuale aristocratico che si compiace di poter giudicare la realtà con «piglio, quando ci si mette, acre e impietoso, dalla sua solitaria e inavvicinabile torre d’avorio»232.

227 Gian Carlo Ferretti, Letteratura e ideologia, cit. p. 111. 228 Alberto Asor Rosa, Scrittori e popolo, cit. p. 378. 229

Ibid.

230 Ivi, p. 379. 231 Ivi, p. 380. 232 Ibid.

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Verso un nuovo romanzo

All’amarezza della disapprovazione altrui e propria, Cassola reagirà dedicandosi a tempo pieno alla scrittura: «Mi sentivo svuotato, ma continuai a scrivere e a pubblicare»233. In questi anni infatti compone Il soldato e La ragazza di Bube senza tuttavia abbandonare Fausto e Anna di cui si occupa in due distinte direzioni: revisione e continuazione. Nei progetti di Cassola, fin dal 1952, era già presente l’idea di un romanzo dal titolo I trent’anni che continuasse le vicende di Fausto; nel 1956 il progetto muta: «intitolato 1950 […] sarebbe un romanzo sugli intellettuali»234, spiega l’autore il 15 ottobre 1956 in una lettera a Calvino. Tuttavia la revisione del primo romanzo prevale sul

progetto di una sua continuazione e Cassola spiega le sue intenzioni a Calvino a cui presenta il testo e che da parte sua continua a non amarlo, nonostante usi toni più attenuati rispetto a quelli che aveva riservato all’edizione ’52: «La mia idea è questa: che non dovrei procedere a un vero e proprio rifacimento, ma piuttosto a un restauro: a una sorta di lavoro filologico, insomma, onde ricostruire nella sua genuinità la posizione mentale da cui nacque il romanzo»235.

233

Lettera a Indro Montanelli, 8 febbraio 1966 cit. in Alba Andreini, Notizie sui testi in Racconti e romanzi, cit., p. 1777.

234 Carlo Cassola, Lettera a Franco Fortini, 15 ottobre 1956

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La redazione del 1958

Fausto e Anna fu scritto nel ’49 e pubblicato nel ’52. Lo ripresento ora ai lettori

con alcune modifiche rispetto alla prima edizione. In particolare, ho mutato la struttura del romanzo, e l’ho altresì ridotto di mole, operando alcuni tagli.

Accingendomi a questo lavoro di revisione, ho tenuto presente gli appunti di ordine letterario che mi furono mossi dai critici e anche dai semplici lettori. Ebbi, allora, anche critiche di altra natura; ci fu addirittura chi mi accusò di aver diffamato la resistenza. Di queste accuse non ho tenuto conto alcuno, perché continuo a ritenerle assolutamente prive di fondamento236.

La rielaborazione a cui fu sottoposto il testo nel 1958 è massiccia, sia sul piano strutturale che su quelli linguistico e stilistico. Il riordinamento strutturale dell’opera nell’edizione 1958 divide il romanzo in due parti simmetriche al posto delle tre più un epilogo della precedente edizione Einaudi 1952. Ciascuna delle due parti comprende cinque capitoli contrassegnati dall’aggiunta di altrettanti titoli; ogni capitolo viene a sua volta suddiviso in paragrafi numerati con numero romano. Per la parte prima: I. L’incontro, II. Amore, III. Rottura, IV. Anna trova la sua strada, V. Ritorno a San Ginesio; per la parte seconda: VI. Un altro amore, VII. Un’altra rottura, VIII. L’esperienza della guerra, IX. Anna ritrovata, X. Anna perduta. Alla fine del testo si legge la Nota dell’autore. Dopo le polemiche e i fraintendimenti di lesa Resistenza suscitati dalla comparsa del libro nel 1952, l’inserimento di titoli così precisi era un modo da parte di Cassola per specificare ulteriormente le proprie intenzioni. In questo quadro generale di ristrutturazione, s’inserisce l’eliminazione di intere porzioni di testo: vengono tagliati ad esempio i paragrafi riguardanti il soggiorno di Fausto a

Sarzana, la sua relazione con la figlia dell’affittacamere e la sua conversione al cattolicesimo. Quasi intatte rimangono le parti che narrano la Resistenza, le azioni dei partigiani, i pensieri del

protagonista, quelle parti insomma che avevano suscitato le più aspre critiche: Cassola si limita a eliminare piccoli episodi di contorno e non importanti nell’economia della vicenda.

Nella nuova redazione le vite di Fausto e di Anna venivano rappresentate sia nella subliminare coesistenza dei sessi (che provoca tra i protagonisti rapporti discontinui di incontri, amore, rottura, ritrovamento, perdita), sia nel confronto diretto con vicende esterne, storicamente importanti come la guerra e la Resistenza. L’altra rottura, cioè il divario ideologico-politico che contrappone nel romanzo il partigiano e cristiano Fausto ai compagni comunisti e l’esperienza bellica erano colti nel

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loro formarsi e dissolversi lungo il flusso della vita che continua, nelle occupazioni abituali dei personaggi.

Tutto questo non significava dir male della Resistenza, come qualcuno allora sospettò. Anche se molti valutarono Fausto e Anna un romanzo volto a demistificare la Resistenza, ben altro si affermava ed era importante nel romanzo. Ed era, a detta di Renato Bertacchini il

«ridimensionamento degli aspetti ideologici più duri, massimalisti e fanatici dell’azione partigiana; era la messa a fuoco denunciativa di forme e casi di violenza non necessaria né politicamente né socialmente durante la lotta perché il momento resistenziale potesse essere decifrato infine e raccontato in zone d’esperienza umana più franche e attendibili»237. Le pagine migliori di Fausto e Anna puntano sui dati esistenziali, sui sentimenti umani diseguali, e magari controversi che il tempo e la vita provocano e assorbono. I detrattori del romanzo non si accorgevano che Cassola si sentiva estraneo alle pianificazioni delle utopie rivoluzionarie quanto invece sensibile all’etica sociale e profondamente interessato ai problemi della violenza. Tutt’altro che sprovveduto o disimpegnato, Cassola aveva un suo entroterra di convinzioni e valori adeguatamente precisi; basta riferirsi alle preferenze politiche accordate durante la lotta partigiana al Partito d’Azione e trasmesse

autobiograficamente nella seconda parte del romanzo a Fausto e a Miro, condensate «nella equazione, libertà politica-giustizia sociale»238.

Nella prima redazione la biografia del protagonista includeva una serie maggiore di eventi poi espunti, come già rilevato: le sue prime esperienze d’insegnante in una cittadina ligure, la relazione amorosa con la figlia della padrona di casa, la crisi intellettuale, la conversione al cattolicesimo. Si

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