FATALISMO, NECESSITARISMO, DETERMINISMO
0. Perché questa distinzione
1.2. Alessandro di Afrodisia, Sul destino
1.2.1. Tra le fonti per la nostra ricostruzione della tesi fatalistica c’è anche Alessandro di Afrodisia, nativo di Afrodisia di Caria (divenuta poi “Caria” in età bizantina), fu l’“Esegeta” di Aristotele per eccellenza, i cui commenti alle opere e le cui interpretazioni delle teorie aristoteliche gli valsero la nomina a diàdochos della Scuola peripatetica da parte dell’imperatore Settimio Severo, plausibilmente tra il 198 e il 209 d.C. (nel 176 l’imperatore Marco Aurelio aveva istituito ad Atene una Scuola superiore finanziata dallo Stato per l’insegnamento della retorica e dei quattro indirizzi filosofici dell’epoca: stoicismo, platonismo, epicureismo, aristotelismo). L’indicazione cronologica del periodo in cui fu messo a capo della scuola peripatetica è ricavata dal fatto che il trattato De fato, su cui ci soffermeremo, riporta in esergo il ringraziamento agli imperatori Severo e Antonino.
76 Cfr. CICERONE, De fato, 18, 41: «Chrysippus autem, cum et necessitatem inprobaret et nihil vellet sine
praepositis causis evenire, causarum genera distinguit, ut et necessitatem effugiat et retineat fatum. “Causarum enim, inquit, aliae sunt perfectae et principales, aliae adiuvantes et proximae. Quam ob rem, cum dicimus omnia fato fieri causis antecedentibus, non hoc intellegi volumus, causis perfectis et principalibus, sed causis adiuvantibus [antecedentibus] et proximis.” Itaque illi rationi quam Paulo ante conclusi sic occurrit: si omnia fato fiant, sequi illud quidem, ut omnia causis fiant antepostis, verum non principalibus causis et perfectis, sed adiuvantibus et proximis».
Il trattato De fato (Sul destino) di Alessandro può a ragione essere considerato «il più ampio e articolato manifesto antideterminista dell’antichità, che insieme alla critica carneadea è servito da modello a tutti i pensatori successivi, pagani e cristiani»77.
1.2.2. Come già abbiamo accennato, la discussione del fatalismo ha ragioni che vanno ben oltre l’aspetto filosofico della questione, in quanto sin dall’epoca ellenistica era ben radicata una humus fatalistica, un vizio del pensiero che finiva per ricadere nella pratica della magia e della superstizione. Come scrive Aldo Magris:
l’atteggiamento negativo radicale e veramente viscerale di Alessandro sulla questione del destino si spiega col fatto che per lui il determinismo rappresenta il massimo pericolo del momento a cui la ragione filosofica deve far fronte con estrema energia: esso ha certamente le sue basi filosofiche nella dottrina stoica del fato e della causalità, nonché in certe teorie fisiologiche (come ad esempio quelle di Galeno) che sottolineano il condizionamento naturale dell’uomo; però a suo avviso si manifesta soprattutto sotto forma di una mentalità fatalistica dilagante, alimentata dal credito che la gente comune conferisce alla magia e alla superstizione divinatoria78.
Questo riferirsi di Alessandro ad un retroterra culturale, piuttosto che ad una specifica teoria filosofica elaborata nell’ambito di una scuola, quale ad esempio il fatalismo e la teoria della causalità nell’ambito dello Stoicismo, ci fa comprendere perché l’autore non faccia esplicita menzione di alcun referente polemico, che si faccia sostenitore delle dottrine da lui attaccate. «Molte delle tesi accennate da Aristotele» in De interpretatione IX «vengono articolate e sviluppate da Alessandro, in contrapposizione al determinismo in generale, e in particolare alle tesi degli stoici più antichi, che vengono presi di mira in modo evidente, anche se non sono mai esplicitamente citati»79. Né viene fatto alcun cenno all’astrologia, che pure era uno dei capisaldi del fatalismo in epoca ellenistica e tardoantica; semmai, la vera e propria presa di distanza dal fatalismo astrologico consisteva nel riproporre la dottrina aristotelica in base a cui sulla terra, a differenza che nei cieli, nulla accade di necessità, ma tutto quanto è piuttosto «passibile- di» accadere o non accadere (ovvero, nulla è necessario simpliciter, ma tutto è contingente).
77 Cfr. A. MAGRIS, Nota introduttiva a Alessandro di Afrodisia, Sul destino, in CICERONE – PSEUDO
PLUTARCO –ALESSANDRO DI AFRODISIA, Trattati antichi sul destino, a cura di A. Magris, Morcelliana, Brescia 2009, p. 125.
78 Ibidem.
1.2.3. Alessandro non ha dubbi sul fatto che il “destino” esista, piuttosto, va ricercato che cosa esso sia, per evitare di cadere nelle assurdità dell’ipotesi fatalista e per salvaguardare la convivenza civile (lo scopo del trattato è infatti senza dubbio morale e politico). Egli scrive: «ora, che il destino esista e che sia la causa secondo la quale certe cose avvengono è sufficientemente provata dalla precomprensione (prólepsis) che gli uomini ne hanno: giacché non è né vano né privo di verità quel naturale intuito (phýsis) che accomuna gli esseri umani e li fa accordare su certi punti»80.
La tesi di Alessando è che il “destino” si identifica con la natura. Per dimostrare ciò, egli procede – per così dire – per via analitica, ricercando a quale delle cause efficienti vada ascritto il destino:
così stando le cose, e stabilita la suddivisione fra i modi del divenire nel suo complesso, bisognerebbe vedere a quale delle cause efficienti va ascritto il destino. Forse nei fenomeni privi di finalità? Ma questo sarebbe completamente assurdo. Quando infatti si usa la parola «destino» è sempre alla finalità di qualche cosa che si pensa, dicendo appunto ch’essa si è compiuta «secondo il destino». Non si può quindi ravvisare il destino che negli eventi «in-vista-di»; ma siccome di tali eventi gli uni sono secondo ragione, gli altri secondo natura, è giocoforza che il destino sia posto o in entrambi (nel senso in cui si dice che tutto avviene secondo il destino) oppure in uno solo dei due81.