Federico Canaccini
Il visitatore che oggi varca le soglie del Castello dei Conti Guidi di Poppi ha la possibilità di fruire di una audioguida in cui la voce dello spet- tro del conte Guido accompagna, passo passo, il turista alla scoperta del maniero e delle vicende storiche del borgo casentinese. All’interno poi, un grande plastico, attrazione tra le più gradite dai piccoli (ma anche dai gran- di!), raffigura la battaglia di Campaldino, scontro che ‒ come è noto ‒ vide opposte le città di Firenze e Arezzo nel lontano 1289. Tra tutti i soldatini, e tra tutti i veri soldati, il più famoso che prese parte alla aspra battaglia è certamente Dante Alighieri, all’epoca ignoto poeta ventiquattrenne fioren- tino, coinvolto come gli altri nella chiamata alle armi. Uscendo dal paese, il turista avrà modo di vedere la piana della battaglia dalla via lastricata della Costa, lungo la quale un piccolo monumento disadorno ricorda alcu- ne delle vittime uccise dai soldati della Wermacht, asserragliati sulla linea Gotica che correva sul crinale dell’Appennino e da cui bombardavano la valle sottostante.
In questa breve premessa risiedono alcuni degli argomenti che mi mi- sero in contatto con Alessandro Brezzi, conosciuto in realtà quando ero un giovane incuriosito dai manoscritti e dal Medioevo. Piuttosto che cac- ciarmi dalla biblioteca (che frequentavo ancora senza le idee chiare, ma mosso da un giovanile furore), il “burbero bibliotecario” prese ad assecon- dare i miei interessi, rivelandosi con me tutt’altro che burbero, nonostante la caustica definizione con cui continuò ad etichettarmi da allora. Da lì nacque una attiva collaborazione ed una vera amicizia che superò di gran lunga l’aspetto meramente lavorativo e che ha reso difficile scrivere queste pagine, molto più di una complicata edizione critica. I conti Guidi, la bat- taglia di Campaldino, Dante e la Resistenza furono tra i temi prediletti da Sandro che aveva compreso bene come queste tematiche fossero centrali e quasi indispensabili per Poppi, e per le quali spese molte energie con con- tinuità e risultati ancora visibili.
I conti Guidi
Davanti al castello di Poppi un busto del poeta fiorentino ricorda la sua permanenza negli anni della discesa di Enrico VII. Tra i vari nobili su cui Enrico VII pensava di fare affidamento non mancò la famiglia comitale guidinga, “progenies maxima tuscanorum”, un tempo di indubbia unitaria lealtà all’Impero ma, a seguito della divisione familiare che avvenne dopo Guido Guerra III, spezzata in vari rami tra loro in conflitto. Dal secondo matrimonio, contratto con Gualdrada di Bellincion Berti dei Ravignani, Guido ebbe infatti cinque figli maschi. Ne sopravvissero quattro i quali, al momento del raggiungimento della maggiore età, si spartirono il patri- monio paterno, dando vita a quattro rami identificabili dai nomi di altret- tanti castelli: da Guido VIII si ebbe il ramo di Battifolle (e di Bagno), da Marcovaldo quello di Dovadola, da Tegrimo il ramo di Modigliana (e Por- ciano), da Aghinolfo quello di Romena. Nel corso del Duecento si assiste all’espansione del Comune di Firenze e, di converso, ad un arretramento montano dei conti in Casentino. La frammentazione patrimoniale, le di- visioni personali e politiche fra parenti, nonché il mutato quadro politico dopo il prevalere guelfo e fiorentino, avevano sostanzialmente cristallizzato la situazione geopolitica dei Guidi di fine Duecento. Se il dominato si restringe e si paralizza sul Casentino, di converso si animano le rivalità in seno alla famiglia. Con la discesa di Federico II, agli inizi del Duecento, alcuni conti si mantennero su posizioni filoimperiali, legandosi alla fazio- ne ghibellina, mentre altri si dichiararono favorevoli al comune di Firenze e alla sua posizione guelfa, in chiave anti imperiale. Sessanta anni dopo, all’avvento di Enrico VII, nuove lotte fratricide scoppiarono all’interno di ciò che rimaneva della famiglia comitale. In primo luogo ci interessano i due fratelli, Guido Novello e Simone, signori di Poppi: costoro, dopo aver agito concordemente nelle fila ghibelline, una volta sconfitti, dovettero scendere ad una pace con Firenze. Guido Novello (eroe a Montaperti nel 1260 e poi sconfitto a Campaldino nel 1289) la rigettò, mentre il fratello ne firmò un’altra separatamente il 28 agosto 1274. Da questa divisione si originarono anche i due rami di Bagno e di Battifolle, il primo facente capo al figlio di Guido Novello, Guglielmo Novello, e il secondo a Guido figlio di Simone, il marito della Gherardesca di cui si dirà più avanti.
Il castello di Poppi è certamente il fortilizio più famoso della famiglia comitale che un tempo estendeva i propri domini ben oltre la valle casen- tinese, giungendo sino ad Empoli e oltre l’Appennino. La sua posizione
centrale e il suo perfetto stato di conservazione, dovuto alla volontà fioren- tina di renderlo centro della podesteria del Casentino dopo la conquista, avvenuta nel 1440, ne hanno decretato la fortuna in campo artistico e turistico. Per diversi decenni il castello era stato sede degli uffici comunali e per quanto possa sembrare oggi assurdo, l’ignaro visitatore che giungeva al castello, poteva udire nel cortile l’inconfondibile suono delle macchine da scrivere provenire da quelle che erano le armerie del conte Guido. A dirlo oggi pare un racconto di fantascienza. Il castello era invece destinato a divenire il monumento di maggiore attrazione turistica locale, valorizzato negli anni da mostre temporanee o permanenti, e da iniziative culturali di vario genere e spessore. E in questo il ruolo di Sandro è stato veramente significativo.
Nel 2003 Sandro accolse nel castello un grande convegno sulla famiglia comitale guidinga, organizzato dall’Università di Firenze. Il convegno ebbe luogo tra Poppi e Modigliana e fu la prima seria occasione di scambio di idee, progetti tra me e Sandro che mi diede la possibilità, richiedendo- lo agli organizzatori, di partecipare al convegno. Questa opportunità mi avrebbe messo in contatto con alcuni professori dell’Università di Firenze dove, di lì a poco, avrei vinto il Dottorato. La mia gratitudine per questa ri- chiesta (che ricordo bene… fu una sorta di aut aut in vero stile “Brezzi”…) fu espressa davanti a una spuma in Pratello e si rinnova qui, su queste pagine. Gli atti del convegno divennero nel 2009 un volume, pubblicato da Olschki ed inserito nella collana “Quaderni della Rilliana”, iniziativa a cui Sandro ha sempre dedicato molte energie e che annovera pubblicazioni legate alla storia locale.
Un’altra iniziativa legata alle vicende dei conti Guidi fu l’allestimen- to permanente delle “Antiche prigioni”, realizzato da Alessandro Bruno e dalla sua ditta Finzioni. Vennero finalmente valorizzate un paio di stanze dal forte potere evocativo nelle quali trovarono posto alcuni pannelli ed un video (che attende di essere riattivato da oramai troppo tempo) grazie al quale veniva rievocato un episodio realmente accaduto relativo ad una formidabile evasione dalle prigioni di Poppi sotto la reggenza di un conte Guido.
Sandro assecondava queste iniziative legate al suo paese e al suo terri- torio, di cui era profondamente innamorato. E devo ammettere di essere stato un privilegiato, perché molte di queste iniziative le abbiamo immagi- nate e progettate assieme.
La battaglia di Campaldino
L’altro grande punto di contatto tra me e Sandro, forse il più signi- ficativo, fu l’episodio militare che oppose Guelfi e Ghibellini nel 1289. Nel Settecentenario della battaglia era stato organizzato un convegno e una grande mostra in diversi luoghi del Casentino (Castel San Niccolò, Bibbiena e Poppi). Tra le diverse iniziative, quella di maggiore effetto fu la realizzazione di un grande plastico con oltre 4.200 soldatini in stagno, in scala 1:72, costruito dalla Scramasax di Firenze. Una volta terminati i festeggiamenti la mostra venne smantellata, i pannelli smontati, il plastico dismesso. Come spesso accade ciò che aveva attirato l’attenzione di tanti visitatori e che aveva riscosso un certo successo, finì a pezzi in qualche scantinato. Ma dopo alcuni anni Sandro ebbe l’idea di recuperare quei sol- datini ormai ingialliti, scoloriti e polverosi, con un “blitz da commandos”, come amava definirlo lui, pescando in un vocabolario pregno di termini legati alla seconda guerra mondiale, altro argomento caro al Brezzi. La risistemazione del plastico di Campaldino fu uno dei grandi temi che in- fiammò tanti pomeriggi e tante nostre serate fatte di chiacchiere, fantasie e sogni ad occhi aperti, inframmezzati da qualche screzio relativo all’antico antagonismo non tanto dei Guelfi e dei Ghibellini, quanto piuttosto dei Romanisti e degli Juventini. Il tentativo di realizzare un museo stabile sulla Battaglia di Campaldino e la Guerra nel Medioevo ci portò addirittura in Belgio e in Francia, ad Azincourt, dove insieme girammo per musei car- pendo con gli occhi idee e suggestioni da replicare al più presto a Poppi. Un primo grande passo di questo ambizioso progetto, rimasto purtroppo ancora incompiuto, venne fatto insieme. Con la supervisione della ditta Finzioni venne smontato il vecchio plastico e risistemato in una modalità completamente nuova. Fu realizzata l’altimetria del terreno, per rendere la piana di Campaldino (che piana non è) più vicina al vero, fu aggiunta la chiesa di Certomondo, furono dipinti i protagonisti della battaglia, furono aggiunti i soldatini che Sandro non era riuscito a salvare, perduti chissà dove durante lo smantellamento della mostra, furono ripuliti tutti quanti i 4.000 pezzi, tirati a lucido per la grande occasione. Fu realizzato un pan- nello con un nuovo fondale da Abraham Clet, un pittore locale: Sandro in effetti si prodigava anche per favorire le maestranze locali, le risorse del suo paese a cui era intimamente legato. Infine, si creò la possibilità di girare su tre lati del grande plastico, protetto da un pannello in vetro e, grazie ad un pavimento rialzato, avere l’impressione di camminare sul campo fangoso e
fradicio, coperto di caduti a battaglia conclusa. L’intento era didattico e ne avevamo discusso assieme: far sì che il visitatore non fosse tanto abbagliato dal luccichio delle armature dei soldatini, ma piuttosto rimanesse almeno disgustato dalla vista delle budella di un cavallo o dalla mano di un ignoto caduto. La condanna della guerra era per entrambi un motivo irrinuncia- bile dell’allestimento. Tutte queste aggiunte non furono spiritose invenzio- ni, ma frutto di una riflessione a due, leggendo assieme Cronache e altre fonti dell’epoca, condividendo novità d’archivio e letture. Dino Compa- gni, infatti, nella sua Cronica scrive che «gli Aretini si metteano carpone sotto il ventre de’ cavalli, e sbudellavanli». Dante, unico tra coloro che hanno narrato l’episodio militare, nel V canto del Purgatorio, ci informa che nel tardo pomeriggio di quel sabato afoso, la valle, «da Pratomagno al gran giogo, coperse di nebbia» e poi, come spesso accade nelle estati casen- tinesi, si accumularono densi nuvoloni neri che rovesciarono il loro carico d’acqua sui combattenti. C’era la ferma volontà di fare lezione in modo scientificamente valido e di trasmettere a tanti le cose che erano magari accessibili a quei pochi che avrebbero letto le Cronache del Trecento. Un commento sonoro avrebbe dovuto seguire le vicende dall’alba al tramonto, con un sistema di luci che però non fu mai montato. Almeno sino ad ora.
Sul tema di Campaldino Sandro organizzò una serie di eventi che, ad un certo punto, divennero di cadenza annuale. Ogni 11 giugno, in occa- sione dell’anniversario, vennero allestite mostre, presentati libri, inaugurati allestimenti museali. Si iniziò con il libro Gli eroi di Campaldino, l’autore del quale è chi scrive, per poi proseguire con mostre pittoriche ad opera di Marco Trecalli, o di Nano Campeggi, l’autore di tanti poster della cine- matografia italiana ed estera: i suoi cavalli di Ben Hur hanno fatto la storia delle locandine. Ogni anno, per il giorno di san Barnaba, a Poppi c’era un piccolo, grande evento culturale legato ad un episodio storico che tanto ha avuto a che fare con la storia del borgo.
Ed altrettanto Sandro si impegnò a fare per un personaggio intimamen- te legato al paese e al castello di Poppi: Dante Alighieri, esule in Casentino ed ospite dei conti Guidi negli anni del suo celebre esilio.
Dante Alighieri
Il 18 maggio 1311 il divin poeta era certamente a Poppi, da cui partì una lettera, firmata dalla moglie del conte Guido, Gherardesca, indirizza- ta a Margherita di Brabante, la moglie di Arrigo VII. Estensore di quella
missiva fu proprio l’Alighieri, misteriosamente invitato a Poppi dalla con- sorte di un conte Guido di simpatie fortemente guelfe, ostile alla politica imperiale e non certo vicino alle posizione dell’Alighieri. Così si chiude la lettera, nella sua datatio: «Missum de castro Poppii XV Kalendas Iunias, faustissimi cursus Henrici Cesaris ad Ytaliam anno primo», cioè «inviato dal castello di Poppi, il 18 maggio, nel primo anno del faustissimo viaggio del cesare Enrico in Italia (1311)».
L’aver avuto ospite a Poppi un così celebre personaggio stimolò il no- stro bibliotecario a dedicare al “sommo poeta” una innumerevole serie di iniziative: Lecturae Dantis, mostre, convegni e giornate di studi, l’ultima, quella del 21 giugno 2015, per il Settecentocinquantenario della nascita, quando giunsero a Poppi professori universitari da Roma, dal Vermont, da Princeton e da Washington, a discutere sull’opera o la vita dell’Alighieri.
La Seconda Guerra Mondiale
Ultimo interesse storico che condivisi con Sandro Brezzi, fu quello per le vicende legate alla Linea Gotica e alla Resistenza sugli Appennini a cui, fra l’altro, dedicò i suoi ultimi sforzi scrivendo, durante la malattia, il libro dedicato ad una figura cardine, di origine greca, presentato postumo la scorsa estate. Al di là delle vicende belliche, al di là delle discussioni sulla presenza tedesca e sulle operazioni militari in Casentino, il motivo trai- nante su cui ci siamo trovati a parlare più volte è stato il banale e semplice desiderio di democrazia e un amore sincero per la libertà che, ça va sans dir, il nazifascismo di sicuro non conosceva. In più di un caso è capitato che ci dicessimo come quel valore sacrosanto della libertà di opinione, non fosse valore scontato, eppure in più di un caso rimanevamo entrambi stupiti (più io, a dirla tutta) dell’enorme bisogno di difendere quel valore e, da qui, la necessità di parlare di argomenti via via meno recenti, ma quanto mai attuali (e i giorni odierni ci danno purtroppo ragione). Per questo Sandro non fece mancare mai la sua energica volontà di cittadino nel promuovere iniziative legate alla Resistenza e all’Antifascismo, che fos- sero pubblicazioni o mostre, che dovesse recarsi sui luoghi di un eccidio nazi-fascista o si dovesse solo commemorare (con dignità, non sfarzo, ma non certo pressappochismo) il 25 aprile.
L’impegno per la cultura, l’impegno per il sociale, il senso del lavoro e del ruolo istituzionale hanno trovato in Sandro Brezzi una splendida sintesi, incorniciata da una fama di intrattabilità. Il carattere “fumino” si
manifestava dinanzi al qualunquismo e alla presunzione.
Il mio testo si conclude qui, non prima di aver lasciato per iscritto il mio desiderio di portare a termine alcuni progetti sognati e condivisi con Sandro, tra gobbi ripassati, acciughe, gentili cazzotti e improbabili sopran- nomi con cui di volta in volta mi etichettava. E di cui conservo gelosamen- te il ricordo.