Liletta Fornasari
La mostra Il Seicento in Casentino, progetto inizialmente giudicato irrealiz- zabile – ma nel quale Sandro Brezzi ha creduto fortemente, al punto tale non solo da metterlo in opera, ma raggiungendo con esso risultati eccezionali di pubblico e di interesse scientifico, nonché mediatico – ha senza dubbio aperto un capitolo nuovo nell’ambito degli studi casentinesi1. Confermando non solo
la validità del progetto, ma anche la necessità della ricerca fatta all’epoca da un équipe di studiosi, la mostra allestita nel Castello dei Conti Guidi dal 23 giugno 2001 al gennaio 2002 ha lasciato un’importante eredità al territorio, dal momento che per l’occasione furono possibili anche dodici interventi di restauro. Come già noto, la mostra ha preso le mosse da una ricognizione fatta capillarmente nell’intera vallata secondo la duplice intenzione da un lato, di registrare i vari fenomeni artistici e culturali che in Casentino hanno caratte- rizzato l’epoca compresa tra gli anni Ottanta del XVI secolo e i primi quattro decenni del Settecento, e dall’altro di dare un quadro più completo possibile del patrimonio seicentesco raccolto nella vallata, mettendo ordine per la prima volta, attraverso la ricerca documentaria, nelle vicende relative alle attribuzio- ni, alle provenienze, ai passaggi di proprietà e alla storia delle varie committen- ze, anche per quella parte di opere nate in origine per una diversa destinazione e ora invece conservate in loco. La mostra era divisa in sezioni: quella iniziale era cronologicamente compresa tra il 1580 e il 1630, la seconda tra il 1630 e il 1660 e la terza tra il 1660 e il 1740. A proposito delle provenienze, nel 2001 era rimasta aperta la questione dell’esatta individuazione della collocazione ori- ginaria, oltre che quella attributiva, della grande pala Madonna col Bambino in gloria tra i santi Lorenzo e Cecilia, solitamente conservata presso al Badia di San Fedele a Poppi2 (fig. 5). In occasione della mostra la ricerca documentaria ha
portato alla certezza che l’opera fosse arrivata a Poppi nel 1818 in sostituzione della grande pala con Madonna in gloria e i santi Bernardo degli Uberti, Fedele, Caterina d’Alessandria e Giovanni Gualberto di Andrea del Sarto, fatta ritirare dal Granduca Ferdinando III di Lorena il 28 ottobre dello stesso anno. Stando
1 Il Seicento in Casentino. Dalla Controriforma al Tardo Barocco, 2001.
alle carte rintracciate la pala sartesca, oggi presso la Galleria Palatina di Palazzo Pitti (inv.1912 n.123), fu sostituita da una SS. Vergine con in mezzo angioli, S. Stefano e S. Caterina allora attribuita a Matteo Rosselli. Tale notizia, rintrac- ciata da chi scrive nel volume dedicato dal gesuita Giovanni Gualberto Goretti Miniati alle istituzioni sacre di Poppi, ha trovato conferma nell’Archivio della Galleria Palatina, dove è conservato l’inserto con le carte relative al ritiro del- la pala di Andrea Del Sarto, che era stato preceduto da un sopraluogo fatto dal restauratore delle Gallerie Fiorentine, Vittorio Sampieri, e dal direttore dell’Accademia di Belle Arti, Antonio Ramirez de Montalvo. Avendo infatti deciso di fare una sostituzione inviando in cambio «un quadro di buona mano da levarsi dalla collezione dell’Accademia di Belle Arti», il dipinto in questione fu prelevato dal Sampieri il 26 ottobre del 1818 e portato a Pitti per essere arrotolato. Il quadro giunse a Poppi dove «fu preparato per il nuovo altare»3.
Come si legge nei documenti conservati presso l’Accademia e nella nota di spese del vicario di Poppi, la tela è descritta come opera di Matteo Rosselli e raffigurante «nel davanti la Vergine col figlio in braccio, S. Romolo e S. Rosa e nel campo il Monte di Fiesole». Sebbene sia da confermare la presenza dello sfondo fiesolano, i Santi rappresentati sono rispettivamente S. Lorenzo e S. Ce- cilia. La paternità ad Ottavio Vannini, avanzata prima da Fiammetta Faini nel 1968, e poi da Claudio Pizzorusso nel 1986, era già stata in verità indicata nel 1800 da Santi Pacini, allora conservatore presso l’Accademia fiorentina del Di- segno4. Nel 1800 il dipinto si trovava nel suo studio, dove viene descritto come
«originale d’Ottavio Vannini alto braccia 6 e largo braccia 4 rappresentante San Lorenzo e Santa Cacilia». La descrizione della tela è stata fondamentale per Filippo Gheri permettendogli di individuare la corretta provenienza del dipinto5. L’ipotesi che il dipinto in origine fosse stato fatto per una Compagnia
Religiosa fiesolana è stata già avanzata nel 2001. A Filippo Gheri va il merito 3 Si veda la scheda sopra menzionata per tutte le fonti documentarie rintracciate. Per il Goretti Miniati cfr. Biblioteca comunale Rilli-Vettori di Poppi (BCRP), Fondo Goretti Miniati, vol. 19, Poppi, Istituzioni Sacre, c. 299. Ringrazio ancora oggi Sandro Brezzi per tutte le aperture speciali da lui concesse affinché potessi avere il tempo necessario per la ricerca.
4 Santi Pacini (1734-1800/1801) è una figura di spicco nel panorama artistico granducale della fine del Settecento. Egli aveva aderito al rinnovamento artistico in senso classicheggiante, promosso in ambito toscano da Pietro Leopoldo. Dal 1776 egli lavorò nella chiesa del monastero di Camaldoli, dove ha dipinto la volta e una serie di tele. Nel 1800 risiedeva in via San Gallo 17. Per le voci bibliografiche menzionante cfr. Faini Guazzelli F. 1968, Pizzorusso C. 1986a e Pizzorusso C. 1986b.
di avere individuato nel 2007 la destinazione originaria della tela nell’oratorio fiesolano di Santa Cecilia, annesso al Convento degli Osservanti. Quest’ultimo era appartenuto alla compagnia di San Lorenzo in Palco. Tale destinazione, peraltro sull’unico altare del sacello, giustifica la presenza della Santa Cecilia in atto di sfiorare con la mano destra la cima del colle di Fiesole, così come quella di San Lorenzo. Dai documenti rintracciati da Gheri, la paternità della grande tela, oggi nel castello di Poppi (fig. 1), è da assegnare ad Antonio Ruggieri, al- lievo e pupillo del Vannini a partire almeno dagli anni Trenta del Seicento. Sei sono i pagamenti in acconto registrati tra il 7 aprile e il 5 luglio del 1653. Nelle vicende relative alla commissione data al Ruggieri deve avere avuto un ruolo significativo il fratello Orazio, registrato nell’elenco dei nomi appartenenti alla Compagnia. Come scrive Gheri, la pala, che è stata realizzata a distanza di un decennio dalla morte del maestro, può essere giudicata un omaggio ai modi classicheggianti di Ottavio Vannini, assolutamente registrabili nel gruppo della Vergine con il Bambino.
Seguendo le tracce segnate dalla mostra, un ruolo rilevante nella fase del periodo controriformato e in particolare in quello operante intorno alla fi- gura di Santi di Tito, può essere riconosciuto a Simone Ferri da Poggibonsi, il cui corretto profilo subito dopo la mostra, è stato delineato da Alessandro Nesi, collocandolo al pari di Jacopo Ligozzi, di Ludovico Cigoli, di Dome- nico Passignano e di Giovanni Battista Paggi. Nel catalogo del 2001 la sua presenza in Casentino è stata indicata pubblicando la Cena in casa del fariseo, tutt’oggi conservata nella Pieve di Santa Maria Assunta di Stia, e la Deposizione nella chiesa di San Michele Arcangelo di Lierna (figg. 2 e 3). Nel primo caso furono già rese note notizie interessanti che hanno colmato la lacuna a suo tempo lasciata da Roberto Contini6. Ignorando il nome dell’autore, egli aveva
giudicato il dipinto come una «tipica opera di compromesso tra culto di tradi- zione grafica toscana abbinata ad uso del colore di matrice veneta avvicinabile ai lavori giovanili del Sorri». Documenti importanti sono stati rintracciati da Alfonso Battistoni nei Registri dell’Accademia del Disegno7. In data 24 aprile
1596 risulta documentata la vertenza fatta al Ferri dal committente, don Mar- co Ambrosini, parroco di Papiano, che insieme a Bartolomeo Basagna da Stia chiedono di tassare la tavola. Il motivo della contestazione era il modo con cui era stato reso il soggetto, non conforme secondo il giudizio dei detrattori, alle regole tridentine, avendo nella donna inginocchiata rappresentato non la
6 Contini R. 1995. 7 Cfr. Fornasari L. 2001b.
Maddalena, ma la peccatrice senza nome indicata nel Vangelo di San Luca (7, 37). Per difendere il suo operato il Ferri comparve in data 8 maggio dello stesso anno proclamando che la sua tela dovesse essere giudicata colta e non necessitava per tanto di essere ritoccata. Per quanto riguarda la Deposizione di Lierna – opera rimasta inedita fino al momento del catalogo e riesumata da chi scrive dall’oblio dettato dal suo abbandono in una stanza adiacente alla chiesa – la vicinanza con opere di Pietro Sorri ha tratto in inganno Alessandra Baroni che in quella occasione ha attribuito l’opera all’artista senese8. Spetta ad Ales-
sandro Nesi avere correttamente assegnato la tela a Simone Ferri, giudicandola appartenente all’ultimo decennio del XVI secolo9. Interessante comunque fu
la ricerca documentaria fatta da chi scrive relativamente alla committenza e alla datazione del dipinto, rivelatosi molto particolare per avere un supporto ligneo limitato soltanto alla predella. Molto probabilmente ciò trova giustifica- zione nel fatto che esso fosse inserito in una struttura d’altare, esattamente in quello maggiore della chiesa, dove è documentato nel 1688. Come attestano gli stemmi della predella, la committenza risale ai Conti dal Bucine, poi Conti di Lierna e di Lonnano, di cui due membri, Agnolo di Francesco e il nipote Francesco di Luca, ricoprirono cariche importanti nella Firenze granducale. La tela fu comunque eseguita dopo il 1591, anno in cui il visitatore apostolico Usimbardi descrive la chiesa senza menzionare il dipinto in questione10.
In mostra era bene documentata anche l’attività casentinese di Bernardino Santini, grande protagonista della prima metà del Seicento in ambito aretino. Partendo anche dalla presenza di Santini nella Pieve di Sant’Eleuterio a Salutio (fig. 4), ricco è il numero di studi che sono stati fatti negli anni immediata- mente successivi su quest’ultima e su tutti gli artisti che all’interno di essa hanno lavorato, in gran parte individuati proprio in occasione della mostra di Poppi. Questi studi sono recentemente confluiti in un volume importante a cura di Michel Scipioni, che in modo esaustivo mette a fuoco le opere d’ar- te conservate all’interno della chiesa avanzando anche nuove attribuzioni11.
Rispetto al 2001, un’ulteriore aggiunta importante agli studi sul Casentino è stato il ritrovamento e la ricollocazione della pala dell’altare maggiore nel
8 Cfr. Baroni A. 2001.
9 Cfr. Nesi Alessandro 2001. Al momento del catalogo il contributo di Nesi era ancora inedito e alla nota 20, infatti, si rimanda al catalogo della mostra. Cfr. Nesi Alessandro 2008.
10 Per gli studi sui committenti, oralmente trasmessi alla Baroni, si veda la scheda suddetta.
santuario della Madonna del Morbo di Poppi. La tela, che fa da cornice all’im- magine miracolosa e che raffigura i Santi Giuseppe, Francesco e Torello (fig. 5), è un’opera firmata e datata 1664 di Lorenzo Lippi12.
Fig. 1. Antonio Ruggieri, Madonna col Bambino in gloria tra i santi Lorenzo e Cecilia, Poppi, Badia di S. Fedele
12 Cfr. Nesi Alessandro 2010a e Nesi Alessandro 2010b. Nesi pubblica la foto del dipinto anche in La Pieve di Sant’Eleuterio a Salutio, 2018.
Fig. 5. Lorenzo Lippi, Santi Giuseppe, Francesco e Torello, Poppi, Madonna del morbo. Il recupero della tela è stato possibile anche per intercessione di Alessandro Brezzi