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13 settembre - 11 novembre 1943

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Luca Grisolini

Il paese di Stia, sin dai primi decenni del Regno d’Italia, aveva rappre- sentato il territorio prescelto da molti reggimenti di artiglieria e fanteria per esercitazioni di tiro e addestramenti. Durante il fascismo, le pratiche militari furono implementate, tanto che iniziarono a sorgere, lungo i due lati di via Roma, casematte e depositi militari. Dal momento che le cosid- dette “baracche” non erano da sole sufficienti a soddisfare tutte le esigenze logistiche, vari edifici pubblici e urbani venivano utilizzati come appoggio: è il caso della Tintoria e delle scuole elementari, che fungevano da dormi- tori provvisori, o del Teatro Comunale di Piazza Mazzini (all’epoca piazza Vittorio Emanuele), diventato durante la guerra deposito di armi del di- staccamento della Scuola Allievi Ufficiali di Complemento di Fanteria di Arezzo.

All’indomani dell’8 settembre 1943, gli stiani Ferruccio Bartolucci e Attilio Cianferoni, entrambi militari fuggiti dalle proprie caserme nel caos dell’armistizio e rocambolescamente rientrati in paese, iniziarono con po- chi compagni2 a “ripulire” i magazzini del Regio Esercito, riuscendo a

1 Quale atto di correttezza verso gli altri autori e i lettori, tengo a precisare che questo contributo non rappresenta, in senso stretto, un inedito. Salvo alcune correzioni e modifiche secondarie, queste pagine sono infatti parte integrante del lavoro Vallucciole,

13 aprile 1944. Storia, ricordo e memoria pubblica di una strage nazifascista proposto

nel giugno 2016 come elaborato di tesi in Sociologia e Ricerca Sociale e pubblicato con lo stesso nome nel 2017 quale volume 140 dalle Edizioni dell’Assemblea del Consiglio Regionale della Toscana. Ho tuttavia inteso pubblicarlo in forma autonoma nel contesto di questa opera per la sua concezione originaria e per il legame stesso che intercorre tra queste pagine e il rapporto di amicizia tra Alessandro Brezzi e me. Nella mia mente, questo scritto figura come un’opera a quattro mani poiché in queste pagine, generate in anni più incauti e forse idealisti della mia esistenza, rivedo tutti quegli elementi ereditati dall’amicizia e dalla vicinanza di Brezzi: in primis, la capacità di mettere in discussione se stessi e le proprie convinzioni sacrificandoli all’obiettività e all’oggettività del vero; in secondo luogo (ma solo per ordine di scrittura) la forza di affrontare ogni battaglia con assoluta tenacia non risparmiando a se stesso e agli altri né sacrifici né difficoltà.

2 Gelasio Spadi fu tra i primi a seguire Bartolucci, e ricorda di aver prelevato armi e materiale dalle baracche. Già prima del 13 settembre e del blitz del teatro, i boschi

mettere da parte un buon numero di coperte e alcune casse di munizioni, indisturbati dai fascisti del luogo e dalle forze dell’ordine.

L’obiettivo principale fu presto individuato nell’assalto alla santabarba- ra del teatro, dove si sapeva contenersi un ingente quantitativo di armi: per questo, i due giovani si misero in contatto con il tenente Raffaello Sacconi di Bibbiena, il quale già disponeva di un gruppo armato operativo forte di tre piccole squadre.

L’azione avvenne il 13 settembre 1943: partito da Bibbiena, un mani- polo di Sacconi, a bordo di un autocarro, raggiunse Stia, dove, una volta bloccata la caserma dei Carabinieri di Piazza Tanucci, provvide ad appro- priarsi delle armi del deposito. Il totale del bottino ammontava a 60 fucili (in parte Moschetto 91 italiani, in parte Saint Etienne francesi), 2 mitra- gliatrici Breda SAFAT e un ingente quantitativo di munizioni. Terminata l’operazione, le armi furono trasportate con il mezzo nella zona di Santa Maria, e dunque prelevate dal gruppo stiano di Cianferoni e Bartolucci che si sarebbe occupato dell’occultamento di buona parte del materiale requisito.

Vallucciole, in questo senso, rappresentò il punto di massima concen- trazione delle armi, nascoste per lo più nel piccolo cimitero della frazione: la posizione nascosta, la vicinanza alle montagne del Falterona e la silen- ziosa tranquillità degli abitanti offrivano infatti i requisiti ideali per la cre- azione di una banda partigiana3. Poco altro materiale fu invece portato a

a nord di Vallucciole furono scelti come base partigiana: essendo tagliaboschi, allo Spadi fu richiesto di costruire delle capanne in fango e frasche sul modello dei rifugi dei transumanti, ove poter alloggiare senza disturbo per la popolazione. Fonte orale. 3 Nel periodo invernale e primaverile, il territorio si svuotava notevolmente,

praticamente dimezzando gli abitanti usuali: essendo infatti la pastorizia una delle principali attività, molte famiglie erano costrette a trasferirsi da ottobre a maggio in Maremma o nel pisano per la transumanza.

A Vallucciole e nei borghi limitrofi rimanevano principalmente gli anziani e le donne non sposate imparentate con i pastori, ma anche le altre comunità incentrate sulla mezzadria o sulla piccola proprietà: i Trapani di Giuncheto erano per esempio legati, come i Vadi di Casa Trenti, alla famiglia Pallini di Santa Maria, unica famiglia borghese della zona detentrice di ampi poderi sulla sponda sinistra dell’Arno. Altri uomini erano invece boscaioli, condizione lavorativa che aveva garantito ad alcuni di non essere inviati al fronte.

I rapporti con la realtà industriale ed “emancipata” di Stia erano di fatto pochi, rilegati particolarmente al mercato del martedì, dove le donne andavano per vendere uova e formaggio o per comprare o ritirare poche cose utili, come la stoffa o la pelle, che poi venivano cucite e lavorate in casa: in questo senso, esistevano sicuramente anche

Papiano, dove Bartolucci abitava e dove probabilmente poteva essere utile in caso di attacchi lungo la rotabile del Passo della Calla. Anche il gruppo di Sacconi prelevò parte del bottino, e, rientrato a Bibbiena, si preoccupò di occultarlo poi in un podere detto “Fragaiola” (nei pressi di Moscaio).4

La scelta di Vallucciole come nascondiglio del gruppo patriottico stiano è alla base della decisione, da parte dei nascenti vertici partigiani di Arezzo, di raccogliere alle pendici del Falterona la maggior parte dell’attività ribelle della provincia.

Già il 2 settembre 1943 si era infatti formato nel capoluogo il Co- mitato Provinciale di Concentrazione Antifascista, nato dalla volontà del cattolico Sante Tani e dall’azionista Antonio Curina: il gruppo, formato in prevalenza da giovani studenti, intellettuali ed ex militari, si era proposto

forme di lavoro a domicilio. Nessuno degli abitanti, a quanto ci risulta, aveva invece scelto il lavoro in fabbrica, preferendo la terra ai ritmi di lavoro del Lanificio. L’isolamento rispetto alla vita “paesana” di Stia, rotto solo nei casi di festa o per motivi

economici, si ripercosse anche sul sostanziale disinteresse per le vicende dell’Italia fascista: la gestione dei rapporti con il Municipio era più o meno ufficiosamente tenuta da un rappresentante della comunità, che vi si presentava per eventuali rimostranze o per esprimere i bisogni della propria gente. Per il resto, non si individuano paesani di Vallucciole attivi nel PNF o coinvolti in altre forme di associazionismo politico o sociale del paese: sicuramente, c’erano dei popolani più vicini al regime, ma si trattava di un’adesione blanda, del tutto personale e magari legata a qualche tornaconto indiretto, priva di qualsiasi esternazione pubblica, parimenti a quella di altri valligiani ostili al fascismo.

La guerra, a Vallucciole, sembra quasi non arrivare fino al 1943/1944, nonostante la partenza per i vari fronti di alcuni giovani, come Ottavio e Berto Trenti o Adorno Tonielli. Le notizie giungono lontane e discontinue, magari attraverso le lettere censurate dirette alle famiglie o dagli aggiornamenti giornalistici riportati dai pochi alfabeti del posto. La mancanza di una radio in tutta la zona, per esempio, rapporta la lontananza dalla guerra che nel frattempo stava sconvolgendo l’Italia.

4 Sull’azione del Teatro esistono numerose testimonianze storiografiche, ma tutte limitate ad accenni sull’accaduto. Raffaello Sacconi, che guidò il blitz, lo descrive sommariamente nel suo Partigiani in Casentino e Val di Chiana: riguardo la giornata del 13 settembre, Sacconi racconta di aver requisito un autocarro all’Autorimessa Freschi di Bibbiena e di essere partito a capo di dieci uomini (pp. 24-25) alla volta di Stia. Sulla destinazione delle armi e la loro divisione tra il gruppo di Sacconi e quello stiano si hanno poche informazioni: Giulio Valentini, nome di battaglia Stella e inquadrato nel gruppo Bartolucci - Cianferoni, rilasciò una testimonianza a Leonardo Previero dalla quale si evince che il materiale fu diviso in due parti, l’una spostata dentro una fornace e in seguito nel cimitero di Vallucciole e l’altra occultata prima a Molin di Bucchio e poi a Papiano. (Cfr. Sacconi R. 1975, pp. 23-24 e Previero L. 1999, p. 167).

di diventare la guida politica e logistica della città in attesa dell’imminente arrivo alleato.5

La svolta dell’8 settembre, l’entrata delle truppe tedesche in Arezzo senza il minimo tentativo di resistenza da parte delle autorità istituzionali e mili- tari, e la veloce individuazione dei membri del CPCA da parte dell’Ufficio Politico Investigativo repubblichino fecero cadere quasi immediatamente l’ipotesi di una liberazione imminente e di un’operatività del gruppo all’in- terno della città.

Arezzo era infatti pressoché deserta, distrutta dai bombardamenti alleati e priva di obiettivi militari di rilievo (al di là del piccolo aeroporto, che fu subito saccheggiato per conquistare armi) che giustificassero l’operatività di squadre cittadine su modello dei GAP; inoltre, la forte presenza fascista in città richiedeva la latitanza dei membri del comitato, i quali ben presto compresero la necessità di individuare una postazione di collegamento ben riposta dove curare in sicurezza l’organizzazione di una lotta di respiro pro- vinciale.

Il CPCA, clandestinamente, prese ad occuparsi negli stessi giorni del nascondiglio e del supporto degli ex prigionieri alleati dei campi di interna- mento di Renicci, Laterina e Poppi, liberatisi in quei giorni nel caos dell’ar- mistizio e già braccati dalle nuove autorità della RSI. Allo stesso tempo, si iniziò a preoccuparsi dell’individuazione di una posizione in cui far affluire quanti volessero combattere contro il nazifascismo, i quali sarebbero stati formati e comandanti da militari d’esperienza e avrebbero beneficiato di rifornimenti, in termini di armi e provviste, inviate dal Comitato stesso.

L’attività del gruppo fu dunque divisa così: una parte (compresi i vertici guidati da Curina) rimase nei pressi di Arezzo, con il compito di indivi- duare finanziamenti alla lotta e di cercare collegamenti con il Comitato di Liberazione Nazionale e con le forze alleate, oltre a garantire il supporto ai fuggitivi alleati; un secondo gruppo, guidato da Sante Tani e dal maggiore Cesare Caponi, si occupò invece di prendere contatto con le varie forma- zioni partigiane che spontaneamente stavano sorgendo nella provincia per ricondurle sotto l’egida del CPCA incaricandosi di individuare un luogo sicuro in cui costituire un fulcro unitario di azione antifascista. Caponi, essendo militare di carriera, il 25 settembre 1943 fu ufficializzato come comandante del presidio prescelto come quartier generale armato del Co- mitato.

Il Casentino fu individuato da subito come territorio operativo ideale per l’attività partigiana: il passo successivo, databile al 25 settembre 1943, fu la decisione di concentrare a Vallucciole una grossa parte dei resistenti.

Nelle giornate precedenti, infatti, Caponi si era messo in contatto con Raffaello Sacconi, a cui oramai facevano capo, oltre a quella bibbienese, quasi tutte le compagnie sorte dopo l’8 settembre, inclusa quella di Stia.

Da subito tra i vertici aretini e quelli casentinesi si istallò un rapporto di sintonia e di piena collaborazione, che riconosceva nel CPCA la guida assoluta del processo di liberazione: da qui scaturì la mossa concordata con Bartolucci e Cianferoni di spostare il comando provinciale a Vallucciole, facendovi affluire la maggior parte dell’organico e dei materiali.

La scelta della frazione dipese con ogni probabilità da tre fondamentali considerazioni: la prima, che nel suo territorio si nascondeva la maggior parte dell’armamento fino ad allora conquistato in tutta la provincia. Que- sto elemento lo rendeva da una parte un deposito “già testato” in quanto a sicurezza e dall’altra ne impossibilitava, dati i sempre maggiori controlli tedeschi e repubblicano, uno spostamento massivo.

La seconda motivazione è da ricercarsi nella posizione geograficamente strategica di Vallucciole: sconosciuta o difficilmente individuabile attraver- so la cartografia, non era allora raggiungibile mediante una strada rotabile, caratteristica che avvantaggiava di molto l’ipotesi di sganciamenti in casi di attacchi nemici. Situato ai piedi del monte Falterona, il paesino si offriva come “paradiso” riposto nelle folte foreste appenniniche, ma anche come naturale crocevia di spostamenti tra Romagna e Toscana (a nord est lungo la vicina giogaia), tra il Casentino e il Mugello (a nord ovest, attraverso il Passo di Croce a Mori) e ancora tra il Casentino, il Pratomagno e la Val di Sieve a sud ovest, raggiungibili attraverso il ricongiungimento al Passo della Consuma). A sud era invece fondamentale il collegamento con Stia, stazione terminale della ferrovia proveniente da Arezzo (via di comunica- zione solo moderatamente controllata dalle autorità nazifasciste).

Occorre considerare che tutte le mete indicate erano distanti solamente qualche ora di cammino, percorribili in sicurezza attraverso sentieri fian- cheggianti le strade principali o, in ogni caso, sufficientemente in altitudi- ne per essere al sicuro.

Ciò consentiva di ipotizzare la creazione di una vasta rete di collega- menti, che da Arezzo sarebbero potuti giungere nella zona di Stia senza particolari difficoltà. Inoltre, la vicinanza con il Mugello e (soprattutto) con la Romagna, dove già cominciavano ad operare consistenti gruppi resi-

stenti, offriva alla posizione un ruolo di crocevia e di scambio per le molte- plici realtà partigiane e per la fuga di ex prigionieri alleati verso l’Adriatico, oltre che una sicura destinazione in caso di drastiche ritirate6.

Infine, i contatti con gli Alleati da parte dei comandi aretini lasciavano ben presagire in previsione di rifornimenti per via aerea. I prati di Bocca Pecorina, o di Montelleri, situati alle pendici del Falterona, rappresentava- no un sito ideale per gli aviolanci promessi.

La terza e ultima ragione che fece del territorio di Vallucciole un covo partigiano fu senz’altro il carattere schivo, silenzioso e accondiscendente della sua popolazione, che sin dai giorni successivi all’8 settembre aveva of- ferto un tacito supporto alla lotta di liberazione; inoltre Stia e la sua piccola frazione, la prima per la sua cultura operaia, la seconda per la sua vocazione a metà socialista e a metà cattolica, si erano dimostrate da sempre centri che avevano riservato al regime di Mussolini scarsa simpatia.

Caponi tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre iniziò a raccogliere in prossimità del borgo la maggior parte degli antifascisti militanti aretini, mantenendo comunque operativi dei piccoli capisaldi sparsi in tutta la provincia: l’obiettivo era di far sì che il Monte Falterona assurgesse al ruolo di quartier militare di tutte le forze sottoposte al CPCA7.

Al 20 di ottobre, il presidio di Caponi contava 42 partigiani, sei ufficiali e 40 ex prigionieri alleati (affidati al comando del maggiore di artiglieria inglese Anderson).

Questa compulsiva organizzazione della Formazione Vallucciole era forzata e resa efficiente nella tempistica dall’errata lettura della situazione bellica italiana: il CPCA, come ebbe modo di ammettere Curina in segui- to, era convinto che l’arrivo ad Arezzo delle forze alleate fosse imminente.

Del resto, la velocissima avanzata degli angloamericani, che alla metà di ottobre si attestavano a nord di Benevento, lasciava ben sperare in una 6 Cfr. La Guerra in Romagna 1943-1945, 2014, passim.

7 Secondo quanto si evince dalla relazione redatta da Cesare Caponi al termine della guerra, l’intenzione del maggiore era quello di creare 5 grandi zone di riferimento in tutta la provincia ‒Monte Falterona, Alpe di Catenaia, Pratomagno, Monte Favalto, Val di Chiana ‒ con altrettante basi operanti e sottomesse all’autorità del CPCA. Quanto ideato fu inizialmente realizzato, creando una fitta rete di rifornimenti e una congegnata trama di contatti. Occorre tuttavia sottolineare che alcuni gruppi partigiani, preferendo mantenere l’autonomia rispetto al Comitato, rifiutarono di allinearsi al piano di Caponi: molti di questi, più tardi, confluiranno nella XXIVa Bgt. “Bande Esterne”. Cfr. Relazione sul raggruppamento partigiano “Vallucciole”, Archivio del Comitato Provinciale ANPI di Arezzo.

risoluzione del conflitto, per lo meno in Toscana, prima dell’inverno. Nel primo mese d’autunno, vi era dunque nel CPCA la convinzione di dover mettere in piedi una brigata d’appoggio all’imminente liberazione di Arezzo e, allo stesso tempo, di dover mettere al sicuro, offrendo loro rifugio, le decine di ex prigionieri del Commonwealth e della Iugoslavia. Proprio per questo motivo, intorno alla metà di ottobre, il Falterona fu scelto anche come meta di tutti i prigionieri alleati sparsi nelle campagne della provincia: infatti, i premi in denaro concessi ai delatori da parte delle autorità della RSI esponevano le stesse popolazioni ospitanti ad un rischio sicuro quanto inutile.

Della raccolta e spostamento dei giovani soldati dell’Impero Inglese si occupò il sottotenente Aldo Donnini: questi, tra il 25 e il 30 ottobre, trasferì da Battifolle a Vallucciole un primo gruppo di 21 uomini, in pre- valenza sudafricani, attraverso un percorso di circa 80 km. Il tragitto, effet- tuato per intero a piedi, attraversò le alture del Pratomagno fino a Castel San Niccolò, e da qui, ricongiungendosi alla strada della Consuma, cam- biò crinale, scendendo dalla zona di Ponticelli verso Molin di Bucchio, a pochi chilometri dalla base di Caponi.

Nel gruppo di ex prigionieri, particolarmente utile si rivelò la figura del capitano radiotelegrafista John Gennes, intenzionato ad abbracciare la causa resistenziale mettendo a disposizione la propria conoscenza delle apparecchiature ricetrasmittenti8.

Alla fine del mese di ottobre, l’organico di stanza a Vallucciole superava le 100 unità, senza contare la fitta rete di collaboratori operanti in tutta la zona provinciale, i prigionieri del Commonwealth e le staffette che si spostavano da Arezzo e Subbiano portando ordini, armi e rifornimenti. Il comando disponeva di 150 fucili di vario tipo con abbondante muni- zionamento, 5 mitragliatrici pesanti, numerose bombe a mano e pistole e una radio ricetrasmittente da aeroplano. Una tale dotazione, nell’ottica del maggiore Caponi, avrebbe permesso di creare a Vallucciole una vera e propria piazzaforte antifascista: l’organico avrebbe dovuto infatti raggiun- gere i 400 effettivi. Nei primi di novembre era previsto l’arrivo del gruppo “Tifone” di Siro Rossetti e Ferdinando Caprini da Subbiano, ma anche di quello di Bibbiena di Sacconi e della compagnia di Soci di Salvatore 8 Per il suo essenziale ruolo di coordinamento e ausilio alla formazione Vallucciole, Gennes fu proposto dai vertici della XXIIIa bgt “Pio Borri” per una ricompensa al valor militare, con una motivazione fatta risalire al 9 novembre 1943. Alla richiesta non fu fatto seguito (cfr. Curina A. 1957, passim).

Vecchioni. Per problemi logistici, tuttavia, le formazioni non riuscirono ad organizzarsi sufficientemente nei tempi utili e furono costrette a rimandare la partenza.

L’attività della Formazione Vallucciole, tra la seconda metà di ottobre e i primi di novembre, fu dunque incentrata sulla ricerca di armi e or- ganico, oltre che sul trasferimento di prigionieri alleati. Altra attività di rilievo riguardava l’istruzione all’utilizzo delle armi e allo studio di azioni di sabotaggio: molti degli uomini, essendo giovani studenti o intellettuali, mancavano di qualsiasi addestramento militare.

Con l’obiettivo di creare una grande brigata, Caponi si occupò di strin- gere contatti con le truppe alleate nel sud Italia e allo stesso tempo di stabi- lire un collegamento con i partigiani attivi in Romagna e in Mugello. Per la prima urgenza, il comandante inviò una missione di quattro uomini dietro le linee nemiche, occultando nei tacchi delle scarpe la documentazione per i governi alleati: il gruppo, partito da Lucignano il 23 ottobre, avrebbe dovuto raggiungere Brindisi per richiedere degli aviolanci sul Falterona. Le peripezie del viaggio dei quattro inviati tuttavia impedì l’arrivo in tempi utili per la causa vallucciolina9. Riguardo ai collegamenti con i partigiani

di altre formazioni nelle vicinanze, gli esiti furono invece nulli10.

Alla fine del mese di ottobre, l’organizzazione del gruppo venne rallen- tata da un primo rastrellamento effettuato a Stia per catturare i renitenti di leva: Bartolucci e Cianferoni, sapendo di essere i nomi più ricercati e avendo le famiglie a Stia, decisero di abbandonare Vallucciole e di ricon- giungersi con una formazione partigiana di ex prigionieri sudafricani ope- ranti nella zona di Santa Sofia. Durante lo spostamento, i due furono però