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Alla depressione e allo scoraggiamento dovuto alla situazione

Nel documento Leopardi fra Omero e Virgilio in A Silvia (pagine 112-117)

II 5 La mitezza di Marco si manifestò anche nel comportamento ver-

01. Alla depressione e allo scoraggiamento dovuto alla situazione

politica, cui reagirà su pressione degli amici con qualche impennata d’’orgoglio11 e di cui ci resta significativa testimonianza in una lettera a

Plancio (fam. 4.14.1)12, si aggiungevano i dispiaceri famigliari (fine 46

- inizi del 45 a.C.): il divorzio della figlia Tullia dal terzo marito, il prodigo Dolabella, le difficoltà finanziarie (spese per il mantenimen- to degli studi del figlio ad Atene, restituzione della dote a Terenzia), che lo indussero già sessantenne a un nuovo matrimonio con la giova- nissima e ricca Publilia, suscitando nell’’opinione pubblica facili mot- teggi13; la morte di Tullia alla metà di febbraio del 45, cui era

legatissimo, la sola persona che gli era stata di vero conforto nei mo-

era augure] cercherà e forse sta già cercando di fare in modo che la repubblica sopravviva». Vd. al riguardo J. Boes, La philosophie et l’’action dans la correspondance de Cicéron, «Collection travaux et mémoires», Nancy 1990, 292 ss.; Narducci, Introduzione a Cicerone, Roma-Bari 1992, 150.

1 0 Così interpreta queste parole K. Kumaniecki, Cicerone e la crisi della repubblica romana,

Roma 1972, 458.

1 1 Ne è prova la composizione, sollecitata da Bruto, dell’’Elogio di Catone; nel maggio-

giugno del 46 confidava ad Attico (Att. 12,4,2) che «scrivere l’’elogio di Catone era difficile come risolvere un problema di Archimede»; ma a distanza di poco più di un mese l’’elogio era già terminato e dichiarava ad Attico soddisfatto: «Cato me quidem delectat» (Att. 12.5.2). Sappiamo che Cesare in Spagna lo aveva letto, apprezzandone le doti di scrittore, non i contenuti, come si evince dalla lettera fatta scrivere dal suo luogotenente Irzio, nella quale si mettevano in evidenza torti e difetti dell’’uomo Catone (vd. Att. 12.40.1; 12.41.4); nella primavera del 45 egli stesso rispose alla provocazione politica di Cicerone con un pamphlet in due libri dal titolo eloquente, Anticato (cfr. Suet. Iul. 56.5 e vd. le testimonianze raccolte da Schanz-Hosius, Geschichte der römischen Literatur, 1, München 19274, 335 s. sulla questio-

ne non chiara relativa al titolo, se esso fosse al singolare o al plurale).

1 2 Egli così scriveva: «Se tu chiami dignità pensare bene della repubblica e vedere che

le persone oneste approvano le tue idee, allora senz’’altro mantengo la mia antica dignità. Se invece la dignità consiste nel poter fare ciò che pensi o almeno difendere liberamente la tua opinione, allora non è rimasta neppure traccia della mia antica dignità».

1 3 Particolarmente aspra fu la reazione della ex-moglie Terenzia, cfr. Plut. Cic. 41. «Da

menti più delicati e gravi14. Il matrimonio con Publilia e i legami con

la nuova famiglia in queste circostanze mostrarono tutta la loro fragi- lità; l’’immenso dolore per la perdita inattesa della figlia rese Cicerone irritabile e desideroso di appartarsi, di fuggire da tutto e da tutti; l’’irritabilità era la spia di un profondo disagio interiore, di un’’amarez- za e di una scontentezza che riguardava allo stesso modo la sua situa- zione personale e quella generale dello stato. Egli trovò allora rifugio prima nella villa suburbana di Attico, l’’amico sincero e fidato e sem- pre disponibile, poi nella sua villa di Astura; l’’unico conforto, oltre alle parole di consolazione e di sostegno degli amici più cari, erano i libri e il rituffarsi negli amati studi, specie in quelli letterari e filosofi- ci: questi ultimi avevano sempre esercitato in lui una forte attrattiva fin da giovane (cfr. Tusc. 5.5). L’’epistolario ci ha lasciato tracce inequivocabili dello stato d’’animo e del dolore di quei momenti; in una lettera indirizzata ad Aulo Manlio Torquato, che stava in esilio dal 48, cioè da dopo Farsalo, leggiamo: «dubito che si possa trovare qual- che altra consolazione in così grande sventura [dello stato] all’’infuori di quella che ciascuno può trovare nella forza del proprio animo [……] dopo la perdita di tutto soltanto la virtù può mantenersi» (fam. 6.1.3 s.) e ad Attico confidava: «non c’’è libro che sia stato scritto sul modo di lenire il dolore, che io a casa tua non abbia letto; ma il dolore [della perdita di Tullia] vince ogni consolazione; anzi ho fatto ciò che nessu- no ha fatto prima di me, mi sono scritto delle lettere consolatorie, che ti invierò appena i copisti le avranno trascritte» (Att. 12.13[14].3) e ancora: «Dopo di te nulla mi è più caro della solitudine e in essa con- verso con i libri e solo il pianto mi strappa da essi, al quale cerco di resistere finché posso, ma finora non mi riesce di dominarlo» (Att. 12.14[15]). In queste circostanze dolorose gli venne l’’idea –– coltivata per qualche tempo –– di onorare degnamente la memoria della figlia con l’’erezione di un tempietto15 e, come al solito, mise a parte del

progetto Attico, chiedendo il suo generoso aiuto (Att. 12.37[38].1). È in questo clima di dolore, di tensioni e di contrarietà per le vicende domestiche e pubbliche che nasce in Cicerone il desiderio profondo di estraniarsi dalla vita reale, di chiudersi in se stesso e nei propri studi e di dedicarsi a tempo pieno allo studio della filosofia, l’’unica in grado

1 4Sulle lettere consolatorie ricevute dagli amici in occasione del luttuoso evento vd.

G.O. Hutchinson, Cicero’’s Correspondance. A literary Study, Oxford 1998, 62 ss.; inoltre vd. Boes, op. cit., 278 ss.

1 5La c.d. ‘‘apoteosi’’, vd. P. Boyancé, L’’apothéose de Tullia, «RÉA» 1944, 179-184 = Études

di colmare il vuoto lasciato dall’’abbandono della politica attiva e dalla perdita della figlia16: egli cercava un itinerario di saggezza e di

autoconsolazione. Non c’’era in gioco soltanto il bisogno urgente di trovare un antidoto ai mali esistenziali, una medicina in grado di con- solare e lenire il dolore spirituale, molto più devastante di quello fisi- co, ma anche di dare una risposta persuasiva a un problema di portata più generale e ineludibile per chiunque abbracci la via della saggezza, quello della felicità, affrancandolo da tutto ciò che era soggetto alla mutevolezza e precarietà dell’’umana fortuna come la gloria, l’’onore, il potere, la ricchezza. Per usare le parole di Alain Michel17, Cicerone

ha tentato di opporre ai grandi drammi della sua vita personale la risposta eternamente valida della filosofia, inserendoli in un percorso tradizionale di educazione filosofica, che non rifiuta, anzi valorizza per i propri fini gli strumenti offerti dalla retorica. Il retore e il filoso- fo in lui convivono, perché c’’è la convinzione che il compito della filosofia sia non solo quello di formulare principi teorici di carattere

1 6 La rivalutazione degli studi filosofici ‘‘a tempo pieno’’, da lui fatta per es. nel De

finibus 1,2 e nelle Tusculanae 2,1 ss., rappresenta una presa di posizione importante contro il modello culturale prevalente in ambito romano del philosophari paucis; su questi problemi vd. Narducci, Cicerone, Tuscolane, Milano 1996= 20045, intr. 9 ss. = Le Tusculanae: un

percorso di lettura, in «Cicerone e i suoi interpreti. Studi sull’’Opera e la Fortuna», Pisa 2004, 118 ss.; G. Cambiano, Cicerone e la necessità della filosofia, in «Interpretare Cicerone». Per- corsi della critica contemporanea, Atti del «II Symposium Ciceronianum Arpinas», Arpino 18 maggio 2001, a cura di E. Narducci, Firenze 2002, 66-83. Nell’’Hortensius, come ap- prendiamo da diu. 2.1.1 e Tusc. 3,6, egli aveva insistito sull’’importanza di applicarsi con continuità alla filosofia: quamquam de uniuersa philosophia, quanto opere et expetenda esset et

colenda, satis, ut arbitror, dictum est in Hortensio. Secondo Cicerone anzi è giunto il momento che i Romani strappino alla Grecia, ormai in declino, il primato di questo genere di studi (Tusc.2,5). Altro fatto importante è che la retorica, del cui declino c’’è ormai piena consa- pevolezza per le mutate condizioni politiche di Roma, viene posta da Cicerone a servizio della filosofia –– fatto che caratterizzerà le ultime opere della sua produzione ––: cfr. Tusc. 1.7

sic nobis placet nec pristinum dicendi studium deponere et in hac maiore et uberiore arte uersari. Hanc enim perfectam philosophiam semper iudicaui, quae de maximis quaestionibus copiose posset ornateque dicere e vd. P. MacKendrick, The Philosophical Books of Cicero, London 1989, 165: «This use of rhetoric for philosophical ends is, here as elsewhere, the heart of Cicero’’s originality»; E. Lefèvre, Ciceros Weg zur Stoa, in «Vitae philosophia dux. Studien zur Stoa in Rom», hrsg. v. B. Zimmermann, Freiburg i.Br.-Berlin-Wien 2009, 27-47, 47.

1 7 Vd. Rhétorique et philosophie dans les traités de Cicéron, ANRW 3, 1973, 174; egli ritiene

che tutta l’’opera filosofica ciceroniana dopo la morte di Tullia segua un quadro comune alla retorica e alla filosofia, conformemente alle teorie espresse nel De oratore: a) questioni pratiche, esortazione / protrettico (Consolatio, Paradoxa, Hortensius); b) questioni teoriche, studio dei dogmi e dei valori (Academica, De finibus, Tusculanae, De natura deorum, De diuinatione,

De fato); c) questioni pratiche, applicazione dei valori nell’’esercizio quotidiano della virtù (Cato maior, Laelius, De officiis).

generale (dovgmata, decreta) che parlano alla ragione, ma anche quello di persuadere attraverso regole particolari (praecepta), che parlano al cuore (cfr. i senecani ire ad pectus, descendere in pectus). La contemplatio non deve mai essere disgiunta dall’’ admonitio18: per chi cerca la verità e

la perfezione morale il momento ideale e quello pratico sono inscin- dibili, come la vita stessa insegna; anzi l’’esperienza del vissuto può talora dare il giusto supporto anche alla riflessione teorica19. Ad esem-

pio, certi paradossi degli Stoici che in lui, simpatizzante della Nuova Accademia (di Carneade in primis), avevano suscitato sul piano teorico atteggiamenti critici e di rifiuto (cfr. Pro Murena), ora, di fronte alle difficili prove che è chiamato ad affrontare, gli appaiono sempre più come delle verità poggianti su solidi fondamenti; nei Paradoxa, scritti nel 46 a.C. subito dopo il Brutus, Cicerone cerca infatti di sostenere alcune di quelle ‘‘tesi’’ provocatorie, che sembravano attagliarsi così bene ai casi della sua vita, come ‘‘la virtù basta da sola alla felicità’’, ‘‘solo il saggio è libero e ricco’’, ‘‘solo il saggio è cittadino, gli stolti sono esuli’’, ecc. Vivendo tutto chiuso nel proprio dolore sente in maniera più acuta la vanità delle umane cose, i traviamenti dovuti alle passio- ni; se la filosofia non può dare risposte sul piano politico, può almeno liberare l’’animo dai timori, in particolare da quello della morte, ed elargire tranquillità e serenità. Anzi in Tusc. 5,104, gettando uno sguar- do retrospettivo sul proprio passato di uomo pubblico, speso a servi- zio della res publica, arriva perfino a fare autocritica con una punta di sincero dispiacere: Ille (sc. sapiens) uero nostras ambitiones leuitatesque

contemnet honoresque populi etiam ultro delatos repudiabit; nos autem eos

nescimus, ante quam paenitere coepit, contemnere. Tra ansie e amarezze di

ogni genere la filosofia, lungi dal rappresentare uno strumento di prestigio culturale o, peggio, uno strumento di affermazione perso- nale, com’’era stata in passato per lui la retorica, diviene l’’unica bussola

18Cfr. Sen. epist. 95.65 s. Posidonius non tantum praeceptionem [……] non prohibet, sed etiam

suasionem et consolationem et exhortationem necessariam iudicat [……] Haec res (sc. l’’ethologia)

eandem uim habet quam praecipere; nam qui praecipit dicit ‘‘illa facies si uoles temperans esse’’, qui describit ait ‘‘temperans est qui illa facit, qui illis abstinet’’. Quaeris quid intersit? Alter praecepta uirtutis dat, alter exemplar. Una rassegna dei filosofi greci presenti nelle lettere fornisce F. Guillaumont, Les philosophes grecs dans la corrispondance de Cicéron, in «Epistulae antiquae», Actes du colloque intern. «Le genre épistolaire antique et ses prolongements européens», Univ. F. Rabelais, Tours 28-30 sept. 2000», éd. par L. Nadjo et Élisabeth Gavoille, Louvain- Paris 2002, 61-76.

1 9 Cfr. Tusc. 5.5 Cuius (sc. philosophiae) in sinum cum a primis temporibus aetatis nostra

uoluntas studiumque nos compulisset, his grauissimis casibus in eundem portum ex quo eramus egressi magna iactati tempestate confugimus.

in grado di indicargli la via della virtù fine a se stessa, l’’approdo tanto agognato fuori dalle tempeste della vita20: consapevole di quale effi-

cacissimo balsamo essa rappresenti contro le sventure che s’’abbattono sull’’uomo21, Cicerone ne tesse un commosso elogio nello stile di un

‘‘Gebetshymnus’’ (Tusc. 5.5): O uitae philosophia dux, o uirtutis indagatrix

expultrixsque uitiorum! Quid non modo nos, sed omnino uita hominum sine te esse potuisset? Tu urbis peperisti, tu dissipatos homines in societatem uitae conuocasti, tu eos inter se primo domiciliis, deinde coniugiis, tum litterarum et uocum communione iunxisti, tu inuentrix legum tu magistra morum et disciplinae fuisti; ad te confugimus, a te opem petimus, tibi nos, ut antea magna ex parte, sic nunc penitus totosque tradimus. Est autem unus dies bene et ex praeceptis tuis actus peccanti immortalitati anteponendus. Cuius igitur potius opibus utamur quam tuis, quae et uitae tranquillitatem largita nobis es et terrorem mortis sustulisti?22 All’’eloquenza come madre e faro della ci-

viltà ora viene sostituita la filosofia: Cicerone opera un significativo cambiamento nella scala dei valori ideali e culturali, specchio senza dubbio del suo mutato atteggiamento interiore.

20 Per un primo orientamento su Cicerone filosofo e la sua produzione filosofica vd. S.

Timpanaro, Cicerone, Della divinazione, Milano 1988 = 1998, intr. XVII ss.; P. MacKendrick, op. cit., spec. 149 ss.; AA.VV., Cicero the Philosopher. Twelve Papers Edited and Introduced by J.G.F. Powell, Oxford 1995: in particolare sulle Tusculanae A.E. Douglas, Form and Content in

the Tusculan Disputations, 197-218; Narducci, Cicerone, Tuscolane, op. cit., introd. 5-44, poi ristampato in Cicerone e i suoi interpreti, op. cit., 115-144; Margaret Graver, Cicero on the

Emotions: ‘‘Tusculan Disputations’’ 3 and 4, Chicago and London 2002, Introd. XI-XXXV e

passim.

2 1Cfr. Tusc. 3.6 Est profecto animi medicina philosophia, cuius auxilium non ut in corporis

morbis petendum est foris omnibusque opibus uiribus ut nosmet ipsi nobis mederi possimus elaborandum est. Per la funzione terapeutica della filosofia vd. B. Koch, Philosophie als Medizin für die Seele.

Untersuchungen zu Ciceros ‘‘Tusculanae Disputationes’’, Stuttgart 2006.

2 2«O filosofia, guida della vita, sempre impegnata a ricercare la virtù e a scacciare i vizi!

Che cosa sarebbe avvenuto di noi e dell’’umana vita senza di te? Tu alle città hai dato origine, gli uomini dispersi hai riunito in società, li hai congiunti insieme prima con le dimore, poi con le nozze, quindi con la scrittura e il linguaggio comuni; tu sei stata inventrice delle leggi, tu maestra di civiltà; in te cerchiamo rifugio, a te chiediamo aiuto, a te ci affidiamo, se prima in gran parte, ora con tutti noi stessi. Un sol giorno vissuto bene e in armonia con i tuoi precetti è da preferirsi a una vita immortale vissuta nell’’errore. A chi dovremmo chiedere aiuto se non a te, che ci hai donato la serenità della vita e ci hai liberati dal terrore della morte?». Sulla struttura innica di questo elogio e sui suoi contenu- ti vd. H. Hommel, Ciceros Gebetshymnus an die Philosophie, Tusculanen V 5, Heidelberg 1968; A. Grilli, Politica, cultura e filosofia in Roma antica, Napoli 2000, 420 s.

Nel documento Leopardi fra Omero e Virgilio in A Silvia (pagine 112-117)