II 5 La mitezza di Marco si manifestò anche nel comportamento ver-
04 Anche della figura di Archimede Cicerone doveva avere una
conoscenza approfondita, che risaliva a prima della sua esperienza in terra di Sicilia in qualità di questore a Lilibeo (75 a.C.); la fama di questo matematico e fisico, il più geniale cittadino di Siracusa43, figlio
dell’astronomo Fidia, era tale, che senz’altro il suo nome era noto nel mondo della scuola. Per di più Marco Claudio Marcello, il conquista- tore della città nel 212 a.C. aveva portato a Roma il celebre planeta- rio, che Cicerone ci descrive nel De republica con accenti di viva ammi- razione, in quanto con un unico motore Archimede era riuscito a rap- presentare le diverse velocità dei movimenti del sole, della luna e de- gli altri pianeti44: per bocca di Furio Filo nella Repubblica 1.22 afferma
che plus in illo Siculo ingenii, quam uideretur natura humana ferre potuisse,
iudicabam fuisse e nel primo libro delle Tusculane lo paragona addirit-
tura quasi a un dio (forse ricordando l’elogio lucreziano a Epicuro di 5.8 ss.), cfr. § 63 Nam cum Archimedes lunae, solis, quinque errantium stesso 388/7, provocò l’ira di Dionigi I contro Platone [ …] diversamente da Platone, Senofonte parla a Dionigi un linguaggio che il tiranno è in grado di capire assai bene. La virtù che egli suggerisce è una virtù politica, un metodo di governo capace di guadagnare la popolarità e la eunoia dei sudditi». Per la caratterizzazione psicologica in senso negativo della figura del tiranno vd. D. Lanza, La maschera del cattivo, in Il tiranno e il suo pubblico, Torino 1977, 194 ss.
4 2Per l’assenza dell’amicizia vd. Cic. Lael. 52 ss.; Plat. resp. 580a; Aristot. Eth. Nic. 8.13;
Pol. 7.
4 3Vd. per es. Verr. 4,131 mathematicus clarissimus; Tusc. 5,66 sui [di Siracusa] ciuis unius
acutissimi monumentum.
44 Cicerone lo menziona complessivamente una dozzina di volta, specie nelle opere
della maturità: Verr. II, 4.131, Cluent. 87, de orat. 3.132, rep. 1.21-28. Ac. 2.116, fin. 5.50, Tusc. 5.64, infine nell’epistolario, Att. 12.4.2 e 13.28.3. Un carme sulla sphaera Archimedis scrive, com’è noto, Claudiano, cfr. c.m. 51 Hall.
motus in sphaeram inligauit, effecit idem quod ille qui in Timaeo mundum aedificauit, Platonis deus, ut tarditate et celeritate dissimillimos motus una
regeret conuersio45. Il suo nome poi era legato perfino a modi di dire
divenuti proverbiali; per es. nella Pro Cluenzio 87 Cicerone accenna con intento ironico alla bravura dell’avversario nel corrompere la giuria dicendo si … ut quadraginta milia nummum sedecim iudicibus darentur,
non Archimedes melius potuit discribere46. Quando su pressione di Marco
Giunio Bruto egli fu invitato a comporre un elogio di Catone, parlan- do della cosa ad Attico in una lettera del maggio del 46 inviata da Tuscolo, dichiarava la propria esitazione con questa espressione (12.4.2): sed de Catone provblhma ’Arcimhdei`on est47. In questo libro
delle Tusculane Cicerone lo ricorda per un’altra importante scoperta nell’ambito della geometria dei solidi, la determinazione del volume della sfera e del cilindro legati da un rapporto di 2:3, vale a dire che una sfera ha un volume pari ai 2/3 di quello del cilindro ad essa circo- scritto48. È comunque indicativo che nel contrapporlo a Dionisio I egli 45 Val la pena ricordare che il grande Galileo Galilei quando menziona Archimede e il
suo pensiero lo fa sempre con lode e ammirazione (in voluta contrapposizione ad Aristotele): diuinus, suprahumanus, inimitabilis, vd. Francesca Romana Berno, Appunti sul
latino di Galileo Galilei, in «Atti e memorie dell’Accademia Galileiana di Scienze, Lettere e Arti già dei Ricoverati e Patavina», parte III: Memorie della Classe di Scienze Morali, Lettere e Arti, CXIX, 2006-2007, 15-37, 24.
46 Vd. anche A. Otto, Die Sprichwörter und sprichwörtlichen Redensarten der Römer, Leipzig
1890 = Hildesheim 1962, 36.
4 7 Vd. anche l’altra lettera, Att. 13.28.3 abiit illud quod tum me stimulabat cum tibi dabam
provblhma ’Arcimhdei`on.
4 8 Vd. l’opera intitolata appunto Sulla sfera e sul cilindro, che ci è stata conservata, e
anche la testimonianza di Plutarco Marc. 17.12. Per una prima informazione sulle altre scoperte e gli altri apporti in campo matematico e delle scienze applicate vd. per es. gli articoli Archimedes di Hultsch nella RE II,1, 1895, 507-539 con il supplemento di Arendt,
ibid., Suppl. 3, 1918, 144-152, di G. J. Toomer nel Dizionario di antichità classiche, 1, 1981, 182 ss. (da tener presente anche quello nel Dizionario della civiltà classica, 1, 1993, 426-428); la monografia di E. J. Dijksterhuis, Archimedes, Princeton, Univ. Press 1987²; discute una testimonianza plutarchea S. Bocci, Archimede fra matematica e fisica: la testimonianza di Plutarco, in «Miscellanea greca e romana» XXI, Roma 1998, 227-234 (Plutarco più che documenta- re l’interesse scientifico di Archimede riflette i pregiudizi platonici contro la meccanica). Da ricordare in particolare sono i famosi ‘specchi ustori’ e le altre macchine da guerra messe a punto da Archimede, grazie alle quali i Siracusani tennero testa per tre anni ai Romani. Le sue invenzioni sono ricordate con ammirazione anche da Tito Livio 24.34 e Silio 14.341 ss. Vd. in proposito M. Geymonat - F. Minonzio, Scienza e tecnica nell’Italia
romana. I saperi della tradizione, in «Storia della società italiana», 4, Restaurazione e destrutturazione
nella tarda antichità, Milano 1998, 205 ss. e passim; Geymonat, Il grande Archimede, intr. di Z. Alferov, pref. di L. Canfora, Milano 2006² [2008³], spec. 79 ss.; M. Scaffai, Il console
Marcello e Archimede nei ‘Punica’ di Silio Italico, «Paideia» 49, 2004, 483-509; Mary Jaeger,
faccia prima menzione di altri due nomi illustri, Platone ed Archita, definendoli docti homines et plane sapientes49, con i quali fa capire che il
paragone è assolutamente improponibile; intende invece metterlo a confronto con un suo umile concittadino. C’è un punto da chiarire in via preliminare; di solito si suole spiegare il terzo posto ‘tra cotanto senno’ assegnato ad Archimede con il fatto che le scienze applicate ven- gono posposte nella considerazione di Cicerone alla ‘scienza della dia- lettica’ e alla filosofia; questo è certo vero, ma, secondo noi, rischia di essere una spiegazione parziale50, perché in questo particolare contesto
bisogna tener conto che il vero termine di confronto, secondo la linea di ragionamento dello scrittore, è Dionisio, cioè la vita attiva, impegna- ta e sfarzosa di un uomo potentissimo (cfr. § 61 copias eius, opes, maiestatem
dominatus, rerum abundantiam, magnificentiam aedium regiarum). L’autore
vuol dirci che, se è scontato che il tiranno sia infelice di fronte al filoso- fo51, che rappresenta il massimo grado della saggezza e quindi della
felicità per chi sceglie la vita contemplativa, lo è pure di fronte allo scienziato, che vive umilmente e senza sfarzi (cfr. Sil. 14.344 nudus opum,
sed cui caelum terraeque paterent)52, dedito anima e corpo ai propri studi,
dai quali egli può trarre un immenso diletto spirituale, abbinando saga- cemente indagine teorica e applicazione pratica; grazie a questo diletto egli può sentirsi totalmente appagato e per questo felice, § 66 alterius
mens rationibus agitandis exquirendisque alebatur cum oblectatione sollertiae,
4 9La venerazione di Cicerone per il sommo Platone è risaputa, tanto da fargli esclama-
re malo mehercule cum Platone errare (Tusc. 1.39). Archita, tarantino, uomo di notevole versatilità e di grande rigore morale, fu statista, generale, matematico, scrittore, filosofo, esponente del pitagorismo del IV sec., grande amico di Platone. Viene menzionato più volte da Cicerone nelle opere dell’ultimo periodo, Lael. 88, de orat. 3.139 fin. 2.45; in Tusc. 4,78 come esempio di moderazione, qualità opposta all’ira che caratterizza il tiranno (quo
te modo … accepissem, nisi iratus essem); nel Cato Maior 40 s. si ricorda un suo pensiero: Dio non ha dato all’uomo nulla di più bello della mente e nulla è più contrario a questo dono divino della voluttà e quando essa regna nell’animo non può esservi posto per la virtù.
50 Vd. per es. il comm. ad l. di O. Heine, Ciceronis Tusculanarum disputationum libri V, Libri
III-V, Stuttgart 1957, 131. Tra l’altro esso contrasta con le menzioni elogiative che di lui fa Cicerone stesso altrove, vd. supra n. 44.
51Cicerone corregge il proprio punto di vista rispetto a quanto aveva affermato nella
parte iniziale del De re publica, dove aveva affermato la superiorità della vita attiva su quella contemplativa e ritirata, la superiorità del politico sul filosofo; anche allora tuttavia aveva mostrato una certa indulgenza verso quelli che, come Platone, si erano occupati nelle loro opere dello Stato.
52 L’espressione siliana indulge a un chiaro effetto retorico; nota giustamente R.M.
Henry, M. Tulli Ciceronis Tusculanarum disputationum libri quinque, II, Cambridge 1934, 256 che «Archimedes, according to Plutarch, Marc. c. 14, was JIevrwni tw`/ Basilei` suggenh;"... kai; fivlo", and can scarcely have been in poverty».
qui est unus suauissimus pastus animorum. La iunctura ‘humilis homunculus’53
riferita ad Archimede (Tusc. 5.64) si rivela particolarmente significativa e frutto di una scelta lessicale ben meditata: infatti essa è giocata non a caso dal punto di vista semantico sul doppio livello della ridondanza/ intensificazione, in quanto homunculus, come i sinonimi homuncio e
homullus, ha già in sé implicita una connotazione di commiserazione e/o
di deprezzamento; l’unione con l’allitterante humilis ha la precisa fun- zione di rafforzare questa connotazione fino appunto a un esito pleonastico, in virtù del rapporto etimologico con humus, che gli anti- chi sentivano sia per il sostantivo che per l’aggettivo54. Ma il rafforza-
mento del contenuto semantico della iunctura non è diretto secondo le attese e secondo l’uso prevalente ‘in malam partem’, bensì grazie alla sfumatura affettiva presente nel diminutivo55 essa si carica di un gran-
de valore ideologico positivo, perché sottintende un apprezzamento verso chi mette a frutto le risorse del proprio ingegno e vive ponen- dosi umilmente a servizio della comunità, cui appartiene, senza prete- se di dominio illegale e senza ricorso a violenze e sopraffazioni. La conferma a questa interpretazione viene, ci pare, da quanto Cicerone stesso aveva già detto riguardo alla realizzazione del planetario in rep.
5 3Essa sembra ripresa solo da Sulp. Seu. dial. 1.21.1, vd. Library of Latin Texts, s. A.;
Homunculus è usato ancora da Cicerone in Tusc. 1.17 ma in opposizione da un lato niente- meno che ad Apollo e dall’altro al sapiens: ea quae uis ut potero explicabo nec tamen quasi Pythius
Apollo certa ut sint et fixa, quae dixero, sed ut homunculus unus e multis probabilia coniectura sequens [ …] certa dicent ii qui et percipi ea posse dicunt et se sapientis esse profitentur. Vd. anche A. Haury, Cicerone giudice della genialità di Archimede, in «Ciceroniana», Atti del IV Colloquium
Tullianum, op. cit., 115-120: qui è in gioco non soltanto la critica rivolta erroneamente all’eliocentrismo di Aristarco di Samo, ma anche il fatto che nell’ambito dei nohtav la scienza della dialettica (ejpisthvmh), secondo l’insegnamento platonico, è superiore a quel- la delle scienze specialistiche, le tevcnai, fondate sull’esperienza.
54 Vd. ThlL VI.3, 2894,74 ss.; inoltre vd. homullus, ibid., 2894,12 ss. e homuncio, ibid.,
2894,40 ss.; per la formazione del sostantivo con il suffisso diminutivo -culus dei temi in -
n- vd. M. Leumann Lateinische Laut- und Formenlehre, München 1977, 216.; per il rapporto etimologico con humus vd. per es. Hyg. fab. 220.3 Rose homo uocetur quoniam ex humo uidetur
esse factus; Seru. auct. georg. 2.340 ed Aen. 4,255; Arator act. 1.373 ss.: questa etimologia è però contestata da Quint. 1,6,34. Vd. ThlL VI.3, 2871,50 ss.; R. Maltby, A Lexicon of Ancient
Latin Etymology, Leeds 1991, 281 s. e 284; C. Marangoni, Supplementum etymologicum Latinum I, Edizioni Università di Trieste 2007, 60; M. de Vaan, Etymological Dictionary of Latin and the
other Italic Languages, Leiden-Boston 2008, 287 s. e 292.
55 Simile connotazione affettiva del vocabolo si incontra pure in un passo stilisticamente
molto elaborato delle Menippee di Varrone, 335 B. tum denique omnibus suis numeris absolutum
est (sc. conuiuium) si belli homunculi conlecti sunt, si electus locus, si tempus lectum, si apparatus
non neglectus: vd. J.-P. Cèbe, Varron, Satires Ménippées, 9, École française de Rome 1990, 1441; W. Krenkel, Marcus Terentius Varro, Saturae Menippeae, hrg., übers. und komm. bei W. K., 2, «Subsidia classica» 6, St. Katharinen 2002, 606.
1.28: quis enim putare uere potest plus egisse Dionysium tum cum omnia
moliendo eripuerit ciuibus suis libertatem quam eius ciuem Archimedem, cum istam sphaeram, nihil cum agere uideretur, effecerit? L’autore insomma vuol evidenziare che, pur vivendo una vita ritirata e oscura, con le scoperte del suo brillante ingegno Archimede si rese più utile alla patria del tiranno Dionisio, che invece la tenne schiava e oppressa; in tal modo si viene a sancire la superiorità anche della vita dedicata alla scienza (nel nostro caso alla matematica, alla fisica) rispetto a quella attiva, ma spesa male: cfr. § 66, dove egli si rivolge a uomini di cultura, forse per timore di essere smentito dal pubblico incolto, quis est omnium qui modo
cum Musis, id est cum humanitate et cum doctrina, habeat aliquod commercium, qui se non hunc mathematicum malit quam illum tyrannum? È un’altra significativa rivincita degli otia nei confronti dei negotia, che ci per- mette di capire anche la rivalutazione fatta dall’ultimo Cicerone nei confronti del bivo" qewrhtikov".
05 Con una punta di giustificato orgoglio lo scrittore passa poi a
narrarci la scoperta della tomba di questo grande siracusano da lui fatta in presenza dei principes ciuitatis56; egli era allora animato unica-
mente dalla passione della cultura e della scienza, passione disinteres- sata e per questo più nobile. La punta di compiacimento che si coglie nelle sue parole è dettata da più di un motivo: in primo luogo l’omag- gio reso alla memoria del grande scienziato non era solo un atto indi- viduale, ma si caricava sul piano morale e politico di un significato che andava ben oltre la sua persona; aveva il sapore di un atto ufficiale di riparazione, compiuto a distanza di tempo da un magistrato romano verso i Siracusani tutti per l’uccisione sciagurata di un loro concittadi- no così illustre57. In secondo luogo ritrovarne il sepolcro, la cui esi-
stenza era ignorata perfino dai Siracusani stessi, vd. § 64 cum esse (sc.
sepulcrum) omnino negarent, era come restituirgli nuovamente la vita e
5 6‘Le autorità locali’; ma il mecum «serve a dar rilievo alla persona di Cicerone» V.
D’Agostino, M. Tullio Cicerone, Il libro quinto delle ‘Tusculane’, Firenze 1948, 95. Sull’identità di questi principes ciuitatis in Sicilia vd. F. P. Rizzo, ‘Principes ciuitatis’ nelle ‘Verrine’: realtà civica
e idealità ciceroniana, in «Ciceroniana», Atti del IV Colloquium Tullianum, op. cit., 211-221.
57Questo episodio era ancora a sore point nella coscienza degli intellettuali romani, vd.
Mary Jaeger, Cicero and Archimedes’ Tomb, art. cit., 54 = Archimedes and the Roman Imagination, op. cit., 37. Si veda anche il resoconto datone da Livio 25,31,9 s., Val. Max. 8,7, ext. 7, Plinio il Vecchio 7,125, Plutarco Marc. 19,8 ss. Sul nostro passo ciceroniano vd. ora Stephanie Kurczyk, Cicero und die Inszenierung der eigenen Vergangenheit. Autobiographisches Schreiben in
der späten römischen Republik, Köln, Böhlau Verlag - Wien, Weimar 2006, 346-349; Jaeger, op. cit., pp. 32 ss.; L. Braccesi, L’assassinio di Archimede, «Hesperìa» 22, 2008, 161-166.
rinverdirne la fama58; inoltre significava acquistare per sé una pubbli-
ca benemerenza nei confronti della città. In terzo luogo Cicerone sem- bra suggerire in filigrana una certa analogia fra la propria vita e quel- la di Archimede, ambedue vite esemplari in quanto dedite allo studio ma anche spese utilmente a servizio della propria patria. Infine ricor- dando questa sua scoperta di trent’anni prima Cicerone mostrava di non aver mai rinunciato alla scienza nemmeno agli inizi della carriera pubblica; in tal modo per aver saputo coniugare scienza e politica egli affermava la propria superiorità intellettuale nei confronti della clas- se dirigente romana e in particolare dei settori più sordi e miopi della nobiltà, che, preoccupati unicamente di mantenere il proprio potere e i propri privilegi, guardavano con disprezzo al progetto politico di un homo nouus (per di più proveniente dallo stesso municipium di Arpino del famigerato Mario), che chiedeva al reggitore ideale dello stato una mente acuta e la capacità di contemperare l’attività pratica con la meditazione filosofica. Ma lasciamo la parola al suo racconto pieno di ‘verve’ fatto in prima persona, un’autentica lezione di archeologia sul campo; egli parte nella sua indagine dal ricordo della particolare fi- gura che contraddistingueva il monumento e dall’iscrizione appostavi con funzione di didascalia:
64 Non ego iam cum huius (sc. Dionysii) uita qua taetrius, miserius, detestabilius
excogitare nihil possum, Platonis aut Archytae uitam comparabo, doctorum hominum et plane sapientium; ex eadem urbe humilem homunculum a puluere et radio excitabo, qui multis annis post fuit, Archimedem. Cuius ego quaestor ignoratum ab Syracusanis, cum esse omnino negarent, saeptum undique et uestitum uepribus et dumetis indagaui sepulcrum. Tenebam enim quosdam senariolos, quos in eius monumento esse inscriptos acceperam, qui declarabant in summo sepulcro sphaeram esse positam cum cylindro. 65
Ego autem cum omnia conlustrarem oculis (est enim a porta sacra Cyanae magna frequentia sepulcrorum), animum aduerti columellam non multum e dumis eminentem, in qua inerat sphaerae figura et cylindri. Atque ego statim Syracusanis (erant autem principes mecum) dixi me illud ipsum arbitrari esse quod quaererem. Inmissi cum falcibus multi purgarunt et aperuerunt locum. 66 Quo cum patefactus esset aditus, ad aduersam
basim accessimus. Apparebat epigramma exesis posterioribus partibus uersiculorum dimidiatum fere. Ita nobilissima Graeciae ciuitas, quondam uero etiam doctissima, sui ciuis unius acutissimi monumentum ignorasset, nisi ab homine Arpinati didicisset59.
5 8«Pronunciare il nome dei morti significa riportarli in vita» recita un’antica iscrizio-
ne funeraria egiziana.
5 964. Per uestire detto della vegetazione cfr. ad es. Verg. georg. 2,38 olea magnum uestire
Taburnum; 2.219 suo semper uiridi se gramine uestit (sc. terra); Liu. 32.13.3 uestiti (sc. montes)
frequentibus siluis sunt; Mart. 10.51.3 uestitur humus, uestitur et arbor; Alc. Auit. carm. 1.25
pulchra repentino uestita est gramine tellus. Il termine senariolus pare rinvenirsi solo qui e in Sidon. epist. 9.15.1 trochaica garrulitate suspensa senariolos aliquos plus requiris (la presenza del
«64 Ora io non metterò a confronto la vita di costui (sc. Dionisio), della quale nulla riesco a immaginare di più disgustoso, di più infelice, di più detestabile, con quella di Platone o Archita, uomini dotti e veramente sapienti; io desterò dalla sua polvere e dalla sua bacchetta un umile uomo della sua stessa città, che visse molti anni dopo, Archimede. Quando ero questore, mi misi alla ricerca del suo sepolcro tutto circondato e ricoperto di rovi e di pruni; esso era ignoto ai Siracusani, anzi secondo loro non esisteva affatto. Ricordavo infatti alcuni senari di modesta fattura, che sapevo essere incisi sulla tomba; essi dicevano che in cima al sepolcro c’era una sfera con un cilindro. 65 Un giorno perlustrando con lo sguardo la zona (fuori della porta sacra a Ciane c’è infatti un gran numero di tombe), avvistai una piccola colonna che sporgeva appena dai rovi, sormontata dalla figura di una sfera e di un cilindro. Allora dissi subito ai Siracusani – c’erano con me i maggiorenti – che forse si trattava proprio di quello che cercavo. Mandati avanti molti uomini con le falci ripulirono e resero accessibile il luogo. 66 Aperto che fu il passaggio, accedemmo al lato del basamento che ci stava di fronte. Si vedeva un’iscrizione quasi dimezzata per la corrosione delle parti finali dei versi. Così una delle più note città della Grecia, un tempo invero anche delle più dotte, avrebbe ignorato il monumento del più geniale dei suoi concittadini, se non glielo avesse fatto conoscere un uomo di Arpino».
06 La morale da trarre dalla digressione è dunque che allo scienziato
da vivo è riservata la gioia consolante dei propri studi e delle proprie scoperte e in più una gloria che l’accompagnerà anche dopo la morte; il tiranno invece deve aspettarsi solo la compagnia scomoda del delitto e della continua paura, che è come dire ‘una vita che non è vita’, e la cattiva fama anche dopo morto. Il racconto si chiude secondo lo schema della ‘Ringkomposition’, perché riprende il motivo iniziale, la maggior beatitudine in assoluto dei filosofi, sempre protesi alla ricerca della vera saggezza: age confer Democritum, Pythagoram, Anaxagoram: quae regna (=
dominatus)60, quas opes studiis eorum et delectationibus antepones?
termine in Sidonio mi è stata cortesemente segnalata dall’amico e collega V. Ortoleva, che ringrazio). Il diminutivo sembra rivelare un loro scarso apprezzamento da parte di Cice- rone; cfr anche al § 66 uersiculi. 64-66. Sphaera, cylindrus, epigramma, basis: grecismi tecnici, propri dei trattati, ma d’uso anche letterario. 65. a porta sacra Cyanae (ninfa connessa con il culto di Proserpina, che diede il nome a una fonte presso Siracusa): Giusta (correzione