II 5 La mitezza di Marco si manifestò anche nel comportamento ver-
00. La composizione delle Tusculanae, avvenuta con ogni probabili-
tà fra l’estate e l’autunno del 45 a.C.1, almeno per quel che riguarda la
maggior parte dell’opera, cade in un periodo particolarmente travagliato e difficile della vita di Cicerone. Dopo le vittorie di Tapso (6 aprile 46 a.C.) e di Munda (17 marzo del 45) Cesare aveva dato un colpo decisivo alle residue speranze dei Pompeiani e dei repubblicani e la sua dittatura appariva ai loro occhi sempre più avviata a chiudere ogni spazio al libero confronto e al libero dibattito politico. Scriven- do infatti all’amico L. Papirio Peto (fam. 9,16,3-5), Cicerone confida- va di preferire in tali circostanze un prudente silenzio: «Mentre prima pensavo di poter parlare liberamente in una città, la cui libertà era opera mia, ora, dopo la sua perdita, ho capito che non dovrei dire nulla che possa offendere lui e i suoi uomini [ …] Non dovrei senza giudizio e senza riflessione parlare contro i più forti, perché anche questo, a mio avviso, è dovere del saggio»2. È ben comprensibile quanto
costasse quel silenzio ad un uomo che, nato per l’agone politico, aveva fatto dell’eloquenza uno strumento di lotta e di affermazione perso- nale; ripensare al passato e servire ora la repubblica solo con la scienza
1 La cornice drammatica invece presuppone che le cinque giornate di discussioni si
siano tenute nella villa di Cicerone a Tuscolo in occasione della visita di alcuni amici fra il 16 e il 20 giugno di quell’anno, vd. P. Groebe in Drumann-Groebe, Geschichte Roms, 6, Leipzig 1929², 300 n. 12; diversamente O.E. Schmidt, Der Briefwechsel des M. Tullius Cicero, Leipzig 1892, 57 sposta la data delle discussioni fra il 20 e il 24 luglio. Propone di interpre- tare quest’opera ciceroniana non come un trattato di filosofia greca in latino, ma piuttosto come «a Roman drama in education, with a strong political subtext» I. Gildenhard, Paideia
Romana. Cicero’s Tusculan Disputations, Cambridge Univ. Press 2007, 4.
2 Ecco il testo latino: ut enim olim arbitrabar esse meum libere loqui, cuius opera esset in
ciuitate libertas, sic ea nunc amissa nihil loqui quod offendat aut illius aut eorum qui ab illo diliguntur uoluntatem [...] reliquum est ne quid stulte, ne quid temere dicam aut faciam contra potentis: id
(fam. 9.2.5)3 non era la stessa cosa che servirla in senato e nel foro. È
stato acutamente osservato che nel Brutus, dialogo composto nella prima metà del 46 a.C. e pieno delle gravi inquietudini del momento, Cicerone «proponendosi di delineare la storia dell’eloquenza romana, ne aveva di fatto celebrato l’elogio funebre»4. A lui, che si adoperava
di continuo per il rientro di esuli amici5 ed era nel frattempo tornato
all’attività oratoria e forense6), pesava moltissimo l’inattività forzata, 3 Lettera inviata da Roma all’amico Varrone verso la metà di aprile del 46 a.C.: modo
nobis stet illud, una uiuere in studiis nostris, a quibus antea delectationem modo petebamus, nunc uero etiam salutem [ …] si nemo utetur opera nostra, tamen et scribere et legere politeiva et, si minus
in curia atque in foro, at in litteris et libris, ut doctissimi ueteres fecerunt, nauare rem publicam et de moribus ac legibus quaerere. Si tenga presente anche l’amara allusione alla propria inattività politica fatta in Tusc. 3,83 superest enim nobis hoc, cuicuimodi est, otium. Sulle strategie ciceroniane della ‘comunicazione persuasiva’ vd. N. Jackob, Öffentliche Kommunikation bei Cicero. Publizistik
und Rhetorik in der späten römischen Republik, Baden-Baden 2005, spec. 176 ss. e 203 ss.
4 Vd. E. Narducci, La storia dell’eloquenza romana nel ‘Brutus’, saggio intr. a Cicerone,
Brutus, Milano 1995, 6 = Cicerone e l’eloquenza romana. Retorica e progetto generale, Roma-Bari 1997, 98: è la tesi di fondo sostenuta da R. Haenni in un lavoro in gran parte invecchiato,
Die literarische Kritik in Ciceros ‘Brutus, Diss. Freiburg, Sarnen 1905, 52: «Cicero’s Brutus ist in gewissem Sinne die grosse politische Grabrede auf die eloquentia Romana, die wie alle Grabreden mehr die Licht- als die Schattenseiten hervorkehrt und über dem Weihrauch und den Lobeshymnen die ohne Zweifel vorhandenen Fehler und Mängel vergisst».
5 Non sempre con successo; si pensi al caso di Nigidio Figulo che, malgrado il suo
interessamento, morirà in esilio nel 45 a.C.; vd. fam. 4.13.3 «Io che un tempo potevo aiutare non solo persone sconosciute, ma perfino colpevoli, ora non posso nemmeno promettere un favore al dottisimo e onestissimo Publio Figulo, un tempo così influente e certo il più grande degli amici».
6 Nel settembre del 46 a.C. con la Pro Marcello; nel mese intercalare fra novembre e
dicembre del 46, anno che durò ben 445 gg. secondo il nuovo calendario giuliano, con la
Pro Ligario. Sui giudizi della critica circa le vere finalità perseguite nella Pro Marcello da Cicerone, problema tuttora aperto, fa il punto Antonella Tedeschi, Lezione di buon governo
per un dittatore. Cicerone, Pro Marcello: saggio di commento, Bari 2005, 16 ss. (da integrare con le osservazioni del recensore P. M. Martin, «RÉL» 83, 2005, 324-326); da tener presenti inoltre G. Dobesch, Politische Bemerkungen zu Ciceros Rede ‘Pro Marcello’, in «Römische Geschichte, Altertumskunde und Epigraphik», Festschrift A. Betz, hrsg. v. E. Weber u. G. Dobesch, «Arcäologisch-epigraphische Studien» 1, Wien 1985, 151-231; F. Gasti, Cicerone.
Orazioni cesariane : Pro Marcello, Pro Ligario, Pro rege Deiotaro, Milano BUR 1997 = 2001³, 21-36 ; H.C. Gotoff, Cicero’s Caesarian Orations, in «Brill’s Companion to Cicero», ed. by J.M. May, Leiden-Boston-Köln 2002, 224-235; A. Kerkhecker, Priuato officio, non publico.
Literaturwissenschaftliche Überlegungen zu Cicero’s ‘Pro Marcello’, in «Klassische Philologie ‘inter disciplinas’», hrsg. von J. P. Schwindt, Heidelberg 2002, 93-149, spec. 122-127; non mi è stata accessibile la dissertazione di C.E. Ramos, Politics and Rhetoric. Studies in Cicero’s Caesarian
Speeches, Univ. of Texas at Austin 1994. Sullo scambio epistolare di Cicerone con M. Claudio Marcello e sulle congratulazioni come politeness strategy vd. J. Hall, Politeness and
Politics in Cicero’s Letters, Oxford 2009, 44 ss.; sulle pressioni da lui esercitate sull’ex console per convincerlo a rientrare dal volontario esilio di Mitilene in una «sia pur deteriore» res
l’emarginazione dalla politica attiva, il sentirsi inutile, perché nessuno ricorreva al suo consiglio e al suo aiuto. Cicerone d’altra parte si mo- strava preoccupato grandemente non tanto per la propria incolumità personale, poiché di fatto poteva godere dei benefici della clementia
Caesaris7, quanto per la difesa della sua dignitas, del suo buon nome8, e
per certi atteggiamenti del dittatore, contrastanti con un’illusione col- tivata con tenacia dentro di sé, cioè la possibilità di ripristinare in qualche modo la repubblica9. Il dopo Munda sancì invece il tramonto
publica vd. P. Li Causi, Strategie per un ritorno. Il ‘gioco’ della persuasione e la rappresentazione
dell’esilio nelle Epistulae ad Marcellum di Cicerone, in «Clementia Caesaris. Modelli etici, parenesi e retorica dell’esilio» a cura di G. Picone, Palermo 2008, 105-127; sulla particolare abilità mostrata da Cicerone nel mettere in luce ‘i pregi di Marcello’ di fronte a Cesare vd. G. Picone, Il paradigma Marcello. Tra esilio e Clementia Caesaris, ibid., 63-81, in part. 70 ss. (l’autore evidenzia anche «il ribaltamento del ritratto ciceroniano di Marcello» operato da Seneca (77 ss.). Sulle novità contenutustiche e formali dell’orazione M. von Albrecht,
Ciceros Rede für Marcellus. Epideiktische und nicht-epideiktische Elemente, in «Die Antike in literarischen Zeugnisse», hrsg. v. P. Neukam, München 1988, 7-14; Cicero’s Style. A Synopsis
Followed by Selected Analytic Studies, Leiden 2003, 161-174 (172 «clementia is not the pivotal theme of the De Marcello»; 173 «distinct oratorical intentions or attitudes coexist. The same is true of the corresponding styles - epideictic, forensic, political»); Gotoff, Cicero’s
Caesarian Speeches. A Stilistic Commentary, Chapel Hill-London 1993, Introd. XXX-XXXII e
passim; P. MacKendrick, The Speeches of Cicero, London 1995, 406-421.
7 Vd. fam. 9,17,1 s. (a L. Papirio Peto, agosto-settembre 46 a.C.) de lucro prope iam
quadriennium uiuimus, si aut hoc lucrum est aut haec uita, superstitem rei publicae uiuere … nihil tamen timeo. Fruor, dum licet, opto ut semper liceat; si id minus contigerit, tamen, quoniam ego uir fortis idemque philosophus uiuere pulcherrimum duxi, non possum non diligere, cuius beneficio id consecutus sum. Sul problema della clementia Caesaris oltre al volume curato da Picone e citato alla nota precedente vd. anche M. Sabine Rochlitz, Das Bild Caesars in Ciceros Orationes Caesarianae. Untersuchungen zur clementia und sapientia Caesaris, Frankfurt am Main - [...] - Wien 1993, 92-115.
8 Vd. fam. 9.16.6 a Peto: «In effetti, poiché la storia dei Greci ci mostra in abbondanza
come i più saggi si siano adattati alla tirannia ad Atene [Socrate] e a Siracusa [Platone] e pur in tali circostanze si siano mantenuti liberi, perché non dovrei sperare di salvaguarda- re il mio stato, in modo da non offendere nessuno e da non compromettere la mia dignità?». Sui tentativi di Cicerone di riguadagnare credito e prestigio presso l’opinione pubblica vd. J.M. May, Trials of Character. The Eloquence of Ciceronian Ethos, Chapel Hill and London 1988, 88 ss.; E. Doblhofer, Exil und Emigration. Zum Erlebnis der heimatferne in der
römischen Literatur, Darmstadt 1987, 245; J. Nicholson, Cicero’s Return from Exile, New York [...] Paris 1992, spec. 35 ss. (Cicerone cerca di identificare la sua vicenda personale e il ripristino del proprio prestigio con quello dello stato).
9 Ne aveva parlato in due lettere, una è la già citata fam. 9.17.2 s. a Peto: «Ammettiamo
che egli voglia la repubblica e che la voglia secondo un disegno che va bene a lui e a noi, non ha tuttavia il potere di realizzarla; a troppi si è legato … sappi che non solo io, che son fuori dei centri decisionali, ma neppure lo stesso princeps sa che cosa accadrà»; l’altra è quella inviata a Publio Servilio Isaurico, allora governatore d’Asia, fam. 13,68 del 2 settem- bre 46: «Mi sembra che si possa sperare che il nostro collega [cioè Cesare che, come loro,
definitivo di queste speranze e di un’altra illusione, da Cicerone fatta trasparire in maniera un po’ sibillina in un passo della Pro Marcello 9.27 (forse pensando a Silla?), che cioè Cesare, una volta sistemate le cose della res publica, potesse ritirarsi a vita privata: «Tale compito ti attende e a questo obiettivo bisogna mirare per riordinare la repub- blica e, godendo della propria opera, poter trascorrere il resto della vita in tutta pace e riposo»10.