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Gli studi epidemiologici hanno stimato che due terzi delle neo mamme assumono almeno un medicinale durante le prime settimane dopo il parto [Schirm E, 2004; Schiavetti B, 2005]. Emerge da un’indagine effettuata nel 2004 in Italia, che degli oltre 11.000 farmaci disponibili sul mercato nazionale, l’80% era controindicato durante l’allattamento secondo i foglietti illustrativi delle confezioni, mentre solo per il 2% era stato formulato un chiaro profilo di sicurezza [Addis A, 2004; Davanzo R, 2005].

Quanto alle raccomandazioni e alle indicazioni sulla sicurezza espresse sui singoli farmaci da organizzazioni o società scientifiche nazionali o internazionali, non è rara l’evenienza che non siano univoche, la qual cosa, per un principio di cautela, conduce l’operatore alla presunzione di un rischio [Sachs HC, 2013]. L’uso dei farmaci rappresenta una controindicazione all’allattamento al seno solo quando esistano prove documentate in merito.

I farmaci assunti dalla madre passano in genere nel latte materno e la loro concentrazione varia secondo le concentrazioni nel sangue della madre, ma anche secondo le caratteristiche del farmaco (per esempio l’emivita, il peso molecolare, il legame con le proteine, la liposolubilità, il grado di ionizzazione e la farmacocinetica) [Ito S, 2000; Sachs HC, 2013]. In genere, più è basso il peso

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molecolare di un farmaco e maggiore sarà la probabilità che sia escreto nel latte materno, semplicemente perché è più facile il passaggio attraverso le cellule epiteliali degli alveoli mammari. Va tenuto presente che gli spazi tra i lattociti sono più permeabili nei primissimi giorni dell’allattamento e che questo è quindi il momento in cui la probabilità del passaggio è massima. I farmaci circolano per la maggior parte nel plasma materno legati all’albumina e solo la quota libera passa nel latte; perciò i farmaci con un elevato legame proteico nel plasma materno quasi invariabilmente hanno basse concentrazioni nel latte [Auerbach KG, 1999; Giusti A, 2012].

3.7 Il problema dell’autoprescrizione

I medicinali di automedicazione, per la loro composizione e il loro obiettivo terapeutico, sono concepiti e realizzati per essere utilizzati senza l’intervento di un medico per la diagnosi, la prescrizione o la sorveglianza nel corso del trattamento. Questi farmaci sono utilizzati per lo più nel trattamento di affezioni dolorose minori risolvibili dal paziente stesso.

La propensione all’automedicazione è nettamente in ascesa: secondo l’ultimo rapporto sull’uso dei farmaci in Italia redatto dall’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OSMED) da parte dell’AIFA la spesa per i farmaci per l’automedicazione da gennaio a settembre 2013 è cresciuta del 9,0% [Rapporto OSMED Gen-Set 2013]. Secondo l’International Union of Pharmacology (IUPHAR) i cosiddetti farmaci da banco rappresentano il 7% delle vendite totali di farmaci e provocano il 2% di tutte le ADR [IUPHAR, 2000].

I rischi dell’autoprescrizione sono associati all’uso errato (durata o dosaggi non idonei) o all’abuso del farmaco (uso del medicamento per scopi non medici); inoltre, un farmaco autoprescritto potrebbe includere un potenziale ritardo del trattamento di condizioni mediche serie, il mascheramento dei sintomi e l’interazione con altri farmaci assunti dal paziente [Hughes CM et al, 2001]. Steward e colleghi [1994] hanno evidenziato che nel 76% dei casi non c’era corrispondenza tra quanto

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prescritto dal medico e quanto attuato dal paziente, un terzo di tali discrepanze riguardava l’assunzione di farmaci di autoprescrizione all’insaputa del medico. È di notevole importanza ricordare che la crescita dell’autonomia comportamentale non deve ridurre l’importanza della prescrizione del medico. Un uso corretto e responsabile del farmaco costituisce un punto di fondamentale importanza per curare qualsiasi patologia, grave o meno che sia.

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Un aspetto spesso sottovalutato è l’impatto che hanno le reazioni avverse da farmaci nella pratica clinica. Questa valutazione è evidentemente collegata alla frequenza con cui esse avvengono. Determinare l’incidenza delle reazioni avverse da farmaci non è affatto semplice per diversi motivi tra i quali: la difficoltà di confronto tra gli studi pubblicati, le differenze dell’esposizione a farmaci nelle diverse popolazioni o i differenti metodi o setting di rilevazione delle stesse. In merito ai diversi setting di rilevazione bisogna distinguere l’ambito extra- ospedaliero e quello ospedaliero.

Le ADR posso essere prevedibili, potenzialmente evitabili, insorgere al domicilio del paziente, richiedere il ricorso a un Pronto Soccorso o al ricovero in ospedale; possono essere di diversa gravità e anche fatali; comportano inoltre rilevanti costi sociali ed economici.

Tra il 1998 e il 2005 le segnalazioni di ADR gravi raccolte dalla FDA [Moore TJ et al, 2007] sono aumentate di 2,6 volte (da circa 35.000 a quasi 90.000) e il loro incremento è stato 4 volte più rapido di quello del numero totale di prescrizioni. Nello stesso periodo le ADR fatali sono aumentate di 2,7 volte (da poco più di 5500 a oltre 15.000).

Le cause di tale aumento sono principalmente tre:

1. sono oggi disponibili numerosi farmaci per curare i pazienti. Negli Stati Uniti è stato documentato che il 54% circa delle visite mediche si conclude con la prescrizione di un farmaco [Schappert SM, 1999] e che nel 2000 sono state effettuate 2,8 miliardi di prescrizioni, pari a circa 10 prescrizioni a persona [National Association of Chain Drug Stores, 2001]. In Italia, le dosi di farmaco prescritte giornalmente sono salite da 714 ogni 1000 persone nel 2002 a 881 ogni 1000 persone nel 2007 [Rapporto OSMED 2007].

2. Attualmente vengono impiegate molte associazioni e le interazioni tra farmaci rappresentano la causa più frequente di insorgenza di ADR [Aronson JK et al, 2006]; queste, infatti, aumentano in maniera esponenziale quando un paziente riceve 4 o più farmaci contemporaneamente [Jacubeit T et al, 1990].

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3. Il progressivo allungamento della vita media incrementa il numero di pazienti affetti da patologie. Sono i pazienti anziani quelli che maggiormente assumono farmaci. È stato dimostrato che negli Stati Uniti oltre il 40% degli anziani assume 5 o più differenti farmaci e che il 12% ne assume 10 o più [Williams ME et al, 2004]. In Italia oltre il 61% delle dosi definite prescritte giornalmente è riservato alla fascia di popolazione geriatrica [Rapporto OSMED 2007]. L’allungamento della vita media crea inoltre un substrato progressivamente variegato di esposizione ai farmaci rispetto sia a quello studiato nei trial clinici sia al setting della pratica medica di pochi anni addietro, per cui anche i farmaci ben noti e in commercio da anni risultato problematici da gestire.

L’aumento delle segnalazioni raccolte dalla FDA, inoltre, è stato influenzato da relativamente pochi farmaci: l’87% delle ADR è stato causato da 298 (20%) dei 1489 farmaci individuati [Moore TJ et al, 2007].

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