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L’Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo e l’epurazione nell’Italia regia

III – I processi di epurazione delle autorità italiane Dai giudizi della Commissione ministeriale per l’epurazione del personale

1. L’Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo e l’epurazione nell’Italia regia

Il percorso per giungere all’elaborazione di una legislazione organica sull’epurazione da parte del governo italiano è lungo e accidentato. Dai Quarantacinque giorni, al primo decreto legge del dicembre 1943, fino alla liberazione di Roma (4 giugno 1944), non si nota un impegno sistematico del governo. Solo con l’esclusione di Badoglio

dall’esecutivo, che venne così formato dai sei partiti ciellenistici (PLI, DC, PDL, PdA, PSIUP, PCI) furono create istituzioni che potessero approcciarsi all’opera di defascistizzazione in maniera seria ed efficace.

i. I primi inefficaci provvedimenti

Durante il primo governo Badoglio gli interventi in materia di epurazione furono sporadici e dettati da esigenze di opportunità politica5. Certune iniziative in quel campo furono prese da quei ministri che avvertivano l’esigenza di un rinnovamento della società italiana: così, il ministro dell’Educazione Nazionale Leonardo Severi, oltre a sostituire i rettori fascisti delle maggiori università italiane con provati antifascisti, aveva progettato l’istituzione di una Commissione d’epurazione universitaria. Questa doveva essere composta da Guido De Ruggiero, Adolfo Omodeo, Piero Calamandrei, Alberto Breglia e Giovanni Sansone6, e risulta che si sia riunita qualche volta nell’agosto 19437, ma non riuscì mai ad avviare il proprio lavoro a causa degli eventi scatenatisi dopo l’8 settembre. A seguito della Dichiarazione sull’Italia rilasciata dai ministri degli Esteri alleati alla Conferenza di Mosca (19-30 ottobre 1943) si nota un maggiore impegno da parte del governo nel campo della defascistizzazione: dalla circolare del 4 novembre 1943 con la quale si demandava la responsabilità dell’epurazione ai prefetti8, Badoglio diramava una direttiva il 15 dello stesso mese, indicando che avrebbero dovuto essere rimossi dalla pubblica amministrazione quei dipendenti che riportavano le qualifiche di squadrista, antemarcia o sciarpa littorio.

Il 28 dicembre 1943 venne poi approvato il primo decreto legge sull’epurazione (R.D.L. 28 dicembre 1943, n.29-B in materia di Defascistizzazione delle amministrazioni dello Stato, degli enti locali e parastatali, degli enti comunque sottoposti a vigilanza o tutela dello Stato e delle aziende private esercenti pubblici servizi o di interesse nazionale) con il quale si intendeva sottoporre a giudizio «gli appartenenti alle amministrazioni civili e militari dello Stato, degli enti locali e parastatali» e i dipendenti delle aziende private       

5 Cfr. Woller, I conti con il fascismo, pp. 31-58.

6 I primi tre illustri docenti, di cui si è già ampiamente detto nel precedente capitolo, insegnavano

rispettivamente Storia della filosofia all’Università di Roma, Storia del cristianesimo all’Università di Napoli e Diritto processuale civile all’Università di Firenze. Breglia e Sansone, che non sono stati ancora citati, tenevano rispettivamente le cattedre di Economia politica all’Università di Roma e Analisi algebrica

e infinitesimale all’Università di Firenze.

7 Cfr. P. Calamandrei, Diario, vol. II (1942-45), Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2015, p. 183.

Calamandrei registra come questa si sia riunita in due occasioni presso il Ministero dell’Educazione Nazionale, il 10 e il 25 agosto.

esercenti servizi pubblici che, «avendo militato nel partito fascista, abbiano avuto qualifica di squadrista, marcia su Roma, gerarca o sciarpa littorio»9. Il provvedimento si rivelò un «fiasco completo»10 per la tenace ostruzione della burocrazia, per il caos generale e la disorganizzazione presenti nel Regno del Sud, e soprattutto per la mancanza di un organo centrale adibito all’epurazione. Infatti, l’esame e la rimozione dei dipendenti pubblici erano affidati ai Ministeri, il cui personale, a partire dagli stessi ministri, spesso si era ampiamente compromesso con il fascismo negli anni precedenti: l’epurazione del personale universitario era così prerogativa del ministro dell’Educazione Nazionale Giovanni Cuomo11, il quale non la considerava di certo una priorità nella propria agenda. In febbraio poi, venne creata la carica di “Alto commissario per la epurazione nazionale dal fascismo”, che fu affidata a Tito Zaniboni. Sebbene la figura di Zaniboni fosse prestigiosa (socialista fin da giovane, eletto deputato nel 1919, aveva scontato 18 anni in carcere per aver organizzato un attentato contro Mussolini nel 1925), egli non aveva nessuna esperienza di un incarico di quel genere, né le capacità organizzative necessarie a ricoprirlo. Per di più non vennero emanate disposizioni che regolamentassero i poteri dell’Alto commissario, il cui ruolo rimaneva quindi non ben definito.

Per assistere a qualche risultato bisogna attendere fino alla primavera, quando l’orizzonte politico cominciò a mutare: ne furono indice l’annuncio del ritiro a vita privata di Re Vittorio Emanuele III, con il figlio Umberto che acquisiva la funzione di luogotenente generale del regno, e la cosiddetta «svolta di Salerno»12 che portò il 22 aprile 1944 alla formazione del secondo governo Badoglio con la partecipazione di tutti i partiti ciellenistici.

In questo periodo furono emanate due nuovi leggi sull’epurazione, che davano maggiori garanzie di efficacia, anche perché le cariche ai vertici dell’apparato epurativo vennero affidate a personalità di primo piano, seriamente intenzionate ad avviare una sistematica opera di defascistizzazione del Paese.

      

9 R.D.L. 29-B/1943, art. 1.

10 Woller, I conti con il fascismo, p. 126.

11 Cuomo dopo l’8 settembre faceva le veci di Severi (il quale era rimasto a Roma) come sottosegretario;

venne poi nominato ministro in febbraio.

12 Sulla svolta di Salerno è disponibile una cospicua letteratura; si vedano, fra gli altri: M. Spagnoletti (a

cura di), Togliatti e C.L.N. del Sud. La svolta di Salerno nei verbali della Giunta Esecutiva Permanente, Roma, Sapere 2000, 1996; P. Salvetti Palazzi, Alcune considerazioni sul PCI e la svolta di Salerno, in «Storia e politica», a. 12, n. 2, 1973, pp. 306-318; A. Lepre, La svolta di Salerno, Roma, Editori Riuniti, 1966.

Con il R.D.L 12 aprile 1944, n. 101 venne istituita una Commissione unica per l’epurazione, presieduta dapprima dal ministro degli Interni Vito Reale, e successivamente dal ministro dell’Educazione Nazionale (che proprio in quel periodo veniva rinominata Pubblica Istruzione) Adolfo Omodeo. Questa Commissione, che cominciò i propri lavori alla fine di maggio con giurisdizione sull’Italia regia (allora formata dalla Sicilia, dalla Sardegna e dai territori continentali a sud della linea Salerno- Potenza-Bari) promosse il licenziamento di sei professori ordinari dell’Università di Bari e di un ordinario sia all’Università di Cagliari che a quella di Sassari, mentre non prese in esame le università siciliane, già epurate dal Governo Militare Alleato.

Parallelamente, con il R.D.L. 26 maggio 1944, n. 134 veniva istituito un “Alto commissariato per la punizione dei delitti e degli illeciti del fascismo”, che andava a sostituire l’analogo organo diretto fino a quel momento da Zaniboni, e che aveva il compito di eseguire le indagini e di avviare i processi penali contro gli ex fascisti che sarebbero stati giudicati da tribunali speciali istituiti presso tutti i distretti di corte d’appello. La carica veniva assegnata al conte Carlo Sforza, rientrato in Italia dopo un esilio ventennale, il quale scelse come proprio vice l’azionista Mario Berlinguer.

Finalmente la macchina dell’epurazione cominciava ad avviarsi. Con la liberazione di Roma il 4 giugno 1944, si aprirono nuovi scenari, che portarono alla formazione del governo Bonomi, con la definitiva esclusione di Badoglio dalla scena politica. Questo governo emanò un decreto sull’epurazione che si sostituiva a tutti i precedenti pronunciamenti, con il quale si poté intraprendere una volta per tutte il processo epurativo: il D.L.L. 27 luglio 1944, n. 159 in materia di Sanzioni contro il fascismo.

ii. Il Decreto Legislativo Luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159 e l’effettivo avvio dell’epurazione della pubblica amministrazione italiana

La legge sulle Sanzioni contro il fascismo raccoglie e si sostituisce, integrandoli, ai tre decreti fino a quel momento varati dal governo italiano: quello del dicembre 1943 sulla defascistizzazione delle amministrazioni pubbliche, quello dell’aprile 1944 che istituiva la Commissione unica, e quello del maggio 1944 sulla punizione dei crimini fascisti. Il maggior pregio di questa legge era senz’altro quello di comprendere in un unico testo l’intera normativa sull’epurazione, riformulandola in maniera semplice e immediata, al contrario dei decreti precedenti che erano di difficile comprensione e spesso confliggevano fra loro. Inoltre questa legge si armonizzava con le disposizioni del Governo Militare, in modo che alla riconsegna dei territori occupati alla giurisdizione

italiana, il lavoro di epurazione che vi era stato svolto non sarebbe stato del tutto vano: veniva infatti previsto il rinvio a giudizio automatico di tutti quei funzionari già epurati dagli Alleati, riuscendo così a salvarne, almeno parzialmente, l’opera.

Il decreto, in sei titoli, poneva alla testa dell’intero apparato epurativo l’Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo che «dirige ed invigila l'opera di tutti gli organi a mezzo dei quali si adempiono le sanzioni contro il fascismo»13. Guidato dal conte Carlo Sforza, l’Alto commissariato era suddiviso in quattro sezioni, ciascuna presieduta da un Alto commissario aggiunto: Mario Berlinguer (PdA) era preposto alla punizione dei delitti fascisti, Mauro Scoccimarro (PCI) all’epurazione della pubblica amministrazione, Pier Felice Stangoni (PSIUP) alla liquidazione dei beni fascisti, e Mario Cingolani (DC) all’avocazione dei profitti di regime.

Per quanto riguarda la punizione dei delitti fascisti, venivano posti sotto processo «i membri del governo fascista e i gerarchi del fascismo, colpevoli di aver annullate le garanzie costituzionali, distrutte le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesse e tradite le sorti del Paese condotto alla attuale catastrofe»14 che dovevano essere giudicati da un’Alta corte di Giustizia, formata da un presidente e otto membri nominati dal Consiglio dei ministri15. Le pene comminabili potevano variare dall’ergastolo alla pena di morte nei casi più gravi. Invece gli squadristi, coloro i quali «hanno promosso o diretto l'insurrezione del 28 ottobre 1922», quelli che «hanno promosso o diretto il colpo di Stato del 3 gennaio 1925 e coloro che hanno in seguito contribuito con atti rilevanti a mantenere in vigore il regime fascista»16 venivano giudicati, a seconda della rispettiva competenza, dalle corti d'assise, dai tribunali o dai pretori, secondo il Codice penale del 1889. Veniva poi punito a norma del Codice penale militare di guerra chi «posteriormente all'8 settembre 1943, abbia commesso o commetta delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato»17 o chi avesse collaborato con i tedeschi.

      

13 D.L.L. 27 luglio 1944, n. 159, art. 41. 14 Ivi, art. 2.

15 Sull’attività dell’Alta corte di Giustizia, inaugurata ufficialmente il 18 settembre 1944 con un linciaggio,

proseguita nel marzo 1945 con la fuga di uno dei principali imputati, il generale Mario Roatta, e terminata con un bilancio fallimentare e con la sua soppressione il 5 ottobre 1945, si vedano, fra gli altri: Woller, I

conti con il fascismo; R.Canosa, Storia dell'epurazione in Italia: le sanzioni contro il fascismo 1943-1948,

Milano, Baldini & Castoldi, 1999; R.P.Domenico, Processo ai fascisti. 1943-1948: Storia di un'epurazione

che non c'è stata, Milano, Rizzoli, 1996; L.Mercuri, L'epurazione in Italia. 1943-1948, Cuneo, L'arciere,

1988.

16 Ivi, art. 3. 17 Ivi, art. 5.

Sicuramente il più attivo degli Alti commissari aggiunti fu il comunista Scoccimarro che sopraintendeva l’epurazione della pubblica amministrazione. Erano soggette all’epurazione le amministrazioni civili e militari dello Stato, gli enti locali, gli istituti pubblici, le aziende speciali dipendenti da amministrazioni ed enti pubblici, e le aziende concessionarie di pubblici servizi. Attraverso l’istruzione di procedimenti amministrativi, venivano dispensati dal servizio «coloro che, specialmente in alti gradi, col partecipare attivamente alla vita politica del fascismo o con manifestazioni ripetute di apologia fascista, si sono mostrati indegni di servire lo Stato» e anche quelli che «nei gradi minori, hanno conseguito nomine od avanzamenti per il favore del partito o dei gerarchi fascisti»18. Venivano dispensati dal servizio anche i dipendenti pubblici che avessero dato prova di faziosità o malcostume fascista, così come i fascisti della prima ora (individuabili dalle qualifiche di squadrista, sansepolcrista, antemarcia, marcia su Roma, sciarpa littorio) e gli ufficiali della MVSN, che comunque potevano ricevere una sanzione minore (sospensione temporanea o censura19) nel caso in cui non avessero dato prova di settarietà o intemperanza fascista. Dovevano infine essere epurati gli impiegati che dopo l’8 settembre 1943 avessero giurato fedeltà al governo fascista repubblicano o prestato ad esso la propria opera, e coloro i quali avessero collaborato con i tedeschi. Nei casi più gravi poteva anche essere disposta la perdita del diritto a pensione. Chi invece si fosse distinto nella lotta contro i tedeschi, poteva essere esentato da ogni tipo di sanzione. Infine, gli impiegati sottoposti a procedimento di epurazione potevano essere sospesi dall’ufficio in attesa di giudizio, con la corresponsione, a titolo alimentare, dello stipendio senza le indennità.

Il giudizio di epurazione veniva affidato in primo grado a commissioni costituite presso ciascun Ministero e composte da tre membri: un magistrato, un funzionario dell’amministrazione in causa e un terzo membro designato dall’Alto commissario. Era poi ammesso il ricorso in appello presso una Commissione centrale nominata dal Presidente del Consiglio. Nei dibattimenti fungeva da pubblico ministero (personalmente o per delega) l’Alto commissario, il quale aveva inoltre il potere di rinviare a giudizio gli epurandi e di presentare ricorsi presso la Commissione centrale.

Difetto evidente della legislazione era l’arbitrarietà che veniva lasciata alle commissioni: se, ad esempio, nel caso di un parlamentare o di un gerarca la «partecipazione attiva alla       

18 Ivi, art. 12.

19 La censura era una sorta di nota di demerito contro un pubblico dipendente. Non risulta che questa abbia

vita politica» era facilmente riscontrabile20, veniva invece lasciata alla soggettività dei giudici la definizione di «manifestazioni ripetute di apologia fascista», di «settarietà o intemperanza fascista», o ancora di faziosità e malcostume. Poi, l’accanimento contro i fascisti della prima ora, identificati attraverso le varie qualifiche (di squadrista, sansepolcrista, antemarcia, ecc.) appare un sistema molto parziale per individuare i funzionari «indegni di servire lo Stato»: molti, per esempio, potevano avere aderito precocemente al fascismo in giovane età (e questo poteva in qualche modo scusarli), per poi maturare in seguito un atteggiamento differente. Ma d’altro canto questi difetti nella legislazione erano inevitabili, volendo dare una veste giuridica a provvedimenti dettati da necessità politiche.

Altra carenza molto grave era la mancanza di una specifica attenzione volta a rimuovere dal corpo dello Stato, o a punire penalmente, i promotori e i sostenitori della campagna antisemita del 1938. Anzi, di essa non viene fatta parola nell’intero testo legislativo, né le cariche all’interno degli istituti che si occuparono della persecuzione degli ebrei (come l’Istituto per la demografia e per la razza) compaiono fra quelle per le quali era prevista la rimozione dall’incarico. Nei procedimenti di epurazione, la pubblica adesione alla campagna razziale venne sommariamente ascritta a una generica manifestazione di apologia fascista, senza prospettare alcuna aggravante, mentre un diretto coinvolgimento nelle persecuzioni contro gli ebrei veniva inquadrato nell’imputazione di «attiva partecipazione alla vita politica del fascismo». Questo la dice lunga sul perdurare di un sentimento di antisemitismo, o comunque dell’insensibilità nei confronti del dramma vissuto dagli ebrei italiani nel 1938, e ancor più sotto l’occupazione tedesca, anche negli anni della transizione al post fascismo.

Il giorno seguente alla promulgazione del decreto, il 28 luglio 1944, gli Alleati promossero un accordo con il governo Bonomi, secondo il quale, al ritorno dei territori liberati sotto la sovranità italiana, tutti i pubblici dipendenti che erano stati epurati dall’AMG dovevano essere automaticamente deferiti alle Commissioni ministeriali. In questo modo si riusciva a fornire eque garanzie legali anche a quelli che erano stati epurati prima della promulgazione di questo decreto, e si tentava al contempo di salvare il lavoro fatto dal Governo Militare Alleato che rischiava di divenire del tutto vano. Ad ogni modo, ciascun singolo caso fino a quel momento vagliato dall’AMG doveva essere riaperto, dibattuto e giudicato nuovamente dalle commissioni italiane, che potevano anche       

20 Anche se, spesso, si ritrovano parlamentari e ministri che si difendono giustificando come tecnica e non

prosciogliere pubblici dipendenti in precedenza epurati. Andavano incontro allo stesso destino anche quei funzionari che si erano trovati entro i confini dell’Italia regia e che erano stati epurati alla lettera del R.D.L. 29-B/1943. Al contrario, coloro i quali erano fino a quel momento scampati all’epurazione potevano ancora venire deferiti alle Commissioni ministeriali dai delegati che l’Alto commissario inviava in ogni provincia. Sebbene vi fossero diversi professori che si erano macchiati di “delitti fascisti” e che quindi sarebbero stati giudicati in processi penali paralleli da corti d’assise straordinarie o finanche dall’Alta corte di Giustizia, l’epurazione delle università ricadeva nella categoria della defascistizzazione delle pubbliche amministrazioni, sottoposta all’autorità dell’Alto commissario aggiunto Mauro Scoccimarro. Per giudicare quali docenti universitari si fossero resi «indegni di servire lo Stato» nel settembre 1944 venne costituita, presso il Ministero della Pubblica Istruzione, una Commissione d’epurazione del personale universitario, che andava ad affiancarsi ad altre tre commissioni: una preposta all’epurazione dell’amministrazione centrale, una per le scuole secondarie, una per le scuole elementari.

Fin da subito si verificarono varie difficoltà poiché la Commissione d’epurazione per il personale universitario cambiò ben tre presidenti prima di poter cominciare le proprie attività: prima l’avvocato Luigi Caliendo, poi il consigliere della Corte Suprema di Cassazione Michele Tomassi, e infine Andrea Lorusso Caputi, anch’egli consigliere della Cassazione. Come previsto dalla legge, la Commissione venne completata da due ulteriori componenti, che vennero individuati nell’ispettore superiore del Ministero Vittorio Marchese e in un terzo membro designato da Scoccimarro, lo storico Luigi Salvatorelli21. Quest’ultimo, da sempre antifascista, aveva insegnato Storia del cristianesimo all’Università di Napoli dal 1918 al 1921 quando aveva lasciato la cattedra per diventare condirettore de «La Stampa», fino al licenziamento avvenuto nel 1925 su iniziativa del governo fascista; nel 1942, infine, Salvatorelli era stato tra i fondatori del Partito d’Azione. Se il presidente Lorusso Caputi rimase membro stabile dall’inizio alla fine delle attività, la Commissione cambiò gli altri componenti diverse volte: già il 7 febbraio 1945 Salvatorelli venne sostituito da Umberto Calosso, altra bella figura di antifascista italiano che, esule fino all’ottobre 1944, verrà poi eletto alla Costituente nelle file del PSIUP, mentre il 7 aprile anche Vittorio Marchese venne rimpiazzato dal capo sezione del Ministero Nicola Mazzaracchio. Nel luglio 1945 la Commissione giunse alla sua       

21 Su Salvatorelli si veda A. D’Orsi, Salvatorelli storico (politico) del cristianesimo, in Storici e religione nel Novecento italiano, a cura di D. Menozzi e M. Montacutelli, Brescia, Morcelliana, 2011, pp. 371-401.

composizione ultima: sempre presieduta da Lorusso Caputi venne formata dall’ispettore superiore del Ministero Vincenzo Messina e dall’avvocato Natalino Patriarca, come membro designato dall’Alto commissario aggiunto. I tre commissari erano poi adiuvati dai segretari Guido Pafumi e Mario Di Domizio.

Generalmente i lavori della Commissione si svolgevano secondo quattro tappe. Innanzitutto si partiva dal deferimento degli epurandi, che avveniva su iniziativa dell’Alto commissariato, o d’ufficio nel caso di quei docenti già epurati dagli Alleati; si procedeva poi alla formulazione degli addebiti e all’impostazione dell’istruttoria che, teoricamente, spettavano all’Alto commissariato, ma che spesso dovettero essere perfezionati dai commissari. A questo punto, venivano notificati all’interessato gli addebiti di cui avrebbe dovuto rispondere: questi aveva dieci giorni di tempo (dalla ricezione della comunicazione) per far pervenire le sue deduzioni. Talvolta gli epurandi potevano essere direttamente interrogati dalla Commissione, che poteva anche avvalersi dell’ausilio di testi. Infine, i commissari giungevano alla deliberazione.

È molto interessante leggere i memoriali difensivi inviati alla Commissione dai docenti sottoposti a giudizio; in particolare notando come la maggior parte di questi cercava di edulcorare gli avvenimenti passati (o di falsificarli del tutto) nel tentativo di sfuggire all’epurazione22. Ha svolto una accurata analisi di questi «discorsi di discolpa» Giovanni Montroni in una recente pubblicazione23, quindi a noi basti evidenziare alcuni dei temi ricorrenti. Innanzitutto, quei docenti incolpati di aver rivestito incarichi politici durante il Ventennio, spesso si giustificavano affermando che le nomine a quelle cariche sarebbero derivate non dalla loro fedeltà politica al regime, ma dalla loro fama o preparazione scientifica, e che, nell’esercizio delle loro funzioni, avrebbero svolto un’attività tecnica e non politica; alcuni docenti dichiararono, perplessi, che a quelle cariche erano stati nominati a loro insaputa. Circa l’imputazione di apologia del fascismo, molti si difesero affermando che le loro presunte esternazioni apologetiche sarebbero state in realtà di tenore patriottico, oppure limitate ad un ambito scientifico, mentre altri (specialmente i