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L’AMD è la prima causa di perdita della capacità visiva nei paesi in via di sviluppo ed è generalmente associata a cambiamenti patologici nell’epitelio pigmentato della retina (EPR), nella membrana di Bruch (una matrice extra-cellulare ricca in collagene localizzata tra l’EPR e la vascolarizzazione coroidale) e nei capillari coroidali, che complessivamente possono condurre a disfunzioni e morte dei fotorecettori.

La patologia colpisce meno dell’1% della popolazione al di sotto dei 65 anni, oltre il 9% dei

soggetti oltre i 65 anni e più del 30% dei soggetti con più di 70 anni. Segni caratteristici della malattia sono le drusen, macchie giallastre rilevabili con l’analisi del fondo

oculare, se di dimensioni superiori a 125 µm; esse vengono classificate in “hard” o “soft” e mentre la prime possono anche essere correlate all’avanzamento dell’età, le altre sono generalmente associate al rischio e alla progressione dell’ADM. Le drusen tendono a localizzarsi preferenzialmente tra l’RPE e la membrana di Bruch e gli studi di proteomica hanno permesso di delinearne la composizione: esse contengono proteine, tra cui numerosi componenti del sistema del complemento e lipidi ricchi in colesterolo.

Si possono distinguere due fasi della malattia:

1) fase precoce, o ADM secca, caratterizzata dalla presenza di piccole macchie o da depigmentazione, causata dai prodotti dei fotorecettori e dell’epitelio del pigmento della

retina, i cui bordi definiti possono perire (atrofia geografica); 2) fase essudativa, indotta dalla formazione di nuovi grandi vasi sanguigni anomali, che

inducono il sanguinamento subretinale e la trasudazione di liquido, il quale, raccogliendosi sotto la retina, può condurre alla perdita della vista ed alla formazione di una cicatrice. Lo sviluppo della malattia è associato anche a fattori ambientali, epidemiologici e molti studi hanno evidenziato la correlazione tra anomalie del sistema del complemento e patogenesi, confermata anche da analisi istologiche che sottolineano la presenza di macrofagi, linfociti e fibroblasti sia in caso di lesioni atrofiche che di neovascolarizzazione della retina [41;42]. Numerosi esperimenti hanno focalizzato la loro attenzione sul ruolo svolto dal fH nell’insorgenza della patologia: infatti, sebbene le sede di espressione preferenziale sia il fegato, la sintesi della glicoproteina avviene anche nell’occhio ed in modo specifico nel nervo ottico, nel corpo ciliare e nell’epitelio pigmentato della retina. La presenza dei regolatori del complemento è fondamentale in questi distretti dove l’apporto sanguigno può esserne ridotto dalla barriera ematoencefalica [43;13].

Studi recenti hanno focalizzato l’attenzione anche sulla modulazione dello stress ossidativo operata dal fH a livello oculare: l’esposizione solare e l’elevato contenuto di ossigeno presente nella retina inducono la formazione di fosfolipidi ossidati (oxFLs) a cui si lega il fH e ciò si realizza soprattutto a livello dei fotorecettori ricchi in fosfatidilcolina e fosfolipidi, costituiti da acidi grassi polinsaturi. In assenza di alterazioni a carico del gene CFH, i livelli di stress ossidativo misurati nei soggetti sani risultano più bassi rispetto a quanto accade nei malati, in cui tali specie reattive possono condurre ad eventi di neovascolarizzazione.

Ciò porta a concludere che i disordini a carico del fH aumentano il rischio di sviluppare la patologia, dal momento che si riduce il controllo dello stress ossidativo e si registra un incremento dei processi infiammatori e di angiogenesi anomala.

Nel 2005 quattro studi caratterizzanti l’intero genoma (GWAS, Genome Wide Association Studies) hanno dimostrato che circa il 50% dei casi di AMD ereditaria potrebbe essere causata da un polimorfismo a singolo nucleotide (SNP) in un esone del gene CFH, che consiste in una sostituzione di base non sinonima (T C) e comporta la conversione dell’aminoacido Tirosina in una Istidina, a livello del codone 402 (Y402H).

Tale variante conferisce ai portatori una migliore difesa nei confronti degli organismi patogeni, dal momento che presentando una ridotta affinità verso il fH mutato, il sistema immunitario agisce più efficacemente nella loro rimozione. Tuttavia, a livello della retina la mutazione comporta conseguenze negative: la scarsa regolazione della via alternativa del complemento e l’esigua affinità per i fosfolipidi ossidati da parte del fH incrementano il danno oculare per l’eccessiva deposizione di C3b e per lo stress ossidativo [13].

E’ inoltre emerso che tale mutazione, in eterozigosi o in omozigosi, è responsabile della diminuzione dei livelli di fH nel plasma [41;44;45].

4. La purificazione delle proteine plasmatiche

4.1 Il frazionamento del plasma

Il plasma rappresenta la componente liquida del sangue che rimane dopo la separazione da eritrociti, leucociti e piastrine. Si tratta di un fluido giallo pallido che consiste per il 91% di acqua ed il 9 % di altre sostanze, quali proteine, ioni, nutrienti, gas e prodotti di degradazione. Le molecole più rappresentate sono le proteine plasmatiche che includono le immunoglobuline, l’albumina che svolge un ruolo fondamentale nella regolazione del passaggio di acqua tra i tessuti ed il sangue, le apolipoproteine coinvolte nel trasporto dei lipidi come le VLDL, LDL e HDL, la transferrina (il trasportatore del ferro) e i fattori della coagulazione.

Nei primi anni del 1900 nacque l’interesse per la purificazione delle proteine plasmatiche di origine umana a scopo terapeutico e nel 1951, E.J.Cohn ed i suoi collaboratori, proposero una metodica per il frazionamento del plasma, applicabile sia su piccola scala che a livello industriale, con lo scopo principale di purificare l’albumina. Il metodo originario di Cohn rappresenta la base dei metodi di frazionamento utilizzati dalle aziende produttrici di emoderivati, e tra queste anche Kedrion Spa, impegnata da diversi anni nella produzione di farmaci emoderivati destinati a tutti coloro che presentano carenze congenite dei componenti sanguigni, con lo scopo di migliorarne la qualità di vita e le prospettive di sopravvivenza. Il frazionamento di Cohn si basa sulle differenze di solubilità tra le diverse proteine in relazione al pH, alla concentrazione di etanolo (EtOH), alla forza ionica e alla concentrazione proteica. Esso si articola in diverse fasi che prevedono l’applicazione di metodi di precipitazione fisici (crioprecipitazione) e fisico-chimici (frazionamento alcolico), che consiste nell’impiego di etanolo, che favorisce la precipitazione delle proteine riducendo la costante dielettrica della soluzione acquosa in cui sono disciolte. In Figura 13 è riportato lo schema della produzione di emoderivati di Kedrion Spa.

Il materiale di partenza è rappresentato da un pool di plasma fresco scongelato (circa 7000 Kg) derivante dall’unione di sacche di plasma provenienti dai centri trasfusionali italiani (plasma conto lavoro) o acquistate all’estero (plasma di proprietà).

In seguito allo scongelo, il materiale ad alto peso molecolare tende a precipitare ed una volta separato per centrifugazione, esso va a costituire il crioprecipitato da cui vengono purificati il fattore VIII ed il Fibrinogeno.

Una parte del plasma surnatante crio viene sottoposto a cromatografia in batch su resina DEAE Sephadex in condizioni tali da permettere l’assorbimento dei fattori vitamina-K dipendenti e quindi la purificazione del PTC grezzo (complesso protrombinico attivato), contenente i fattori della coagulazione II-IX-X.

Dal plasma surnatante crio senza PTC viene purificata l’antitrombina III (ATIII) mediante cromatografia su Heparin-Sepharose.

Il PTC grezzo viene ulteriormente purificato mediante cromatografia su resina DEAE-Sepharose

per ottenere il PTC purificato, da cui si ottiene il FIX mediante cromatografia su Heparin-Sepharose. Il Surnatante crio senza PTC/ATIII viene unito al resto del plasma surnatante

crio e dall’intermedio derivante, viene precipitata, in seguito all’aggiunta di etanolo all’8%, la Frazione I che contiene il Fibrinogeno ed è una frazione di scarto.

Alla fine del tempo di contatto necessario per la precipitazione della Frazione I, vengono aggiunte alla miscela proteica celite e perlite, ossia adiuvanti della filtrazione. La Frazione I, recuperata come pasta, e il Surnatante I vengono separati mediante filtrazione su filtropressa.

Dal Surnatante 1 viene precipitata la Frazione II+III in seguito ad aggiunta di etanolo al 20%, che viene separata dal Surnatante II+III dopo filtrazione su filtropressa in presenza di adiuvanti della filtrazione.

La Frazione II+III è destinata alla purificazione delle Immunoglobuline: dopo la solubilizzazione della stessa, la precipitazione con EtOH al 17% e la filtrazione su filtropressa, si ottengono la Frazione III di scarto e il Surnatante III; da quest’ultimo, sempre per precipitazione alcolica, si ottiene la Frazione II da cui si purificano le Immunoglobuline. Dal Surnatante II+III si purifica l’albumina.

Fig.15 Seconda fase del frazionamento plasmatico Kedrion

4.2 Stato dell’arte della purificazione del fH

Le metodologie di purificazione del fH risalgono ai primi anni ‘80 e prevedono l’utilizzo di plasma come materiale di partenza, che viene sottoposto a numerosi passaggi cromatografici.

Nel 1982 Robert B. Sime Richard G. DiScipio propongono un metodo di purificazione del fH a partire da plasma umano.

Fin dall’inizio si opera in presenza di un inibitore di proteasi, il di-isopropilfosforofluoridato evitando il contatto con materiale di vetro, al fine di preservare il fH dalla degradazione proteolitica da parte de protesi presenti nel plasma.

La prima fase prevede la precipitazione con PEG (polietilenglicol), seguita da cinque steps cromatografici, condotti alla temperatura di 4 °C. Un litro di plasma viene incubato con PEG 4000 al 25% per 30 minuti e sottoposto a centrifugazione; il surnatante recuperato viene messo a contatto con PEG 4000 al 50% per 30 minuti e centrifugato. Il precipitato, in cui è presente l’80% di fH, opportunamente risospeso, viene sottoposto a cromatografia su resina L-Lysine-Sepharose, a cui si legano il plasminogeno e la plasmina.

La frazione non adsorbita, in cui è presente il fH, viene dializzata e caricata su colonna di DEAE-Sephadex A-50; applicando un gradiente di NaCl 0-500 mM, il fH eluisce in un picco

compreso tra i due picchi principali, corrispondenti rispettivamente all’α2-macroglobulina (α2M) e

alla molecola del complemento C3. Il pool di fH ottenuto da questo step contiene circa il 55% di proteina di partenza e viene incubato con PEG al 14%, con lo scopo di rimuovere i contaminanti ad alto peso molecolare, come albumina e α2M.

Il precipitato viene risospeso, sottoposto a chiarificazione mediante centrifuga per 30 minuti e caricato su una colonna di Sepharose 6B, per la rimozione completa dei contaminanti ad alto peso molecolare come IgM, α2M, C3, C5; il recupero di fH è del 40-45%. Le frazioni contenenti la

glicoproteina vengono unite insieme ed il campione dializzato viene sottoposto a cromatografia su idrossiapatite (HA-Ultrogel), per favorire la rimozione della restante α2M.

Infine, l’eluato dializzato, viene sottoposto all’ultimo step cromatografico, su DEAE-Sepharose CL-6B, favorendo l’eliminazione delle tracce dei prodotti della degradazione del

C3 e della molecola C5. La cromatografia viene condotta applicando un gradiente lineare 0-400 mM di NaCl. Le frazioni contenenti il fH vengono riunite, concentrate mediante ultrafiltrazione e mantenute a – 20°C. La resa di processo è del 25% [46].

Il lavoro di Ripoche et al. del 1984 illustra un metodo più semplice di purificazione del fH da siero umano. Dal siero viene ottenuta una frazione “euglobinica” dopo due cicli di dialisi/concentrazione.

Tale frazione ridisciolta, viene sottoposta a cromatografia a scambio ionico DEAE-Sephacel, l’eluizione avviene applicando un gradiente di lineare 0-250 mM di NaCl. Il fH viene eluito alla conducibilità di 5 mS/cm2 e le frazioni contenenti la proteina vengono riunite in un unico pool e concentrate mediante ultracentrifugazione. L’analisi dell’ultracentrifugato mostra la presenza di

contaminanti, quali Immunoglobuline e C4bp, che vengono facilmente rimossi mediante gel-filtrazione su colonna Sephacryl S-300; le IgM e il C4 escono con il volume morto della

colonna, mentre le IgG ed l’albumina eluiscono a valle del fH. La resa di processo è del 37% [6]. Nel 1985 A.Lundwall e Gosta Eggertsen pubblicano un lavoro in cui viene descritto un metodo per la purificazione simultanea dei fattori del complemento C3, C5 e del fH. Il materiale di partenza è rappresentato da 1600 ml di plasma fresco congelato, a cui vengono aggiunti 2,5 mg/ml di fenilmetilsulfonilcloruro (PMSF). La miscela viene mantenuta alla temperatura di 6°-8° e

sottoposta a cromatografia ad adsorbimento in batch con l’aggiunta dello scambiatore ionico QAE-Sephadex, ottenendo una sospensione di gel nel plasma al 15%. Dopo la deposizione del gel

sul fondo del contenitore, il surnatante è recuperato e la molecola C3 viene eluita aumentando progressivamente la concentrazione di NaCl fino a 20 mM. Le frazioni contenenti il C3 vengono riunite insieme e dializzate; il campione risultante viene introdotto in colonna SP-Sephadex e dopo avere ottenuto il picco principale di eluizione corrispondente alla molecola C3, si ottiene un picco secondario contenente il fH, la molecola C5 ed una piccola percentuale di C3. L’eluato contenente il

fH viene dializzato e caricato in colonna DEAE-Sephacel: il primo picco di eluizione contiene il fH [47].

Nel 1996 Carron e coll. indicano un metodo di purificazione del fattore H a partire dalle piastrine umane attivate con trombina, sottoponendo poi il surnatante a purificazione con gelatina, per la rimozione della fibronectina e a cromatografia su resina Heparin Sepharose, per eliminare la trombopsodina, una proteina responsabile dell’aggregazione piastrinica. L’eluizione del fH viene condotta in presenza di NaCl 0,3 M, a cui segue un altro step cromatografico su resina DEAE. Gli stessi autori sottolineano un’altra metodica di purificazione del fH a partire da plasma che prevede tre step cromatografici: L-lysine-Sepharose, DEAE-Sephagel e cromatografia per affinità mediante un anticorpo selettivo per il fattore H [48].

Nel brevetto WO 2007/066017 si rivendica una metodica per la preparazione di un concentrato di fH finalizzato al trattamento della Sindrome Emolitico Uremica, utilizzando come materiale di partenza il surnatante di plasma fresco congelato che viene sottoposto a cromatografia, su resina a scambio anionico DEAE-Sephadex. Questo step favorisce il legame dei fattori della coagulazione

vitamina K- dipendenti, mentre la frazione non adsorbita, contenente il fH, viene caricata su colonna con resina Heparin Sepharose FF. La cromatografia viene condotta in modalità negativa, in modo da permettere l’adsorbimento dell’Antitrombina III ed il recupero del fH nel flowthrough. La frazione non adsorbita ottenuta, previa correzione del pH, viene caricata sulla stessa colonna in condizioni tali da permettere il legame del fH. L’eluato contenente la glicoproteina d’interesse viene sottoposto ad uno step di inattivazione virale solvente/detergente, al fine di inattivare i virus envelope. Il campione viene successivamente diluito per poi essere caricato su resina a scambio cationico del tipo SP-Sepharose FF : l’eluizione del fH è eseguita aumentando la forza ionica. Infine la frazione ottenuta viene sottoposta a trattamento con solvente/detergente, diluita, caricata su colonna con resina anionica Q Sepharose: questo step permette di rimuovere le sostanze inattivanti; l’eluato contenente la glicoproteina viene sottoposto a rimozione virale mediante nanofiltrazione su filtro 15nm; la soluzione risultante viene concentrata e filtrata mediante filtro 0,22 µm. La resa complessiva è dell’81,3% [49].

Il brevetto WO 2008/113589 illustra una metodologia di purificazione del fattore H a partire da un intermedio plasmatico del frazionamento di Cohn. Una volta corretti il pH e la conducibilità (25

mS/cm), il campione viene caricato su colonna con resina Heparin-Affinity-Resin (Toyopearl HW-65) e il fH è eluito utilizzando un gradiente di NaCl 0-1mol/L. La frazione ottenuta

(conducibilità 100 mS/cm) viene caricata su colonna impaccata con Butyl Sepharose FF (Ge Healthcare) ed il fH eluito in gradiente di NaCl 0-2 mol/L. L’eluato (con conducibilità inferiore a 6

mS/cm e pH compreso tra 7 e 9) viene sottoposto a cromatografia a scambio anionico su resina Q-Sepharose XL (GE Healthcare) ed il fH viene eluito in gradiente di NaCl 0-1 mol/L. Il quarto

step prevede di sottoporre il campione a cromatografia a scambio cationico (pH compreso tra 5 e 9, conducibilità < 20 mS/cm) e la glicoproteina è eluita in gradiente di NaCl 0-1 mol/L. Infine la frazione di interesse (pH 5-9, conducibilità < 15 mS/cm) viene caricata su colonna impaccata con resina di Idrossiapatite a cui si lega il fH; il gradiente di eluizione prevede concentrazioni di NaCl comprese tra 0-1 mol/L.

Questi step sono stati condotti anche mettendo la frazione plasmatica di partenza a contatto con PEG, al fine di rimuovere le impurità lipidiche presenti ed ottimizzare la purificazione della proteina.

Il brevetto illustra anche delle alternative nel processo di purificazione, che prevedono l’inserimento degli step di nanofiltrazione e inattivazione virale con trattamento solvente/detergente [50].

preparazione di fH da utilizzare a scopo terapeutico. La metodica prevede di utilizzare come materiale di partenza il crioprecipitato di plasma fresco scongelato. Il crioprecipitato viene allontanato per centrifugazione ed il surnatante derivato viene suddiviso in due aliquote, una delle quali caricata su colonna DEAE Sephadex; alla restante viene aggiunta la frazione non ritenuta: la soluzione A risultante viene portata a pH 6.0 mediante l’aggiunta di HCl 0.5 N.

A ciò seguono cinque step cromatografici: il primo prevede l’utilizzo di una resina funzionalizzata con eparina (Heparin-Sepharose FF), condizionata precedentemente con tampone sodio-fosfato 20 mM ed il pH del materiale caricato viene portato a 6; ciò assicura la rimozione di Albumina, IgG e IgA, fattore I, Fibrinogeno, Antitombrina III. Successivamente l’eluato contenente il fH, ottenuto utilizzando un tampone con forza ionica superiore a quella del tampone di condizionamento, viene diluito, trattato per portare il pH a 6.5 e caricato su scambiatore cationico SP-Sepharose FF, al fine di rimuovere proteine ad alto peso molecolare, quali la componente C3 del complemento, le IgM e l’ApoB. A ciò segue il trattamento con solvente detergente della frazione eluita e contenente il fH,

che dopo essere stata corretta a pH 7,5, viene caricata su resina a scambio anionico del tipo Q-Sepharose FF, per favorire l’allontanamento di molecole a basso peso molecolare, come i fattori

B ed I. Il prodotto ottenuto viene concentrato e sottoposto a nanofiltrazione, preferenzialmente utilizzando un filtro di 15-20 nm; la concentrazione proteica finale di fH ottenuta è di 5 g/L. Il processo complessivo può comprendere altri trattamenti, quali ad esempio la delipidazione, effettuata con l’impiego del PEG, solfato di ammonio o polvere di silicio [51].

Nel 2012 H.Brandstätter e coll. illustrano un processo di purificazione del fattore H a partire da plasma umano, con lo scopo di estenderlo su scala industriale.

Essi analizzano differenti frazioni plasmatiche ottenute mediante frazionamento e rilevano la presenza della glicoproteina di interesse mediante test ELISA. L’intermedio di interesse viene filtrato (0,45 µm), sottoposto a inattivazione virale con trattamento solvente/detergente e a tre step cromatografici. Inizialmente il campione viene caricato su colonna con resina cationica forte (Toyopearl SP-650 M), condizionata con tampone sodio-citrato 20 mM, pH 6.0; il fH è eluito con NaCl 200 mM.

L’eluato ottenuto viene caricato in colonna con resina anionica forte Q-Sepharose XL (GE Healthcare) ed il fH viene eluito con tampone NaCl 250 mM; infine il campione viene caricato su colonna contenente resina di idrossiapatite e la proteina viene eluita in gradiente di NaCl ( fino a

2M). Le frazioni contenenti il fH vengono riunite. Il pool così ottenuto viene concentrato, pre-filtrato (0,22 µm), sottoposto a nanofiltrazione ed infine reso sterile mediante filtrazione 0,22

Il brevetto WO 2012/049245 illustra un processo di purificazione della glicoproteina di interesse a partire dalle frazioni plasmatiche I+II+III o II+III, ottenute mediante il frazionamento di Cohn. Il materiale di partenza viene portato ad un pH compreso tra 5.0 e 5.2 con l’aggiunta di caprilato o acido caprilico, favorendo la precipitazione delle proteine. Il precipitato contenente il fattore H viene risospeso in un buffer contenente trisodiocitrato 20 mM e centrifugato; il pH del surnatante recuperato viene portato a 6.0 e la conducibilità a 5.2 mS/cm, mediante diluizione. Il prodotto filtrato su membrana 0.45 µm viene sottoposto a cromatografia su resina cationica forte (Toyopearl® SP-650M). Dopo aver rimosso le proteine debolmente legate, seguono tre diversi step di eluizione a concentrazioni diverse di NaCl (100 mM, 200 mM e 1M). Il pool delle frazioni contenenti il fH viene caricato su resina anionica forte (Q-Sepharose®XL). La glicoproteina è eluita utilizzando un tampone contenente NaCl 200 mM e la frazione ottenuta viene ultrafiltrata. La soluzione risultante viene caricata su colonna con resina di idrossiapatite (CHT®tipo II 40 µm da Bio-Rad®) e l’eluato risultante può essere sottoposto, in maniera facoltativa, a cromatografia per affinità, utilizzando una resina funzionalizzata con eparina (Heparin Sepharose 6 FF). Le soluzioni ottenute vengono concentrate al fine di ottenere una concentrazione finale di fH pari a 20 mg/ml; prima di questo step il prodotto può essere nanofiltrato per garantire la rimozione virale [53].

Nell’US 8,304,524 B2 vengono esposte diverse metodologie di purificazione del fH, utilizzando come materiale di partenza intermedi diversi derivanti dal frazionamento di Cohn. Un intermedio preso in considerazione la Frazione II+III: essa viene risospesa in un buffer opportuno, quindi centrifugata ed il precipitato così ottenuto risospeso e filtrato. La porzione solida non filtrata, ritenuta nel filtro, viene disciolta in un buffer dotato di un’opportuna forza ionica e la soluzione ulteriormente diluita. Il prodotto ottenuto viene sottoposto ad ultrafiltrazione ed il concentrato

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