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In altre parole, l’idea di Luzzatti (e dei suoi amici) era quella di creare il più velocemente possibile una

“proprietà borghese” delle Banche popolari che permetesse di dare at-

tuazione ad un programma di conservatorismo e stabilizzazione sociale

ispirato alla sua personale trasposizione delle idee del Kathedralsoziali-

smus

216

, programma rispetto alla cui celere ed efficace realizzazione la

responsabilità illimitata sarebbe senz’altro risultata d’ostacolo

217

.



in quella generale e comune di tutte le Associazioni commerciali»: ivi, 200), la cui pre- senza è stata talvolta anzi ritenuta alla base di quelle “devianze” dallo stesso dettato luzzattiano che la prima prassi in fatto di autorizzazioni fece registrare: cfr. POLSI Alle

origini, cit., 201 ss. Quanto al pensiero di chi scrive, si è già chiarito come ed in che

misura possa ritenersi effettivamente esistita una relazione di biunivoca interdipenden- za tra composizione della base sociale e perseguimento della mutualità da parte delle Popolari nella loro fase di impianto e sviluppo nel paese: cfr. supra, § 7, e, ivi, part. no- te nn. 167-173 e testo corrispondente.



214 Cfr. D

EGL’INNOCENTI, Luigi Luzzatti, cit., 438 ss.



215

Cfr., intorno a questi temi, BONFANTE, La legislazione cooperativa, cit., 29.



216 Sulla visione «sostanzialmente conservatrice» di Luzzatti, la quale lo conduceva

a collocare il credito popolare «nell’ambito di una concezione della cooperazione intesa come strumento di integrazione pacifica e indolore della classe operaia nel sistema poli- tico-istituzionale creato dai moderati», i quali, sulla scia del “socialismo della cattedra” di stampo tedesco, stavano allora tendando di «porre un’ipoteca ideologica sul nascen- te movimento cooperativo italiano», cfr. CIUFFOLETTI, Dirigenti e ideologie, cit., 99 ss. In senso analogo, nel rilevare il tentativo della borghesia liberale di «fare convergere in- torno al polo del credito popolare e cooperativo tutte le istanze presenti nel movimento associativo al fine del mantenimento degli equilibri sociali e politici esistenti»,



di), Il movimento cooperativo in Italia, cit., 6. E cfr. anche ID., Luigi Luzzatti, cit., 454

s., ove l’Autore sottolinea come anche la fondazione, avvenuta nel 1913 per volere del- lo stesso Luzzatti, dell’Istituto nazionale di credito per la cooperazione (R.D. 15 agosto 1913, n. 1140) – radice dell’attuale Banca nazionale del lavoro (cfr. BELLI - BROZZETTI,

voce Banche popolari, cit., 167) – rappresentò, sul piano politico, uno strumento per «rilanciare il disegno egemonico delle classi dirigenti liberali, questa volta con un più marcato intervento statale, nei confronti delle classi subalterne, le cui aspirazioni occu- pazionali e di emancipazione morale e sociale [si volevano] indirizzate entro i termini dell’associazionismo interclassista». Si trattò, insomma, «[del]la risposta in termini nuovi e moderni alla richiesta tradizionale di credito alle cooperative, e al tempo stesso, in presenza di un movimento socialista ormai forte sul piano politico e sindacale, [del] tentativo di stringere la parte più rilevante di esso allo Stato liberale». Ulteriori interes- santi notazioni in merito ai vari tentativi intrapresi dal Luzzatti per «incanalare il mo- vimento [cooperativo] verso finalità liberali a lui congeniali», si rinvengono in

ROTONDI, Mercato e sviluppo economico, cit., 64 ss.



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Per il rilievo secondo cui la scelta a favore dell’anonima per azioni a responsabi-

lità limitata fu pensata per favorire l’affermazione di una direzione di stampo borghese del movimento delle Popolari, delle quali si voleva stimolare la crescita «senza attende- re gli anni di lenta incubazione che erano stati alla base del successo tedesco», cfr. POLSI, Alle origini, cit., 201, ivi nota n. 22 e testo corrispondente. Ad ulteriore confer- ma della chiave di lettura che si sta qui offrendo, è interessante notare come i sosteni- tori del regime della responsabilità illimitata si dichiarassero disposti a rinunziarvi so- lamente nel momento in cui le cooperative di credito popolare fossero ormai divenute «abbastanza ricc[he] [...] [da] non aver più bisogno di praticare un siffatto principio» (ROSSI, Del credito popolare, cit., 176); cioè a dire, solamente quando quella proprietà “operaia” nata in seno a mutue associazioni di persone tutte legate dal vincolo della re- sponsabilità solidale, si fosse accresciuta e consolidata al punto tale da permettere di elevare le classi popolari esse stesse allo stadio di proprietari capitalisti, in quanto tali finalmente in grado di competere con le altre componenti di un sistema economico- produttivo che, altrimenti, avrebbe ancora a lungo minacciato di costringerle in posi- zione economicamente e socialmente subalterna. Lo stesso Schulze, che del regime del- la responsabilità illimitata nel settore del credito popolare fu non solo il primo realizza- tore nella prassi, bensì anche primo “codificatore”, avendone trionfalmente promosso la statuizione nei §§ 3 n. 12 e 11 Abs. 1 GenG 1867 (cfr. supra, § 3, nota n. 45), aveva sostenuto: «L’assunzione della responsabilità personale sotto l’obbligazione vicendevo- le di tutti per uno è ora [...] il solo mezzo giuridicamente ed economicamente valido, con cui il ceto dei nostri associati possa operare. Noi consideriamo perciò la solidarietà come una necessità per le associazioni nei loro primi stadi. Ma come l’individuo nei propri affari si sforza di diminuire possibilmente sempre più nel progrediente svolgi- mento la propria responsabilità, del pari anche nelle unioni nostre, coll’andar del tem- po, si tende a mutare la sopraddetta forma gravissima di obligazione, la obligazione il- limitata, in quella ristretta a porzione determinata del patrimonio, e ciò avviene tosto che lo concedano le condizioni dell’impresa sociale. Nè se ne avvera il caso, se non quando la formazione di un capitale proprio siasi svolta per un gran numero di soci co- sì ampiamente, che le loro quote di partecipazione sieno cresciute a segno che l’obligazione limitata offra il fondamento reale indispensabile. Soltanto allora può porsi

Sembrano, insomma, da condividersi i rilievi di quella autorevole

dottrina secondo cui, «con la “cooperativa” a responsabilità limitata»,

Luzzatti non volle solamente «adatta[re] la banca popolare alle esigen-

ze della borghesia imprenditoriale lombarda e veneta, occupando uno

spazio vuoto nel mondo del credito», avendo egli, in maniera altrettan-

to decisa, altresì mirato, «forte della sua posizione politica, a piegare

una legislazione in fieri»

218

. Processo che avrebbe poi ricevuto la sua