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Uno dei primi problemi che i promotori delle Banche popolari si trovarono a dover risolvere, fu quello di giungere rapidamente alla co-

stituzione di società dotate di personalità giuridica; elemento, questo,

imprescindibile perché le istituende società potessero compiere con a-

deguata semplicità di forme e con sufficiente certezza di effetti le ope-

razioni bancarie che si proponevano

116

.



114

Cfr., per il momento, VIRGILII, voce Cooperazione, in Dig. it., Vol. VIII, Torino, 1898-1900, 807 s.



115 Così le ha definite S

ANTOSUOSSO, Le due anime e le diverse identità delle

banche popolari nell’universo della cooperazione, in Giur. comm., 1997, III, 434.



116 Cfr. P

OLSI, Alle origini, cit., 200. Nella letteratura dell’epoca, RABBENO, La coo- perazione in Italia, cit., 20, sia pur riferendosi alla situazione osservabile vigente il Co-

dice di commercio del 1882, aveva rilevato come quest’esigenza si presentasse per le società di credito ben più stringente di quanto non lo fosse nelle cooperative di altra specie che pure allora venivano costituendosi. Una piccola cooperativa di consumo, ad esempio, avrebbe potuto operare senza grossi impacci anche per mezzo dell’assunzione di obbligazioni personali da parte di qualche amministratore che fosse stato disposto ad intervenire in nome proprio nei contratti con i terzi. Nelle cooperative di credito, vi- ceversa, «le operazioni [...] sono di tal natura che una società non riconosciuta legal- mente non potrebbe in alcun modo funzionare». La medesima questione si era posta, a suo tempo, allo Schulze con riguardo alle sue Volksbanken. Anche in Germania, infat- ti, la prima preoccupazione fu quella di rendere le nuove cooperative capaci di assume- re ed azionare diritti e obbligazioni patrimoniali in qualità di soggetti distinti dalle per- sone dei loro soci ed amministratori. In quel caso, tuttavia, venne adottata una soluzio-



ne ben diversa da quella verso cui ci si orientò in Italia. Mancando nel Codice di com- mercio germanico del 1861 una apposita normativa per le società cooperative, si trattò di comprendere se queste potessero comunque trovare utile di organizzarsi in confor- mità ad uno dei diversi tipi di società commerciali in esso contemplati. Ciò in quanto il qualificarsi come società commerciali ai sensi di quel codice, avrebbe senz’altro accor- dato alle nuove istituzioni di credito privilegi e concessioni sufficienti a fornire loro la capacità soggettiva e l’autonomia patrimoniale di cui avevano bisogno. Ciò nondimeno – ora per tale, ora per talaltra ragione – nessuno dei cinque tipi previsti dall’Allgemeines Deutsches Handelsgesetzbuch (d’ora in avanti, “A.D.HGB”) sembrava pienamente adattabile al modello della banca popolare schulziana. Non la società in nome collettivo (offene Handelsgesellschaft), né l’accomandita semplice (Kommandi-

tgesellschaft), per le quali il codice richiedeva l’iscrizione presso il tribunale di com-

mercio da effettuarsi mediante la comparsa personale e la sottoscrizione del contratto sociale da parte di tutti i soci, oppure dietro presentazione di scrittura autenticata nelle sottoscrizioni di tutti i soci da parte di un magistrato o di un notaio. Ai sensi dell’A.D.HGB, erano queste formalità da ripetersi a fronte di ogni ipotesi di recesso o di ammissione di nuovi soci, ciò che rendeva i due tipi summenzionati praticamente i- nadatti a conferire alle cooperative quel carattere aperto di cui, invece, si voleva che queste fossero dotate. Un tale inconveniente non si presentava nell’accomandita per a- zioni (Kommanditgesellschaft auf Aktien), per la cui costituzione era richiesta la com- parizione personale dei soli soci accomandatari illimitatamente responsabili. Tuttavia, neppure questa forma giuridica appariva acconcia all’esigenze delle nuove cooperative, giusta la mancanza – in essa come del resto nell’accomandita semplice – dell’obbligo solidale di tutti i soci, reputato da Schulze elemento essenziale nella fase di avvio del movimento del credito popolare. Per la stessa ragione era altresì da escludersi il ripiego sulla forma dell’anonima per azioni (Aktiengesellschaft), la quale, peraltro, presentava (almeno fino alla legge liberalizzatrice del 1870) l’ulteriore inconveniente di essere tipo accessibile soltanto con previa autorizzazione governativa, per non dire poi della fissità della cifra del capitale e dell’alto importo (25%) dei conferimenti inziali da eseguire in fase di costituzione, incompatibile con l’idea di Schulze circa la necessità di una rateiz- zazione dei conferimenti che rendesse possibile il confluimento nelle Volksbanken an- che della più modesta cifra risparmiata da artigiani e commercianti. Inadeguato era, in- fine, anche l’ultimo istituto disciplinato nell’A.D.HGB, ossia quello della società tacita (Stille Gesellschaft, corrispondente alla nostra associazione in partecipazione), in quan- to fattispecie contrattuale a mero rilievo obbligatorio, priva dei necessari risvolti corpo- rativo-organizzativi. Gli era, inoltre, che, su di un piano più generale, appariva tutt’altro che certa la possibilità di ricomprendere le Volksbanken nella nozione di so- cietà commerciale rilevante ai sensi dell’A.D.HGB. Schulze, infatti, dubitava che i ne- gozi compiuti dalle banche operanti esclusivamente con i propri soci potessero qualifi- carsi come atti di commercio ai sensi del codice, ciò che avrebbe impedito alle unioni di credito a mutualità “pura” di qualificarsi come società commerciali per mancanza del requisito della professionalità. Per tutte queste ragioni, «[r]iesciva dunque altamen- te necessario che si desse a tutto quest’argomento giuridico un ordinamento acconcio, per mezzo di un atto legislativo proprio e adatto all’essenza ed al bisogno delle unioni di credito e di altre simili specie di associazione» (SCHULZE-DELITZSCH, Delle Unioni di

Senza tentennamenti di sorta, si decise, dunque, di optare per la