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consente di affermare che nella Volksbank schulziana lo scopo mutualistico trovas-

se sufficiente definizione sostanziale (quanto meno, per via

dell’adozione delle cautele che si sono appena dette, nel senso della de-

limitazione del tasso di lucratività che l’istituzione poteva persegui-

re)

258

.



255 Cfr. i rilievi già svolti supra, § 3, nota n. 63, e § 8, nota n. 191.



256

«Gesellschaften von nicht geschlossener Mitgliederzahl, welche die Förderung des Credits, des Erwerbs oder der Wirtschaft ihrer Mitglieder mittelst gemeinschaftli- chen Geschäftsbetriebes bezwecken». Questa la definizione (che può leggersi, ad es.,

SCHUBERT (a cura di), 100 Jahre Genossenschaftsgesetz, cit., 58) che delle Genossen-

schaften, con una formulazione che nel suo nucleo essenziale è rimasta sostanzialmente

invariata nel corso del tempo, venne fornita dal legislatore del GenG del 1867-8, prov- vedimento normativo col quale, per giunta, l’effettivo perseguimento dello scopo mu- tualistico fu presidiato per tramite della previsione di una multa pecuniaria comminabi- le agli amministratori per il caso che questi indirizzassero l’opera loro ad affari diversi da quelli indicati nel § 1 della legge (§ 27 Abs. 2 GenG 1868), nonché, per le ipotesi più gravi, rendendo possibile la ben più significativa sanzione dello scioglimento della società per sentenza pronunciata dal Tribunale su impulso dell’autorità governativa (§ 35 Abs. 1 e 2 GenG 1868). Per approfondimenti sul modo di intendere lo scopo della cooperativa ai sensi del § 1 della legge tedesca, cfr., tra gli altri, BAUMGARTL, Die Fun-

ktion des Förderungsauftrages in § 1 Genossenschaftsgesetz, Nürberg, 1979; ulteriori

riferimenti anche in BATTISTOTTI, Il compito promozionale, cit., 259 ss. Intorno alla

sanzione dello scioglimento per mancato rispetto dello scopo di promozione del benes- sere economico dei soci, cfr., di recente, KOBER, Sind Genossenschaften bei Förder- zweckverstößen schlichtweg aufzulösen?, in ZfgG 62 (2012), 193 ss.



257 Cfr. S

CHULZE-DELITZSCH, Delle Unioni di credito, cit., 263.



258

Sebbene tutti gli aspetti indicati nel testo, vieppiù ove letti in combinato dispo-

sto con l’ulteriore elemento rappresentato dal carattere aperto della società («... nicht

geschlossener Mitgliederzahl ...») sancito dal già richiamato § 1 GenG 1867-8, stessero

a testimoniare una certa valenza servente dell’organizzazione del capitale rispetto ai bi- sogni dei soci (attuali e non) da soddisfarsi per mezzo dell’azienda comune – almeno fintantoché questi bisogni realmente sussistessero –, non v’è dubbio, tuttavia, che, sot- to molti altri aspetti, le Volksbanken schulziane fossero state messe, tanto in punto di realizzazione pratica, quanto in punto di disciplina legislativa, in condizione di godere di criteri organizzativi e di principi normativi sufficientemente elastici da poter bene assecondare anche quelle altre esigenze di natura “filocapitalistica” che pur ne anima- vano il modo d’essere. Il riferimento è qui da farsi non solo al già più volte richiamato



rifiuto della pratica del ristorno (cfr. supra, § 3, nota n. 57, e § 8, note nn. 192-193 e testo corrispondente) – di cui, ancora oggi, non v’è traccia nella legge tedesca sulle co- operative (arg. ex § 19 GenG, sul quale cfr., per approfondimenti, BEUTHIEN, Genos- senschaftsgesetz, cit., 331 ss.), e di cui è in effetti del tutto rara la presenza nella prassi

delle banche cooperative (cfr. MÜNKNER, Experiences with the cooperative law, cit.,

120; ID. (a cura di), “Nutzer-orientierte” versus “Investor-orientierte” Unternehmen, Göttingen, 2002, 133 ss.) –, bensì anche, per ragioni pur sempre attinenti all’esigenza di rendere quanto più appetibile l’investimento, alla previsione circa la piena divisibili- tà del patrimonio (§ 47 GenG 1868), la quale, nel mentre offriva al socio l’allettante prospettiva della capitalizzazione della quota, non v’è dubbio che venisse nel contempo a comprimere il principio di solidarietà cooperativa intergenerazionale ampiamente praticato nel settore delle casse rurali (cfr. RAIFFEISEN, Le Associazioni, 114 ss.), al ri- guardo l’unica preoccupazione dello Schulze risultando essere, ancora una volta, l’introduzione di un elemento di “democraticizzazione” nella remunerazione dell’investimento iniziale che, in questo caso, si esprimeva tramite la previsione di una ripartizione del residuo attivo di liquidazione da effettuarsi, una volta rimborsati i con- ferimenti iniziali – e salvo diversa previsione statutaria (§ 47 Abs. 2 GenG 1868) –, pro

capite, anziché in proporzione alla quota di ciascun socio (cfr. SCHULZE-DELITZSCH, Delle Unioni di credito, cit., 152, 159). Inoltre, ove si fosse ipoteticamente voluta in-

trodurre una certa corrispondenza tra apporto finanziario e rilievo decisionale del so- cio, avrebbe parimenti potuto sacrificarsi il fondamentale principio di democrazia coo- perativa espresso dal principio “ein Mann-eine Stimme”, il quale, benché riaffermato quale generale regola dispositiva, veniva reso completamente disponibile all’autonomia statutaria, che avrebbe perciò potuto derogarvi tramite apposita previsione in tal senso (§ 10 Abs. 2 GenG 1868). Del resto, dalla lettura dei modelli di statuto redatti (o co- munque promossi) dallo Schulze (e pubblicati ivi, 363 ss.), i quali, per esplicita am- missione dello stesso giurista tedesco, erano stati pensati per per assecondare al meglio le esigenze che (si immaginava) avrebbero accompagnato le diverse fasi del life-cycle delle “sue” Volksbanken, si ricava la chiara impressione che il percorso tracciato fosse, come si è detto, quello di una banca che, nata come cooperativa mutua e di carattere “nucleare”, fosse poi destinata a diventare, in relazione al mutato equilibrio dei rappor- ti imprenditoriali interni ed esterni, una cooperativa sempre più orientata al mercato e d’indole sempre più “manageriale” (sulla distinzione tra cooperativa “nucleare” e coo- perativa “manageriale”, cfr. M. VELLA, Oltre il motivo del profitto, cit., 142, ivi alla no- ta n. 1, ove ulteriori riferimenti). Non v’è qui modo, purtroppo, di illustrare la maniera in cui i cennati aspetti siano evolutisi, talvolta anche in maniera importante, in seno ai successivi sviluppi della legislazione cooperativa tedesca, nella cui impostazione gene- rale, comunque – e questo è certo –, l’originaria impronta “economicistica” del modello gius-cooperativo introdotto dallo Schulze non è mai venuta meno: cfr. VERRUCOLI, La

società cooperativa, cit., 7, nota n. 6; DABORMIDA, Le legislazioni cooperative, cit., 451 ss., 468 ss. Per approfondimenti in ordine alle dinamiche gius-politiche intervenute nel corso del tempo a delineare la fisionomia del Genossenschaftsgesetz, rispetto alla defi- nizione dei cui contenuti, a partire dalla legge del 1889, un ruolo di rilievo iniziarono ad avere anche i rappresentanti della cooperazione rurale, oltre agli Autori sopra già ci- tati, assai utile risulta, anche in chiave di analisi comparata, la lettura dei vari contribu- ti di GUINNANE, New law for new enterprises, cit., passim; SCHUBERT (a cura di), 100

Venendo ora a dire dell’Italia, sembrerebbe che qui il «vizioso or-